REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 209 del
2004, proposto da: C. M. E., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo
Massa e Marcello Vignolo, con domicilio eletto presso il loro studio, in
Cagliari, piazza del Carmine n. 22;
contro
- ERSAT - Ente regionale di sviluppo e assistenza
tecnica in agricoltura - rappresento e difeso dall’avv. Ovidio Marras, con
domicilio eletto presso il suo studio, in Cagliari, via Sonnino n. 37; -
LAORE Sardegna - Agenzia regionale per lo sviluppo in agricoltura -
rappresentata e difesa dall’avv. Matilde Mura e dal’avv. prof. Enrico
Mastinu, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in
Cagliari, via Mameli n. 133; - Direttore Generale ERSAT Sardegna di
Cagliari, non costituito in giudizio; - Commissione del concorso interno a
13 Posti di Dirigente dell’ERSAT, non costituita in giudizio.
nei confronti di
- dott. G. A., ing. A. L., dott.ssa G. C., dott.ssa
M. R. M. e dott.ssa L. S., rappresentato e difeso dall'avv. Sandrina
Montis, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Sardegna, in
Cagliari, via Sassari n.17; - e altri (OMISSIS) ;
e con l'intervento di
- ARGEA Sardegna - Agenzia regionale per la gestione
ed erogazione degli aiuti in agricoltura - rappresentata e difesa dagli
avv.ti Fabio Cuccuru e Ovidio Marras, con domicilio eletto presso lo
studio del secondo, in Cagliari, via Sonnino n.37
per l'annullamento
In via principale:
- del provvedimento adottato
dal Direttore Generale dell'ERSAT - determinazione n. 309
del
18.11.2003- con cui e stata approvata la graduatoria del concorso
bandito con la Delibera del
Consiglio di amministrazione n. 106 del
7.8.2001;
- dei presupposti atti della Commissione giudicatrice, con
particolare riferimento all'atto di esclusione della ricorrente alla
partecipazione alla prova orale ed al provvedimento della medesima
Commissione con cui sono state stabilite le ammissioni alla prova orale
sulla base dei risultati della prova a quiz.
In via subordinata:
-
della Delibera del Consiglio di amministrazione n. 106 del 7.8.2001, nella
parte in cui ha messo a concorso n. 13 posti di Dirigente;
- di tutti i
successivi provvedimenti di nomina dei vincitori del concorso in
questione.
Visti il ricorso e i relativi allegati.
Visti gli
atti di costituzione in giudizio delle parti resistenti e
controinteressate.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti
della causa.
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2014
il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO
L'avv. Maria Elisabetta Corona, dipendente con
qualifica “D3” dell'ERSAT Sardegna (Ente regionale poi soppresso e le cui
competenze sono state poi assorbite in parte da ARGEA Sardegna e in parte
da LAORE Sardegna), ha partecipato al concorso interno per titoli ed esami
a 13 posti di dirigente, bandito con delibera del Consiglio di
amministrazione di ERSAT del 7 agosto 2001, n. 106, riportando, all’esito
della prova scritta (a quiz) il punteggio di 18,800 (per 21 quesiti
esatti, 2 errati e 12 con risposta omessa), inferiore alla soglia minima
fissata dal bando in 21 punti, per cui non è stata ammessa alla prova
orale.
All'esito della procedura selettiva, con deliberazione del
Direttore generale di ERSAT 18 novembre 2003, n. 309, è stata approvata la
graduatoria finale e in pari data sono stati sottoscritti i contratti di
lavoro con i 13 vincitori del concorso interno.
Con il ricorso in
esame, notificato in data 11 febbraio 2004 a ERSAT Sardegna, nonché a due
dei vincitori del concorso (segnatamente il dott. Gianni Ibba e il dott.
Antonio Loche), l’avv. Corona chiede in via principale l’annullamento
della graduatoria finale e degli atti ad essa presupposti (fra cui la
propria esclusione dalla prova orale) e successivi (nomina dei vincitori),
nonché in via subordinata l'annullamento del bando per avere lo stesso
previsto a concorso interno n. 13 posti anziché n. 4 posti, sottraendo
cosi n. 9 posti ad una futura procedura concorsuale pubblica cui la stessa
ricorrente intenderebbe partecipare in caso di mancato accoglimento della
domanda principale; chiede, altresì, l’annullamento dei successivi atti di
affidamento di 7 incarichi di Strutture dirigenziali istituite dopo il 2
dicembre 1998 ad alcuni dei vincitori del concorso interno.
Il gravame
e affidato alle seguenti censure:
1. Violazione e falsa applicazione
del bando di concorso, eccesso di potere per erroneità dei presupposti,
genericità, illogicità, perplessità manifeste.
2. Violazione e falsa
applicazione degli artt. 77, commi 11 e 12 della legge Regione Sardegna 13
novembre 1998, n. 31 e s.m.i., eccesso di potere per erroneità dei
presupposti, difetto di motivazione.
In data 20 ottobre 2005 si è
costituito in giudizio l’ERSAT , chiedendo la reiezione del ricorso.
In
data 7 novembre 2012 si è costituita in giudizio l’Agenzia A.R.G.E.A.
Sardegna (che si dichiara subentrata a ERSAT in forza dell’art. 21 della
legge Regione Sardegna 8 agosto 2006, n. 13), eccependo la tardività del
ricorso.
In data 16 novembre 2012 si è costituito in giudizio il
controinteressato ing. Antonio Antonio Loche, eccependo anch’egli la
tardività del gravame.
In data 17 novembre 2012 si è costituita in
giudizio l’Agenzia LAORE Sardegna, eccependo l’inammissibilità del ricorso
in quanto avente a oggetto profili di discrezionalità tecnica ritenuti
insindacabili, nonché chiedendo l’integrazione nel contraddittorio nei
confronti di tutti i vincitori del concorso e dei concorrenti dichiarati
idonei.
Sempre in data 17 novembre 2012 si è costituito in giudizio il
dott. Gianni Ibba, eccependo la tardività del ricorso e sollecitando
l’integrazione del contraddittorio in favore di tutti i vincitori del
concorso; inoltre lo stesso controinteressato, con successiva memoria
difensiva del 12 marzo 2014, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per
difetto di interesse, sul presupposto che in base alla disciplina
attualmente vigente l’Amministrazione non potrebbe indire una nuova
procedura concorsuale del tipo di quella impugnata, per cui la ricorrente
non otterrebbe alcun vantaggio, neppure potenziale, da una eventuale
pronuncia di annullamento della procedura selettiva impugnata.
Con
ordinanza 19 dicembre 2012, n. 113, depositata in Segreteria 11 febbraio
2013, questa Sezione ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei
confronti di tutti i vincitori del concorso e dei concorrenti dichiarati
idonei, rinviando la trattazione del ricorso all’udienza pubblica del 13
novembre 2013.
