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T.A.R. TOSCANA - FIRENZE - SEZIONE I - Sentenza 16 giugno 2014 n. 1064
Pres. P. Buonvino, Est. P. Grauso
Centro Nautico Toscano S.p.a. (Avv.ti R. Righi, A. Vannucci Zauli e F. Frati) contro il Comune di Viareggio (Avv.ti C. Buccheri e M. L. Iascone), la Provincia di Lucca (n.c.) e la Regione Toscana (Avv. G. Vincelli)


1. Edilizia ed urbanistica - Previsione urbanistica che subordina il recupero di una area alla destinazione all’uso pubblico del 40% della superficie complessiva – Che subordina interventi di adeguamento alla cessione gratuita - Illegittimità

 

2. Edilizia ed urbanistica - Carattere precario di un’opera – Agevole rimovibilità – Soddisfacimento di esigenze meramente temporanee - Necessità

 

3. Edilizia ed urbanistica - Rinnovo dell’ordine di demolizione - Obbligo di previa pronuncia sull’istanza di rilascio della concessione in sanatoria - Necessità

 

 

1. È illegittima la previsione urbanistica impugnata nella parte in cui subordina il recupero dell’area in esame alla destinazione all’uso pubblico del 40% della superficie complessiva dell’area stessa, ovvero gli interventi di adeguamento consentiti anche al di fuori del piano di recupero alla cessione gratuita dell’area destinata a viabilità posta lungo il confine sud del comparto. La soppressione di qualsivoglia previsione di sviluppo edificatorio aggiuntivo ha infatti reso priva di corrispettività la cessione, il cui mantenimento l’amministrazione non è stata in grado di giustificare sul piano causale. La previsione è peraltro irrazionale e contraria ai principi della pianificazione urbanistica, introducendo standard aggiuntivi e nuove destinazioni pubbliche delle quali la necessità non sarebbe stata comprovata all’interno del procedimento per la formazione della variante; né l’incremento degli standard e delle destinazioni pubbliche potrebbe ritenersi giustificato da un aumento del carico urbanistico sull’area.

 

2. È noto che il carattere precario di un’opera dipende non tanto da profili di ordine strutturale, quanto dalla destinazione funzionale e dall'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata, potendosi considerare manufatti precari quelli agevolmente rimovibili e volti a soddisfare esigenze meramente temporanee, inidonei a determinare una stabile alterazione degli assetti territoriali (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850; id., sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 986). Nella specie, il capannone per cui è causa non soltanto è infisso al suolo, ma, soprattutto, ha continuato e continua ad essere utilizzato ben al di là delle particolari esigenze produttive che ne avevano occasionato la realizzazione.

 

3. Gli ordinari canoni di buona amministrazione impongono alle Amministrazioni, prima di fare luogo ad un rinnovo dell’ordine di demolizione, di pronunciarsi sull’istanza di rilascio della concessione in sanatoria, giacché i principi di economicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa ostano all’esercizio del potere sanzionatorio ogniqualvolta la medesima autorità sia stata preventivamente chiamata a valutare la possibile sanabilità dell’abuso (non può essere sanzionato ciò che potrebbe ancora essere sanato: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 628 del 1998, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Righi, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Firenze, via Lamarmora 14;

contro



Comune di Viareggio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;

 

Provincia di Lucca;

 

Regione Toscana, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Vincelli, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale in Firenze, piazza dell’Unita' Italiana 1;

 


sul ricorso numero di registro generale 2266 del 2001, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Righi, Antonio Vannucci Zauli e Francesco Frati, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Firenze, via Lamarmora 14;

contro



Comune di Viareggio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;

 


sul ricorso numero di registro generale 2740 del 2001, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Righi e Antonio Vannucci Zauli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Firenze, via Lamarmora 14;

contro



Comune di Viareggio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;

 


sul ricorso numero di registro generale 2159 del 2007, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Righi, Antonio Vannucci Zauli e Francesco Frati, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Firenze, via Lamarmora 14;

contro



Comune di Viareggio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;

per l'annullamento,



quanto al ricorso n. 628 del 1998:
delle prescrizioni urbanistiche relative alla sottozona DR5 FERVET, contenute nella variante al PRG "per il recupero del patrimonio edilizio esistente e di adeguamento degli standard urbanistici" del Comune di Viareggio, definitivamente approvata con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 66 del 26.10.97, già adottata con deliberazione consiliare n. 38 del 04.06.1996 e modificata con deliberazione consiliare n. 50 del 28.07.1997 a seguito dell'accoglimento delle osservazioni, nella parte in cui all'interno della sottozona DR5 Fervet" riguardante aree di proprietà della ricorrente ha inteso subordinare la ristrutturazione urbanistica del complesso produttivo esistente ad un "piano di recupero unitario" prevedente la cessione e la destinazione a spazi pubblici del 40% dell'intera area, nonchè nella parte in cui ha altresì previsto la subordinazione degli interventi di adeguamento tecnologico di alcuni degli edifici industriali esistenti alla cessione gratuita dell'area destinata a viabilità lungo il confine sud della zona DR5 e quindi per annullamento integrale o parziale di tali prescrizioni urbanistiche contenute nella N.T.A. impugnata;

quanto al ricorso n. 2266 del 2001:
dell’ordinanza - diffida a demolire n. 85 dell'11.07.2001 emessa dal Dirigente del Settore "Urbanistica - Edilizia Privata" del Comune di Viareggio con la quale si è ordinato alla ricorrente alla ricorrente di "procedere entro 90 giorni dalla notifica della presente diffida alla demolizione delle seguenti opere poste in Viareggio Via Indipendenza 24; costruzione di un capannone in carpenteria metallica delle dimensioni di mt. 50 X mt. 45 coperto con lamiera grecata con ripristino dello stato antecedente dei luoghi, con avvertimento che, in difetto e scaduto il termine suddetto, si procederà all'esecuzione coattiva a cura del Comune ed a spese dei responsabili dell'abuso;

quanto al ricorso n. 2740 del 2001:
della decisione del 02.10.2001 del Dirigente del Settore Edilizi ed Urbanistica del Comune di Viareggio con la quale è stato respinto il progetto di piano di recupero di iniziativa privata presentato dalla ricorrente con riferimento alla sottozona DR5 del PRG di Viareggio;

quanto al ricorso n. 2159 del 2007:
della determinazione prot. n. 1690 in data 4 settembre 2007, a firma del Dirigente del Settore 5° (ad interim) del Comune di Viareggio, con la quale è stata rigettata la proposta di piano di recupero in variante allo strumento urbanistico, avanzata, ex. art. 5 del D.P.R. n,. 447/1998, dalla Società ricorrente, e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, nonché per la condanna
dell' Amministrazione comunale al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla società ricorrente per effetto del diniego illegittimamente opposto, nonché anche a causa del ritardo con il quale la P.A ha emesso il provvedimento di diniego (di cui al ricorso T.A.R. Toscana R.G. 1103/2007, sez. III) danni consistenti nel danno emergente e nel lucro cessate e quantificati nella somma che sarà accertata in corso di causa o da ritenere di giustizia in via equitativa.

