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n. 7-2014 - © copyright |
T.A.R. TOSCANA - FIRENZE -
SEZIONE I - Sentenza 16 giugno 2014 n. 1064
Pres. P. Buonvino,
Est. P. Grauso
Centro Nautico Toscano S.p.a. (Avv.ti R. Righi, A.
Vannucci Zauli e F. Frati) contro il Comune di Viareggio (Avv.ti C.
Buccheri e M. L. Iascone), la Provincia di Lucca (n.c.) e la Regione
Toscana (Avv. G. Vincelli) |
1. Edilizia ed urbanistica - Previsione urbanistica che
subordina il recupero di una area alla destinazione all’uso pubblico del
40% della superficie complessiva – Che subordina interventi di adeguamento
alla cessione gratuita - Illegittimità
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2. Edilizia ed urbanistica - Carattere precario di
un’opera – Agevole rimovibilità – Soddisfacimento di esigenze meramente
temporanee - Necessità
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3. Edilizia ed urbanistica - Rinnovo dell’ordine di
demolizione - Obbligo di previa pronuncia sull’istanza di rilascio della
concessione in sanatoria - Necessità
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1. È illegittima la previsione urbanistica impugnata
nella parte in cui subordina il recupero dell’area in esame alla
destinazione all’uso pubblico del 40% della superficie complessiva
dell’area stessa, ovvero gli interventi di adeguamento consentiti anche al
di fuori del piano di recupero alla cessione gratuita dell’area destinata
a viabilità posta lungo il confine sud del comparto. La soppressione di
qualsivoglia previsione di sviluppo edificatorio aggiuntivo ha infatti
reso priva di corrispettività la cessione, il cui mantenimento
l’amministrazione non è stata in grado di giustificare sul piano causale.
La previsione è peraltro irrazionale e contraria ai principi della
pianificazione urbanistica, introducendo standard aggiuntivi e nuove
destinazioni pubbliche delle quali la necessità non sarebbe stata
comprovata all’interno del procedimento per la formazione della variante;
né l’incremento degli standard e delle destinazioni pubbliche potrebbe
ritenersi giustificato da un aumento del carico urbanistico sull’area.
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2. È noto che il carattere precario di un’opera dipende
non tanto da profili di ordine strutturale, quanto dalla destinazione
funzionale e dall'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è
destinata, potendosi considerare manufatti precari quelli agevolmente
rimovibili e volti a soddisfare esigenze meramente temporanee, inidonei a
determinare una stabile alterazione degli assetti territoriali (fra le
molte, cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850; id., sez.
VI, 16 febbraio 2011, n. 986). Nella specie, il capannone per cui è causa
non soltanto è infisso al suolo, ma, soprattutto, ha continuato e continua
ad essere utilizzato ben al di là delle particolari esigenze produttive
che ne avevano occasionato la realizzazione.
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3. Gli ordinari canoni di buona amministrazione impongono
alle Amministrazioni, prima di fare luogo ad un rinnovo dell’ordine di
demolizione, di pronunciarsi sull’istanza di rilascio della concessione in
sanatoria, giacché i principi di economicità e ragionevolezza dell’azione
amministrativa ostano all’esercizio del potere sanzionatorio ogniqualvolta
la medesima autorità sia stata preventivamente chiamata a valutare la
possibile sanabilità dell’abuso (non può essere sanzionato ciò che
potrebbe ancora essere sanato: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31
agosto 2010, n. 3955).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 628 del
1998, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa
dall'avv. Roberto Righi, presso il cui studio è elettivamente domiciliata
in Firenze, via Lamarmora 14;
contro
Comune di Viareggio, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto
presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;
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Provincia di Lucca;
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Regione Toscana, rappresentata e difesa dall'avv.
Giuseppe Vincelli, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura
regionale in Firenze, piazza dell’Unita' Italiana 1;
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sul ricorso numero di registro generale 2266 del
2001, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa
dagli avv.ti Roberto Righi, Antonio Vannucci Zauli e Francesco Frati, ed
elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Firenze, via
Lamarmora 14;
contro
Comune di Viareggio, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto
presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;
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sul ricorso numero di registro generale 2740 del
2001, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa
dagli avv.ti Roberto Righi e Antonio Vannucci Zauli, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del primo in Firenze, via Lamarmora 14;
contro
Comune di Viareggio, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto
presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;
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sul ricorso numero di registro generale 2159 del
2007, proposto da: Centro Nautico Toscano S.p.a., rappresentata e difesa
dagli avv.ti Roberto Righi, Antonio Vannucci Zauli e Francesco Frati, ed
elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Firenze, via
Lamarmora 14;
contro
Comune di Viareggio, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Corrado Buccheri e Maria Lidia Iascone, con domicilio eletto
presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;
per l'annullamento,
quanto al ricorso n. 628 del 1998:
delle
prescrizioni urbanistiche relative alla sottozona DR5 FERVET, contenute
nella variante al PRG "per il recupero del patrimonio edilizio esistente e
di adeguamento degli standard urbanistici" del Comune di Viareggio,
definitivamente approvata con la deliberazione del Consiglio Comunale n.
66 del 26.10.97, già adottata con deliberazione consiliare n. 38 del
04.06.1996 e modificata con deliberazione consiliare n. 50 del 28.07.1997
a seguito dell'accoglimento delle osservazioni, nella parte in cui
all'interno della sottozona DR5 Fervet" riguardante aree di proprietà
della ricorrente ha inteso subordinare la ristrutturazione urbanistica del
complesso produttivo esistente ad un "piano di recupero unitario"
prevedente la cessione e la destinazione a spazi pubblici del 40%
dell'intera area, nonchè nella parte in cui ha altresì previsto la
subordinazione degli interventi di adeguamento tecnologico di alcuni degli
edifici industriali esistenti alla cessione gratuita dell'area destinata a
viabilità lungo il confine sud della zona DR5 e quindi per annullamento
integrale o parziale di tali prescrizioni urbanistiche contenute nella
N.T.A. impugnata;
quanto al ricorso n. 2266 del
2001:
dell’ordinanza - diffida a demolire n. 85 dell'11.07.2001 emessa
dal Dirigente del Settore "Urbanistica - Edilizia Privata" del Comune di
Viareggio con la quale si è ordinato alla ricorrente alla ricorrente di
"procedere entro 90 giorni dalla notifica della presente diffida alla
demolizione delle seguenti opere poste in Viareggio Via Indipendenza 24;
costruzione di un capannone in carpenteria metallica delle dimensioni di
mt. 50 X mt. 45 coperto con lamiera grecata con ripristino dello stato
antecedente dei luoghi, con avvertimento che, in difetto e scaduto il
termine suddetto, si procederà all'esecuzione coattiva a cura del Comune
ed a spese dei responsabili dell'abuso;
quanto al ricorso n. 2740
del 2001:
della decisione del 02.10.2001 del Dirigente del Settore
Edilizi ed Urbanistica del Comune di Viareggio con la quale è stato
respinto il progetto di piano di recupero di iniziativa privata presentato
dalla ricorrente con riferimento alla sottozona DR5 del PRG di
Viareggio;
quanto al ricorso n. 2159 del 2007:
della
determinazione prot. n. 1690 in data 4 settembre 2007, a firma del
Dirigente del Settore 5° (ad interim) del Comune di Viareggio, con la
quale è stata rigettata la proposta di piano di recupero in variante allo
strumento urbanistico, avanzata, ex. art. 5 del D.P.R. n,. 447/1998, dalla
Società ricorrente, e di ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale, nonché per la condanna
dell' Amministrazione comunale
al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla società ricorrente
per effetto del diniego illegittimamente opposto, nonché anche a causa del
ritardo con il quale la P.A ha emesso il provvedimento di diniego (di cui
al ricorso T.A.R. Toscana R.G. 1103/2007, sez. III) danni consistenti nel
danno emergente e nel lucro cessate e quantificati nella somma che sarà
accertata in corso di causa o da ritenere di giustizia in via
equitativa.