In data 13 settembre 2013 la difesa della ricorrente ha
depositato in Segreteria un’istanza di rinvio della sopra indicata udienza
di merito, riferendo che:
- per 13 controinteressati (tra vincitori del
concorso e dichiarati idonei) la notifica del ricorso era andata a buon
fine, mentre altri 4 non avevano ritirato il plico e altri 2 (in specie i
sig.ri Sebastiano Piredda e Marcello Onorato) erano risultati
irreperibili;
- che in ogni caso, a causa “delle enormi difficoltà
incontrate dalla ricorrente e dei ritardi con i quali sono state fornite
le indicazioni richieste dalle amministrazioni di appartenenza dei
controinteressati”, le stesse notificazioni andate a buon fine “risultano comunque intempestive rispetto al termine fissato per la
discussione del ricorso, così che, in ogni caso, l’udienza di discussione
non potrebbe essere confermata per il prossimo 13 novembre”.
In
data 2 ottobre 2013 si sono costituiti in giudizio i controinteressati
dott. Antonello Arghittu, Alessandro De Martini, Maria Ibba, Sebastiano
Piredda e Tonino Selis, i quali, con successiva memoria difensiva dell’11
ottobre 2013, hanno eccepito la tardività del ricorso, nonché
l’improcedibilità dello stesso per intempestiva integrazione del
contraddittorio.
In data 9 ottobre 2013 si sono costituiti in giudizio
i controinteressati dott.ssa Marcella Manconi, dott. Antonio Maccioni e
dott. Tullio Satta, eccependo la tardività del ricorso e chiedendone
comunque la reiezione.
In data 11 ottobre 2013 si sono costituiti in
giudizio i controinteressati dott. Giueppe Aresu, dott.ssa Graziella
Carta, dott.ssa Marina Rita Monagheddu e dott.ssa Luciana Serra,
sollevando la medesima eccezione di irricevibilità.
In data 11 ottobre
2013 si è, infine, costituito in giudizio il dott. Agostino Curreli,
eccependo anch’egli la tardività del ricorso.
Con memorie difensive del
23 ottobre 2013 e del 21 marzo 2014, la difesa di parte ricorrente, oltre
a replicare alle eccezioni di parte avversa e a insistere per
l’accoglimento del gravame, ha eccepito l’inammissibilità della
costituzione in giudizio di ARGEA.
Alla pubblica udienza del 13
novembre 2013, su istanza di parte ricorrente è stato disposto il rinvio
della trattazione alla pubblica udienza del 2 aprile 2014 (senza
opposizione dei difensori delle altre parti), in occasione della quale ne
è stato poi disposto un ulteriore, a causa dell’adesione allo sciopero di
Categoria da parte di alcuni difensori, all’udienza del 29 ottobre 2014,
in cui la causa è stata infine trattenuta in decisione.
DIRITTO
A. Le questioni di rito.
A.1. In primo luogo è
necessario esaminare l’eccezione di irregolare instaurazione del
contraddittorio sollevata da alcuni dei controinteressati.
Il Collegio
osserva, in primo luogo, che l’integrazione del contraddittorio è stata
disposta nei confronti di tutti i vincitori del concorso e di tutti i
dichiarati idonei, quindi nei confronti dei seguenti controinteressati:
dott. Tonino Selis, dott. Alessandro De Martini, dott. Sabastiano Piredda,
dott.ssa Maria Ibba, ing. Piero Iacuzzi, dott. Pier Mario Manca, dott.ssa
Marina Rita Monagheddu, dott. Agostino Curreli, dott.ssa Graziella Carta,
dott. Antonello Arghittu e dott. Marcello Onorato (in tutto 11 vincitori),
nonché dott.ssa Marcella Meloni, dott. Camillo Gaspardini, dott.ssa
Marcella Manconi, dott. Tullio Satta, dott. Antonio Maccioni, dott. Fabio
Cuccuru, dott. Giuseppe Aresu e dott.ssa Luciana Serra (in tutto 8
idonei), mentre ai dott.ri Gianni Ibba e Antonio Loche il gravame era
stato notificato sin dall’inizio.
Di costoro non si sono regolarmente
costituiti in giudizio soltanto i controinteressati avv. Fabio Cuccuru,
dott. Camillo Gaspardini, dott. Piermario Manca, dott.ssa Marcella Meloni,
dott. Piero Iacuzzi, dott. Marcello Onorato, in relazione ai quali si
osserva che:
- l’avv. Fabio Cuccuru ha ricevuto la notifica “a mani
proprie” in data 16 luglio 2013 (cfr. copia del ricorso depositata in
giudizio il 24 febbraio 2014);
- il dott. Camillo Gaspardini ha
ricevuto la notifica “a mezzo del servizio postale”, con raccomandata
spedita il 15 luglio 2013, non ricevuta e neppure ritirata nel termine di
giacenza (cfr. copia del ricorso depositata in giudizio il 24 febbraio
2014 e avviso di ricevimento prodotti in giudizio dal ricorrente il 24
febbraio 2014);
- il dott. Piermario Manca ha ricevuto la notifica “a
mezzo del servizio postale”, con raccomandata spedita il 15 luglio 2013,
non ricevuta e neppure ritirata nel successivo termine di giacenza (cfr.
copia del ricorso depositata in giudizio il 24 febbraio 2014 e avviso di
ricevimento prodotti in giudizio dal ricorrente il 24 febbraio 2014);
-
la dott.ssa Marcella Meloni ha ricevuto la notifica “a mezzo del servizio
postale”, con raccomandata spedita il 15 luglio 2013 e regolarmente
recapitata il 16 luglio 2013 (cfr. copia del ricorso depositata in
giudizio il 24 febbraio 2014 e avviso di ricevimento prodotti in giudizio
dal ricorrente il 24 febbraio 2014);
- il dott. Piero Iacuzzi ha
ricevuto la notifica “a mani proprie” in data 16 luglio 2013 (cfr. copia
del ricorso depositata in giudizio il 24 febbraio 2014).
- il dott.
Marcello Onorato ha ricevuto una prima notifica a mezzo del servizio
postale con raccomandata spedita in data 15 luglio 2013 all’indirizzo di
via Cagliari n. 58 in Oristano, ove è risultato irreperibile (cfr. copia
del ricorso depositata in giudizio il 24 febbraio 2014 e avviso di
ricevimento prodotti in giudizio dal ricorrente il 24 febbraio 2014); ha
poi ricevuto la notifica del ricorso “a mani proprie” in data 24 ottobre
2013 (cfr. la copia del ricorso prodotta in giudizio dalla ricorrente in
data 24 ottobre 2013).
Pertanto un primo dato certo è che, allo stato
attuale, il contraddittorio si è perfezionato nei confronti di tutti i
controinteressati, parte dei quali si è costituita in giudizio e la
restante parte ha ricevuto regolare notifica del ricorso.
