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T.A.R. LAZIO - ROMA - SEZIONE II QUATER - Sentenza 10 novembre 2014 n. 11262
Pres. Pugliese – Est. Morabito
Antonio Sordi (Avv. Lavitola) c/ Agenzia Sviluppo provincia per le Colline Romane s.c.a r.l. (Avv.ti Sotti, Pittori) nei confronti di Regione Lazio (Avv. Caprio)


1. Edilizia ed urbanistica – Art. 10 bis L.241/1990 – Preavviso di rigetto – Mancata comunicazione – Conseguenze – Proveedimento – Illegittimità – Non sussiste

 

2. Edilizia ed urbanistica – Iniziative di sviluppo socio-economico locale – Deliberazione Cipe 105/1997 – Tavolo della Concertazione – Funzione di pianificazione – Condizioni

 

3. Edilizia ed urbanistica – Valutazione urbanistico- paesaggistica – Linee guida regionali- Natura giuridica – Presupposti

 

 

1. La mancata comunicazione dei motivi ostativi (preavviso di rigetto) ex art.10 bis, L. 241/1990 non inficia il provvedimento ove l’interessato avrebbe potuto comunque conoscere il parere negativo dell’amministrazione. Nel caso di specie la valutazione della regione in relazione al progetto presentato dal ricorrente ha portatata ricognitiva e dichiarativa di un effetto lesivo che è già maturato nel momento in cui l’interessato è venuto a conoscenza della medesima valutazione in occasione della conferenza di servizi

 

2. In tema di analisi delle aree di intervento e individuazione delle iniziative coerenti con obiettivi comuni di sviluppo socio - economico locale, nella deliberazione del Cipe 105/1997 “ Disciplina della programmazione negoziata”, al Tavolo della Concertazione è attribuita la funzione di pianificazione intesa come valutazione congiunta della programmazione delle iniziative imprenditoriali e non un’analoga valutazione del rapporto tra tali iniziative e gli strumenti pianificatori comunali e sovracomunali, che rimane riservata agli enti cui la legge la conferisce.

 

3. In materia urbanistica, le Linee guida regionali per la valutazione urbanistico- paesaggistica delle varianti ai piani regolatori generali comunali non posso essere equiparate ad un vero strumento di pianificazione urbanistica o paesaggistica traducendosi in una manifestazione di corretta amministrazione che l’ente Regione può adottare al fine di regolare e fornire dei criteri indicativi per rendere più trasparente e lineare l’esercizio di una funzione di cui è legislativamente titolare.

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso n. 5882/2012–R.G. proposto dal sig. Antonio SORDI, in proprio e n.q. di titolare dell’omonima ditta con sede in Gallicano nel Lazio (ROMA), rappresentato e difeso dall’ avv. L. Lavitola, presso il cui studio in Roma, viale Giulio Cesare 71, è elettivamente domiciliato;

contro



l’Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane s.c.a r.l., (di seguito: ASP) in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dagli avv. E. Scotti e P. Pittori e presso il loro studio, in Roma, al Lungotevere dei Mellini, n.24, elettivamente domiciliata;

nei confronti di



- della Regione Lazio, in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. E. Caprio dell’Avvocatura regionale e presso la sede di quest’ultima, in Roma alla via Marcantonio Colonna 27, elettivamente domiciliata ; - della Provincia di Roma, in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. G. De Maio dell’Avvocatura provinciale e con la stessa elettivamente domiciliata presso la sede della detta Avvocatura in Roma alla via IV Novembre 119/A; - del comune di Gallicano nel Lazio, n.c.

per l'annullamento



- del provvedimento emesso dall’ASP in data 23.4.2012 recante attestazione conclusione del procedimento di Patto;
- del parere negativo espresso in Conferenza di servizi dalla Regione Lazio del 13.12.2011 e del relativo verbale del 14.12.2011;
- della delibera G.R. n.532 del 10.7.2007;
- di ogni altro atto presupposto e/o connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di ASP, della Regione Lazio e della Provincia di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2014 il dott. Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



