REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il
Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 5882/2012–R.G. proposto dal sig.
Antonio SORDI, in proprio e n.q. di titolare dell’omonima ditta con sede
in Gallicano nel Lazio (ROMA), rappresentato e difeso dall’ avv. L.
Lavitola, presso il cui studio in Roma, viale Giulio Cesare 71, è
elettivamente domiciliato;
contro
l’Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline
Romane s.c.a r.l., (di seguito: ASP) in persona del l.r. p.t.,
rappresentata e difesa dagli avv. E. Scotti e P. Pittori e presso il loro
studio, in Roma, al Lungotevere dei Mellini, n.24, elettivamente
domiciliata;
nei confronti di
- della Regione Lazio, in persona del l.r.
p.t., rappresentata e difesa dall’avv. E. Caprio dell’Avvocatura regionale
e presso la sede di quest’ultima, in Roma alla via Marcantonio Colonna 27,
elettivamente domiciliata ; - della Provincia di Roma, in persona del l.r.
p.t., rappresentata e difesa dall’avv. G. De Maio dell’Avvocatura
provinciale e con la stessa elettivamente domiciliata presso la sede della
detta Avvocatura in Roma alla via IV Novembre 119/A; - del comune di
Gallicano nel Lazio, n.c.
per l'annullamento
- del provvedimento emesso dall’ASP in data
23.4.2012 recante attestazione conclusione del procedimento di Patto;
-
del parere negativo espresso in Conferenza di servizi dalla Regione Lazio
del 13.12.2011 e del relativo verbale del 14.12.2011;
- della delibera
G.R. n.532 del 10.7.2007;
- di ogni altro atto presupposto e/o
connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti
di costituzione in giudizio di ASP, della Regione Lazio e della Provincia
di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2014 il
dott. Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
E’ impugnata con l’atto introduttivo dell’odierno
giudizio la determinazione con la quale è stata attestata, in esito a
conferenza di servizi, la conclusione negativa dell’iter procedimentale
relativo al progetto, presentato dalla ditta ricorrente, volto alla
realizzazione, nel comune di Gallicano nel Lazio, di un nuovo impianto di
imbottigliamento vini ed oli con relativo deposito.
L’impugnativa, che
è stata estesa agli ulteriori atti in epigrafe richiamati, si colloca
nell'ambito di una programmazione negoziata in ambito territoriale
allargato. Si tratta, in particolare, dello strumento del Patto
Territoriale, di cui all’art. 2, c. 203 della l. 662/1996, con cui si
intende l’accordo promosso da enti locali, parti sociali, o da altri
soggetti pubblici o privati, relativo all'attuazione di un programma di
interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello
sviluppo locale.
La gestione della procedura esitatasi con la
determinazione avversata è stata curata da ASP, società consortile a
prevalente capitale pubblico, istituita dalla Provincia di Roma per il
coordinamento del Patto Territoriale delle Colline Romane con delibera n.
95/2000; e, nel concreto, prende le mosse dall'avviso pubblico del 12
settembre 2005, con cui la ASP ha invitato le imprese private -
interessate a fruire di agevolazioni amministrative nell’istruttoria e
nella definizione delle relative iniziative imprenditoriali - a presentare
progetti di sviluppo sostenibile delle rispettive attività. In questo
contesto l’odierna ricorrente ha presentato un progetto (consistente nella
realizzazione di due capannoni prefabbricati, congiunti da una zona a
tettoia, che sviluppano una volumetria pari a 6720 mc e coprono una
superficie pari a 1360 mq) che interessa un terreno di superficie pari a
4720 mq già classificato, nello strumento urbanistico generale, come Zona
E- Agricola - sottozona E1 - semirurale: destinazione questa:
-
mantenuta anche nell’ambito della variante generale adottata dal Cons.
Comunale di Ciampino nel 2002 (e approvata dalla Regione il
10.6.2011);
- modificata in “Zona G- Servizi privati per strutture
produttive commerciali” con deliberazione comunale adottata, nel corso del
procedimento (attuativo del Patto territoriale delle colline romane)
attivatosi per effetto dell’Avviso pubblico di cui sopra, con
deliberazione consiliare del 5.7.2006.