 


Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Viareggio e della Regione Toscana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2014 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


FATTO



La Centro Nautico Toscano S.p.a. (di seguito, C.N.T. S.p.a.), attiva nel settore nautico della costruzione di imbarcazioni da diporto a motore di grandi dimensioni, ha rilevato nel dicembre del 1991 la Fervet, azienda metalmeccanica dismessa che operava da oltre sessant’anni nel settore ferroviario, perché interessata a dotarsi di uno stabilimento di dimensioni adeguate e avente facile sbocco sul mare, in aggiunta a quelli già posseduti da essa C.N.T. nella zona industriale di Montramito, nel Comune di Massarosa: a questi requisiti risponde, appunto, l’area occupata dallo stabilimento ex Fervet, situata nella zona della darsena del Comune di Viareggio e già da tempo oggetto di attenta considerazione e di confronto tra i suoi proprietari e l’amministrazione comunale ai fini del conferimento di una destinazione urbanistica idonea allo svolgimento della cantieristica nautica. Risale infatti al 1988 il protocollo concordato dalla allora proprietaria Fervet con il Comune onde individuare i criteri direttivi da seguirsi nella ristrutturazione urbanistica dell’area, sulla quale – già destinata dal P.R.G. approvato nel 1971 a “zona per attrezzature per i trasporti” – si sarebbe dovuto prevedere il mantenimento della destinazione industriale in essere, con l’ulteriore previsione di un incremento volumetrico destinato a edilizia commerciale, direzionale e residenziale a fronte della cessione gratuita al Comune di suolo per viabilità, parcheggi e giardini in misura pari al 40% della superficie dell’intera area.
Avendo la cessazione dell’attività da parte di Fervet impedito il perfezionamento del protocollo, nel febbraio del 1992 un accordo fra la C.N.T., frattanto subentrata nella proprietà dell’area, alcuni ex dipendenti della Fervet e i rappresentanti sindacali ha previsto la ristrutturazione del complesso produttivo esistente, in modo da realizzarvi una struttura adeguata alla costruzione e all’allestimento di imbarcazioni, nonché l’utilizzazione di una parte dell’area per altre destinazioni, eventualmente anche di uso pubblico e urbanistico. Tali obiettivi sono stati recepiti nel progetto preliminare del nuovo P.R.G. di Viareggio, risalente al giugno del 1992, che, attraverso la presentazione di un piano di recupero, consentiva la ristrutturazione dell’area con caratteristiche più adeguate alla morfologia del sito e l’affiancamento al complesso produttivo di un piccolo quartiere residenziale, in parte da destinare a edilizia pubblica, oltre agli spazi per la viabilità e i parcheggi.
In conformità al progetto, con deliberazione del 19 ottobre 1995 il Comune di Viareggio ha quindi avviato il procedimento per l’adozione della variante al P.R.G. vigente e, per quanto qui interessa, di una normativa di attuazione che sottoponeva la ristrutturazione dell’area ex Fervet all’approvazione di un piano di recupero subordinato alla destinazione del 40% dell’intera area a spazi pubblici, alla definizione del sistema della viabilità secondo lo schema allegato e alla conservazione delle attività produttive esistenti, con possibilità di scorporare un’area di 7000 mq da destinarsi a residenza e attività terziarie per un volume complessivo di 15000 mc. In assenza del piano di recupero, uniche attività ammesse erano quelle di manutenzione ordinaria e straordinaria, con divieto di cambio di destinazione d’uso.
In sede di definitiva adozione della variante, intervenuta con delibera consiliare del 4 gennaio 1996, dalla norma di attuazione dell’area ex Fervet, classificata DR5, è stata stralciata la previsione dell’incremento volumetrico, ferma restando la prescrizione inerente la obbligatoria destinazione pubblica del 40% dell’area. Alle osservazioni della odierna ricorrente, che avevano riguardo non solo al venir meno della corrispettività fra obblighi di cessione gratuita di suolo al Comune e possibilità di fare luogo ad incrementi volumetrici, ma anche alla esigenza di adeguare lo stabilimento produttivo alle necessità dell’allestimento navale, ha fatto seguito la riformulazione delle N.T.A. per la sottozona DR5 nel senso di consentire per alcuni degli edifici interni al compendio produttivo l’adeguamento delle altezze, ovvero la demolizione e ricostruzione, interventi comunque subordinati alla cessione gratuita dell’area destinata a viabilità lungo il confine sud dell’area; e le norme tecniche così modificate hanno formato oggetto di approvazione della variante, ad opera della deliberazione consiliare n. 66 del 27 ottobre 1997.
Avverso la dianzi menzionata delibera di approvazione della variante al P.R.G., nelle parti relative agli obblighi di destinazione del 40% del terreno a spazi pubblici nell’ambito del recupero dell’area ex Fervet e di cessione gratuita delle aree destinate a viabilità per l’esecuzione degli interventi di adeguamento tecnologico dei capannoni industriali insistenti sulla medesima area, la società Centro Nautico Toscano ha proposto dinanzi a questo tribunale un primo ricorso, rubricato al n. 628 R.G. 1998, chiedendone l’annullamento sulla scorta di tre motivi in diritto.
Con separati ricorsi, la C.N.T. ha quindi impugnato una serie di atti e provvedimenti successivamente adottati dal Comune di Viareggio, e segnatamente:
- l’ordinanza-diffida a demolire il capannone in carpenteria metallica realizzato nell’anno 2000 sull’area ex Fervet per fare fronte alla commessa della costruzione di dieci yacht a motore di trentatre metri entro il 2003; l’ordinanza, risalente all’11 luglio 2001, è stata impugnata con il ricorso iscritto al n. 2266 R.G. 2001, in seno al quale, con distinti atti di motivi aggiunti, sono stati altresì impugnati l’ordinanza del 16 febbraio 2002, recante ingiunzione a demolire il medesimo capannone in carpenteria metallica, e il diniego, in data 22 marzo 2005, dell’accertamento di conformità richiesto dalla ricorrente relativamente al manufatto in questione;
- la decisione del 2 ottobre 2001, recante il diniego di approvazione del piano di recupero presentato dalla ricorrente per la sottozona DR5 – ex Fervet, impugnata con il ricorso n. 2740 R.G. 2001;
- il diniego di approvazione, pronunciato dal Comune in data 4 settembre 2007, sulla nuova proposta di piano di recupero dell’area ex Fervet presentata dalla ricorrente il 17 luglio 2006, ai sensi dell’art. 5 D.P.R. n. 447/1998, diniego impugnato con il ricorso iscritto al n. 2159 R.G. 2007.
I tre giudizi più risalenti hanno seguito un percorso processuale parallelo, venendone dapprima disposta la sospensione con ordinanze del 15 marzo 2004, in attesa della definizione in appello della controversia pregiudiziale definita dallo stesso T.A.R. Toscana con la sentenza n. 5271/2003, che aveva integralmente annullato la medesima variante al P.R.G. di Viareggio impugnata da C.N.T. con il ricorso n. 628/1998; e, a seguito di riassunzione (la citata sentenza n. 5271/2003 era stata infatti riformata dal Consiglio di Stato con decisione n. 9205/2003 di improcedibilità del ricorso), venendone quindi dichiarata l’interruzione.
Nuovamente riassunte, le cause sono state cancellate dal ruolo il 26 ottobre 2011 sull’accordo delle parti (una prima cancellazione era intervenuta il 18 dicembre 2007), per poi essere discusse e trattenute per la decisione nella pubblica udienza del 19 marzo 2014. Va precisato che nell’ambito del giudizio n. 2266/2001 R.G., sono state accolte le istanze cautelari proposte dalla ricorrente per la sospensione dell’efficacia dell’ingiunzione di demolizione del 26 febbraio 2002 e del verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione medesima (quanto al secondo provvedimento, l’accoglimento è avvenuto in appello ad opera del Consiglio di Stato, dopo l’iniziale rigetto da parte del T.A.R.).
Parimenti, nella pubblica udienza del 19 marzo è stato discusso e trattenuto per la decisione il più recente dei ricorsi (R.G. n. 2159/2007), che, nelle more, aveva visto la società ricorrente rinunciare alla domanda cautelare originariamente proposta.