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Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli
atti di costituzione in giudizio del Comune di Viareggio e della Regione
Toscana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2014 il dott.
Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
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FATTO
La Centro Nautico Toscano S.p.a. (di seguito,
C.N.T. S.p.a.), attiva nel settore nautico della costruzione di
imbarcazioni da diporto a motore di grandi dimensioni, ha rilevato nel
dicembre del 1991 la Fervet, azienda metalmeccanica dismessa che operava
da oltre sessant’anni nel settore ferroviario, perché interessata a
dotarsi di uno stabilimento di dimensioni adeguate e avente facile sbocco
sul mare, in aggiunta a quelli già posseduti da essa C.N.T. nella zona
industriale di Montramito, nel Comune di Massarosa: a questi requisiti
risponde, appunto, l’area occupata dallo stabilimento ex Fervet, situata
nella zona della darsena del Comune di Viareggio e già da tempo oggetto di
attenta considerazione e di confronto tra i suoi proprietari e
l’amministrazione comunale ai fini del conferimento di una destinazione
urbanistica idonea allo svolgimento della cantieristica nautica. Risale
infatti al 1988 il protocollo concordato dalla allora proprietaria Fervet
con il Comune onde individuare i criteri direttivi da seguirsi nella
ristrutturazione urbanistica dell’area, sulla quale – già destinata dal
P.R.G. approvato nel 1971 a “zona per attrezzature per i trasporti” – si
sarebbe dovuto prevedere il mantenimento della destinazione industriale in
essere, con l’ulteriore previsione di un incremento volumetrico destinato
a edilizia commerciale, direzionale e residenziale a fronte della cessione
gratuita al Comune di suolo per viabilità, parcheggi e giardini in misura
pari al 40% della superficie dell’intera area.
Avendo la cessazione
dell’attività da parte di Fervet impedito il perfezionamento del
protocollo, nel febbraio del 1992 un accordo fra la C.N.T., frattanto
subentrata nella proprietà dell’area, alcuni ex dipendenti della Fervet e
i rappresentanti sindacali ha previsto la ristrutturazione del complesso
produttivo esistente, in modo da realizzarvi una struttura adeguata alla
costruzione e all’allestimento di imbarcazioni, nonché l’utilizzazione di
una parte dell’area per altre destinazioni, eventualmente anche di uso
pubblico e urbanistico. Tali obiettivi sono stati recepiti nel progetto
preliminare del nuovo P.R.G. di Viareggio, risalente al giugno del 1992,
che, attraverso la presentazione di un piano di recupero, consentiva la
ristrutturazione dell’area con caratteristiche più adeguate alla
morfologia del sito e l’affiancamento al complesso produttivo di un
piccolo quartiere residenziale, in parte da destinare a edilizia pubblica,
oltre agli spazi per la viabilità e i parcheggi.
In conformità al
progetto, con deliberazione del 19 ottobre 1995 il Comune di Viareggio ha
quindi avviato il procedimento per l’adozione della variante al P.R.G.
vigente e, per quanto qui interessa, di una normativa di attuazione che
sottoponeva la ristrutturazione dell’area ex Fervet all’approvazione di un
piano di recupero subordinato alla destinazione del 40% dell’intera area a
spazi pubblici, alla definizione del sistema della viabilità secondo lo
schema allegato e alla conservazione delle attività produttive esistenti,
con possibilità di scorporare un’area di 7000 mq da destinarsi a residenza
e attività terziarie per un volume complessivo di 15000 mc. In assenza del
piano di recupero, uniche attività ammesse erano quelle di manutenzione
ordinaria e straordinaria, con divieto di cambio di destinazione
d’uso.
In sede di definitiva adozione della variante, intervenuta con
delibera consiliare del 4 gennaio 1996, dalla norma di attuazione
dell’area ex Fervet, classificata DR5, è stata stralciata la previsione
dell’incremento volumetrico, ferma restando la prescrizione inerente la
obbligatoria destinazione pubblica del 40% dell’area. Alle osservazioni
della odierna ricorrente, che avevano riguardo non solo al venir meno
della corrispettività fra obblighi di cessione gratuita di suolo al Comune
e possibilità di fare luogo ad incrementi volumetrici, ma anche alla
esigenza di adeguare lo stabilimento produttivo alle necessità
dell’allestimento navale, ha fatto seguito la riformulazione delle N.T.A.
per la sottozona DR5 nel senso di consentire per alcuni degli edifici
interni al compendio produttivo l’adeguamento delle altezze, ovvero la
demolizione e ricostruzione, interventi comunque subordinati alla cessione
gratuita dell’area destinata a viabilità lungo il confine sud dell’area; e
le norme tecniche così modificate hanno formato oggetto di approvazione
della variante, ad opera della deliberazione consiliare n. 66 del 27
ottobre 1997.
Avverso la dianzi menzionata delibera di approvazione
della variante al P.R.G., nelle parti relative agli obblighi di
destinazione del 40% del terreno a spazi pubblici nell’ambito del recupero
dell’area ex Fervet e di cessione gratuita delle aree destinate a
viabilità per l’esecuzione degli interventi di adeguamento tecnologico dei
capannoni industriali insistenti sulla medesima area, la società Centro
Nautico Toscano ha proposto dinanzi a questo tribunale un primo ricorso,
rubricato al n. 628 R.G. 1998, chiedendone l’annullamento sulla scorta di
tre motivi in diritto.