A seguito dell’adozione di tale
variante - avendo, nelle more, il Tavolo di Concertazione" del Patto
ammesso il progetto de quo alle successive fasi, ritenendolo coerente con
gli obiettivi del Patto medesimo:
- veniva convocata per il 07.5.2008,
una conferenza di servizi ex art.14 della legge n.241 del 1990 in seno
alla quale il rappresentante regionale preannunciava parere negativo alla
descritta iniziativa imprenditoriale (ed all’approvazione della correlata
variante urbanistica) in quanto la stessa veniva a collocarsi in un’area
ancora caratterizzata dall’uso agricolo ed in quanto era in itinere la
procedura per l’approvazione, nell’ambito del perimetro territoriale del
comune di Gallicano, di un’area da destinare ad insediamenti produttivi
(P.i.P., non coincidente con l’area interessata dalla variante generale
adottata) nell’ambito della quale il progetto della ditta Sordi avrebbe
potuto trovare realizzazione;
- veniva quindi convocata una prima
conferenza ai sensi dell’art.34 del d.lgs n.267 del 2000: conferenza
svoltasi il 29.4.2009 e sospesa su richiesta del sindaco di Gallicano;
- seguiva, dopo sollecitazione della Regione Lazio e dopo una proroga
chiesta dalla ditta Sordi per la produzione di integrazioni progettuali
migliorative, la conferenza, convocata ai sensi dell’art.34 citato per il
giorno 14.12.2011, in cui - presente il sig. Sordi - il rappresentante
regionale, ad hoc delegato a esprimere il parere unico regionale,
confermava, per le ragioni già sopra delineate ed in sintonia con le Linee
guida elaborate dalla Giunta regionale laziale (con la deliberazione
n.532/2007) la valutazione negativa dell’amministrazione regionale e, per
l’effetto, dichiara negativamente conclusa la Conferenza stessa;
-
seguiva la determina ASP avversata in seno alla quale, dopo una articolata
ricostruzione degli accadimenti sopra sintetizzati, veniva partecipata la
conclusione negativa dell’iter procedurale relativo al progetto della
ditta Sordi.
La reazione di quest’ultima è stata affidata al ricorso in
epigrafe, deducendo i seguenti mezzi di gravame:
a) eccesso di potere
per travisamento dei fatti e falsità dei presupposti; violazione del
P.t.p. di riferimento e del P.t.p.r. adottato nel 2008; carenza di
motivazione e ponderazione dell'interesse pubblico sotteso al patto;
violazione falsa applicazione delle linee guida regionali approvate con la
deliberazione n.532/2007;
b) violazione falsa applicazione dell’art.97
Cost.; violazione del principio di legalità e tipicità degli atti
amministrativi; violazione falsa applicazione della L.r. n.38/1999 e
dell’art.10 della Legge Urbanistica nonché dei principi che regolano
l'azione amministrativa e l'adozione di atti in materia;
c) violazione
e falsa applicazione delle risultanze del tavolo di concertazione del
21.6.2010 nonché dell’Accordo del 4.11.2012 e della disciplina di patto
territoriale (intesa del 18/9/2001 e dell'11/2/2002) e dei principi che
governano la concertazione amministrativa e l'attività negoziale della
p.a. violazione dell’art.1 L.n.241 del 1990 e dell’art.1321 cod.civ.;
violazione e falsa applicazione dell’art.27 bis c.1 bis della L.r. Lazio
n.24/1998;
d) violazione falsa applicazione degli articoli 1, 10 bis e
14 legge n.241 del 1990; eccesso di potere per contraddittorietà e
perplessità e per violazione del principio di buona fede; violazione falsa
applicazione dell’art.3 della legge n.241 del 1990 , difetto di
motivazione ed illogicità.
Per quanto attiene ai soggetti
intimati:
- l’Asp, pur essendo stata evocata quale soggetto contro
interessato, si è costituita con memoria in cui ha sostenuto,
integralmente, le ragioni di parte ricorrente;
- la Provincia di Roma
si è costituita in giudizio tramite procura in calce al ricorso
avversario, senza svolgere alcuna scritto difensivo;
- il Comune di
Gallicano nel Lazio non si è costituito;
- la Regione Lazio,
costituitasi in giudizio, ha depositato una relazione tecnica della
competente direzione urbanistica regionale unitamente a memoria in cui
conclude per la reiezione del ricorso avversario.
All’udienza del
30.10.2014 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
DIRITTO
I)- Giova alla definizione dell’odierna
controversia una sintetica ricostruzione dell’articolata disciplina che la
regolamenta.
L'istituto del "Patto Territoriale" è stato introdotto nel
nostro ordinamento dall'articolo 8 del decreto - legge 23 giugno 1995, n.