DIRITTO



Come riferito in narrativa, tra la società Centro Nautico Toscano e il Comune di Viareggio è da lungo tempo insorto un articolato contenzioso, vertente sulla disciplina urbanistico-edilizia dell’area in passato occupata dallo stabilimento industriale Fervet e oggi dai cantieri navali della ricorrente, identificata come sottozona DR5 dalla variante al P.R.G. comunale approvata con deliberazione n. 66 del 27 ottobre 1997. A seguito dell’approvazione di detta variante, impugnata con il ricorso n. 628/1998 R.G., i piani di recupero urbanistico dell’area presentati dalla proprietà sono stati respinti dal Comune con provvedimenti che formano l’oggetto dell’impugnativa nei ricorsi nn. R.G. 2740/2001 e 2159/2007, mentre il ricorso n. R.G. 2266/2001 è diretto contro i provvedimenti adottati dal Comune per reagire all’avvenuta edificazione, asseritamente abusiva, di un capannone in carpenteria metallica della superficie di 50 x 54 ml.
Evidenti ragioni di connessione soggettiva e parzialmente oggettiva, posto che alcune delle censure articolate con i ricorsi più recenti argomentano dalla pretesa illegittimità della disciplina urbanistica gravata con l’impugnazione del 1998, rendono opportuna la riunione delle cause. Per economia espositiva, ciascuna controversia sarà nondimeno trattata individualmente, salvi gli eventuali rinvii, ove necessari.

 