Con separati ricorsi, la C.N.T. ha quindi
impugnato una serie di atti e provvedimenti successivamente adottati dal
Comune di Viareggio, e segnatamente:
- l’ordinanza-diffida a demolire
il capannone in carpenteria metallica realizzato nell’anno 2000 sull’area
ex Fervet per fare fronte alla commessa della costruzione di dieci yacht a
motore di trentatre metri entro il 2003; l’ordinanza, risalente all’11
luglio 2001, è stata impugnata con il ricorso iscritto al n. 2266 R.G.
2001, in seno al quale, con distinti atti di motivi aggiunti, sono stati
altresì impugnati l’ordinanza del 16 febbraio 2002, recante ingiunzione a
demolire il medesimo capannone in carpenteria metallica, e il diniego, in
data 22 marzo 2005, dell’accertamento di conformità richiesto dalla
ricorrente relativamente al manufatto in questione;
- la decisione del
2 ottobre 2001, recante il diniego di approvazione del piano di recupero
presentato dalla ricorrente per la sottozona DR5 – ex Fervet, impugnata
con il ricorso n. 2740 R.G. 2001;
- il diniego di approvazione,
pronunciato dal Comune in data 4 settembre 2007, sulla nuova proposta di
piano di recupero dell’area ex Fervet presentata dalla ricorrente il 17
luglio 2006, ai sensi dell’art. 5 D.P.R. n. 447/1998, diniego impugnato
con il ricorso iscritto al n. 2159 R.G. 2007.
I tre giudizi più
risalenti hanno seguito un percorso processuale parallelo, venendone
dapprima disposta la sospensione con ordinanze del 15 marzo 2004, in
attesa della definizione in appello della controversia pregiudiziale
definita dallo stesso T.A.R. Toscana con la sentenza n. 5271/2003, che
aveva integralmente annullato la medesima variante al P.R.G. di Viareggio
impugnata da C.N.T. con il ricorso n. 628/1998; e, a seguito di
riassunzione (la citata sentenza n. 5271/2003 era stata infatti riformata
dal Consiglio di Stato con decisione n. 9205/2003 di improcedibilità del
ricorso), venendone quindi dichiarata l’interruzione.
Nuovamente
riassunte, le cause sono state cancellate dal ruolo il 26 ottobre 2011
sull’accordo delle parti (una prima cancellazione era intervenuta il 18
dicembre 2007), per poi essere discusse e trattenute per la decisione
nella pubblica udienza del 19 marzo 2014. Va precisato che nell’ambito del
giudizio n. 2266/2001 R.G., sono state accolte le istanze cautelari
proposte dalla ricorrente per la sospensione dell’efficacia
dell’ingiunzione di demolizione del 26 febbraio 2002 e del verbale di
accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione medesima (quanto al
secondo provvedimento, l’accoglimento è avvenuto in appello ad opera del
Consiglio di Stato, dopo l’iniziale rigetto da parte del
T.A.R.).
Parimenti, nella pubblica udienza del 19 marzo è stato
discusso e trattenuto per la decisione il più recente dei ricorsi (R.G. n.
2159/2007), che, nelle more, aveva visto la società ricorrente rinunciare
alla domanda cautelare originariamente proposta.
DIRITTO
Come riferito in narrativa, tra la società Centro
Nautico Toscano e il Comune di Viareggio è da lungo tempo insorto un
articolato contenzioso, vertente sulla disciplina urbanistico-edilizia
dell’area in passato occupata dallo stabilimento industriale Fervet e oggi
dai cantieri navali della ricorrente, identificata come sottozona DR5
dalla variante al P.R.G. comunale approvata con deliberazione n. 66 del 27
ottobre 1997. A seguito dell’approvazione di detta variante, impugnata con
il ricorso n. 628/1998 R.G., i piani di recupero urbanistico dell’area
presentati dalla proprietà sono stati respinti dal Comune con
provvedimenti che formano l’oggetto dell’impugnativa nei ricorsi nn. R.G.
2740/2001 e 2159/2007, mentre il ricorso n. R.G. 2266/2001 è diretto
contro i provvedimenti adottati dal Comune per reagire all’avvenuta
edificazione, asseritamente abusiva, di un capannone in carpenteria
metallica della superficie di 50 x 54 ml.
Evidenti ragioni di
connessione soggettiva e parzialmente oggettiva, posto che alcune delle
censure articolate con i ricorsi più recenti argomentano dalla pretesa
illegittimità della disciplina urbanistica gravata con l’impugnazione del
1998, rendono opportuna la riunione delle cause. Per economia espositiva,
ciascuna controversia sarà nondimeno trattata individualmente, salvi gli
eventuali rinvii, ove necessari.
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Sul ricorso n. 628/1998 R.G..
Con il primo motivo
di gravame, la ricorrente C.N.T. lamenta che la norma attuativa della
disciplina urbanistica della sottozona DR5, contenuta nella variante al
P.R.G. del 27 ottobre 1997, sarebbe stata approvata in violazione del
procedimento formativo previsto dall’art. 40 della legge regionale n.
5/1995: la norma sarebbe stata infatti introdotta dal Comune nella sede,
inappropriata, della risposta alle osservazioni, peraltro senza che vi
fosse alcun collegamento tra l’osservazione presentata dalla ricorrente e
la modifica diretta apportata al piano regolatore adottato, ed in mancanza
di idonea motivazione a sostegno dell’iniziativa assunta
dall’amministrazione procedente. Essa inoltre, nella misura in cui
porrebbe a carico di C.N.T. una atipica prestazione patrimoniale imposta,
contraddirebbe le premesse della delibera contenente le controdeduzioni
alle osservazioni e della stessa delibera di avvio del procedimento di
variante al P.R.G., dichiaratamente improntate alla eliminazione dei
possibili freni allo sviluppo delle attività produttive. In ogni caso,
proprio per il suo contenuto radicalmente innovativo, la riformulazione
della disciplina urbanistica dell’area ex Fervet avrebbe richiesto il
rinnovo della pubblicazione della variante, ai sensi dell’art. 10 della
legge n. 1150/1942.
Ancora, la Regione Toscana, nell’esprimere il
proprio parere sulla variante, avrebbe dovuto pronunciarsi espressamente
anche sulle osservazioni della ricorrente volte alla riformulazione della
disciplina, essendo del resto ben consapevole delle lacune presenti nel
procedimento di approvazione seguito dal Comune di Viareggio, come si
ricaverebbe dalla nota 17 ottobre 1997 di trasmissione al Comune della
memoria fatta pervenire dalla C.N.T. alla Regione. A sua volta il Comune,
una volta ricevuta quella memoria, avrebbe dovuto farsene carico e
valutare la consistenza delle criticità ivi evidenziate.