244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341,
recante "Misure dirette ad accelerare il completamento degli interventi
pubblici e la realizzazione dei nuovi interventi nelle aree depresse",
che, integrando l'articolo 1 del decreto - legge 8 febbraio 1995, n. 32,
convertito dalla legge 7 aprile 1995, n. 104, ha previsto, tra le diverse
forme di programmazione negoziata, una nuova modalità di organizzazione
degli interventi finalizzati allo sviluppo locale delle aree depresse
denominata appunto "patto territoriale", consistente nell'accordo tra
soggetti pubblici e privati per l'individuazione, ai fini di una
realizzazione coordinata, di interventi di diversa natura allo scopo di
promuovere lo sviluppo locale nelle aree depresse del territorio
nazionale, in linea con gli obiettivi e gli indirizzi a tal scopo definiti
nel Quadro comunitario di sostegno, approvato con decisione CE del 29
luglio 1994. E' stato regolamentato con le deliberazioni del CIPE del 10
maggio 1995, 20 novembre 1995 e 12 luglio 1996. Attualmente la disciplina
dei Patti Territoriali è contenuta all'articolo 2, commi 203-209 della
legge 23 dicembre 1996, n. 662, "Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica" (provvedimento collegato alla finanziaria 1997) che detta le
nuove regole di disciplina degli istituti della contrattazione
programmata, innovando profondamente l'assetto precedente.
Il comma
203, lettera d), riformulando la definizione di patto territoriale come
l'accordo promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti
pubblici o privati… relativo all'attuazione di un programma di interventi
caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale
estende l'istituto all'intero territorio nazionale (ferma restando la
riserva del finanziamento pubblico delle aree depresse) e, per quanto
riguarda i contenuti, rinvia alla medesima disciplina prevista per
l'accordo di programma quadro. Il comma 204 ha poi esteso agli interventi
previsti nel Patto territoriale, in quanto compatibili, le disposizioni di
cui alla lettera c) del medesimo comma 203; mentre il successivo comma 206
ha demandato al Cipe le modalità di approvazione, fra l’altro, dei patti
territoriali.
La deliberazione CIPE del 21 marzo 1997, "Disciplina
della programmazione negoziata", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 8
maggio 1997, n. 105, ha dettato per l'istituto dei patti territoriali una
disciplina unitaria sostitutiva di tutte le precedenti disposizioni e
sulla base della quale può sostenersi che, a differenza degli altri
istituti negoziali descritti nel comma 203 dell’art.2 della Finanziaria
1997, i patti territoriali: a) hanno riguardo a iniziative in materia di
occupazione prese a livello locale poiché ogni realtà locale deve
individuare i percorsi più idonei del proprio sviluppo a partire
dall'analisi della concreta situazione esistente e dal suo potenziale
specifico; b) richiedono il coinvolgimento di un ampio partenariato
pubblico-privato che comprenda gli operatori che svolgono una funzione
significativa per l'occupazione nell'ambito di un territorio determinato,
integrando tra loro l'azione del settore pubblico, del settore privato,
delle parti sociali; c) richiedono un piano d'azione basato su una
diagnosi della situazione locale, su cui impostare una strategia integrata
e misure innovatrici per la creazione di posti di lavoro.
Ora, per
l’appunto, la deliberazione del Cipe sopra citata ha previsto:
- i
soggetti che possono farsi promotori dell'iniziativa di realizzare un
patto territoriale; e poiché il patto territoriale è, per espressa
definizione dell’art.2 della del. Cipe, espressione del “partenariato
sociale”, il soggetto promotore darà vita - prima della definitiva
progettazione del patto territoriale - a quello che è chiamato il “tavolo
di concertazione”, una serie di incontri e di confronti con i soggetti,
pubblici e privati, operanti a livello locale e regionale, finalizzati ad
una analisi dell'area di intervento e all’individuazione di iniziative
coerenti con obiettivi comuni di sviluppo socio-economico: incontri da
formalizzare con la sigla di un apposito “protocollo d’intesa”;
-
mentre, da un lato, l’avvio dell’iniziativa di cui sopra va
obbligatoriamente comunicato alla Regione, d’altro lato, il patto
definitivo può essere sottoscritto, oltre che dai soggetti promotori,
anche, fra l’altro, da soggetti privati e dalla Regione nel cui territorio
ricadono gli interventi, fermo restando che la sottoscrizione del patto
vincola i soggetti sottoscrittori al rispetto degli specifici impegni e
degli obblighi assunti per la realizzazione degli interventi di rispettiva
competenza (art.2.4 );
- il progetto definitivo di patto deve contenere
(art. 2.6) i seguenti elementi necessari: a) lo specifico e primario
obiettivo di sviluppo locale cui è finalizzato e il suo raccordo con le
linee generali della programmazione regionale; b) il soggetto
responsabile, che può essere o uno dei soggetti pubblici sottoscrittori
del patto o una società mista costituita tra i medesimi sottoscrittori; c)
gli impegni e gli obblighi di ciascuno dei soggetti sottoscrittori per
l'attuazione del patto. Tali impegni non si riferiscono alla realizzazione
delle iniziative oggetto del patto, ma riguardano ulteriori impegni che
variano a seconda della natura dei soggetti che si obbligano: per esempio,
per gli enti locali gli impegni possono riguardare la modifica di
strumenti di pianificazione e programmazione; per le associazioni di
categoria degli imprenditori e dei lavoratori, la flessibilità del lavoro
nell'area di intervento del patto, ecc; d) le attività e gli interventi da
realizzare, con l'indicazione dei soggetti attuatori, dei tempi e delle
modalità di attuazione; e) omissis; f) un accordo tra i soggetti pubblici
coinvolti nell'attuazione del patto. Tale accordo che è parte integrante
del Patto al fine della relativa attuazione deve contenere ( art.2.8) : 1)
gli adempimenti di rispettiva competenza, compresi quelli inerenti gli
interventi infrastrutturali funzionalmente connessi alla realizzazione e
allo sviluppo degli investimenti previsti nel patto; 2) e 3) Omissis in
quanto concerne gli atti da adottare limitatamente alle aree nelle quali
possono essere attuati i contratti d'area; 4) i termini entro i quali
devono essere espletati gli adempimenti, gli atti e le determinazioni di
cui ai punti precedenti; 5) i rappresentanti dei predetti soggetti
pubblici delegati a esprimere, con carattere di definitività, la volontà
degli stessi per tutti gli adempimenti, gli atti e le determinazioni di
cui ai punti precedenti.