Sul ricorso n. 628/1998 R.G..
Con il primo motivo di gravame, la ricorrente C.N.T. lamenta che la norma attuativa della disciplina urbanistica della sottozona DR5, contenuta nella variante al P.R.G. del 27 ottobre 1997, sarebbe stata approvata in violazione del procedimento formativo previsto dall’art. 40 della legge regionale n. 5/1995: la norma sarebbe stata infatti introdotta dal Comune nella sede, inappropriata, della risposta alle osservazioni, peraltro senza che vi fosse alcun collegamento tra l’osservazione presentata dalla ricorrente e la modifica diretta apportata al piano regolatore adottato, ed in mancanza di idonea motivazione a sostegno dell’iniziativa assunta dall’amministrazione procedente. Essa inoltre, nella misura in cui porrebbe a carico di C.N.T. una atipica prestazione patrimoniale imposta, contraddirebbe le premesse della delibera contenente le controdeduzioni alle osservazioni e della stessa delibera di avvio del procedimento di variante al P.R.G., dichiaratamente improntate alla eliminazione dei possibili freni allo sviluppo delle attività produttive. In ogni caso, proprio per il suo contenuto radicalmente innovativo, la riformulazione della disciplina urbanistica dell’area ex Fervet avrebbe richiesto il rinnovo della pubblicazione della variante, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 1150/1942.
Ancora, la Regione Toscana, nell’esprimere il proprio parere sulla variante, avrebbe dovuto pronunciarsi espressamente anche sulle osservazioni della ricorrente volte alla riformulazione della disciplina, essendo del resto ben consapevole delle lacune presenti nel procedimento di approvazione seguito dal Comune di Viareggio, come si ricaverebbe dalla nota 17 ottobre 1997 di trasmissione al Comune della memoria fatta pervenire dalla C.N.T. alla Regione. A sua volta il Comune, una volta ricevuta quella memoria, avrebbe dovuto farsene carico e valutare la consistenza delle criticità ivi evidenziate.
Con il secondo motivo, vengono fatti valere i vizi sostanziali della disciplina dell’area ex Fervet, la quale sarebbe manifestamente irragionevole e violativa dei limiti connaturati alla pianificazione urbanistica, venendo a subordinare a prestazioni patrimoniali imposte in favore dell’amministrazione interventi che, ordinariamente, neppure sarebbero soggetti al rilascio di titoli abilitativi.
Con il terzo motivo, infine, è dedotta l’illegittimità della prevista destinazione all’uso pubblico del 40% della superficie disponibile, cui la variante impugnata condiziona il recupero urbanistico dell’area: la soppressione di qualsivoglia previsione di sviluppo edificatorio aggiuntivo avrebbe infatti reso priva di corrispettività la cessione, il cui mantenimento l’amministrazione non sarebbe stata in grado di giustificare sul piano causale. La previsione sarebbe peraltro irrazionale e contraria ai principi della pianificazione urbanistica, introducendo standard aggiuntivi e nuove destinazioni pubbliche delle quali la necessità non sarebbe stata comprovata all’interno del procedimento per la formazione della variante; né l’incremento degli standard e delle destinazioni pubbliche potrebbe ritenersi giustificato da un aumento del carico urbanistico sull’area.
Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono fondate.
La disciplina urbanistica della sottozona DR5, introdotta dall’impugnata variante generale del 1997 ed ancora pacificamente in vigore (in conseguenza della mancata definizione dell’iter di approvazione del regolamento urbanistico, la cui delibera di adozione è stata revocata dal Comune nel luglio 2012), subordina la ristrutturazione dell’area a un piano di recupero unitario condizionato al rispetto di una serie di prescrizioni, prima fra tutte quella della destinazione del 40% dell’intera superficie a spazi pubblici (viabilità, parcheggi, aree a verde, attrezzature, residenza sociale). In parziale accoglimento delle osservazioni presentate dalla odierna ricorrente alla variante adottata, detta disciplina è stata peraltro modificata nel senso di consentire, anche al di fuori del piano di recupero, l’esecuzione di interventi di adeguamento di alcuni degli edifici presenti nel comparto, subordinatamente alla cessione gratuita dell’area destinata a viabilità lungo il confine sud della zona DR5.
Nel progetto posto a base della delibera di avvio del procedimento di variante, la riserva del 40% della superficie da destinare a spazi pubblici si accompagnava alla possibilità, poi non confermata in sede di approvazione della variante medesima, di scorporare una superficie di 7000 mq da destinarsi a residenza e attività terziarie con un limite di volumetria aggiuntiva pari a 15000 mc, risultando il prelievo a carico della proprietà giustificato dal nesso quasi sinallagmatico con il maggior valore derivante all’area dal previsto aumento volumetrico e dall’obiettiva esigenza di un incremento degli spazi da destinare alla città pubblica in previsione del maggior peso urbanistico gravante sulla zona. In altre parole, nella sua stesura originaria la disciplina della sottozona DR5 appariva riconducibile a un modello di urbanistica perequativo/compensativa compatibile con lo statuto costituzionale della proprietà, perché disegnato in modo che l’acquisto gratuito della disponibilità di suolo in capo al Comune si realizzasse senza compromissione della capacità edificatoria già in atto sull’area, bensì quale misura condizionante i possibili incrementi futuri di superficie e volumetria edificabili, rimanendo perciò all’interno dei limiti del potere conformativo dell’amministrazione; e, d’altro canto, l’operatività del meccanismo ablatorio – in ciò consistendo, evidentemente, la destinazione forzosa all’uso pubblico – era pur sempre fatta dipendere dall’iniziativa della proprietà, in alternativa dovendo il Comune fare ricorso al tradizionale strumento espropriativo (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4545).
L’abbandono del progetto iniziale e il venir meno della previsione di nuove destinazioni edificatorie nell’area ex Fervet rende non più immediatamente apprezzabile la valenza compensativa della disciplina urbanistica impugnata, nella misura in cui al prelievo di suolo in favore del Comune non corrisponde alcun premio volumetrico incentivante per il privato proprietario; né vi è alcuna evidenza del fatto che la ristrutturazione urbanistica dell’area renda di per sé necessario – pur in assenza di nuove volumetrie – il recupero di maggiori superfici da destinarsi all’uso pubblico, di talché quest’ultimo possa ritenersi pur sempre giustificato in chiave di compensazione degli svantaggi arrecati alla collettività dal piano di recupero dell’area. Le criticità più evidenti investono la previsione di un contributo, in termini di suolo da destinare all’uso pubblico, richiesto in misura fissa e avulsa dai contenuti concreti del piano di recupero, trattandosi dunque di una prestazione imposta che non solo prescinde dalla volontà del proprietario, ma è indipendente dal reale impatto urbanistico dell’intervento di ristrutturazione e si traduce perciò in un sacrificio non giustificato, tale da integrare un esproprio sostanziale.
Colgono dunque nel segno le censure con cui la ricorrente fa valere, da un lato, l’irragionevolezza della previsione, e, dall’altro, l’assoluto difetto di istruttoria e motivazione in ordine alle ragioni del disposto incremento di destinazioni pubbliche relativamente al comparto DR5 (si veda, in particolare, il terzo motivo di ricorso), censure che, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa comunale, integrano nel loro insieme la contestazione delle valutazioni discrezionali operate dall’amministrazione nella determinazione degli standard, investendo nello specifico le scelte lesive dell’interesse di C.N.T. (la lite verte proprio sulla legittimità del prelievo imposto attraverso il presunto adeguamento degli standard). Con riguardo, ancora, ai profili attinenti alla sussistenza dell’interesse ad agire, si aggiunga che l’attualità di quest’ultimo discende dall’immediata lesività dell’impugnata previsione urbanistica, la quale vincola l’approvazione del piano di recupero alla cessione del 40% dell’area, di modo che il contenuto degli eventuali atti applicativi non potrebbe che essere quello imposto dalla norma e pregiudizievole per la ricorrente.
I medesimi vizi si trasmettono alla previsione, introdotta in sede di parziale accoglimento delle osservazioni presentate da C.N.T., della cessione delle aree destinate a viabilità lungo il confine sud dell’area a fronte di puntuali interventi di adeguamento su alcuni degli edifici ricadenti nel comparto, e questo a maggior ragione se si accede alla tesi del Comune, secondo cui la cessione delle sole aree destinate a viabilità costituirebbe una quota – anticipata – del prelievo complessivo del 40% illegittimamente imposto sull’intera area. Anche a voler attribuire una valenza autonoma alla previsione in esame, ancora una volta l’obbligo di cessione, se pure ridimensionato, non trova comunque corrispondenza nel riconoscimento di facoltà aggiuntive in favore della proprietà, e neppure è commisurato alla effettiva consistenza urbanistica degli interventi che vi sono subordinati (tutti gli interventi consentiti anche in mancanza del piano di recupero sono subordinati alla cessione dell’area destinata a viabilità, senza previsioni intermedie per l’ipotesi di realizzazione solo parziale degli interventi stessi).
In forza delle considerazioni che precedono, il ricorso, assorbito ogni residuo profilo di gravame, può trovare accoglimento, conducendo all’annullamento della previsione urbanistica impugnata, nella parte in cui subordina il recupero dell’area DR5 alla destinazione all’uso pubblico del 40% della superficie complessiva dell’area stessa, ovvero gli interventi di adeguamento consentiti anche al di fuori del piano di recupero alla cessione gratuita dell’area destinata a viabilità posta lungo il confine sud del comparto.