Resta da
esaminare lo specifico profilo sollevato dalla difesa dei dott.ri
Arghittu, De Martini, Ibba, Piredda e Selis, i quali sostengono che la
ricorrente avrebbe provveduto tardivamente all’integrazione del
contraddittorio rispetto alla tempistica implicata dall’ordinanza di
questa Sezione 19 dicembre 2012, n. 113 (depositata in Segreteria 11
febbraio 2013), la quale, pur senza fissare espressamente un termine per
l’integrazione del contraddittorio, aveva rinviato la trattazione
all’udienza pubblica del 13 novembre 2013, con ciò implicitamente
imponendo il rispetto del termine per la costituzione in giudizio delle
parti intimate, stabilito dall’art. 46 del c.p.a. in sessanta giorni dal
perfezionamento della notificazione del ricorso; secondo questa tesi,
insomma, l’integrazione del contraddittorio avrebbe dovuto perfezionarsi
in tempo utile per consentire agli interessati di costituirsi entro il 13
settembre 2013.
L’eccezione è infondata.
Si osserva, in primo luogo,
che ai sensi dell’art. 44, comma 3, del c.p.a., relativo ai vizi del
ricorso e della sua notificazione, “3. La costituzione degli intimati
sana la nullità della notificazione del ricorso” e che nel caso in
esame, su sei controinteressati non costituiti in giudizio, cinque di loro
(Cuccuru, Gaspardini, Manca, Meloni e Iacuzzi) hanno ricevuto notifica del
ricorso a luglio 2013 (quindi in tempo utile anche rispetto all’udienza di
rinvio del 13 novembre 2013), mentre il solo dott. Marcello Onorato ha
ricevuto notifica (a mani proprie) il 24 ottobre 2013, in quanto quella
effettuata a mezzo del servizio postale a luglio 2013 era stata effettuata
a un indirizzo rivelatosi poi erroneo (vedi supra); pertanto la successiva
analisi dovrà concentrarsi sulla posizione del solo dott.
Onorato.
Peraltro, anche con riguardo alla posizione di costui, si
osserva che:
- l’integrazione del contraddittorio disposta dal Collegio
non era di per sé agevole per la ricorrente, perché comportava la notifica
del ricorso a 19 controinteressati;
- dopo il deposito dell’ordinanza
di integrazione del contraddittorio la stessa ricorrente si è
tempestivamente attivata, chiedendo alle Amministrazioni (ARGEA e LAORE)
di comunicarle i dati anagrafici dei controinteressati;
- a loro volta
le Amministrazioni le avevano fornito tempestive risposte, contenenti però
oggettive inesattezze, in particolare con riferimento all’indirizzo
dell’avv. Cuccuru (cfr. sul punto la memoria difensiva di parte ricorrente
in data 23 ottobre 2013, rimasta su questo specifico aspetto incontestata,
e la documentazione prodotta in data 2 ottobre 2013) e, quel che più
conta, all’indirizzo del dott. Onorato, che l’Agenzia LAORE aveva indicato
in Oristano - via Cagliari n. 58, mentre l’indirizzo esatto è poi
risultato nella stessa via ma al diverso civico n. 186 (cfr. la memoria
difensiva di parte ricorrente del 23 ottobre 2013, rimasta anche su questo
specifico aspetto incontestata, nonché la relativa documentazione prodotta
in data 2 ottobre 2013); tanto è vero che nei confronti di entrambi i
soggetti citati la notificazione è poi andata buon fine presso la sede di
lavoro (cfr. la copia del ricorso versata in atti il 29 ottobre
2013);
- sussistono, pertanto, le condizioni previste dall’art. 44,
comma 4, del c.p.a., a mente del quale “Nei casi in cui sia nulla la
notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il
giudice, se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da
causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine
perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”;
disposizione, questa, che il Collegio ha sostanzialmente applicato già
all’udienza del 13 novembre 2013, decidendo, peraltro senza opposizione di
alcuna delle parti, di rinviare la trattazione della causa, in modo da
consentire il rispetto delle “distanze temporali” previste dal Codice tra
la costituzione di tutti i controinteressati e la discussione finale.
Pertanto l’eccezione in esame deve essere respinta.
A.2. Sempre in
punto di regolare instaurazione del contraddittorio deve essere poi
esaminata l’eccezione sollevata dalla difesa del ricorrente circa
l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’Agenzia ARGEA,
perché avvenuta con semplice memoria depositata in giudizio, sul
presupposto che la stessa Agenzia non rivesta la posizione di
“amministrazione resistente”, non essendo subentrata nelle posizioni
soggettive del soppresso ERSAT, spettanti invece all’Agenzia LAORE, per
cui ARGEA avrebbe semmai potuto partecipare al presente giudizio quale
interveniente, ma notificando il proprio atto di costituzione in giudizio
alle controparti, il che non è avvenuto.
L’eccezione merita di essere
condivisa.
Si osserva, in primo luogo, che ai sensi dell’art. 31, comma
2, della legge Regione Sardegna 8 agosto 2006, n. 13 (che ha istituito
l’Agenzia LAORE Sardegna e ha soppresso l’ERSAT) “dalla data di entrata
in vigore della legge finanziaria della Regione per l’anno 2007 il
personale di ruolo dell’ERSAT Sardegna…è inquadrato nelle dotazioni
organiche dell’Agenzia LAORE Sardegna….”; così come all’art. 10 della
legge Regione Sardegna 2007, n. 2, è previsto che l’Agenzia LAORE
“succede all’ERSAT Sardegna in tutti i rapporti giuridici attivi e
passivi”, con la sola eccezione (art. 11) delle specifiche funzioni
indicate dall’art. 22 della legge Regione Sardegna n. 13/2006, devolute ad
ARGEA.
Pertanto è incontrovertibile che, in riferimento allo specifico
oggetto della presente controversia, la qualifica di Amministrazione vada
riconosciuta esclusivamente all’Agenzia LAORE e non anche ad ARGEA,
essendo la prima, non la seconda, il soggetto pubblico titolare dei
rapporti di lavoro implicati dall’impugnata procedura
concorsuale.
Deve, pertanto, convenirsi con l’assunto della ricorrente
secondo cui l’atto di costituzione in giudizio di ARGEA assume in realtà
le vesti di intervento volontario ad opponendum, che secondo quanto
previsto dall’art. 50 del c.p.a. avrebbe dovuto essere notificato alle
altre parti entro il termine di 30 giorni dall’ultima notificazione, con
la conseguente inammissibilità della costituzione in giudizio della stessa
ARGEA (cfr., ex multis, T.A.R. Venezia, Sez. I,8 agosto 2013, n. 923;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 agosto 2009, n. 4892).
A.3. Ciò posto si
passa all’esame dell’eccezione di tardività del ricorso sollevata da tutte
le parti resistenti e controinteressate, le quali evidenziano come il
ricorso sia stato originariamente notificato in data 11 febbraio 2004,
benchè l'avv. Corona avesse avuto accesso a tutta la documentazione
concorsuale già in data 18 giugno 2003.
A fronte di tale circostanza di
fatto, pacifica in causa, parte ricorrente invoca la rimessione in termini
per errore scusabile, evidenziando che:
- l'art. 63, comma 4 del d.lgs.