Con il secondo
motivo, vengono fatti valere i vizi sostanziali della disciplina dell’area
ex Fervet, la quale sarebbe manifestamente irragionevole e violativa dei
limiti connaturati alla pianificazione urbanistica, venendo a subordinare
a prestazioni patrimoniali imposte in favore dell’amministrazione
interventi che, ordinariamente, neppure sarebbero soggetti al rilascio di
titoli abilitativi.
Con il terzo motivo, infine, è dedotta
l’illegittimità della prevista destinazione all’uso pubblico del 40% della
superficie disponibile, cui la variante impugnata condiziona il recupero
urbanistico dell’area: la soppressione di qualsivoglia previsione di
sviluppo edificatorio aggiuntivo avrebbe infatti reso priva di
corrispettività la cessione, il cui mantenimento l’amministrazione non
sarebbe stata in grado di giustificare sul piano causale. La previsione
sarebbe peraltro irrazionale e contraria ai principi della pianificazione
urbanistica, introducendo standard aggiuntivi e nuove destinazioni
pubbliche delle quali la necessità non sarebbe stata comprovata
all’interno del procedimento per la formazione della variante; né
l’incremento degli standard e delle destinazioni pubbliche potrebbe
ritenersi giustificato da un aumento del carico urbanistico
sull’area.
Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono
fondate.
La disciplina urbanistica della sottozona DR5, introdotta
dall’impugnata variante generale del 1997 ed ancora pacificamente in
vigore (in conseguenza della mancata definizione dell’iter di
approvazione del regolamento urbanistico, la cui delibera di adozione è
stata revocata dal Comune nel luglio 2012), subordina la ristrutturazione
dell’area a un piano di recupero unitario condizionato al rispetto di una
serie di prescrizioni, prima fra tutte quella della destinazione del 40%
dell’intera superficie a spazi pubblici (viabilità, parcheggi, aree a
verde, attrezzature, residenza sociale). In parziale accoglimento delle
osservazioni presentate dalla odierna ricorrente alla variante adottata,
detta disciplina è stata peraltro modificata nel senso di consentire,
anche al di fuori del piano di recupero, l’esecuzione di interventi di
adeguamento di alcuni degli edifici presenti nel comparto,
subordinatamente alla cessione gratuita dell’area destinata a viabilità
lungo il confine sud della zona DR5.
Nel progetto posto a base della
delibera di avvio del procedimento di variante, la riserva del 40% della
superficie da destinare a spazi pubblici si accompagnava alla possibilità,
poi non confermata in sede di approvazione della variante medesima, di
scorporare una superficie di 7000 mq da destinarsi a residenza e attività
terziarie con un limite di volumetria aggiuntiva pari a 15000 mc,
risultando il prelievo a carico della proprietà giustificato dal nesso
quasi sinallagmatico con il maggior valore derivante all’area dal previsto
aumento volumetrico e dall’obiettiva esigenza di un incremento degli spazi
da destinare alla città pubblica in previsione del maggior peso
urbanistico gravante sulla zona. In altre parole, nella sua stesura
originaria la disciplina della sottozona DR5 appariva riconducibile a un
modello di urbanistica perequativo/compensativa compatibile con lo statuto
costituzionale della proprietà, perché disegnato in modo che l’acquisto
gratuito della disponibilità di suolo in capo al Comune si realizzasse
senza compromissione della capacità edificatoria già in atto sull’area,
bensì quale misura condizionante i possibili incrementi futuri di
superficie e volumetria edificabili, rimanendo perciò all’interno dei
limiti del potere conformativo dell’amministrazione; e, d’altro canto,
l’operatività del meccanismo ablatorio – in ciò consistendo,
evidentemente, la destinazione forzosa all’uso pubblico – era pur sempre
fatta dipendere dall’iniziativa della proprietà, in alternativa dovendo il
Comune fare ricorso al tradizionale strumento espropriativo (per tutte,
cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4545).
L’abbandono del
progetto iniziale e il venir meno della previsione di nuove destinazioni
edificatorie nell’area ex Fervet rende non più immediatamente apprezzabile
la valenza compensativa della disciplina urbanistica impugnata, nella
misura in cui al prelievo di suolo in favore del Comune non corrisponde
alcun premio volumetrico incentivante per il privato proprietario; né vi è
alcuna evidenza del fatto che la ristrutturazione urbanistica dell’area
renda di per sé necessario – pur in assenza di nuove volumetrie – il
recupero di maggiori superfici da destinarsi all’uso pubblico, di talché
quest’ultimo possa ritenersi pur sempre giustificato in chiave di
compensazione degli svantaggi arrecati alla collettività dal piano di
recupero dell’area. Le criticità più evidenti investono la previsione di
un contributo, in termini di suolo da destinare all’uso pubblico,
richiesto in misura fissa e avulsa dai contenuti concreti del piano di
recupero, trattandosi dunque di una prestazione imposta che non solo
prescinde dalla volontà del proprietario, ma è indipendente dal reale
impatto urbanistico dell’intervento di ristrutturazione e si traduce
perciò in un sacrificio non giustificato, tale da integrare un esproprio
sostanziale.
Colgono dunque nel segno le censure con cui la ricorrente
fa valere, da un lato, l’irragionevolezza della previsione, e, dall’altro,
l’assoluto difetto di istruttoria e motivazione in ordine alle ragioni del
disposto incremento di destinazioni pubbliche relativamente al comparto
DR5 (si veda, in particolare, il terzo motivo di ricorso), censure che, al
contrario di quanto sostenuto dalla difesa comunale, integrano nel loro
insieme la contestazione delle valutazioni discrezionali operate
dall’amministrazione nella determinazione degli standard, investendo nello
specifico le scelte lesive dell’interesse di C.N.T. (la lite verte proprio
sulla legittimità del prelievo imposto attraverso il presunto adeguamento
degli standard). Con riguardo, ancora, ai profili attinenti alla
sussistenza dell’interesse ad agire, si aggiunga che l’attualità di
quest’ultimo discende dall’immediata lesività dell’impugnata previsione
urbanistica, la quale vincola l’approvazione del piano di recupero alla
cessione del 40% dell’area, di modo che il contenuto degli eventuali atti
applicativi non potrebbe che essere quello imposto dalla norma e
pregiudizievole per la ricorrente.