Dunque, per come emerge dal quadro normativo
sopra tracciato, il patto territoriale è uno degli strumenti della
programmazione negoziata, volto a coordinare interventi di tipo
produttivo, promozionale e infrastrutturale, che si caratterizza per la
concertazione tra i diversi attori sociali (rappresentanti delle forze
sociali, degli enti locali e singoli operatori economici) finalizzata
all’elaborazione di progetti concreti di sviluppo locale; è quindi uno
strumento selettivo, basato su elementi qualitativi, in ordine ai tempi,
agli impegni assunti dai soggetti sottoscrittori e alla selezione degli
obiettivi. Come specificato dal punto 2 della Delibera CIPE n. 29/1997, i
patti territoriali rappresentano lo strumento giuridico mediante il quale
soggetti di natura pubblica e privata instaurano un assetto di reciproci
impegni per lo sviluppo di interessi territoriali condivisi.
A questo
proposito è stata prevista non soltanto la nomina di un Soggetto
responsabile, con l'incarico di supervisionare tutte le attività e
accertarne la regolare esecuzione, ma, prima ancora, la stipulazione di
un'intesa (ordinariamente al Tavolo della concertazione) fra tutte le
componenti coinvolte al fine di concordare l'obiettivo e coagularne le
volontà sul raggiungimento di traguardi condivisi ed interdipendenti. Al
protocollo d’intesa, segue la sigla (tra tutti i partecipanti) del
Progetto definitivo di patto e, da parte dei soggetti pubblici coinvolti
nell’attuazione del Patto, di uno specifico accordo che costituisce parte
integrante del Patto. Da tale angolazione prospettica, dunque, si può
affermare che:
- per quanto attiene all’accordo siglato tra i soggetti
pubblici ( costituente parte integrante del Patto), esso è riconducibile,
quoad effectum, alla specifica categoria degli accordi di programma già
regolamentati dall’art.27 della legge n.142 del 1990 e oggi regolamentati
dall’art.34 del d.lgs n.267 del 2000. Gli accordi di programma trovano,
infatti, impiego nella definizione e attuazione di opere, interventi o
programmi di intervento che richiedono per la loro completa realizzazione
l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province, Regioni,
amministrazioni statali e altri soggetti pubblici; tale classificazione
consente, inoltre, di comprendere quale rapporto si instauri tra i patti
territoriali e gli ulteriori strumenti di pianificazione e quali siano i
criteri e le procedure a cui ricorrere in caso di contrasto ovvero
incompatibilità tra gli stessi.
- per quanto attiene alla sigla del
Patto territoriale definitivo ( che interviene tra soggetti pubblici e
rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori
interessate e/ovvero soggetti privati), si può dire che i patti
territoriali hanno portato ad ulteriori sviluppi l'utilizzazione del
modello consensuale sia nei rapporti della Pubblica Amministrazione con i
privati che quale strumento di coordinamento dei vari enti pubblici fra
loro, assommando, in una sorta di sintesi evolutiva, le diverse ipotesi
disciplinate dagli artt. 11 e 15 della L. n. 241/1990, che peraltro
devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni
controversia in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli
accordi da esse contemplati (per le precisazioni di cui sopra, cfr. Cass.,
Sez. Un., 23 marzo 2009 n. 6960, nonché, nella medesima materia dei
suddetti patti, Id., sez. un., 8 luglio 2008 n. 18630, in un caso di
revoca, per contestate inadempienze, del contributo concesso).