2001, n. 165, riserva al giudice amministrativo -nell'ambito delle
controversie in materia di pubblico impiego- solo quelle relative alle
procedure concorsuali, attribuendo le altre al giudice ordinario;
-
negli anni successivi alla riforma, quest'ultima è stata univocamente
interpretata nel senso di attribuire al giudice amministrativo le sole
procedure concorsuali pubbliche, non anche i concorsi interni; sul punto
la ricorrente richiama, in particolare, la sentenza delle Sezioni unite
della Cassazione n. 15638/2001 e la sentenza di questa Sezione n.
1259/2003, depositata il 10 ottobre 2003;
- pertanto, una volta avuta
notizia della propria esclusione dal concorso e ottenuto accesso alla
documentazione concorsuale in data 18 giugno 2003, la ricorrente si
apprestava a proporre ricorso innanzi al giudice ordinario, potendo
contare sul fatto che tale iniziativa giurisdizionale sarebbe stata
sottoposta al solo termine prescrizionale di cinque anni;
- proprio in
questa fase, tuttavia, Corte di Cassazione -con la sentenza n.15403 del 15
ottobre 2003- ha ribaltato il proprio precedente orientamento, attribuendo
al giudice amministrativo (anche) le controversie in materia di procedure
concorsuali interne, per cui l'avv. Corona ha dovuto, a quel punto, mutare
il proprio iniziale intendimento difensivo e proporre ricorso innanzi al
giudice amministrativo;
- vi sarebbero, quindi, i presupposti della
rimessione in termini per errore scusabile, in quanto la violazione del
termine di impugnazione sarebbe da ricollegare all'originario orientamento
giurisprudenziale -univoco nel periodo in cui pendeva il termine per
proporre ricorso innanzi a questo giudice- che avrebbe legittimamente
indotto la ricorrente a fare affidamento sul (ben più lungo) termine
quinquennale di prescrizione.
Le avverse difese contestano tale
prospettazione, evidenziando che:
- 1'errore scusabile per mutamento di
indirizzo giurisprudenziale sul riparto di giurisdizione è riconosciuto
dalla giurisprudenza prevalente solo a condizione che l'interessato abbia
concretamente agito innanzi al giudice poi risultato privo di
giurisdizione, mentre nel caso ora in esame l'avv. Corona non ha
instaurato alcun giudizio ordinario, limitandosi a proporre (tardivamente)
ricorso innanzi al giudice amministrativo; I
- anche volendo concedere
alla ricorrente l'errore scusabile in relazione alla fase intercorsa tra
il primo (che attribuiva le controversie sui concorsi al giudice
ordinario) e il secondo orientamento (che le ha attribuite al giudice
amministrativo) della Cassazione, il presente ricorso resterebbe, comunque
tardivo, in quanto notificato (in data 11 febbraio 2004) oltre sessanta
giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza che aveva impresso il
descritto "cambio di indirizzo", intervenuta il 15 ottobre 2003;
- il
fatto che la ricorrente esercita da anni la professione di avvocato, per
giunta in posizione di staff, presso la Direzione generale
dell'ERSAT, l’avrebbe resa perfettamente in grado, per un verso, di
comprendere la lesività degli atti adottati dall’Ente e, per altro verso,
di conoscere tempestivamente i mutamenti di indirizzo cui e andato
incontro il Giudice regolatore della giurisdizione.
A giudizio del
Collegio la richiesta di rimessione in termini proposta dalla ricorrente
merita accoglimento.
È opportuno richiamare sinteticamente gli aspetti
generali dell’istituto della rimessione in termini, per poi confrontarli
con le caratteristiche proprie della fattispecie ora in
esame.
All'istituto della rimessione in termini per errore scusabile,
in passato oggetto di una disciplina normativa frammentaria (artt. 34 e 36
del Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, art. 34 della legge n.
1034/1971), è ora dedicata una norma unica e generale, l'art. 37 del
c.p.a., secondo cui "il giudice può disporre, anche d'ufficio, la
rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive
ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di
fatto".
Delle due evenienze individuate dalla norma, interessa ora
quella relativa alle “oggettive ragioni di incertezza su questioni di
diritto”, di cui si è recentemente occupata la sentenza 9 agosto 2012,
n. l, dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, laddove -nel valutare
una richiesta di rimessione in termini per proporre appello, legata al
fatto che il giudice di primo grado non aveva pubblicato il dispositivo
della sentenza e così aveva ingenerato nel ricorrente l’erronea
convinzione che la causa non fosse sottoposta al “rito abbreviato” di cui
all'art. 23 bis della legge n. 1034/1971 e s.m.i. e al conseguente
dimezzamento di tutti i termini processuali- il Consiglio ha concesso la
rimessione in termini, ritenendo che la descritta circostanza (insieme ad
altre, ugualmente “fuorvianti”, occorse nel giudizio di primo grado)
avesse dato vita a “una situazione che oggettivamente giustifica la
concessione dell'errore scusabile”; in via generale, ciò che secondo
l’Adunanza Plenaria rileva ai fini dell’errore scusabile è che all'esito
di una valutazione “in concreto” possa ravvisarsi una situazione di
incertezza capace oggettivamente di “fuorviare” l'interessato sul regime
giuridico applicabile e di condurlo cosi a una (a quel punto incolpevole)
violazione delle regole processuali, come nei casi di “incertezza del
quadro normativo” e di “oscillazione della giurisprudenza o della
pubblica amministrazione”.
Proprio quest'ultima evenienza si é
verificata nella fattispecie ora sottoposta all'attenzione del
Collegio.
E’ un dato di fatto che nel periodo compreso tra il 18 giugno
2003 (data in cui la ricorrente ha avuto accesso agli atti del
procedimento) e il 15 ottobre dello stesso anno (data di pubblicazione
della sentenza con cui la Cassazione ha mutato il proprio indirizzo)
1'orientamento della giurisprudenza fosse (neppure oscillante, ma
addirittura) univocamente orientato nel senso di attribuire le
controversie in materie di concorsi interni al giudice ordinario, per cui
in quella fase la scelta dell'avv. Corona di non presentare ricorso al TAR
era certamente giustificata dalla consapevolezza di poter contare sul
termine quinquennale di prescrizione.
Il discorso è più delicato in
relazione alla fase successiva, compresa tra la pubblicazione della
sentenza della Cassazione che ha mutato il precedente indirizzo (15
ottobre 2003) e la notifica del ricorso al TAR (11 febbraio 2004).
Tali
date sono separate da 122 giorni, per cui emerge un ritardo di 62 giorni
rispetto al termine ordinario di impugnazione, ove lo si consideri
decorrente dalla pubblicazione della seconda sentenza, per cui resta da
stabilire se detto ritardo possa considerasi un “lasso di tempo
fisiologico” ai fini della conoscenza della innovativa pronuncia della
Cassazione o se fosse, invece, onere della parte interessata quello di
informarsi costantemente su eventuali evoluzioni giurisprudenziali.
Il
Collegio propende per la prima opzione interpretativa, per molteplici
ragioni.