I medesimi vizi si trasmettono alla
previsione, introdotta in sede di parziale accoglimento delle osservazioni
presentate da C.N.T., della cessione delle aree destinate a viabilità
lungo il confine sud dell’area a fronte di puntuali interventi di
adeguamento su alcuni degli edifici ricadenti nel comparto, e questo a
maggior ragione se si accede alla tesi del Comune, secondo cui la cessione
delle sole aree destinate a viabilità costituirebbe una quota – anticipata
– del prelievo complessivo del 40% illegittimamente imposto sull’intera
area. Anche a voler attribuire una valenza autonoma alla previsione in
esame, ancora una volta l’obbligo di cessione, se pure ridimensionato, non
trova comunque corrispondenza nel riconoscimento di facoltà aggiuntive in
favore della proprietà, e neppure è commisurato alla effettiva consistenza
urbanistica degli interventi che vi sono subordinati (tutti gli interventi
consentiti anche in mancanza del piano di recupero sono subordinati alla
cessione dell’area destinata a viabilità, senza previsioni intermedie per
l’ipotesi di realizzazione solo parziale degli interventi stessi).
In
forza delle considerazioni che precedono, il ricorso, assorbito ogni
residuo profilo di gravame, può trovare accoglimento, conducendo
all’annullamento della previsione urbanistica impugnata, nella parte in
cui subordina il recupero dell’area DR5 alla destinazione all’uso pubblico
del 40% della superficie complessiva dell’area stessa, ovvero gli
interventi di adeguamento consentiti anche al di fuori del piano di
recupero alla cessione gratuita dell’area destinata a viabilità posta
lungo il confine sud del comparto.
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Sul ricorso n. 2266/2001 R.G..
Con l’atto
introduttivo del giudizio, è impugnato l’ordine di demolizione pronunciato
dal Comune di Viareggio l’11 luglio 2001 e avente ad oggetto il capannone
in carpenteria metallica delle dimensioni di metri 50 x 45, con copertura
in lamiera grecata, realizzato dalla società C.N.T. all’interno dell’area
ex Fervet allo scopo di dare seguito alla commessa della costruzione di
dieci yacht a motore di trentatre metri, con consegna entro la fine
dell’anno 2003. L’impugnazione deve tuttavia ritenersi improcedibile per
effetto della successiva presentazione, da parte della ricorrente, di
un’istanza di accertamento di conformità la cui pendenza, secondo un
consistente e qui condiviso indirizzo giurisprudenziale, determina il
venir meno dell’interesse all’annullamento dell’ordine di demolizione (da
ultimo, fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2013, n.
5704; id., sez. VI, 11 settembre 2013, n. 3528).
Nelle more della
definizione del procedimento per l’accertamento di conformità del
manufatto, il Comune ha peraltro rinnovato l’ordine di demolizione con il
provvedimento dirigenziale del 26 febbraio 2002, a sua volta impugnato
dalla ricorrente con il primo atto di motivi aggiunti. Ribadite in via di
derivazione, con il primo motivo aggiunto, le censure già proposte avverso
il provvedimento originariamente gravato, con il secondo motivo aggiunto –
sostanzialmente riproduttivo del primo motivo di cui al ricorso – la
C.N.T. afferma che il capannone da essa realizzato avrebbe carattere di
precarietà strutturale e funzionale e, pertanto, configurerebbe opera di
adeguamento tecnologico ovvero di manutenzione straordinaria all’interno
del preesistente complesso industriale, con la conseguente sottoposizione
non alla sanzione ripristinatoria disciplinata dall’art. 7 della legge n.
47/1985, ma, al più, alle sanzioni pecuniarie previste dall’art. 2 co. 60
della legge n. 662/1996 e dall’art. 33 della legge regionale toscana n.
52/1999.
Con il terzo motivo aggiunto, la ricorrente lamenta quindi che
l’ordinanza in questione sia stata emessa nonostante la pendenza del
procedimento avviato con la presentazione della domanda di concessione in
sanatoria, e, con il terzo motivo aggiunto, deduce l’illegittimità del
provvedimento impugnato nella parte in cui dispone, per il caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, l’acquisizione al Comune di un’area
di sedime ingiustificatamente estesa.
Le censure, che saranno esaminate
congiuntamente, possono essere accolte nei limiti di seguito
precisati.
Preliminarmente, si osserva come l’ordine di demolizione
dell’11 luglio 2001 non sia qualificabile in termini di atto preparatorio
in virtù del suo contenuto inequivocabilmente precettivo e immediatamente
pregiudizievole per l’interessata (l’ordine di procedere entro novanta
giorni alla demolizione è accompagnato dal preavviso dell’esecuzione
coattiva a cura del Comune, dovendosi perciò escludere che si tratti di
semplice diffida). Analogo ed autonomo contenuto precettivo e
pregiudizievole è rivestito dalla successiva ordinanza del 26 febbraio
2002, la quale non ha natura di atto consequenziale, ma costituisce
rinnovato esercizio del potere sanzionatorio riconosciuto
all’amministrazione procedente dall’art. 7 della legge n. 47/1985. Il
provvedimento più recente non risente pertanto degli eventuali vizi del
provvedimento pregresso, ciò che determina l’infondatezza del primo motivo
aggiunto, volto a far valere un’illegittimità derivata implicante un
inesistente rapporto di presupposizione fra i due
provvedimenti.
Muovendo, pertanto, dalle censure dedotte con il secondo
motivo aggiunto, e dalla tesi della ricorrente secondo cui le opere
oggetto dell’ordine di demolizione non sarebbero in realtà soggette a
concessione edilizia anche a norma dell’art. 22 del regolamento edilizio
comunale, la documentazione in atti attesta come il capannone eretto dalla
ricorrente (45 x 50 metri, con altezza di 12 metri in gronda e 14 metri al
colmo) sia sostenuto da pilastri in acciaio ancorati su plinti interrati
in calcestruzzo armato delle dimensioni di metri 2,5 x 2,5, con una parte
della superficie posta in aderenza ad un manufatto in laterizio
preesistente e il lato sud caratterizzato dalla realizzazione di una
gettata interrata in calcestruzzo armato predisposta per lo scorrimento di
chiusure scorrevoli (si vedano i verbali di accertamento dell’11 giugno
2001 e del 12 ottobre 2005). Il capannone, realizzato nel 2001 per
allocarvi l’allestimento di dieci grandi imbarcazioni a motore da
consegnare entro la fine del 2003, non risulta ad oggi essere stato
smantellato.
Tanto premesso in fatto, è noto che il carattere precario
di un’opera dipende non tanto da profili di ordine strutturale, quanto
dalla destinazione funzionale e dall'interesse finale al cui
soddisfacimento l'opera stessa è destinata, potendosi considerare
manufatti precari quelli agevolmente rimovibili e volti a soddisfare
esigenze meramente temporanee, inidonei a determinare una stabile
alterazione degli assetti territoriali (fra le molte, cfr. Cons. Stato,
sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850; id., sez. VI, 16 febbraio 2011, n.