 


Sul ricorso n. 2266/2001 R.G..
Con l’atto introduttivo del giudizio, è impugnato l’ordine di demolizione pronunciato dal Comune di Viareggio l’11 luglio 2001 e avente ad oggetto il capannone in carpenteria metallica delle dimensioni di metri 50 x 45, con copertura in lamiera grecata, realizzato dalla società C.N.T. all’interno dell’area ex Fervet allo scopo di dare seguito alla commessa della costruzione di dieci yacht a motore di trentatre metri, con consegna entro la fine dell’anno 2003. L’impugnazione deve tuttavia ritenersi improcedibile per effetto della successiva presentazione, da parte della ricorrente, di un’istanza di accertamento di conformità la cui pendenza, secondo un consistente e qui condiviso indirizzo giurisprudenziale, determina il venir meno dell’interesse all’annullamento dell’ordine di demolizione (da ultimo, fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2013, n. 5704; id., sez. VI, 11 settembre 2013, n. 3528).
Nelle more della definizione del procedimento per l’accertamento di conformità del manufatto, il Comune ha peraltro rinnovato l’ordine di demolizione con il provvedimento dirigenziale del 26 febbraio 2002, a sua volta impugnato dalla ricorrente con il primo atto di motivi aggiunti. Ribadite in via di derivazione, con il primo motivo aggiunto, le censure già proposte avverso il provvedimento originariamente gravato, con il secondo motivo aggiunto – sostanzialmente riproduttivo del primo motivo di cui al ricorso – la C.N.T. afferma che il capannone da essa realizzato avrebbe carattere di precarietà strutturale e funzionale e, pertanto, configurerebbe opera di adeguamento tecnologico ovvero di manutenzione straordinaria all’interno del preesistente complesso industriale, con la conseguente sottoposizione non alla sanzione ripristinatoria disciplinata dall’art. 7 della legge n. 47/1985, ma, al più, alle sanzioni pecuniarie previste dall’art. 2 co. 60 della legge n. 662/1996 e dall’art. 33 della legge regionale toscana n. 52/1999.
Con il terzo motivo aggiunto, la ricorrente lamenta quindi che l’ordinanza in questione sia stata emessa nonostante la pendenza del procedimento avviato con la presentazione della domanda di concessione in sanatoria, e, con il terzo motivo aggiunto, deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui dispone, per il caso di inottemperanza all’ordine demolitorio, l’acquisizione al Comune di un’area di sedime ingiustificatamente estesa.
Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, possono essere accolte nei limiti di seguito precisati.
Preliminarmente, si osserva come l’ordine di demolizione dell’11 luglio 2001 non sia qualificabile in termini di atto preparatorio in virtù del suo contenuto inequivocabilmente precettivo e immediatamente pregiudizievole per l’interessata (l’ordine di procedere entro novanta giorni alla demolizione è accompagnato dal preavviso dell’esecuzione coattiva a cura del Comune, dovendosi perciò escludere che si tratti di semplice diffida). Analogo ed autonomo contenuto precettivo e pregiudizievole è rivestito dalla successiva ordinanza del 26 febbraio 2002, la quale non ha natura di atto consequenziale, ma costituisce rinnovato esercizio del potere sanzionatorio riconosciuto all’amministrazione procedente dall’art. 7 della legge n. 47/1985. Il provvedimento più recente non risente pertanto degli eventuali vizi del provvedimento pregresso, ciò che determina l’infondatezza del primo motivo aggiunto, volto a far valere un’illegittimità derivata implicante un inesistente rapporto di presupposizione fra i due provvedimenti.
Muovendo, pertanto, dalle censure dedotte con il secondo motivo aggiunto, e dalla tesi della ricorrente secondo cui le opere oggetto dell’ordine di demolizione non sarebbero in realtà soggette a concessione edilizia anche a norma dell’art. 22 del regolamento edilizio comunale, la documentazione in atti attesta come il capannone eretto dalla ricorrente (45 x 50 metri, con altezza di 12 metri in gronda e 14 metri al colmo) sia sostenuto da pilastri in acciaio ancorati su plinti interrati in calcestruzzo armato delle dimensioni di metri 2,5 x 2,5, con una parte della superficie posta in aderenza ad un manufatto in laterizio preesistente e il lato sud caratterizzato dalla realizzazione di una gettata interrata in calcestruzzo armato predisposta per lo scorrimento di chiusure scorrevoli (si vedano i verbali di accertamento dell’11 giugno 2001 e del 12 ottobre 2005). Il capannone, realizzato nel 2001 per allocarvi l’allestimento di dieci grandi imbarcazioni a motore da consegnare entro la fine del 2003, non risulta ad oggi essere stato smantellato.
Tanto premesso in fatto, è noto che il carattere precario di un’opera dipende non tanto da profili di ordine strutturale, quanto dalla destinazione funzionale e dall'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata, potendosi considerare manufatti precari quelli agevolmente rimovibili e volti a soddisfare esigenze meramente temporanee, inidonei a determinare una stabile alterazione degli assetti territoriali (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850; id., sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 986). Nella specie, il capannone per cui è causa non soltanto è infisso al suolo, ma, soprattutto, ha continuato e continua ad essere utilizzato ben al di là delle particolari esigenze produttive che ne avevano occasionato la realizzazione: anche ammesso che, in relazione a dette specifiche esigenze, l’intenzione iniziale fosse quella di dare vita ad un’opera funzionalmente precaria, la destinazione in concreto ricevuta dall’immobile nel corso del tempo ne rivela, al contrario, una stabilità – funzionale e strutturale – tale da esigere il rilascio del titolo abilitativo (ratione temporis, la concessione edilizia).
Nondimeno, ordinari canoni di buona amministrazione avrebbero richiesto che il Comune resistente, prima di fare luogo al rinnovo dell’ordine di demolizione, si pronunciasse sull’istanza di rilascio della concessione in sanatoria del 22 dicembre 2001, giacché i principi di economicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa ostano all’esercizio del potere sanzionatorio ogniqualvolta la medesima autorità sia stata preventivamente chiamata a valutare la possibile sanabilità dell’abuso (non può essere sanzionato ciò che potrebbe ancora essere sanato: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).
Inoltre, l’ordinanza del 26 febbraio 2002 quantifica in 7000 mq il sedime da acquisire al patrimonio comunale in caso di mancata demolizione delle opere abusive, in assenza di qualsivoglia motivazione circa le modalità di delimitazione della superficie oggetto di acquisizione, di gran lunga superiore a quella occupata dal capannone, pari a 2250 mq. La determinazione assunta dal Comune risulta così viziata altresì per inosservanza dell’obbligo di esplicitare i criteri applicativi della regola dettata dall’art. 7 co. 3 della legge n. 47/1985, che circoscrive l’oggetto dell’acquisizione gratuita all’ “area necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive” (così Cons. Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1881).
Con riferimento a tali profili, le doglianze della ricorrente colgono dunque nel segno.