In primo luogo perché non esistono sistemi di conoscenza
“legale” o “presunta” delle sentenze della Corte di Cassazione, specie in
relazione a soggetti diversi dalle parti del giudizio, per cui sarebbe
arbitrario far discendere dalla semplice pubblicazione di quella sentenza
un onere automatico di conoscenza idoneo a far scattare il termine per
proporre ricorso innanzi al giudice Amministrativo.
In secondo luogo
perché il mutamento giurisprudenziale intervenuto tra la sentenza delle
Sezioni Unite n. 15638/2001 (che aveva attribuito la cognizione delle
controversie sui concorsi interni al giudice ordinario) e la sentenza
delle Sezioni Unite n. 15403/2003 (che l'ha trasferita al giudice
amministrativo) configura proprio quella situazione di oggettiva
“incertezza giurisprudenziale” che giustifica la rimessione in termini per
errore scusabile (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 12 dicembre
2005, n. 2333; T.A.R., Lazio, Roma, Sez. I, 4 novembre 2004, n. 12370;
Consiglio di Stato, Sez. V, 23 giugno 2003, n. 3714).
Tale conclusione
é poi ulteriormente avvalorata dal fatto che nel caso in esame la
situazione di “oggettiva incertezza” riguarda i criteri di riparto della
giurisdizione, cioè il “presupposto fondamentale di ogni iniziativa
processuale”, che come tale deve essere necessariamente oggetto di una
tutela ordinamentale particolarmente accurata; per questa ragione appare
al Collegio imprescindibile concepire un meccanismo di “sanatoria
successiva” realmente garantistico, in grado di evitare che
l’insufficiente chiarezza dei criteri di riparto si traduca in un
pericoloso vuoto di tutela sostanziale ai danni dei titolari delle
posizioni soggettive coinvolte.
Tanto e vero che proprio in materia di
giurisdizione la Corte costituzionale (sentenza 12 marzo 2001, n. 77)
prima e lo stesso legislatore poi (art. 11 del c.p.a.) hanno dato vita
alla cd. traslatio iudicii, in virtù della quale, avendo in prima
battuta “sbagliato giudice”, il cittadino conserva la possibilità di
trasferire sulla nuova iniziativa processuale, rivolta questa volta al
giudice competente, gli effetti favorevoli della prima impugnazione,
evitando cosi possibili decadenze legate al ritardo con cui è stata
effettuata la seconda.
È pur vero che gli effetti conservativi della traslatio iudicii sono stati concepiti dando per scontata
un’iniziale proposizione del ricorso al giudice privo della giurisdizione,
mentre nel caso ora in esame la ricorrente si è tardivamente rivolta al
TAR senza aver in precedenza proposto alcuna azione innanzi al giudice
ordinario; resta però il fatto che la disciplina sulla traslatio
iudicii, non dissimile come ratio da quella della rimessione in
termini (tanto e vero che l'art. 11, comma 5, c.p.a., in materia di traslatio, contiene un riferimento esplicito alla rimessione in
termini), convergono entrambe sul comune obiettivo di assicurare al
cittadino un efficace “sistema di protezione” da possibili decadenze
processuali dovute all'oggettiva incertezza del sistema di riparto della
giurisdizione e come tali vanno correttamente interpretate nei casi
oggettivamente controversi come quello in esame.
Sotto un profilo più
concreto non è poi dato capire per quale ragione la ricorrente dovrebbe
vedersi ora preclusa la tutela innanzi al giudice amministrativo per il
fatto di non avere a suo tempo proposto azione civile, laddove all'epoca
tale presunta inerzia non avrebbe dovuto produrre alcun effetto negativo,
quanto meno sino al (ben lontano) decorso del termine quinquennale di
prescrizione: una simile conclusione -oltre a configgere con il concetto
stesso di “scusabilità dell'errore”, cui l'art. 37 c.p.a. ricollega la
possibilità di ottenere la rimessione in termini- potrebbe persino
incentivare la proposizione di azioni civili “a prescindere”, al solo
scopo di evitare possibili decadenze, con la conseguenza di un’inutile, e
quindi dannosa, proliferazione delle controversie innanzi al giudice
ordinario.
Pertanto va accolta l'istanza di rimessione proposta dalla
ricorrente, con la conseguente infondatezza dell’esaminata eccezione di
irricevibilità del ricorso per tardività.
A.4. Parimenti infondata è
l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse, che il
controinteressato dott. Gianni Ibba solleva sotto un duplice
profilo.
In primo luogo egli sostiene che la ricorrente non avrebbe
adeguatamente dimostrato di superare la cd. “prova di resistenza”, cioè la
possibilità di superare il punteggio degli altri concorrenti in caso di
accoglimento delle censure dedotte; analoga eccezione è sollevata anche
dal controinteressato dott. Antonio Maccioni.
Così formulata la tesi è
priva di pregio.
Difatti l’avv. Corona lamenta il fatto che il
punteggio riportato all’esito della prova scritta, inferiore alla
sufficienza, risentirebbe dell’erroneità e/o genericità e/o non conformità
al bando di svariati quiz utilizzati ai fini della stessa prova; orbene,
laddove tale censura cogliesse nel segno (e su questo si rinvia al
prosieguo della trattazione), il suo accoglimento comporterebbe il
travolgimento dell’intera procedura concorsuale, non essendo possibile un
semplice “ritocco” dei punteggi di tutti i concorrenti a fronte di quiz
erronei o mal formulati, per cui la ricorrente mira sostanzialmente
all’annullamento dell’intero concorso, al fine di salvaguardare la propria
aspettativa legata a successive procedure concorsuali, il che certamente
corrisponde a un interesse concreto e meritevole di tutela.
Fermo
restando che anche nel caso in esame grava sulla ricorrente una “prova di
resistenza”, che però assume un contenuto diverso da quello sopra
descritto; si tratta, infatti, di verificare se le doglianze dedotte dalla
ricorrente risultino fondate con riferimento ad un numero di quiz
potenzialmente sufficiente a farle raggiungere la sufficienza nella prova
scritta in caso di risposta esatta, ma su questo aspetto si rinvia
all’esame del primo motivo di ricorso.
In secondo luogo il
controinteressato sostiene che -quanto meno sulla base alla disciplina
attualmente vigente- l’Amministrazione non potrebbe ora indire una nuova
procedura concorsuale analoga a quella impugnata, per cui la ricorrente
non otterrebbe alcun vantaggio, neppure potenziale, da una eventuale
pronuncia di annullamento della procedura selettiva.
Neppure questa
eccezione merita di essere condivisa, in quanto -a prescindere dalla
fondatezza di tale affermazione- la ricorrente conserva pur sempre un
preciso interesse quanto meno a fini risarcitori, posto che ai sensi
dell’art. 30 del c.p.a. “Nel caso in cui sia stata proposta azione di
annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del
giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato
della relativa sentenza”, per cui in caso di accoglimento della
richiesta di annullamento degli atti impugnati la domanda di risarcimento
potrebbe essere successivamente proposta.