986). Nella specie, il capannone per cui è causa non soltanto è infisso al
suolo, ma, soprattutto, ha continuato e continua ad essere utilizzato ben
al di là delle particolari esigenze produttive che ne avevano occasionato
la realizzazione: anche ammesso che, in relazione a dette specifiche
esigenze, l’intenzione iniziale fosse quella di dare vita ad un’opera
funzionalmente precaria, la destinazione in concreto ricevuta
dall’immobile nel corso del tempo ne rivela, al contrario, una stabilità –
funzionale e strutturale – tale da esigere il rilascio del titolo
abilitativo (ratione temporis, la concessione
edilizia).
Nondimeno, ordinari canoni di buona amministrazione
avrebbero richiesto che il Comune resistente, prima di fare luogo al
rinnovo dell’ordine di demolizione, si pronunciasse sull’istanza di
rilascio della concessione in sanatoria del 22 dicembre 2001, giacché i
principi di economicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa ostano
all’esercizio del potere sanzionatorio ogniqualvolta la medesima autorità
sia stata preventivamente chiamata a valutare la possibile sanabilità
dell’abuso (non può essere sanzionato ciò che potrebbe ancora essere
sanato: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n.
3955).
Inoltre, l’ordinanza del 26 febbraio 2002 quantifica in 7000 mq
il sedime da acquisire al patrimonio comunale in caso di mancata
demolizione delle opere abusive, in assenza di qualsivoglia motivazione
circa le modalità di delimitazione della superficie oggetto di
acquisizione, di gran lunga superiore a quella occupata dal capannone,
pari a 2250 mq. La determinazione assunta dal Comune risulta così viziata
altresì per inosservanza dell’obbligo di esplicitare i criteri applicativi
della regola dettata dall’art. 7 co. 3 della legge n. 47/1985, che
circoscrive l’oggetto dell’acquisizione gratuita all’ “area necessaria,
secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere
analoghe a quelle abusive” (così Cons. Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n.
1881).
Con riferimento a tali profili, le doglianze della ricorrente
colgono dunque nel segno.
Sull’istanza per l’accertamento di conformità
del capannone, il Comune di Viareggio si è infine pronunciato
negativamente con il provvedimento dirigenziale n. 84 del 22 marzo 2005.
In quanto nuova costruzione, ad avviso del Comune sarebbe occorsa la
preventiva approvazione del piano di recupero previsto dall’art. 21 delle
N.T.A. di piano regolatore, risultando perciò l’intervento diretto per
definizione insuscettibile di sanatoria.
Con il secondo atto di motivi
aggiunti, la ricorrente C.N.T. sostiene che il diniego sarebbe illegittimo
in conseguenza dei vizi della disciplina urbanistica della zona DR5 e
degli atti applicativi consequenzialmente adottati dal Comune, in
particolare della mancata approvazione del piano di recupero già
presentato da essa ricorrente e respinto con provvedimento in data 2
ottobre 2001, oggetto del ricorso n. 2740/2001 R.G..
Con un secondo
ordine di doglianze, C.N.T. fa rilevare che il Comune avrebbe dovuto
quantomeno esaminare l’istanza di accertamento di conformità unitamente ai
tre ulteriori piani di recupero a stralcio per cantieristica nautica
presentati, rispettivamente, il 17 dicembre 2001, il 2 maggio 2002 e il 7
marzo 2003, tutti in attesa di essere vagliati e volti anche a consentire
la sanatoria del capannone realizzato senza titolo. Il mancato preventivo
esame dei piani di recupero vizierebbe il diniego di sanatoria sul duplice
piano del difetto di istruttoria e della violazione dei principi di
ragionevolezza ed economicità sanciti dall’art. 1 della legge n.
241/1990.
Un terzo ordine di censure è diretto a rivendicare la
qualificazione dell’intervento in questione come ristrutturazione edilizia
R1, espressamente consentito dalla variante generale al P.R.G., e a
contestare, di contro, la qualificazione di nuova opera attribuita al
manufatto dal Comune.
L’amministrazione resistente eccepisce
l’inammissibilità dell’impugnazione, stante la tardività dell’istanza di
sanatoria, presentata quando era oramai decorso dalla notifica dell’ordine
di demolizione dell’11 luglio 2001 il termine di novanta giorni stabilito
dall’art. 13 della legge n. 47/1985 ai fini del prodursi, in capo al
Comune, dell’effetto acquisitivo dell’area occupata dal fabbricato
abusivo.
Sul punto, basti osservare che non può il Comune pretendere
che si accerti in questa sede giurisdizionale – oltretutto in assenza di
impugnativa incidentale – l’inammissibilità dell’istanza di sanatoria, mai
rilevata in via amministrativa, con la conseguenza che gli effetti
preclusivi prodotti dalla pendenza del procedimento di sanatoria nei
confronti del primo ordine di demolizione non possono che ritenersi estesi
all’acquisizione dell’immobile abusivo e del relativo sedime. Lo stesso
Comune non ha mai attribuito effetti acquisitivi all’inosservanza del
provvedimento emanato l’11 luglio 2001, come è attestato dal fatto che
esso stesso ha reputato necessario rinnovare l’ordine di demolizione e che
l’accertamento dell’inottemperanza, finalizzato all’acquisizione gratuita
ed eseguito nell’ottobre 2005 (su cui infra), si riferisce appunto
all’ordinanza di demolizione del febbraio 2002, e non a quella
precedente.
Tuttavia, il gravame è infondato nel merito.
Anticipando
quanto si dirà sul ricorso n. 2740/2001 R.G., il diniego opposto al piano
di recupero presentato dalla ricorrente C.N.T. nel 2000 – 2001, pur
illegittimo, lascia residuare margini di discrezionalità amministrativa
che non consentono al giudice di accertare la spettanza dell’approvazione
del piano e, con essa, della sanatoria richiesta per il capannone.
Ciò
posto, si è detto che, alla stregua della disciplina urbanistica di zona,
la ristrutturazione urbanistica dell’area DR5 ex Fervet è sottoposta
all’approvazione di un piano di recupero unitario, salva la possibilità di
realizzare interventi di adeguamento a stralcio, limitatamente cioè ad
alcuni degli immobili ivi insistenti. Ne discende che l’esercizio delle
valutazioni sottese al rilascio della concessione in sanatoria, e del
connesso potere, non poteva prescindere dal rispetto di quella disciplina
ed era vincolato al rigetto della sanatoria relativamente ad interventi
diretti, quale quello realizzato dalla ricorrente con l’edificazione del
capannone al di fuori di un piano di recupero approvato.