I.1)-
Tanto premesso, le intese istituzionali ed il Patto territoriale cui si
relazione l’odierna controversia vanno valutate alla luce delle sopra
delineate coordinate normative.
Orbene, nel caso di specie ( ed in
sintesi in ossequio al dovere che l’art. 3 c.2 del C.p.a. impone anche al
Giudice), il 10.11.2000 è stato approvato dalla provincia di Roma un
"Documento generale delle linee di indirizzo del patto territoriale"
prevedendo al contempo la costituzione di una società consortile a
prevalente capitale pubblico con il compito di svolgere il ruolo di
soggetto promotore del patto; il 29/12/2000 - è stato costituito il
soggetto promotore denominato agenzia sviluppo provincia (ASP); il
18/9/2001 - vi è stata la firma del primo protocollo d'intesa ed è stato
istituito il Tavolo di concertazione tra le parti firmatarie al quale le
parti stesse hanno demandato tutte le decisioni relative allo sviluppo del
patto territoriale indicandolo come unica sede per le attività di
pianificazione, confronto di monitoraggio delle azioni di sviluppo del
territorio. A tale primo protocollo d'intesa non ha partecipato la regione
Lazio : ente che le parti firmatarie si sono impegnate a coinvolgere;
l’11.2.2002 è stato siglato - assente sempre la Regione - un altro
Protocollo d’intesa nel quale è emerso che le proposte imprenditoriali
pervenute contenevano manifestazioni d’interesse collegate
prioritariamente ad esigenze di c.d. “flessibilità amministrativa” e cioè
di snellimento e velocizzazione delle procedure amministrative pubbliche
funzionali all’approvazione degli interventi proposti; il 10.9.2002 è
stata presentata al Tavolo di concertazione la prima stesura del progetto
definitivo di Patto territoriale; il 4.11.2002 è stato approvato il
Programma di Sviluppo Integrato delle Colline Romane: Programma che
sembra, in parte qua, avere natura definitiva, e che è stato allegato ad
un ulteriore Protocollo d’intesa sottoscritto da enti pubblici (tra cui la
Regione Lazio) e da rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali
e dei lavoratori interessate: Programma Integrato non unito agli atti di
causa nei quali, invece, è stata esibita copia del detto Protocollo
d’intesa (sottoscritto come sopra) in cui, fra l’altro:
- si ribadisce
che le agevolazioni che il Patto intende offrire alle imprese interessate
a manifestare il relativo interesse sono di natura procedurale e quindi,
di fatto, consistono nell’attivazione di una corsia privilegiata per la
tempestiva definizione dei relativi progetti;
- si puntualizza che gli
impegni assunti dai sottoscrittori dei due precedenti Protocolli d’Intesa
si intendono parte integrante dell’Accordo che si viene a siglare;
- si
individuano gli impegni dei vari soggetti (fra cui la Regione Lazio)
sottoscrittori, mentre manca indicazione puntuale in ordine ai tempi di
attuazione dei vari progetti;
- si individua nel Tavolo di
Concertazione il Collegio di vigilanza di cui all’art.34 c.7 del T.U.
n.267/2000;
- si approva il protocollo d’intesa ai sensi dell’art.34
del T.U. n.267/2000 e per gli effetti di cui all’art.2 c.203 della legge
n.662 del 1996.
A tali attività negoziali sono poi seguiti - per
quanto di interesse ai fini dell’odierna controversia - la pubblicazione
dell’Avviso e le ulteriori vicende già descritte in narrativa (cui,
pertanto, si rinvia) che hanno cagionato la conclusione negativa della
procedura relativa all’approvazione del progetto della ditta
ricorrente.
II)- Si può, a questo punto, trattare delle censure dedotte
in gravame il cui scrutinio non segue, anche per ragioni di comodità
espositiva, l’ordine in cui stesse sono ivi prospettate.
II.a)- La
prima doglianza che, per ragioni di ordine logico va esaminata, è quella
indirizzata, non all’ASP che ha adottato la impugnata determina negativa
di conclusione del procedimento ma, alla Regione Lazio colpevole, secondo
la prospettazione di parte, di aver tradito lo spirito dell’art.10 bis a
garanzia del buon andamento e della trasparenza dell’azione
amministrativa. E ciò anche in quanto la ditta ricorrente aveva apportato,
su precisa indicazione della Regione, delle modifiche al progetto
originario al fine di garantirne un “miglior inserimento paesistico”.
La tesi attorea non è condivisibile.