Sull’istanza per l’accertamento di conformità del capannone, il Comune di Viareggio si è infine pronunciato negativamente con il provvedimento dirigenziale n. 84 del 22 marzo 2005. In quanto nuova costruzione, ad avviso del Comune sarebbe occorsa la preventiva approvazione del piano di recupero previsto dall’art. 21 delle N.T.A. di piano regolatore, risultando perciò l’intervento diretto per definizione insuscettibile di sanatoria.
Con il secondo atto di motivi aggiunti, la ricorrente C.N.T. sostiene che il diniego sarebbe illegittimo in conseguenza dei vizi della disciplina urbanistica della zona DR5 e degli atti applicativi consequenzialmente adottati dal Comune, in particolare della mancata approvazione del piano di recupero già presentato da essa ricorrente e respinto con provvedimento in data 2 ottobre 2001, oggetto del ricorso n. 2740/2001 R.G..
Con un secondo ordine di doglianze, C.N.T. fa rilevare che il Comune avrebbe dovuto quantomeno esaminare l’istanza di accertamento di conformità unitamente ai tre ulteriori piani di recupero a stralcio per cantieristica nautica presentati, rispettivamente, il 17 dicembre 2001, il 2 maggio 2002 e il 7 marzo 2003, tutti in attesa di essere vagliati e volti anche a consentire la sanatoria del capannone realizzato senza titolo. Il mancato preventivo esame dei piani di recupero vizierebbe il diniego di sanatoria sul duplice piano del difetto di istruttoria e della violazione dei principi di ragionevolezza ed economicità sanciti dall’art. 1 della legge n. 241/1990.
Un terzo ordine di censure è diretto a rivendicare la qualificazione dell’intervento in questione come ristrutturazione edilizia R1, espressamente consentito dalla variante generale al P.R.G., e a contestare, di contro, la qualificazione di nuova opera attribuita al manufatto dal Comune.
L’amministrazione resistente eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione, stante la tardività dell’istanza di sanatoria, presentata quando era oramai decorso dalla notifica dell’ordine di demolizione dell’11 luglio 2001 il termine di novanta giorni stabilito dall’art. 13 della legge n. 47/1985 ai fini del prodursi, in capo al Comune, dell’effetto acquisitivo dell’area occupata dal fabbricato abusivo.
Sul punto, basti osservare che non può il Comune pretendere che si accerti in questa sede giurisdizionale – oltretutto in assenza di impugnativa incidentale – l’inammissibilità dell’istanza di sanatoria, mai rilevata in via amministrativa, con la conseguenza che gli effetti preclusivi prodotti dalla pendenza del procedimento di sanatoria nei confronti del primo ordine di demolizione non possono che ritenersi estesi all’acquisizione dell’immobile abusivo e del relativo sedime. Lo stesso Comune non ha mai attribuito effetti acquisitivi all’inosservanza del provvedimento emanato l’11 luglio 2001, come è attestato dal fatto che esso stesso ha reputato necessario rinnovare l’ordine di demolizione e che l’accertamento dell’inottemperanza, finalizzato all’acquisizione gratuita ed eseguito nell’ottobre 2005 (su cui infra), si riferisce appunto all’ordinanza di demolizione del febbraio 2002, e non a quella precedente.
Tuttavia, il gravame è infondato nel merito.
Anticipando quanto si dirà sul ricorso n. 2740/2001 R.G., il diniego opposto al piano di recupero presentato dalla ricorrente C.N.T. nel 2000 – 2001, pur illegittimo, lascia residuare margini di discrezionalità amministrativa che non consentono al giudice di accertare la spettanza dell’approvazione del piano e, con essa, della sanatoria richiesta per il capannone.
Ciò posto, si è detto che, alla stregua della disciplina urbanistica di zona, la ristrutturazione urbanistica dell’area DR5 ex Fervet è sottoposta all’approvazione di un piano di recupero unitario, salva la possibilità di realizzare interventi di adeguamento a stralcio, limitatamente cioè ad alcuni degli immobili ivi insistenti. Ne discende che l’esercizio delle valutazioni sottese al rilascio della concessione in sanatoria, e del connesso potere, non poteva prescindere dal rispetto di quella disciplina ed era vincolato al rigetto della sanatoria relativamente ad interventi diretti, quale quello realizzato dalla ricorrente con l’edificazione del capannone al di fuori di un piano di recupero approvato.
Della necessità di inserire l’intervento all’interno di un piano di recupero era del resto perfettamente consapevole la ricorrente, come dimostra la presentazione di ben tre piani di recupero successivamente a quello respinto il 2 ottobre 2001, mentre appare del tutto ragionevole la scelta dell’amministrazione di non trattare unitariamente il procedimento di sanatoria e quelli inerenti l’approvazione dei piani di recupero, avuto riguardo al diverso contenuto dell’uno e degli altri e, soprattutto, alla circostanza che il mancato inserimento dell’opera in un piano di recupero rendeva per definizione inconfigurabile la c.d. “doppia conformità” richiesta dall’art. 13 della legge n. 47/1985, imponendo il diniego della sanatoria individuale dell’intervento a prescindere dalla sorte dei più ampi procedimenti parallelamente promossi da C.N.T. ai fini del complessivo recupero urbanistico-edilizio dell’area (si vuol dire che l’intervento non avrebbe potuto in nessun caso ricevere legittimazione postuma attraverso l’accertamento di conformità, di modo che sulla relativa istanza il Comune, tenuto comunque a pronunciarsi, non avrebbe potuto che determinarsi negativamente).
A questo, deve aggiungersi che la realizzazione del capannone non è riconducibile alla nozione di ristrutturazione edilizia classificata come R1 dalla variante generale al P.R.G. di Viareggio, consentita nelle sottozone DR e comportante l’esecuzione di opere corrispondenti a quelle descritte dall’art. 31 co. 1 lett. d) della legge n. 457/1978 e dall’art. 4 della legge regionale n. 52/1999, e, per quanto qui interessa, consistenti nella demolizione di volumi secondari e nella loro ricostruzione in diversa collocazione sul lotto di pertinenza. Le modalità di edificazione del capannone rappresentano in effetti, stante la già ravvisata stabilità funzionale e strutturale del fabbricato, un tipico esempio di nuova costruzione, che la ricorrente vorrebbe riqualificare ex post riconducendo ad artificiosa unità interventi edilizi fra loro autonomi (la costruzione del capannone, appunto, e le demolizioni da eseguire oggetto della proposta integrativa di intervento inoltrata al Comune il 18 giugno 2003, vale a dire oltre due anni dopo la costruzione del capannone). Non giova, peraltro, intrattenersi oltre sul punto, giacché, se anche potesse parlarsi di ristrutturazione, essa avrebbe comunque richiesto la preventiva approvazione del piano di recupero a norma dell’art. 20 co. 6 delle N.T.A. alla variante di P.R.G., trattandosi di intervento su immobili aventi superficie lorda superiore a 1000 mq (come anche rilevato dall’amministrazione nel provvedimento impugnato), di talché neppure in tale evenienza il requisito della doppia conformità si sarebbe mai potuto ritenere soddisfatto.
Con il terzo atto di motivi aggiunti, è impugnato il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione del 26 febbraio 2002, con contestuale acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo e del relativo sedime. I vizi già sopra rilevati a carico del provvedimento sanzionatorio presupposto si trasmettono al provvedimento consequenziale in esame, che solo per questo deve essere annullato, con assorbimento di ogni altro dedotto profilo di illegittimità.