A.5. Infondata è anche
l’ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia LAORE,
secondo cui il merito del ricorso riguarderebbe profili di discrezionalità
tecnica insindacabili in sede giurisdizionale.
Difatti, come meglio si
illustrerà fra breve, la prima censura di parte ricorrente riguarda,
almeno in parte, un profilo tipicamente “estrinseco” -e come tale
sindacabile in questa sede- di non conformità dei quiz contestati alle
materie concorsuali individuate dal bando (cfr., sul punto, il successivo
paragrafo B), mentre la seconda censura investe la presunta violazione dei
presupposti di legge per l’indizione della procedura concorsuale interna,
anch’esso certamente valutabile in questa sede.
B. Il merito del
ricorso.
B.1 La ricorrente chiede, in via principale, l’annullamento
degli atti della procedura concorsuale e della relativa graduatoria
finale, nonché dei conseguenti atti di nomina dei vincitori.
A tal fine
deduce il primo motivo di ricorso, con cui assume la erroneità e/o
genericità e/o contradditorietà e/o estraneità alle materie indicate nel
bando di alcuni dei quiz oggetto della prova scritta, in particolare di un
quesito cui aveva dato una risposta giudicata erronea dalla Commissione e
di altri sui quali aveva evitato di rispondere.
Prima di esaminare nel
dettaglio tale censura, è opportuno ricordare che:
- il punteggio della
prova scritta considerato sufficiente dal bando era 21;
- lo stesso
bando prevedeva 1 punto per ogni risposta esatta, nonché la decurtazione
di 0,1 punti per ogni quesito non risposto e di 0,5 punti per ogni
risposta errata;
- la ricorrente ha conseguito il punteggio di 18,800,
con 21 risposte esatte, 2 errate e 12 omesse.
Ciò premesso, si osserva
che un primo gruppo di specifiche doglianze, oggetto del primo motivo di
ricorso, riguardano la non corretta formulazione dei quesiti e/o delle
risposte proposte ai candidati, in particolare:
- il quesito n. 4 (cui
la ricorrente non ha risposto) sarebbe di contenuto imprecisato e
oscuro;
- il quesito n. 6 (cui ha dato risposta errata) sarebbe
generico e con risposte troppo simili tra loro e comunque opinabili;
-
il quesito n. 7 e il quesito n. 8 (cui non ha risposto) sarebbero entrambi
imprecisi e illogici; inoltre al quesito n. 8 sarebbero state riferite due
risposte che potrebbero considerarsi, in astratto, entrambe esatte.
-
il quesito n. 11 (cui non ha risposto) sarebbe inficiato da imprecisione
della domanda e delle risposte multiple indicate;
- il quesito n. 21
(cui non ha risposto) sarebbe equivoco e gli sarebbero state riferite due
risposte che potrebbero considerarsi, in astratto, entrambe
esatte.
Orbene, pur senza entrare nel merito specifico di ciascuno
degli indicati quesiti e delle correlative doglianze, queste ultime sono a
giudizio del Collegio infondate, per le ragioni di fondo che si passa ad
esporre.
Secondo un prevalente orientamento giurisprudenziale, dal
quale non si vede ragione per discostarsi, l’opinabilità di un quesito e
delle relative risposte -derivante dalla “non oggettività” del ramo
scientifico di riferimento o dalla stessa formulazione testuale- non ne
inficia automaticamente la legittimità, per due ragioni:
- poiché
neppure il legislatore può dettare con forza vincolante concetti di valore
scientifico, laddove un quesito implichi una questione concettuale
opinabile la Commissione può legittimamente scegliere, nell'esercizio
della propria discrezionalità tecnica, l'impostazione più aderente alla
propria visione culturale (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, Sez. VI 16
gennaio 2009, n. 209);
- la presenza di quesiti piuttosto generici e/o
non perfettamente formulati e/o di più risposte che potrebbero
astrattamente considerarsi esatte a seconda della diversa impostazione
scientifica prescelta non inficiano la correttezza della prova, essendo
onere dei candidati quello di sforzarsi di individuare la migliore delle
opzioni proposte, scartando quelle che appiano meno “centrate” e/o meno
correttamente esposte anche sotto il profilo linguistico e/o meno precise
(cfr. T.A.R. Trieste, Sez. I, 24 novembre 2011, n. 539).
In sostanza il
margine di opinabilità di cui risentono alcuni quesiti e le relative
risposte multiple contribuisce fisiologicamente alla selettività della
prova, ponendosi quale “fattore di maggiore difficoltà” che opera per
tutti i candidati, i quali sono chiamati ad affrontarlo in condizione di par condicio e utilizzando gli strumenti logici, giuridici e
linguistici propri del ragionamento giuridico o degli altri settori
culturali implicati (conforme T.A.R. Napoli, Sez. VIII, 06 agosto 2013, n.
4091); al riguardo è sufficiente richiamare, a titolo esemplificativo,
l’argomentazione sollevata dalla ricorrente in relazione al quesito n. 6,
sul quale la stessa evidenzia, tra l’altro, come la risposta ritenuta
esatta dalla Commissione si differenziasse da quella da lei stessa
indicata solo per l’utilizzo dell’espressione “strategia,
pianificazione” in luogo di “pianificazione strategica”: in
questo caso era onere del candidato quello di individuare la risposta
(“strategia, pianificazione”) che linguisticamente meglio esprimeva
l’esistenza di due fasi procedimentali distinte, anziché la risposta
(“pianificazione strategica”) che pareva alludere all’esistenza di
un’unica fase; così come tutti i quiz in cui veniva richiamata la figura
del Responsabile unico del procedimento (senza ulteriori specificazioni)
-che secondo la ricorrente sarebbero troppo generici, essendo la suddetta
espressione utilizzata in norme giuridiche appartenenti a settori diversi
dell’ordinamento- ben potevano essere correttamente interpretati riferendo
quella locuzione al settore dei contratti pubblici, sia perché si tratta
del contesto obiettivamente più noto e rilevante, sia perché alcuni quiz
contenevano riferimenti inequivoci a tale settore normativo (come nel caso
del quesito n. 5, di cui passerà a trattare nello specifico fra breve,
seppure ad altri fini).
Ciò posto, si passa a esaminare l’ulteriore
profilo di doglianza contenuto nel primo motivo, con cui si sostiene che
alcune delle domande cui la ricorrente non ha dato risposta rientrassero
in ambiti normativi estranei all’oggetto della prova concorsuale
individuato dal bando.