Della
necessità di inserire l’intervento all’interno di un piano di recupero era
del resto perfettamente consapevole la ricorrente, come dimostra la
presentazione di ben tre piani di recupero successivamente a quello
respinto il 2 ottobre 2001, mentre appare del tutto ragionevole la scelta
dell’amministrazione di non trattare unitariamente il procedimento di
sanatoria e quelli inerenti l’approvazione dei piani di recupero, avuto
riguardo al diverso contenuto dell’uno e degli altri e, soprattutto, alla
circostanza che il mancato inserimento dell’opera in un piano di recupero
rendeva per definizione inconfigurabile la c.d. “doppia conformità”
richiesta dall’art. 13 della legge n. 47/1985, imponendo il diniego della
sanatoria individuale dell’intervento a prescindere dalla sorte dei più
ampi procedimenti parallelamente promossi da C.N.T. ai fini del
complessivo recupero urbanistico-edilizio dell’area (si vuol dire che
l’intervento non avrebbe potuto in nessun caso ricevere legittimazione
postuma attraverso l’accertamento di conformità, di modo che sulla
relativa istanza il Comune, tenuto comunque a pronunciarsi, non avrebbe
potuto che determinarsi negativamente).
A questo, deve aggiungersi che
la realizzazione del capannone non è riconducibile alla nozione di
ristrutturazione edilizia classificata come R1 dalla variante generale al
P.R.G. di Viareggio, consentita nelle sottozone DR e comportante
l’esecuzione di opere corrispondenti a quelle descritte dall’art. 31 co. 1
lett. d) della legge n. 457/1978 e dall’art. 4 della legge regionale n.
52/1999, e, per quanto qui interessa, consistenti nella demolizione di
volumi secondari e nella loro ricostruzione in diversa collocazione sul
lotto di pertinenza. Le modalità di edificazione del capannone
rappresentano in effetti, stante la già ravvisata stabilità funzionale e
strutturale del fabbricato, un tipico esempio di nuova costruzione, che la
ricorrente vorrebbe riqualificare ex post riconducendo ad
artificiosa unità interventi edilizi fra loro autonomi (la costruzione del
capannone, appunto, e le demolizioni da eseguire oggetto della proposta
integrativa di intervento inoltrata al Comune il 18 giugno 2003, vale a
dire oltre due anni dopo la costruzione del capannone). Non giova,
peraltro, intrattenersi oltre sul punto, giacché, se anche potesse
parlarsi di ristrutturazione, essa avrebbe comunque richiesto la
preventiva approvazione del piano di recupero a norma dell’art. 20 co. 6
delle N.T.A. alla variante di P.R.G., trattandosi di intervento su
immobili aventi superficie lorda superiore a 1000 mq (come anche rilevato
dall’amministrazione nel provvedimento impugnato), di talché neppure in
tale evenienza il requisito della doppia conformità si sarebbe mai potuto
ritenere soddisfatto.
Con il terzo atto di motivi aggiunti, è impugnato
il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione
del 26 febbraio 2002, con contestuale acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell’immobile abusivo e del relativo sedime. I vizi già sopra
rilevati a carico del provvedimento sanzionatorio presupposto si
trasmettono al provvedimento consequenziale in esame, che solo per questo
deve essere annullato, con assorbimento di ogni altro dedotto profilo di
illegittimità.
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Sul ricorso n. 2740/2001 R.G..
È impugnato il
provvedimento dirigenziale del 2 ottobre 2001, recante il diniego di
approvazione del piano di recupero informalmente presentato dalla società
C.N.T., per la sottozona DR5 ex Fervet, sin dall’agosto 2000 ed integrato
con la proposta delle soluzioni urbanistiche definitive nell’agosto 2001.
L’atto fonda la propria motivazione sul mancato rispetto dei parametri
urbanistici dettati per l’area.
Con il primo motivo di ricorso, la
ricorrente da un lato fa valere l’incompetenza dell’organo procedente,
affermando che la materia ricadrebbe fra le attribuzione del Consiglio
comunale ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. n. 267/2000 e dell’art. 7 N.T.A.
della variante generale al P.R.G. di Viareggio; e, dall’altro, denuncia
l’irragionevolezza del diniego, sprovvisto del contenuto motivazionale
minimo che permetta di comprendere le reali ragioni del ritenuto contrasto
fra il progetto e la disciplina urbanistica comunale.
Il secondo motivo
investe l’interpretazione degli artt. 20 e 21 delle N.T.A. della variante
generale, ritenendo la ricorrente che una corretta lettura sistematica di
tali disposizioni dovrebbe condurre ad affermare la assentibilità del
progetto da essa presentato, il quale presuppone un calcolo del rapporto
di copertura effettuato sull’intera superficie della sottozona DR5
comprensivo del 40% dell’area da destinare a spazi pubblici (e non anche,
secondo la tesi, da cedere in proprietà al Comune), e senza limiti di
altezza per gli edifici a destinazione residenziale, sottoposti al solo
indice volumetrico del 30% rispetto alle volumetrie consentite per le
attività produttive. Per il caso in cui tale interpretazione non fosse
condivisa dal tribunale, la ricorrente, con il terzo motivo, deduce che il
diniego deriverebbe comunque la propria invalidità da quella dell’art. 21
N.T.A., impugnato con il ricorso n. 628/1998 R.G..
Le censure, da
esaminarsi congiuntamente, sono fondate nei termini che seguono.
L’art.
7 delle norme di attuazione della variante generale al P.R.G. di
Viareggio, nel testo conseguente alle modifiche approvate con delibera
consiliare n. 50 del 28 luglio 1997, assegna al Consiglio comunale la
competenza in materia di approvazione di piani particolareggiati, piani di
lottizzazione, piani di recupero, comparti edilizi, progetti di
attrezzature e opere pubbliche di interesse collettivo, in conformità
all’art. 32 co. 2 della legge n. 142/1990 come modificato dall’art. 5 co.
5 della legge n. 127/1997. Quanto alla coerenza della richiamata norma di
attuazione con la disciplina di legge sopravvenuta, si osserva che
l’espunzione dall’art. 32 co. 2 cit. del riferimento espresso ai piani di
recupero (art. 4 co. 2 della legge n. 415/1998), che ha trovato conferma
nella vigente previsione dell’art. 42 co. 2 del D.Lgs. n. 267/2000, non
toglie che la materia possa continuare a considerarsi ricadente nelle
attribuzioni del Consiglio comunale in tema di approvazione dei piani
territoriali ed urbanistici, ovvero, secondo una diversa impostazione
(cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 26 marzo 2012, n. 2877), fra le
competenze residuali della Giunta (art. 35 l. n. 142/1990 e art. 48 D.Lgs.
n. 267/2000), esclusa, in ogni caso, la competenza dirigenziale.