O si considera la valutazione
eseguita dalla Regione come una sorta di atto avente natura
endoprocedimentale nell’economia di un procedimento destinato a
concludersi con il provvedimento dell’ASP impugnato ovvero si considera
tale valutazione regionale come idonea a comportare un arresto definitivo
del procedimento il cui atto formalmente conclusivo non può avere altro
che portata ricognitiva e dichiarativa di un effetto lesivo che è già
maturato e si è consumato nel momento in cui l’interessato è venuto a
conoscenza della predetta valutazione regionale.
Ora nel ricorso
introduttivo del giudizio la parte sembra propendere per la prima di tali
tesi, rendendo agevole la considerazione che, in tal caso, la censura
avrebbe dovuto essere indirizzata non, come avvenuto, nei confronti della
Regione ma dell’ASP che, prima di concludere il procedimento, avrebbe
dovuto comunicare all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento del
progetto.
Ma anche nel caso in cui la tesi effettivamente seguita sia
la seconda, la censura sarebbe parimenti priva di pregio omettendo parte
ricorrente di considerare che egli è stato presente alla conferenza di
servizi del 14.12.2011 nel corso della quale è stato esibito il parere
negativo dell’Area regionale competente ed è stato ribadito lo stesso
parere dal rappresentante delegato dalla Regione ad esprimere
definitivamente il parere unico regionale.
Orbene, se tale circostanza
apre interrogativi sulla tempestività del gravame (che la sua infondatezza
nel merito esime dall’approfondire), in ogni caso evidenzia che il
risultato cui tende la comunicazione dei motivi ostativi di cui all’art.10
bis citato era stato, nella vicenda in esame, sostanzialmente e
fattivamente conseguito; e che il ricorrente, ove effettivamente
interessato, ben avrebbe potuto - prima della formale conclusione del
procedimento avvenuta, oltre quattro mesi dopo, con la determina ASP
impugnata - produrre, come peraltro fatto in occasione delle precedenti
Conferenze di servizi, osservazione e documenti ai sensi dell’art.10 bis
citato.
II.b)- Vanno ora esaminate le censure mirate alla demolizione
giurisdizionale della delibera n.532/2007 con cui la Regione Lazio ha
approvato le Linee guida per la valutazione urbanistica degli ricompresi
nei Patti territoriali. Assume parte ricorrente che dette Linee
guida:
- equivalgono ad un atto di pianificazione che la Regione ha
adottato extra ordinem, in assenza di ogni recapito normativo, su un’area
priva di interesse storico culturale e paesaggistico;
- non potevano
trovare applicazione in quanto l’approvazione della variante al P.r.g. del
comune di Gallicano nel Lazio costituiva “un atto dovuto e privo di
discrezionalità” rispetto alle prerogative dell’ente locale; e tanto anche
ai sensi dell’art.27 bis c.1 bis della L.r. Lazio n.24 del 1998;
- sono
nulle per “non essere state adottate in seno e secondo le procedure di
Patto” ed in quanto violano gli accordi siglati col Primo protocollo
d’intesa del 18.9.2001 che assegnano al Tavolo della Concertazione il
ruolo di “unica sede per le attività di pianificazione, confronto e
monitoraggio di quelle azioni di sviluppo del territorio direttamente
collegate col progetto complessivo di Patto territoriale”;
- sono
inapplicabili ratione temporis perché il procedimento deve rispondere alle
regole del bando del 2005 e perché assunte in contrasto col Tavolo della
concertazione del 21.6.2010 che ha votato per l’inapplicabilità delle
Linee ai bandi anteriori alla sua adozione;
- sono in contrasto col
P.t.p.r. vigente che disciplina le aree agricole ed in contrasto col
P.t.p. vigente che consentirebbe l’intervento della ditta ricorrente;
- sono erroneamente applicate in quanto le stesse Linee prevedono
delle eccezioni al divieto di insediamento di nuove attività produttive in
zona agricola.
Nessuna delle censure sopra passate in rassegna si
presenta dotata di attitudine persuasiva.