Al riguardo è necessario prima di tutto
richiamare le relative norme del bando, vale a dire:
- l’art. 6,
secondo cui “la prova scritta, a contenuto teorico pratico, consiste
nella soluzione in un tempo predeterminato di una serie di 35 quesiti a
risposta sintetica e a scelta multipla, mirati all’accertamento delle
conoscenze richieste per lo svolgimento delle funzioni di dirigente nelle
pubbliche amministrazioni; i quesiti sono formulati sulla base dei
contenuti di cui alla tabella B allegata al presente bando”;
-
l’Allegato B, a mente del quale “Per la prova scritta…i quesiti saranno
formulati sulla base dei contenuti di seguito indicati: “Leggi di riforma
nazionale e regionale in materia di personale della pubblica
amministrazione; principi generali della disciplina della dirigenza
pubblica; criteri generali dell’organizzazione e profili della disciplina
del dirigenza nella pubblica amministrazione; legge 23/10/1992 n. 421;
decreto legislativo 3/2/1993, 29, con le modifiche apportate in
particolare dai decreti legislativi 31/3/1998, n. 89 e 29/10/1998, n. 387;
il controllo interno di gestione ai sensi del decreto legislativo n.
286/1999; principi dell’organizzazione degli uffici della Regione Autonoma
della Sardegna e disciplina della dirigenza ai sensi della legge regionale
n. 31/1998, come modificata dalla legge regionale n. 6/2000; finalità
delle politiche comunitarie (in particolare quelle agricole e rurali);
tematiche organizzative e tecniche di direzione e gestione delle risorse
umane (come per esempio il project management o la direzione per obiettivi
e progetti); informatica e telematica”.
Orbene, se da un lato non
vi è dubbio che in base a tali previsioni i quiz dovessero essere
individuati tra i contenuti indicati dall’Allegato B, dall’altro lato non
si può trascurare il fatto che l’obiettivo indicato da dall’art. 6 del
bando era quello di accertare il possesso delle “conoscenze richieste
per lo svolgimento delle funzioni di dirigente nelle pubbliche
amministrazioni”, il che induce a “interpretare” le previsioni
dell’Allegato B con l’elasticità necessaria ad assicurare l’effettivo
perseguimento di tale obiettivo, ricostruendo l’oggetto possibile della
prova scritta proprio tenendo nel debito conto il contenuto delle funzioni
dirigenziali.
Ciò premesso, la ricorrente reputa estraneo alle materie
individuate dal bando innanzitutto il quesito n. 5, che così recitava: “Il certificato di regolare esecuzione dei lavori è: a) emesso dal
Direttore generale ed è confermato dal Responsabile unico del
procedimento; b) emesso dal Direttore lavori ed è confermato dal
Responsabile unico del procedimento con il benestare della Commissione
esecutrice; c) emesso dal Direttore lavori ed è confermato dal
Responsabile unico del procedimento; d) emesso dalla Direzione lavori
pubblici dell’ente ed è confermato dal Responsabile unico del
procedimento”.
A giudizio del Collegio, invece, esso non esorbita
dalle materie indicate nell’Allegato B del bando, in quanto:
- è pur
vero che il settore di riferimento del quiz è quello degli appalti
pubblici, non espressamente menzionato;
- tuttavia la formulazione del
quesito implicava, comunque, la conoscenza dei criteri di distribuzione
delle competenze procedimentali tra diversi organi dell’amministrazione,
nell’ambito di un Settore -quello degli appalti pubblici- che costituisce
un possibile (e tipico) oggetto delle funzioni dirigenziali;
- inoltre
il quesito si incentrava su di una figura (il Responsabile unico del
procedimento) che costituisce una specifica applicazione al settore degli
appalti della più generale figura del Responsabile del procedimento: come
noto il “Responsabile unico del procedimento” altro non è che il
“Responsabile del procedimento nella materia degli appalti” (pur con
qualche peculiarità) e quest’ultima figura, contemplata dalla legge n.
241/1990, occupa un ruolo fondamentale in tema di organizzazione
amministrativa e ripartizione delle concrete funzioni tra i diversi organi
coinvolti nel procedimento amministrativo;
- per di più alcune delle
risposte multiple proposte facevano espresso riferimento a figure
dirigenziali -quali il Direttore generale e la Direzione dei lavori
pubblici- ragion per cui i candidati, cui era pacificamente richiesta una
conoscenza adeguata di tali aspetti (espressamente coperti dalla
previsione di cui all’Allegato B del bando), erano comunque in condizione
di individuare la risposta esatta, se non altro “per esclusione”.
Viene
poi in rilievo il quesito n. 10, che così recitava: “Al Responsabile
unico del procedimento: a) una volta eletto, non può essere impedito, da
parte del Responsabile della struttura dell’amministrazione di svolgere i
propri compiti b) una volta designato, non può essere impedito, da parte
del superiore gerarchico all’interno del proprio ufficio, di svolgere i
propri compiti; c) una volta identificato, non può essere sostituito, da
parte del superiore gerarchico all’interno del proprio ufficio; d) una
volta identificato e nominato, può essere impedito, da parte del superiore
gerarchico all’interno del proprio ufficio, di svolgere i propri
compiti”.
Anche per tale quesito valgono considerazioni analoghe a
quelle esposte in relazione al precedente: il Responsabile unico del
procedimento è, come detto, una “figura centrale” nell’ambito delle
procedure di affidamento di procedimenti amministrativi fondamentali come
quelli in materia di contratti pubblici e, pertanto, assume centrale
rilievo sul piano organizzativo; per tale via, dunque, il quesito è ben
riconducibile ai “contenuti” dell’Allegato B, anche considerato che le
risposte multiple proposte riguardavano i rapporti tra lo stesso
Responsabile e il Dirigente della struttura, quindi proprio un aspetto
tipicamente “organizzativo” e relativo ai poteri e compiti della figura
dirigenziale.
Si contesta poi il quesito n. 18, secondo cui: “A
norma del’art. 16, comma 1 del capo II,, Sezione III, del d.p.r.
21.12.2000, n. 445, al fine di tutelare la riservatezza dei dati personali
di cui agli artt. 22 e 24 della legge 31 dicembre 1996, n. 675: a) i
certificati e i documenti trasmessi ad altre amministrazioni possono
contenere soltanto le informazioni relative a stati, fatti e qualità
previste dalla legge o da regolamento e strettamente necessarie per il
perseguimento delle finalità per le quali vengono acquisite; b) gli atti
trasmessi ad altre pubbliche amministrazioni possono contenere soltanto le
informazioni relative a stati, fatti e qualità previste dalla legge o da
regolamento; c) gli atti trasmessi ad altre amministrazioni possono
contenere soltanto le informazioni generali e strettamente necessarie per
il perseguimento delle finalità per le quali vengono acquisite; d) i
certificati e i documenti trasmessi ad altre pubbliche amministrazioni
possono contenere soltanto le informazioni generali e strettamente
necessarie per il perseguimento delle finalità per le quali vengono
acquisite”.
Tale quiz verteva inequivocabilmente sulla disciplina
normativa in materia di tutela della riservatezza e la stessa è
effettivamente estranea ai contenuti indicati nell’Allegato B del bando
(vedi supra), né il quesito involgeva in qualche modo profili
organizzativi o criteri di distribuzione delle competenze tra gli organi
dell’Amministrazione, come invece si è osservato in relazione ai due quiz
precedenti, per cui su questo il profilo di doglianza in esame deve
ritenersi fondato.