E’ impugnata con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio la determinazione con la quale è stata attestata, in esito a conferenza di servizi, la conclusione negativa dell’iter procedimentale relativo al progetto, presentato dalla ditta ricorrente, volto alla realizzazione, nel comune di Gallicano nel Lazio, di un nuovo impianto di imbottigliamento vini ed oli con relativo deposito.
L’impugnativa, che è stata estesa agli ulteriori atti in epigrafe richiamati, si colloca nell'ambito di una programmazione negoziata in ambito territoriale allargato. Si tratta, in particolare, dello strumento del Patto Territoriale, di cui all’art. 2, c. 203 della l. 662/1996, con cui si intende l’accordo promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici o privati, relativo all'attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale.
La gestione della procedura esitatasi con la determinazione avversata è stata curata da ASP, società consortile a prevalente capitale pubblico, istituita dalla Provincia di Roma per il coordinamento del Patto Territoriale delle Colline Romane con delibera n. 95/2000; e, nel concreto, prende le mosse dall'avviso pubblico del 12 settembre 2005, con cui la ASP ha invitato le imprese private - interessate a fruire di agevolazioni amministrative nell’istruttoria e nella definizione delle relative iniziative imprenditoriali - a presentare progetti di sviluppo sostenibile delle rispettive attività. In questo contesto l’odierna ricorrente ha presentato un progetto (consistente nella realizzazione di due capannoni prefabbricati, congiunti da una zona a tettoia, che sviluppano una volumetria pari a 6720 mc e coprono una superficie pari a 1360 mq) che interessa un terreno di superficie pari a 4720 mq già classificato, nello strumento urbanistico generale, come Zona E- Agricola - sottozona E1 - semirurale: destinazione questa:
- mantenuta anche nell’ambito della variante generale adottata dal Cons. Comunale di Ciampino nel 2002 (e approvata dalla Regione il 10.6.2011);
- modificata in “Zona G- Servizi privati per strutture produttive commerciali” con deliberazione comunale adottata, nel corso del procedimento (attuativo del Patto territoriale delle colline romane) attivatosi per effetto dell’Avviso pubblico di cui sopra, con deliberazione consiliare del 5.7.2006.
A seguito dell’adozione di tale variante - avendo, nelle more, il Tavolo di Concertazione" del Patto ammesso il progetto de quo alle successive fasi, ritenendolo coerente con gli obiettivi del Patto medesimo:
- veniva convocata per il 07.5.2008, una conferenza di servizi ex art.14 della legge n.241 del 1990 in seno alla quale il rappresentante regionale preannunciava parere negativo alla descritta iniziativa imprenditoriale (ed all’approvazione della correlata variante urbanistica) in quanto la stessa veniva a collocarsi in un’area ancora caratterizzata dall’uso agricolo ed in quanto era in itinere la procedura per l’approvazione, nell’ambito del perimetro territoriale del comune di Gallicano, di un’area da destinare ad insediamenti produttivi (P.i.P., non coincidente con l’area interessata dalla variante generale adottata) nell’ambito della quale il progetto della ditta Sordi avrebbe potuto trovare realizzazione;
- veniva quindi convocata una prima conferenza ai sensi dell’art.34 del d.lgs n.267 del 2000: conferenza svoltasi il 29.4.2009 e sospesa su richiesta del sindaco di Gallicano;
- seguiva, dopo sollecitazione della Regione Lazio e dopo una proroga chiesta dalla ditta Sordi per la produzione di integrazioni progettuali migliorative, la conferenza, convocata ai sensi dell’art.34 citato per il giorno 14.12.2011, in cui - presente il sig. Sordi - il rappresentante regionale, ad hoc delegato a esprimere il parere unico regionale, confermava, per le ragioni già sopra delineate ed in sintonia con le Linee guida elaborate dalla Giunta regionale laziale (con la deliberazione n.532/2007) la valutazione negativa dell’amministrazione regionale e, per l’effetto, dichiara negativamente conclusa la Conferenza stessa;
- seguiva la determina ASP avversata in seno alla quale, dopo una articolata ricostruzione degli accadimenti sopra sintetizzati, veniva partecipata la conclusione negativa dell’iter procedurale relativo al progetto della ditta Sordi.
La reazione di quest’ultima è stata affidata al ricorso in epigrafe, deducendo i seguenti mezzi di gravame:
a) eccesso di potere per travisamento dei fatti e falsità dei presupposti; violazione del P.t.p. di riferimento e del P.t.p.r. adottato nel 2008; carenza di motivazione e ponderazione dell'interesse pubblico sotteso al patto; violazione falsa applicazione delle linee guida regionali approvate con la deliberazione n.532/2007;
b) violazione falsa applicazione dell’art.97 Cost.; violazione del principio di legalità e tipicità degli atti amministrativi; violazione falsa applicazione della L.r. n.38/1999 e dell’art.10 della Legge Urbanistica nonché dei principi che regolano l'azione amministrativa e l'adozione di atti in materia;
c) violazione e falsa applicazione delle risultanze del tavolo di concertazione del 21.6.2010 nonché dell’Accordo del 4.11.2012 e della disciplina di patto territoriale (intesa del 18/9/2001 e dell'11/2/2002) e dei principi che governano la concertazione amministrativa e l'attività negoziale della p.a. violazione dell’art.1 L.n.241 del 1990 e dell’art.1321 cod.civ.; violazione e falsa applicazione dell’art.27 bis c.1 bis della L.r. Lazio n.24/1998;
d) violazione falsa applicazione degli articoli 1, 10 bis e 14 legge n.241 del 1990; eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità e per violazione del principio di buona fede; violazione falsa applicazione dell’art.3 della legge n.241 del 1990 , difetto di motivazione ed illogicità.
Per quanto attiene ai soggetti intimati:
- l’Asp, pur essendo stata evocata quale soggetto contro interessato, si è costituita con memoria in cui ha sostenuto, integralmente, le ragioni di parte ricorrente;
- la Provincia di Roma si è costituita in giudizio tramite procura in calce al ricorso avversario, senza svolgere alcuna scritto difensivo;
- il Comune di Gallicano nel Lazio non si è costituito;
- la Regione Lazio, costituitasi in giudizio, ha depositato una relazione tecnica della competente direzione urbanistica regionale unitamente a memoria in cui conclude per la reiezione del ricorso avversario.
All’udienza del 30.10.2014 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