 


Sul ricorso n. 2740/2001 R.G..
È impugnato il provvedimento dirigenziale del 2 ottobre 2001, recante il diniego di approvazione del piano di recupero informalmente presentato dalla società C.N.T., per la sottozona DR5 ex Fervet, sin dall’agosto 2000 ed integrato con la proposta delle soluzioni urbanistiche definitive nell’agosto 2001. L’atto fonda la propria motivazione sul mancato rispetto dei parametri urbanistici dettati per l’area.
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente da un lato fa valere l’incompetenza dell’organo procedente, affermando che la materia ricadrebbe fra le attribuzione del Consiglio comunale ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. n. 267/2000 e dell’art. 7 N.T.A. della variante generale al P.R.G. di Viareggio; e, dall’altro, denuncia l’irragionevolezza del diniego, sprovvisto del contenuto motivazionale minimo che permetta di comprendere le reali ragioni del ritenuto contrasto fra il progetto e la disciplina urbanistica comunale.
Il secondo motivo investe l’interpretazione degli artt. 20 e 21 delle N.T.A. della variante generale, ritenendo la ricorrente che una corretta lettura sistematica di tali disposizioni dovrebbe condurre ad affermare la assentibilità del progetto da essa presentato, il quale presuppone un calcolo del rapporto di copertura effettuato sull’intera superficie della sottozona DR5 comprensivo del 40% dell’area da destinare a spazi pubblici (e non anche, secondo la tesi, da cedere in proprietà al Comune), e senza limiti di altezza per gli edifici a destinazione residenziale, sottoposti al solo indice volumetrico del 30% rispetto alle volumetrie consentite per le attività produttive. Per il caso in cui tale interpretazione non fosse condivisa dal tribunale, la ricorrente, con il terzo motivo, deduce che il diniego deriverebbe comunque la propria invalidità da quella dell’art. 21 N.T.A., impugnato con il ricorso n. 628/1998 R.G..
Le censure, da esaminarsi congiuntamente, sono fondate nei termini che seguono.
L’art. 7 delle norme di attuazione della variante generale al P.R.G. di Viareggio, nel testo conseguente alle modifiche approvate con delibera consiliare n. 50 del 28 luglio 1997, assegna al Consiglio comunale la competenza in materia di approvazione di piani particolareggiati, piani di lottizzazione, piani di recupero, comparti edilizi, progetti di attrezzature e opere pubbliche di interesse collettivo, in conformità all’art. 32 co. 2 della legge n. 142/1990 come modificato dall’art. 5 co. 5 della legge n. 127/1997. Quanto alla coerenza della richiamata norma di attuazione con la disciplina di legge sopravvenuta, si osserva che l’espunzione dall’art. 32 co. 2 cit. del riferimento espresso ai piani di recupero (art. 4 co. 2 della legge n. 415/1998), che ha trovato conferma nella vigente previsione dell’art. 42 co. 2 del D.Lgs. n. 267/2000, non toglie che la materia possa continuare a considerarsi ricadente nelle attribuzioni del Consiglio comunale in tema di approvazione dei piani territoriali ed urbanistici, ovvero, secondo una diversa impostazione (cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 26 marzo 2012, n. 2877), fra le competenze residuali della Giunta (art. 35 l. n. 142/1990 e art. 48 D.Lgs. n. 267/2000), esclusa, in ogni caso, la competenza dirigenziale.
Sul diverso fronte della motivazione, il provvedimento impugnato – pur laconicamente – esprime la propria contrarietà al progetto in quanto non rispettoso dei parametri urbanistici stabiliti dalla variante generale per la zona ex Fervet ed applicati sulle superfici effettivamente edificabili, vale a dire la superficie complessiva dell’area al netto del 40% oggetto di obbligatoria cessione all’amministrazione comunale; e la conclusione appare conforme alla disciplina della sottozona DR5 contenuta nell’art. 22 N.T.A., che, imponendo la destinazione del 40% dell’area a spazi pubblici, la sottrae alla disponibilità per l’edificazione e, conseguentemente, al calcolo della superficie fondiaria, come definita dall’art. 38 del regolamento edilizio comunale e rilevante ai fini del computo del rapporto di copertura stabilito dallo stesso art. 22 N.T.A.. Non può pertanto essere condivisa l’interpretazione proposta dalla ricorrente, la quale invoca un rapporto di copertura “territoriale” non rispondente alla definizione di cui all’art. 42 del regolamento edilizio (quoziente tra la superficie coperta dei fabbricati esistenti e di quelli da costruire e la superficie fondiaria pertinente, quest’ultima, lo si ripete, coincidente con quella disponibile per l’edificazione), avuto anche riguardo alla circostanza che lo stesso regolamento fornisce una nozione di superficie territoriale come comprensiva delle aree per l’urbanizzazione primaria e secondaria, le quali, a contrario, debbono considerarsi escluse dal computo della superficie fondiaria (da cui, per la sottozona DR5, l’esclusione dal computo della superficie utile ai fini della determinazione del rapporto di copertura del 40% della superficie, obbligatoriamente destinata a spazi pubblici/opere di urbanizzazione).
Siccome fondato sulla pedissequa applicazione dei parametri urbanistici dettati dall’art. 22 N.T.A. per l’area ex Fervet, il diniego di approvazione del piano di recupero non può peraltro non risentire della acclarata illegittimità di quei parametri (si vedano, supra, le considerazioni svolte sul ricorso R.G. n. 628/1998), ed è per questo aspetto che va annullato, senza che in contrario possa darsi adito alle osservazioni della difesa comunale in ordine all’inammissibilità del recupero, previsto dal piano, del capannone abusivamente realizzato sull’area: la questione non risulta minimamente affrontata dal provvedimento impugnato e dovrà formare oggetto, nel contraddittorio procedimentale, delle più ampie valutazioni tecnico-discrezionali che pur sempre residuano in capo all’amministrazione in esito all’annullamento.