Si è detto nei precedenti
paragrafi che l’agevolazione offerta dal Patto territoriale delle Colline
Romane consiste nella flessibilità amministrativa” e cioè nello
snellimento e nella velocizzazione delle procedure amministrative
pubbliche funzionali all’approvazione degli interventi proposti. E se è
pur vero che la Regione Lazio - che non ha partecipato ai protocolli
d’intesa dell’1.10.2001 e dell’11.2.2002 - ha sottoscritto l’Accordo del
04.11.2002, è pure vero che nessuno degli impegni ivi assunti e che l’ente
stesso era tenuto ad osservare comportava e/o comporta abdicazione alcuna
alle competenze ex lege spettanti a ciascuno dei soggetti pubblici, ivi
compresa la Regione, coinvolti. Una tal abdicazione o una eventuale delega
delle competenze che alla Regione spettano nel governo del territorio a
favore - come si assume in gravame - del Tavolo della concertazione è
(oltre che di dubbia legittimità) del tutto assente dagli impegni assunti
dalla Regione il 04.11.2002 e meglio specificati alla pag. 9 del
Protocollo d’intesa in quella data sottoscritto. E peraltro:
- non va
dimenticato che l’Accordo del 04.11.2002 è stato approvato ai sensi
dell’art.34 del T.u.e.l.; e quindi in quanto tale ha determinato in capo
alle parti pubbliche l’obbligo di ottemperare agli impegni assunti con la
sottoscrizione: ma tanto nel rispetto delle competenze proprie di ciascuna
amministrazione;
- non è evincibile dall’Accordo sottoscritto, né dai
Protocolli d’intesa precedenti che nell’Accordo sono richiamati e del
quale (ved. ultimo periodo delle Premesse, a pag.3) vengono a costituire
parte integrante, alcuna deroga alle competenze pubblicistiche od alcuna
investitura in capo al Tavolo della Concertazione delle competenze
(all’adozione di atti, pareri, provvedimenti) facenti capo alla Regione;
mentre la circostanza che il Primo protocollo d’intesa del 18.9.2001 ha
assegnato al Tavolo della Concertazione il ruolo di “unica sede per le
attività di pianificazione, confronto e monitoraggio di quelle azioni di
sviluppo del territorio direttamente collegate col progetto complessivo di
Patto territoriale” non consente di equivocare sul termine
“pianificazione” che deve essere inteso non come “pianificazione
urbanistica” ma nell’accezione secondo la quale al Tavolo compete solo la
valutazione congiunta della programmazione (sinonimo di “pianificazione”)
delle iniziative imprenditoriali e non una analoga valutazione del
rapporto tra tali iniziative e gli strumenti pianificatori comunali e
sovra comunali che rimane riservata agli enti cui la Legge la conferisce;
- è dunque da escludere che le Linee guida regionali per la
valutazione urbanistico - paesaggistica delle varianti ai piani regolatori
generali comunali, quale documento includente i criteri di massima cui
uniformare detta specifica valutazione, dovessero essere assunte od
assentite dal Tavolo della concertazione. Si tratta di un atto che,
ovviamente, non può essere equiparato ad uno strumento di pianificazione
urbanistica o paesaggistica traducendosi in una manifestazione di corretta
amministrazione che l’ente Regione - cui sono state trasferite sin dal
1972, col d.P.R. n.8 di quell’anno, le funzioni amministrative dello Stato
in materia di urbanistica e viabilità e cui spetta sia l’approvazione del
p.r.g. che delle relative varianti - può adottare al fine di regolare e/o
fornire dei criteri indicativi per rendere più trasparente e lineare
esercizio di una funzione di cui è legislativamente titolare.
Ma le
dette Linee guida si sottraggono anche agli ulteriori profili di doglianza
dedotti. In primo luogo, esse non segnano alcun rapporto di confliggenza
col P.t.a. e le sue NN.tt.aa. Il punto 1) della parte motiva della
deliberazione regionale infatti indica quale primo criterio la
“compatibilità degli interventi col P.t.p e le sue NN.tt.aa., con le norme
generali di tutela paesaggistica di cui alla L.r. n.24/1998, con le norme
regionali sulle aree protette naturali, nonché con le norme di cui al
d.P.R. n.357/1997 per le ZPS ed i SIC”. E tanto fermo restando che la
Regione ha preso atto che l’intervento proposto ricade in area non
soggetta a vincolo paesistico e che il dissenso dalla stessa formulato si
esaurisce nel ritenere il progetto “non meritevole di approvazione sotto
il profilo urbanistico”; a tanto accede che quei profili di doglianza
imperniati sul contrasto tra detta valutazione regionale e la normativa di
P.t.p. o di P.t.p.r. non sono correttamente centrate.
Considerazioni
non dissimili si impongono pertanto con riferimento alla deduzione che
addebita alle Linee guida il contrasto col il comma 1 bis dell’art.27 bis
della L.r. n. 24 del 1998: norma che consente di approvare la variazione
al P.r.g. allorquando le adottate varianti alle zone “E” (con destinazione
agricola) ricadono in aree che il P.t.p. considera di scarso pregio
paesistico e cui, in forza di tanto, riserva il livello minimo di
tutela.