DIRITTO



I)- Giova alla definizione dell’odierna controversia una sintetica ricostruzione dell’articolata disciplina che la regolamenta.
L'istituto del "Patto Territoriale" è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'articolo 8 del decreto - legge 23 giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341, recante "Misure dirette ad accelerare il completamento degli interventi pubblici e la realizzazione dei nuovi interventi nelle aree depresse", che, integrando l'articolo 1 del decreto - legge 8 febbraio 1995, n. 32, convertito dalla legge 7 aprile 1995, n. 104, ha previsto, tra le diverse forme di programmazione negoziata, una nuova modalità di organizzazione degli interventi finalizzati allo sviluppo locale delle aree depresse denominata appunto "patto territoriale", consistente nell'accordo tra soggetti pubblici e privati per l'individuazione, ai fini di una realizzazione coordinata, di interventi di diversa natura allo scopo di promuovere lo sviluppo locale nelle aree depresse del territorio nazionale, in linea con gli obiettivi e gli indirizzi a tal scopo definiti nel Quadro comunitario di sostegno, approvato con decisione CE del 29 luglio 1994. E' stato regolamentato con le deliberazioni del CIPE del 10 maggio 1995, 20 novembre 1995 e 12 luglio 1996. Attualmente la disciplina dei Patti Territoriali è contenuta all'articolo 2, commi 203-209 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" (provvedimento collegato alla finanziaria 1997) che detta le nuove regole di disciplina degli istituti della contrattazione programmata, innovando profondamente l'assetto precedente.
Il comma 203, lettera d), riformulando la definizione di patto territoriale come l'accordo promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici o privati… relativo all'attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale estende l'istituto all'intero territorio nazionale (ferma restando la riserva del finanziamento pubblico delle aree depresse) e, per quanto riguarda i contenuti, rinvia alla medesima disciplina prevista per l'accordo di programma quadro. Il comma 204 ha poi esteso agli interventi previsti nel Patto territoriale, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla lettera c) del medesimo comma 203; mentre il successivo comma 206 ha demandato al Cipe le modalità di approvazione, fra l’altro, dei patti territoriali.
La deliberazione CIPE del 21 marzo 1997, "Disciplina della programmazione negoziata", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 8 maggio 1997, n. 105, ha dettato per l'istituto dei patti territoriali una disciplina unitaria sostitutiva di tutte le precedenti disposizioni e sulla base della quale può sostenersi che, a differenza degli altri istituti negoziali descritti nel comma 203 dell’art.2 della Finanziaria 1997, i patti territoriali: a) hanno riguardo a iniziative in materia di occupazione prese a livello locale poiché ogni realtà locale deve individuare i percorsi più idonei del proprio sviluppo a partire dall'analisi della concreta situazione esistente e dal suo potenziale specifico; b) richiedono il coinvolgimento di un ampio partenariato pubblico-privato che comprenda gli operatori che svolgono una funzione significativa per l'occupazione nell'ambito di un territorio determinato, integrando tra loro l'azione del settore pubblico, del settore privato, delle parti sociali; c) richiedono un piano d'azione basato su una diagnosi della situazione locale, su cui impostare una strategia integrata e misure innovatrici per la creazione di posti di lavoro.
Ora, per l’appunto, la deliberazione del Cipe sopra citata ha previsto:
- i soggetti che possono farsi promotori dell'iniziativa di realizzare un patto territoriale; e poiché il patto territoriale è, per espressa definizione dell’art.2 della del. Cipe, espressione del “partenariato sociale”, il soggetto promotore darà vita - prima della definitiva progettazione del patto territoriale - a quello che è chiamato il “tavolo di concertazione”, una serie di incontri e di confronti con i soggetti, pubblici e privati, operanti a livello locale e regionale, finalizzati ad una analisi dell'area di intervento e all’individuazione di iniziative coerenti con obiettivi comuni di sviluppo socio-economico: incontri da formalizzare con la sigla di un apposito “protocollo d’intesa”;
- mentre, da un lato, l’avvio dell’iniziativa di cui sopra va obbligatoriamente comunicato alla Regione, d’altro lato, il patto definitivo può essere sottoscritto, oltre che dai soggetti promotori, anche, fra l’altro, da soggetti privati e dalla Regione nel cui territorio ricadono gli interventi, fermo restando che la sottoscrizione del patto vincola i soggetti sottoscrittori al rispetto degli specifici impegni e degli obblighi assunti per la realizzazione degli interventi di rispettiva competenza (art.2.4 );