 


Sul ricorso n. 2159/2007 R.G..
Senza rinunciare al piano di recupero respinto dal Comune di Viareggio con il provvedimento dirigenziale del 2 ottobre 2001, ed alla relativa impugnazione giurisdizionale (ricorso R.G. n. 2740/2001), la società Centro Nautico Toscano ha proceduto nel tempo alla presentazione di tre ulteriori proposte di piano il 2 maggio 2002, il 7 marzo 2003 e l’11 aprile 2005, seguite da una proposta di accordo procedimentale protocollata il 5 settembre 2005 e, infine, da altra proposta di piano del 17 luglio 2006, contenente la contestuale richiesta di attivazione della procedura semplificata ex art. 5 D.P.R. n. 447/1998 per la realizzazione di un polo industriale di cantieristica navale.
Nel silenzio dell’amministrazione su detta più recente proposta, e a seguito del ricorso proposto da C.N.T. ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 1034/1971, il Comune – prima che il T.A.R. adito dall’interessata potesse pronunciarsi – si è determinato negativamente con il provvedimento dirigenziale del 4 settembre 2007, la cui motivazione, premessa in fatto l’intervenuta approvazione del piano strutturale con delibera del 29 giugno 2004 e riferito il contenuto del regolamento urbanistico in corso di adozione nella parte relativa al comparto ex Fervet (art. 60), si sostanzia nel ravvisato contrasto fra la proposta e la normativa urbanistica vigente.
Con l’unico, articolato motivo di gravame, la ricorrente contesta l’adeguatezza delle ragioni poste a fondamento del diniego, lamentando l’assenza di qualsivoglia valutazione delle caratteristiche del progetto presentato e della entità del contrasto con la disciplina urbanistica di zona. Per altro verso, C.N.T. nega che possa ascriversi un qualche rilievo vincolante al regolamento urbanistico in corso di adozione ed evidenzia comunque la modesta difformità del proprio piano rispetto allo stesso strumento urbanistico adottando.
Il ricorso è fondato.
L’art. 5 del D.P.R. n. 447/1998, oggi abrogato dall’art. 12 co. 7 D.P.R. n. 160/2010, ha introdotto nell’ordinamento una procedura semplificata per la realizzazione o l’ampliamento di insediamenti produttivi, in forza della quale il contrasto del progetto con la strumentazione urbanistica vigente non è necessariamente ostativo all’approvazione dell’intervento, purché questo – risultando compatibile con la normativa ambientale, sanitaria e sulla sicurezza del lavoro – possa formare oggetto di una proposta di variante urbanistica su determinazione della conferenza di servizi appositamente convocata dal responsabile del procedimento, da sottoporre quindi all’approvazione del Consiglio comunale. L’altra condizione richiesta dalla norma perché possa farsi luogo alla conferenza di servizi è l'assenza di individuazione, nell'ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica dell'ente locale, di aree destinate ad insediamenti produttivi, ovvero la loro insufficienza in relazione al tipo di progetto presentato, tenuto conto del fatto che, laddove si tratti di un insediamento produttivo già esistente, l'area da destinare all'ampliamento della relativa attività deve evidentemente trovarsi in stabile e diretto collegamento con quella dell'insediamento principale e da ampliare (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4413; id., 15 luglio 2011, n. 4308; T.A.R. Lazio – Latina, sez. I, 4 novembre 2013, n. 824).
Alla luce di tale, pacifica, esegesi della norma, il semplice rilievo della contrarietà del progetto alla pianificazione urbanistica vigente non può costituire adeguata motivazione del rigetto dell’istanza, se non accompagnato da un’espressa valutazione circa l’insussistenza dei presupposti per l’indizione della conferenza di servizi finalizzata alla formulazione della proposta di variante, e questo a fortioriladdove, come nella specie, tale valutazione sia stata formalmente sollecitata dall’istante (si veda la nota della C.N.T. allegata alla proposta di piano di recupero, nella quale sono evidenziati gli scostamenti della proposta medesima dai parametri urbanistici e viene richiesta l’attivazione del procedimento di variante).
Né la motivazione insufficiente può essere integrata dalle deduzioni difensive svolte in questa sede dal Comune, ivi comprese quelle inerenti la pretesa applicabilità delle salvaguardie stabilite dall’art. 39 l.r. toscana n. 5/1995, la quale neppure indirettamente è contemplata dal provvedimento impugnato, giacché il richiamo al regolamento urbanistico in corso di approvazione ha una funzione meramente illustrativa, ma nessuna statuizione ne è fatta derivare dall’organo procedente, la cui volontà non può essere ricostruita se non sulla base del contenuto obiettivo del provvedimento. In ogni caso, l’invocato art. 39 non pone un divieto assoluto di nuovi interventi per l’ipotesi di mancata approvazione del piano strutturale e del regolamento urbanistico, ma ne esige l’approvazione attraverso il procedimento aggravato dell’accordo di pianificazione (e non può certo dirsi palese, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 21-octies co. 2 della legge n. 241/1990, che detto procedimento non avrebbe potuto essere avviato dal Comune sulla variante richiesta da C.N.T., secondo una valutazione che pertiene esclusivamente all’amministrazione).
Per tali ragioni, anche il diniego frapposto al progetto presentato il 17 luglio 2006 deve essere annullato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune.

 


Conclusioni.
In forza di tutte le considerazioni che precedono, i ricorsi nn. 628/1998, 2740/2001 e 2159/2007 R.G. debbono essere accolti nei sensi precisati. Quanto al ricorso n. 2266/2001 R.G., l’impugnativa proposta con l’atto introduttivo del giudizio va dichiarata improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, mentre vanno accolti il primo ed il terzo atto di motivi aggiunti e respinti i secondi motivi aggiunti.
Le spese delle cause riunite possono essere compensate in ragione di un quarto, tenuto conto del complessivo esito del contenzioso, e per il resto seguono la soccombenza, prevalente, del Comune di Viareggio.

P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, riunisce le cause e:
accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione i ricorsi nn. 628/1998, 2740/2001 e 2159/2007 R.G.;
dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse l’impugnativa proposta con l’atto introduttivo del ricorso n. 2266/2001 R.G.;
accoglie le impugnative proposte con il primo ed il terzo atto di motivi aggiunti nel ricorso n. 2266/2001 e respinge i secondi motivi aggiunti.
Dichiara compensate in ragione di un quarto le spese delle cause riunite, e condanna l’amministrazione resistente alla rifusione della porzione residua, che liquida in complessivi euro 6.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Alessandro Cacciari, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/06/2014





 

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