Valgono al riguardo le constatazioni sopra descritte. La
circostanza che la disciplina paesaggistica regionale non considera, in
via di eccezione, ad essa ostativa l’approvazione di varianti alle zone
“E” classificate, nel P.t.p., come zone di modesto pregio paesaggistico,
significa solamente che tali interventi in variante, ove approvati, sono
compatibili col disegno paesaggistico regionale; ma tanto non altera la
valutazione negativa dell’amministrazione regionale sul progetto Sordi che
è stata dettata dall’esigenza di tutelare, non l’interesse paesaggistico
ma, quello urbanistico. Quindi detta censura, che ripete sostanzialmente
quella rassegnata nel primo mezzo di gravame, è, in entrambi i casi, priva
di giuridico pregio. E d’altronde v’è da dire che la problematica legata
al bilanciamento degli interessi in gioco presenta certamente aspetti
destinati a suscitare ancora ampi dibattiti in materia, non potendo
negarsi il timore di un’evoluzione degli obiettivi negoziali atta a
favorire eccessivamente gli interessi particolari dei privati a detrimento
delle finalità generali tutelate dal livello istituzionale. La
funzionalità del rapporto tra patti territoriali e istanze di sviluppo
locale determina, infatti, in molti casi un potenziamento delle iniziative
imprenditoriali a livello sub-regionale, rendendo necessario per le
amministrazioni partecipanti alle procedure negoziate bilanciare in senso
adeguato i crescenti interessi legati allo sviluppo socio-economico con le
esigenze di tutela della naturale vocazione dei territori. Ed è proprio
questa la preoccupazione che emerge dalle Linee guida regionali in cui si
richiede non soltanto la compatibilità degli interventi col piano
paesaggistico e con le aree protette naturali ma si esclude la possibilità
dell'insediamento di nuove attività produttive, quale quella della ditta
ricorrente, in zona agricola ammettendo solamente, ed in via di eccezione,
quelle iniziative comunque marginali rispetto al contesto urbano
circostante. Tale marginalità, all'evidenza non è stata riscontrata nel
progetto in questione che copre una superficie pari a 1360 m quadri e
sviluppa una volumetria pari a 6720 m³: una volumetria che, nella
Relazione allegata dalla resistente Regione alla propria memoria
difensiva, viene definita “fuori scala” rispetto alla superficie del lotto
stesso priva, peraltro, di infrastrutture idonee ad accogliere
l’intervento imprenditoriale proposto e (una volumetria) che evidenzia la
non consentita applicazione dell’eccezione (alla regola generale del
diniego approvazione di varianti in zone agricole per consentire
l’insediamento di nuove attività produttive estranee al contesto agricolo)
prevista nelle Linee Guida: eccezione che è circoscritta alle sole ipotesi
di interventi in zone “compromesse” ( concetto del tutto diverso dal
“modesto pregio paesaggistico” che l’area in questione riceve nel P.t.p.),
“comunque marginali o interstiziali rispetto al contesto urbano
circostante” : marginalità ovviamente non riscontrabile e non riscontrata
nel caso di specie.
Residua da trattare la doglianza con cui si
lamenta che le Linee guida regionali sono inapplicabili ratione temporis
(viziando così in via derivata il parere negativo regionale) perché il
procedimento (concernente il progetto della ditta ricorrente) deve
rispondere alle regole del bando del 2005 e perché assunte in contrasto
col Tavolo della concertazione del 21.6.2010 che ha votato per
l’inapplicabilità delle Linee ai bandi anteriori alla sua adozione.
Trattasi di censura non convincente; e ciò in quanto nella seduta del
21.6.2010 il Presidente propone all’assemblea di deliberare con riguardo
alla del. G.R. n.532/2007 “di conferire il mandato al soggetto
responsabile ASP ….. di predisporre istanza alla regione Lazio per la
convocazione di un incontro volto a definire, in via risolutiva ed
attraverso una procedura chiara e trasparente, i campi di applicazione
della delibera (ndr: n.532 cit.) nel Patto Territoriale delle Colline
Romane al fine di trovare una immediata risposta ai sospesi in itinere
relativamente a tali problematiche” (ved. all.16 ric., pagg. 14 e 17):
proposta che, nella stessa seduta, risulta approvata all'unanimità dal
Tavolo di concertazione, ma che negli atti di causa non risulta
temporalmente seguita da alcun atto di adesione o dissenso da parte della
Regione Lazio che di tale proposta avrebbe dovuto esserne la destinataria.
Conclusivamente il ricorso è infondato in ordine a tutti i profili
censori trattati e deve essere respinto.
Ad avviso del Collegio
sussistono i presupposti, ai sensi dell’art.92 c.p.c.., per come
richiamato espressamente, dall'art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare
integralmente le spese di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il
Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge, come da motivazione, il ricorso
in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella
camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Pietro Morabito,
Consigliere, Estensore
Francesco Arzillo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/11/2014