- il progetto definitivo di patto deve contenere (art. 2.6) i seguenti elementi necessari: a) lo specifico e primario obiettivo di sviluppo locale cui è finalizzato e il suo raccordo con le linee generali della programmazione regionale; b) il soggetto responsabile, che può essere o uno dei soggetti pubblici sottoscrittori del patto o una società mista costituita tra i medesimi sottoscrittori; c) gli impegni e gli obblighi di ciascuno dei soggetti sottoscrittori per l'attuazione del patto. Tali impegni non si riferiscono alla realizzazione delle iniziative oggetto del patto, ma riguardano ulteriori impegni che variano a seconda della natura dei soggetti che si obbligano: per esempio, per gli enti locali gli impegni possono riguardare la modifica di strumenti di pianificazione e programmazione; per le associazioni di categoria degli imprenditori e dei lavoratori, la flessibilità del lavoro nell'area di intervento del patto, ecc; d) le attività e gli interventi da realizzare, con l'indicazione dei soggetti attuatori, dei tempi e delle modalità di attuazione; e) omissis; f) un accordo tra i soggetti pubblici coinvolti nell'attuazione del patto. Tale accordo che è parte integrante del Patto al fine della relativa attuazione deve contenere ( art.2.8) : 1) gli adempimenti di rispettiva competenza, compresi quelli inerenti gli interventi infrastrutturali funzionalmente connessi alla realizzazione e allo sviluppo degli investimenti previsti nel patto; 2) e 3) Omissis in quanto concerne gli atti da adottare limitatamente alle aree nelle quali possono essere attuati i contratti d'area; 4) i termini entro i quali devono essere espletati gli adempimenti, gli atti e le determinazioni di cui ai punti precedenti; 5) i rappresentanti dei predetti soggetti pubblici delegati a esprimere, con carattere di definitività, la volontà degli stessi per tutti gli adempimenti, gli atti e le determinazioni di cui ai punti precedenti.
Dunque, per come emerge dal quadro normativo sopra tracciato, il patto territoriale è uno degli strumenti della programmazione negoziata, volto a coordinare interventi di tipo produttivo, promozionale e infrastrutturale, che si caratterizza per la concertazione tra i diversi attori sociali (rappresentanti delle forze sociali, degli enti locali e singoli operatori economici) finalizzata all’elaborazione di progetti concreti di sviluppo locale; è quindi uno strumento selettivo, basato su elementi qualitativi, in ordine ai tempi, agli impegni assunti dai soggetti sottoscrittori e alla selezione degli obiettivi. Come specificato dal punto 2 della Delibera CIPE n. 29/1997, i patti territoriali rappresentano lo strumento giuridico mediante il quale soggetti di natura pubblica e privata instaurano un assetto di reciproci impegni per lo sviluppo di interessi territoriali condivisi.
A questo proposito è stata prevista non soltanto la nomina di un Soggetto responsabile, con l'incarico di supervisionare tutte le attività e accertarne la regolare esecuzione, ma, prima ancora, la stipulazione di un'intesa (ordinariamente al Tavolo della concertazione) fra tutte le componenti coinvolte al fine di concordare l'obiettivo e coagularne le volontà sul raggiungimento di traguardi condivisi ed interdipendenti. Al protocollo d’intesa, segue la sigla (tra tutti i partecipanti) del Progetto definitivo di patto e, da parte dei soggetti pubblici coinvolti nell’attuazione del Patto, di uno specifico accordo che costituisce parte integrante del Patto. Da tale angolazione prospettica, dunque, si può affermare che:
- per quanto attiene all’accordo siglato tra i soggetti pubblici ( costituente parte integrante del Patto), esso è riconducibile, quoad effectum, alla specifica categoria degli accordi di programma già regolamentati dall’art.27 della legge n.142 del 1990 e oggi regolamentati dall’art.34 del d.lgs n.267 del 2000. Gli accordi di programma trovano, infatti, impiego nella definizione e attuazione di opere, interventi o programmi di intervento che richiedono per la loro completa realizzazione l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province, Regioni, amministrazioni statali e altri soggetti pubblici; tale classificazione consente, inoltre, di comprendere quale rapporto si instauri tra i patti territoriali e gli ulteriori strumenti di pianificazione e quali siano i criteri e le procedure a cui ricorrere in caso di contrasto ovvero incompatibilità tra gli stessi.