Non è, invece, condivisibile la critica rivolta
dalla ricorrente al quesito n. 34, secondo cui “In base alla L.R. del
14 giugno 2000, n. 6, art. 21 (Lavori socialmente utili), comma 1, ai
lavoratori impegnati in progetti di lavori socialmente utili nell’ambito
dell’Amministrazione regionale e dei suoi enti strumentali si applicano:
a) le disposizioni previste dalla legislazione nazionale e regionale
vigente in materia di pubblico impiego; b) le disposizioni previste dalla
legislazione nazionale e regionale vigente in materia analogamente a
quanto previsto per i lavoratori impiegati negli enti locali; c) le
disposizioni previste dalla legislazione nazionale e regionale vigente in
materia analogamente a quanto previsto per il lavoro a tempo
indeterminato; d) le disposizioni previste dalla legislazione sul lavoro
part time degli enti locali”.
Difatti il suddetto quesito, relativo
alla disciplina applicabile a una particolare tipologia di personale
utilizzato dalle pubbliche amministrazioni (i lavoratori socialmente
utili), ben può essere ricondotto alla disciplina “in materiapersonale
della pubblica amministrazione”, espressamente indicata all’Allegato B
del bando.
In conclusione l’esaminata censura, relativa all’estraneità
di alcuni quiz alle materie di concorso, è fondata solo in relazione al
quesito n. 10 (cui la ricorrente non ha risposto) e ciò non consente alla
ricorrente di superare la cd. prova di resistenza, posto che la
sostituzione di quell’unico quiz “estraneo” ha un “valore potenziale”
complessivo di 1,1 punti (di cui 1 punto per l’ipotetica risposta esatta e
0,1 per la decurtazione che la ricorrente avrebbe evitato rispondendo
correttamente), insufficiente a colmare il divario tra il punteggio di
18,800 ottenuto dalla ricorrente e la sufficienza (pari a 21
punti).
Pertanto il primo motivo di ricorso non merita accoglimento,
per cui le domande proposte in via principale devono essere
respinte.
B.2. Quest’ultima chiede, poi, in via subordinata,
l’annullamento degli atti della procedura concorsuale nella parte in cui
essa ha riguardato 13 posti dirigenziali, anziché soltanto 4.
A
sostegno di tale richiesta deduce il secondo motivo di ricorso, con il
quale sostiene che:
- l’art. 77, commi 11 e 12, della legge della
Regione Sardegna 31 dicembre 1998, n 31 (nella versione vigente al’epoca
del bando), limitava la possibilità di procedere a una procedura
concorsuale interna solo con riferimento ai posti -oltre che rimasti
vacanti dopo l’espletamento delle procedure previste al comma 1
(affidamento a personale che rivestiva la qualifica funzionale
dirigenziale di cui alla legge regionale n. 6/1986) e al comma 2
(affidamento a personale che possedesse determinati requisiti)- “necessari per consentire l'esercizio delle funzioni di direzione delle
strutture dirigenziali esistenti alla data di entrata in vigore della
presente legge”, vale a dire al 2 dicembre 1998; mentre, ai sensi del
comma 10 dello stesso art. 77, i posti necessari a coprire le strutture
dirigenziali istituite in epoca successiva a tale data avrebbero dovuto
essere coperti mediante concorso pubblico;
- alla data del 2 dicembre
1998 sarebbero esistite in ERSAT n. 17 strutture dirigenziali, di cui 13
coperte da personale dell’Ente che rivestiva la qualifica funzionale
dirigenziale di cui alla legge regionale n. 6/1986, per cui sarebbero
rimaste solo ulteriori n. 4 Strutture dirigenziali vacanti, per le quali
soltanto sarebbe stato possibile utilizzare il concorso interno.
La
censura è infondata.
In base a quanto previsto dalla deliberazione del
Consiglio di amministrazione dell’ERSAT 23 giugno 1998, n. 367, la pianta
organica dell’Ente comprendeva n. 34 Strutture di livello dirigenziale, né
risulta dagli atti di causa una successiva riduzione delle stesse, come
invece sostiene la ricorrente richiamando le deliberazioni del Consiglio
di amministrazione ERSAT 23 luglio 1998, n. 429 e 5 ottobre 1998, n. 541;
difatti, se si guarda al contenuto delle stesse (prodotte in giudizio
dalla ricorrente quali docc. 9 e 10), è dato rivenire soltanto un punto
(alla penultima pagina della deliberazione n. 541/1998) ove si segnala una
riduzione (da 10 a 7) dei “Servizi” presenti in ERSAT all’esito della
deliberazione n. 429/1998, senza però alcun cenno alle Strutture di
livello dirigenziale.
Né appare possibile identificare queste ultime
con i “Servizi” di cui parla la deliberazione in esame, posto che la
stessa evidenzia una diminuzione dei “Servizi” da 10 a 7, mentre le
Strutture dirigenziali erano n. 17 secondo la stessa ricorrente (cfr. pag.
19 del ricorso) e n. 34 secondo controparte (cfr. in particolare la
memoria difensiva in data 11 ottobre 2013 dei controinteressati Arghittu,
De Martini, Ibba, Piredda e Selis), per cui il dato relativo ai “Servizi”
presente nella delibera n. 541/1998 non pare oggettivamente riferibile
alle Strutture dirigenziali; in ogni caso tale profilo non è stato
adeguatamente dimostrato dalla ricorrente, sulla quale grava il relativo
onere probatorio.
Pertanto, in conclusione, al Collegio non resta
che:
- attenersi all’unico dato certo, che è quello derivante dalla
deliberazione n. 327/1998, in base al quale in organico ERSAT vi erano n.
34 Strutture di livello dirigenziale; su tale dato, peraltro, concorda la
stessa ricorrente, anche se poi sostiene essere poi intervenuta una
riduzione del numero delle strutture dirigenziali, per effetto delle
successive deliberazioni n. 429/1998 e n. 541/1998, ma tale assunto, come
già si è osservato, non trova riscontro nel tenore testuale di queste
ultime;
- data l’assenza di comprovate modifiche successive, ritenere
che il numero di 34 Strutture dirigenziali, individuato dalla
deliberazione n. 327/1998, sia rimasto invariato sino al 2 dicembre 1998,
data di entrata in vigore della l.r. n. 31/1998, come tale rilevante ai
fini della decisione;
- con la conseguenza ultima che il concorso in
esame deve ritenersi correttamente riferito a 13 posti di livello
dirigenziale, esistendo alla data del 2 dicembre 1998 Strutture
dirigenziali vacanti in misura addirittura superiore.
Per quanto
premesso il ricorso è infondato e deve essere, quindi,
respinto.
Sussistono giusti motivi per una integrale compensazione
delle spese di giudizio, vista l’obiettiva complessità di alcune delle
questioni giuridiche esaminate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il
epigrafe proposto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari
nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Francesco Scano, Presidente
Tito Aru,
Consigliere
Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/11/2014