- per quanto attiene alla sigla del Patto territoriale definitivo ( che interviene tra soggetti pubblici e rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori interessate e/ovvero soggetti privati), si può dire che i patti territoriali hanno portato ad ulteriori sviluppi l'utilizzazione del modello consensuale sia nei rapporti della Pubblica Amministrazione con i privati che quale strumento di coordinamento dei vari enti pubblici fra loro, assommando, in una sorta di sintesi evolutiva, le diverse ipotesi disciplinate dagli artt. 11 e 15 della L. n. 241/1990, che peraltro devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi da esse contemplati (per le precisazioni di cui sopra, cfr. Cass., Sez. Un., 23 marzo 2009 n. 6960, nonché, nella medesima materia dei suddetti patti, Id., sez. un., 8 luglio 2008 n. 18630, in un caso di revoca, per contestate inadempienze, del contributo concesso).
I.1)- Tanto premesso, le intese istituzionali ed il Patto territoriale cui si relazione l’odierna controversia vanno valutate alla luce delle sopra delineate coordinate normative.
Orbene, nel caso di specie ( ed in sintesi in ossequio al dovere che l’art. 3 c.2 del C.p.a. impone anche al Giudice), il 10.11.2000 è stato approvato dalla provincia di Roma un "Documento generale delle linee di indirizzo del patto territoriale" prevedendo al contempo la costituzione di una società consortile a prevalente capitale pubblico con il compito di svolgere il ruolo di soggetto promotore del patto; il 29/12/2000 - è stato costituito il soggetto promotore denominato agenzia sviluppo provincia (ASP); il 18/9/2001 - vi è stata la firma del primo protocollo d'intesa ed è stato istituito il Tavolo di concertazione tra le parti firmatarie al quale le parti stesse hanno demandato tutte le decisioni relative allo sviluppo del patto territoriale indicandolo come unica sede per le attività di pianificazione, confronto di monitoraggio delle azioni di sviluppo del territorio. A tale primo protocollo d'intesa non ha partecipato la regione Lazio : ente che le parti firmatarie si sono impegnate a coinvolgere; l’11.2.2002 è stato siglato - assente sempre la Regione - un altro Protocollo d’intesa nel quale è emerso che le proposte imprenditoriali pervenute contenevano manifestazioni d’interesse collegate prioritariamente ad esigenze di c.d. “flessibilità amministrativa” e cioè di snellimento e velocizzazione delle procedure amministrative pubbliche funzionali all’approvazione degli interventi proposti; il 10.9.2002 è stata presentata al Tavolo di concertazione la prima stesura del progetto definitivo di Patto territoriale; il 4.11.2002 è stato approvato il Programma di Sviluppo Integrato delle Colline Romane: Programma che sembra, in parte qua, avere natura definitiva, e che è stato allegato ad un ulteriore Protocollo d’intesa sottoscritto da enti pubblici (tra cui la Regione Lazio) e da rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori interessate: Programma Integrato non unito agli atti di causa nei quali, invece, è stata esibita copia del detto Protocollo d’intesa (sottoscritto come sopra) in cui, fra l’altro:
- si ribadisce che le agevolazioni che il Patto intende offrire alle imprese interessate a manifestare il relativo interesse sono di natura procedurale e quindi, di fatto, consistono nell’attivazione di una corsia privilegiata per la tempestiva definizione dei relativi progetti;
- si puntualizza che gli impegni assunti dai sottoscrittori dei due precedenti Protocolli d’Intesa si intendono parte integrante dell’Accordo che si viene a siglare;
- si individuano gli impegni dei vari soggetti (fra cui la Regione Lazio) sottoscrittori, mentre manca indicazione puntuale in ordine ai tempi di attuazione dei vari progetti;
- si individua nel Tavolo di Concertazione il Collegio di vigilanza di cui all’art.34 c.7 del T.U. n.267/2000;
- si approva il protocollo d’intesa ai sensi dell’art.34 del T.U. n.267/2000 e per gli effetti di cui all’art.2 c.203 della legge n.662 del 1996.
A tali attività negoziali sono poi seguiti - per quanto di interesse ai fini dell’odierna controversia - la pubblicazione dell’Avviso e le ulteriori vicende già descritte in narrativa (cui, pertanto, si rinvia) che hanno cagionato la conclusione negativa della procedura relativa all’approvazione del progetto della ditta ricorrente.
II)- Si può, a questo punto, trattare delle censure dedotte in gravame il cui scrutinio non segue, anche per ragioni di comodità espositiva, l’ordine in cui stesse sono ivi prospettate.
II.a)- La prima doglianza che, per ragioni di ordine logico va esaminata, è quella indirizzata, non all’ASP che ha adottato la impugnata determina negativa di conclusione del procedimento ma, alla Regione Lazio colpevole, secondo la prospettazione di parte, di aver tradito lo spirito dell’art.10 bis a garanzia del buon andamento e della trasparenza dell’azione amministrativa. E ciò anche in quanto la ditta ricorrente aveva apportato, su precisa indicazione della Regione, delle modifiche al progetto originario al fine di garantirne un “miglior inserimento paesistico”.
La tesi attorea non è condivisibile.
O si considera la valutazione eseguita dalla Regione come una sorta di atto avente natura endoprocedimentale nell’economia di un procedimento destinato a concludersi con il provvedimento dell’ASP impugnato ovvero si considera tale valutazione regionale come idonea a comportare un arresto definitivo del procedimento il cui atto formalmente conclusivo non può avere altro che portata ricognitiva e dichiarativa di un effetto lesivo che è già maturato e si è consumato nel momento in cui l’interessato è venuto a conoscenza della predetta valutazione regionale.
Ora nel ricorso introduttivo del giudizio la parte sembra propendere per la prima di tali tesi, rendendo agevole la considerazione che, in tal caso, la censura avrebbe dovuto essere indirizzata non, come avvenuto, nei confronti della Regione ma dell’ASP che, prima di concludere il procedimento, avrebbe dovuto comunicare all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento del progetto.
Ma anche nel caso in cui la tesi effettivamente seguita sia la seconda, la censura sarebbe parimenti priva di pregio omettendo parte ricorrente di considerare che egli è stato presente alla conferenza di servizi del 14.12.2011 nel corso della quale è stato esibito il parere negativo dell’Area regionale competente ed è stato ribadito lo stesso parere dal rappresentante delegato dalla Regione ad esprimere definitivamente il parere unico regionale.
Orbene, se tale circostanza apre interrogativi sulla tempestività del gravame (che la sua infondatezza nel merito esime dall’approfondire), in ogni caso evidenzia che il risultato cui tende la comunicazione dei motivi ostativi di cui all’art.10 bis citato era stato, nella vicenda in esame, sostanzialmente e fattivamente conseguito; e che il ricorrente, ove effettivamente interessato, ben avrebbe potuto - prima della formale conclusione del procedimento avvenuta, oltre quattro mesi dopo, con la determina ASP impugnata - produrre, come peraltro fatto in occasione delle precedenti Conferenze di servizi, osservazione e documenti ai sensi dell’art.10 bis citato.
II.b)- Vanno ora esaminate le censure mirate alla demolizione giurisdizionale della delibera n.532/2007 con cui la Regione Lazio ha approvato le Linee guida per la valutazione urbanistica degli ricompresi nei Patti territoriali. Assume parte ricorrente che dette Linee guida:
- equivalgono ad un atto di pianificazione che la Regione ha adottato extra ordinem, in assenza di ogni recapito normativo, su un’area priva di interesse storico culturale e paesaggistico;
- non potevano trovare applicazione in quanto l’approvazione della variante al P.r.g. del comune di Gallicano nel Lazio costituiva “un atto dovuto e privo di discrezionalità” rispetto alle prerogative dell’ente locale; e tanto anche ai sensi dell’art.27 bis c.1 bis della L.r. Lazio n.24 del 1998;
- sono nulle per “non essere state adottate in seno e secondo le procedure di Patto” ed in quanto violano gli accordi siglati col Primo protocollo d’intesa del 18.9.2001 che assegnano al Tavolo della Concertazione il ruolo di “unica sede per le attività di pianificazione, confronto e monitoraggio di quelle azioni di sviluppo del territorio direttamente collegate col progetto complessivo di Patto territoriale”;
- sono inapplicabili ratione temporis perché il procedimento deve rispondere alle regole del bando del 2005 e perché assunte in contrasto col Tavolo della concertazione del 21.6.2010 che ha votato per l’inapplicabilità delle Linee ai bandi anteriori alla sua adozione;
- sono in contrasto col P.t.p.r. vigente che disciplina le aree agricole ed in contrasto col P.t.p. vigente che consentirebbe l’intervento della ditta ricorrente;
- sono erroneamente applicate in quanto le stesse Linee prevedono delle eccezioni al divieto di insediamento di nuove attività produttive in zona agricola.
Nessuna delle censure sopra passate in rassegna si presenta dotata di attitudine persuasiva.
Si è detto nei precedenti paragrafi che l’agevolazione offerta dal Patto territoriale delle Colline Romane consiste nella flessibilità amministrativa” e cioè nello snellimento e nella velocizzazione delle procedure amministrative pubbliche funzionali all’approvazione degli interventi proposti. E se è pur vero che la Regione Lazio - che non ha partecipato ai protocolli d’intesa dell’1.10.2001 e dell’11.2.2002 - ha sottoscritto l’Accordo del 04.11.2002, è pure vero che nessuno degli impegni ivi assunti e che l’ente stesso era tenuto ad osservare comportava e/o comporta abdicazione alcuna alle competenze ex lege spettanti a ciascuno dei soggetti pubblici, ivi compresa la Regione, coinvolti. Una tal abdicazione o una eventuale delega delle competenze che alla Regione spettano nel governo del territorio a favore - come si assume in gravame - del Tavolo della concertazione è (oltre che di dubbia legittimità) del tutto assente dagli impegni assunti dalla Regione il 04.11.2002 e meglio specificati alla pag. 9 del Protocollo d’intesa in quella data sottoscritto. E peraltro:
- non va dimenticato che l’Accordo del 04.11.2002 è stato approvato ai sensi dell’art.34 del T.u.e.l.; e quindi in quanto tale ha determinato in capo alle parti pubbliche l’obbligo di ottemperare agli impegni assunti con la sottoscrizione: ma tanto nel rispetto delle competenze proprie di ciascuna amministrazione;
- non è evincibile dall’Accordo sottoscritto, né dai Protocolli d’intesa precedenti che nell’Accordo sono richiamati e del quale (ved. ultimo periodo delle Premesse, a pag.3) vengono a costituire parte integrante, alcuna deroga alle competenze pubblicistiche od alcuna investitura in capo al Tavolo della Concertazione delle competenze (all’adozione di atti, pareri, provvedimenti) facenti capo alla Regione; mentre la circostanza che il Primo protocollo d’intesa del 18.9.2001 ha assegnato al Tavolo della Concertazione il ruolo di “unica sede per le attività di pianificazione, confronto e monitoraggio di quelle azioni di sviluppo del territorio direttamente collegate col progetto complessivo di Patto territoriale” non consente di equivocare sul termine “pianificazione” che deve essere inteso non come “pianificazione urbanistica” ma nell’accezione secondo la quale al Tavolo compete solo la valutazione congiunta della programmazione (sinonimo di “pianificazione”) delle iniziative imprenditoriali e non una analoga valutazione del rapporto tra tali iniziative e gli strumenti pianificatori comunali e sovra comunali che rimane riservata agli enti cui la Legge la conferisce;
- è dunque da escludere che le Linee guida regionali per la valutazione urbanistico - paesaggistica delle varianti ai piani regolatori generali comunali, quale documento includente i criteri di massima cui uniformare detta specifica valutazione, dovessero essere assunte od assentite dal Tavolo della concertazione. Si tratta di un atto che, ovviamente, non può essere equiparato ad uno strumento di pianificazione urbanistica o paesaggistica traducendosi in una manifestazione di corretta amministrazione che l’ente Regione - cui sono state trasferite sin dal 1972, col d.P.R. n.8 di quell’anno, le funzioni amministrative dello Stato in materia di urbanistica e viabilità e cui spetta sia l’approvazione del p.r.g. che delle relative varianti - può adottare al fine di regolare e/o fornire dei criteri indicativi per rendere più trasparente e lineare esercizio di una funzione di cui è legislativamente titolare.
Ma le dette Linee guida si sottraggono anche agli ulteriori profili di doglianza dedotti. In primo luogo, esse non segnano alcun rapporto di confliggenza col P.t.a. e le sue NN.tt.aa. Il punto 1) della parte motiva della deliberazione regionale infatti indica quale primo criterio la “compatibilità degli interventi col P.t.p e le sue NN.tt.aa., con le norme generali di tutela paesaggistica di cui alla L.r. n.24/1998, con le norme regionali sulle aree protette naturali, nonché con le norme di cui al d.P.R. n.357/1997 per le ZPS ed i SIC”. E tanto fermo restando che la Regione ha preso atto che l’intervento proposto ricade in area non soggetta a vincolo paesistico e che il dissenso dalla stessa formulato si esaurisce nel ritenere il progetto “non meritevole di approvazione sotto il profilo urbanistico”; a tanto accede che quei profili di doglianza imperniati sul contrasto tra detta valutazione regionale e la normativa di P.t.p. o di P.t.p.r. non sono correttamente centrate.
Considerazioni non dissimili si impongono pertanto con riferimento alla deduzione che addebita alle Linee guida il contrasto col il comma 1 bis dell’art.27 bis della L.r. n. 24 del 1998: norma che consente di approvare la variazione al P.r.g. allorquando le adottate varianti alle zone “E” (con destinazione agricola) ricadono in aree che il P.t.p. considera di scarso pregio paesistico e cui, in forza di tanto, riserva il livello minimo di tutela.
Valgono al riguardo le constatazioni sopra descritte. La circostanza che la disciplina paesaggistica regionale non considera, in via di eccezione, ad essa ostativa l’approvazione di varianti alle zone “E” classificate, nel P.t.p., come zone di modesto pregio paesaggistico, significa solamente che tali interventi in variante, ove approvati, sono compatibili col disegno paesaggistico regionale; ma tanto non altera la valutazione negativa dell’amministrazione regionale sul progetto Sordi che è stata dettata dall’esigenza di tutelare, non l’interesse paesaggistico ma, quello urbanistico. Quindi detta censura, che ripete sostanzialmente quella rassegnata nel primo mezzo di gravame, è, in entrambi i casi, priva di giuridico pregio. E d’altronde v’è da dire che la problematica legata al bilanciamento degli interessi in gioco presenta certamente aspetti destinati a suscitare ancora ampi dibattiti in materia, non potendo negarsi il timore di un’evoluzione degli obiettivi negoziali atta a favorire eccessivamente gli interessi particolari dei privati a detrimento delle finalità generali tutelate dal livello istituzionale. La funzionalità del rapporto tra patti territoriali e istanze di sviluppo locale determina, infatti, in molti casi un potenziamento delle iniziative imprenditoriali a livello sub-regionale, rendendo necessario per le amministrazioni partecipanti alle procedure negoziate bilanciare in senso adeguato i crescenti interessi legati allo sviluppo socio-economico con le esigenze di tutela della naturale vocazione dei territori. Ed è proprio questa la preoccupazione che emerge dalle Linee guida regionali in cui si richiede non soltanto la compatibilità degli interventi col piano paesaggistico e con le aree protette naturali ma si esclude la possibilità dell'insediamento di nuove attività produttive, quale quella della ditta ricorrente, in zona agricola ammettendo solamente, ed in via di eccezione, quelle iniziative comunque marginali rispetto al contesto urbano circostante. Tale marginalità, all'evidenza non è stata riscontrata nel progetto in questione che copre una superficie pari a 1360 m quadri e sviluppa una volumetria pari a 6720 m³: una volumetria che, nella Relazione allegata dalla resistente Regione alla propria memoria difensiva, viene definita “fuori scala” rispetto alla superficie del lotto stesso priva, peraltro, di infrastrutture idonee ad accogliere l’intervento imprenditoriale proposto e (una volumetria) che evidenzia la non consentita applicazione dell’eccezione (alla regola generale del diniego approvazione di varianti in zone agricole per consentire l’insediamento di nuove attività produttive estranee al contesto agricolo) prevista nelle Linee Guida: eccezione che è circoscritta alle sole ipotesi di interventi in zone “compromesse” ( concetto del tutto diverso dal “modesto pregio paesaggistico” che l’area in questione riceve nel P.t.p.), “comunque marginali o interstiziali rispetto al contesto urbano circostante” : marginalità ovviamente non riscontrabile e non riscontrata nel caso di specie.
Residua da trattare la doglianza con cui si lamenta che le Linee guida regionali sono inapplicabili ratione temporis (viziando così in via derivata il parere negativo regionale) perché il procedimento (concernente il progetto della ditta ricorrente) deve rispondere alle regole del bando del 2005 e perché assunte in contrasto col Tavolo della concertazione del 21.6.2010 che ha votato per l’inapplicabilità delle Linee ai bandi anteriori alla sua adozione.
Trattasi di censura non convincente; e ciò in quanto nella seduta del 21.6.2010 il Presidente propone all’assemblea di deliberare con riguardo alla del. G.R. n.532/2007 “di conferire il mandato al soggetto responsabile ASP ….. di predisporre istanza alla regione Lazio per la convocazione di un incontro volto a definire, in via risolutiva ed attraverso una procedura chiara e trasparente, i campi di applicazione della delibera (ndr: n.532 cit.) nel Patto Territoriale delle Colline Romane al fine di trovare una immediata risposta ai sospesi in itinere relativamente a tali problematiche” (ved. all.16 ric., pagg. 14 e 17): proposta che, nella stessa seduta, risulta approvata all'unanimità dal Tavolo di concertazione, ma che negli atti di causa non risulta temporalmente seguita da alcun atto di adesione o dissenso da parte della Regione Lazio che di tale proposta avrebbe dovuto esserne la destinataria.
Conclusivamente il ricorso è infondato in ordine a tutti i profili censori trattati e deve essere respinto.
Ad avviso del Collegio sussistono i presupposti, ai sensi dell’art.92 c.p.c.., per come richiamato espressamente, dall'art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge, come da motivazione, il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere, Estensore
Francesco Arzillo, Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/11/2014





 

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