Sul
diverso fronte della motivazione, il provvedimento impugnato – pur
laconicamente – esprime la propria contrarietà al progetto in quanto non
rispettoso dei parametri urbanistici stabiliti dalla variante generale per
la zona ex Fervet ed applicati sulle superfici effettivamente edificabili,
vale a dire la superficie complessiva dell’area al netto del 40% oggetto
di obbligatoria cessione all’amministrazione comunale; e la conclusione
appare conforme alla disciplina della sottozona DR5 contenuta nell’art. 22
N.T.A., che, imponendo la destinazione del 40% dell’area a spazi pubblici,
la sottrae alla disponibilità per l’edificazione e, conseguentemente, al
calcolo della superficie fondiaria, come definita dall’art. 38 del
regolamento edilizio comunale e rilevante ai fini del computo del rapporto
di copertura stabilito dallo stesso art. 22 N.T.A.. Non può pertanto
essere condivisa l’interpretazione proposta dalla ricorrente, la quale
invoca un rapporto di copertura “territoriale” non rispondente alla
definizione di cui all’art. 42 del regolamento edilizio (quoziente tra la
superficie coperta dei fabbricati esistenti e di quelli da costruire e la
superficie fondiaria pertinente, quest’ultima, lo si ripete, coincidente
con quella disponibile per l’edificazione), avuto anche riguardo alla
circostanza che lo stesso regolamento fornisce una nozione di superficie
territoriale come comprensiva delle aree per l’urbanizzazione primaria e
secondaria, le quali, a contrario, debbono considerarsi escluse dal
computo della superficie fondiaria (da cui, per la sottozona DR5,
l’esclusione dal computo della superficie utile ai fini della
determinazione del rapporto di copertura del 40% della superficie,
obbligatoriamente destinata a spazi pubblici/opere di
urbanizzazione).
Siccome fondato sulla pedissequa applicazione dei
parametri urbanistici dettati dall’art. 22 N.T.A. per l’area ex Fervet, il
diniego di approvazione del piano di recupero non può peraltro non
risentire della acclarata illegittimità di quei parametri (si vedano,
supra, le considerazioni svolte sul ricorso R.G. n. 628/1998), ed è per
questo aspetto che va annullato, senza che in contrario possa darsi adito
alle osservazioni della difesa comunale in ordine all’inammissibilità del
recupero, previsto dal piano, del capannone abusivamente realizzato
sull’area: la questione non risulta minimamente affrontata dal
provvedimento impugnato e dovrà formare oggetto, nel contraddittorio
procedimentale, delle più ampie valutazioni tecnico-discrezionali che pur
sempre residuano in capo all’amministrazione in esito
all’annullamento.
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Sul ricorso n. 2159/2007 R.G..
Senza rinunciare al
piano di recupero respinto dal Comune di Viareggio con il provvedimento
dirigenziale del 2 ottobre 2001, ed alla relativa impugnazione
giurisdizionale (ricorso R.G. n. 2740/2001), la società Centro Nautico
Toscano ha proceduto nel tempo alla presentazione di tre ulteriori
proposte di piano il 2 maggio 2002, il 7 marzo 2003 e l’11 aprile 2005,
seguite da una proposta di accordo procedimentale protocollata il 5
settembre 2005 e, infine, da altra proposta di piano del 17 luglio 2006,
contenente la contestuale richiesta di attivazione della procedura
semplificata ex art. 5 D.P.R. n. 447/1998 per la realizzazione di
un polo industriale di cantieristica navale.
Nel silenzio
dell’amministrazione su detta più recente proposta, e a seguito del
ricorso proposto da C.N.T. ai sensi dell’art. 21-bis della legge n.
1034/1971, il Comune – prima che il T.A.R. adito dall’interessata potesse
pronunciarsi – si è determinato negativamente con il provvedimento
dirigenziale del 4 settembre 2007, la cui motivazione, premessa in fatto
l’intervenuta approvazione del piano strutturale con delibera del 29
giugno 2004 e riferito il contenuto del regolamento urbanistico in corso
di adozione nella parte relativa al comparto ex Fervet (art. 60), si
sostanzia nel ravvisato contrasto fra la proposta e la normativa
urbanistica vigente.
Con l’unico, articolato motivo di gravame, la
ricorrente contesta l’adeguatezza delle ragioni poste a fondamento del
diniego, lamentando l’assenza di qualsivoglia valutazione delle
caratteristiche del progetto presentato e della entità del contrasto con
la disciplina urbanistica di zona. Per altro verso, C.N.T. nega che possa
ascriversi un qualche rilievo vincolante al regolamento urbanistico in
corso di adozione ed evidenzia comunque la modesta difformità del proprio
piano rispetto allo stesso strumento urbanistico adottando.
Il ricorso
è fondato.
L’art. 5 del D.P.R. n. 447/1998, oggi abrogato dall’art. 12
co. 7 D.P.R. n. 160/2010, ha introdotto nell’ordinamento una procedura
semplificata per la realizzazione o l’ampliamento di insediamenti
produttivi, in forza della quale il contrasto del progetto con la
strumentazione urbanistica vigente non è necessariamente ostativo
all’approvazione dell’intervento, purché questo – risultando compatibile
con la normativa ambientale, sanitaria e sulla sicurezza del lavoro –
possa formare oggetto di una proposta di variante urbanistica su
determinazione della conferenza di servizi appositamente convocata dal
responsabile del procedimento, da sottoporre quindi all’approvazione del
Consiglio comunale. L’altra condizione richiesta dalla norma perché possa
farsi luogo alla conferenza di servizi è l'assenza di individuazione,
nell'ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica dell'ente
locale, di aree destinate ad insediamenti produttivi, ovvero la loro
insufficienza in relazione al tipo di progetto presentato, tenuto conto
del fatto che, laddove si tratti di un insediamento produttivo già
esistente, l'area da destinare all'ampliamento della relativa attività
deve evidentemente trovarsi in stabile e diretto collegamento con quella
dell'insediamento principale e da ampliare (fra le altre, cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4413; id., 15 luglio 2011, n. 4308;
T.A.R. Lazio – Latina, sez. I, 4 novembre 2013, n. 824).
Alla luce di
tale, pacifica, esegesi della norma, il semplice rilievo della contrarietà
del progetto alla pianificazione urbanistica vigente non può costituire
adeguata motivazione del rigetto dell’istanza, se non accompagnato da
un’espressa valutazione circa l’insussistenza dei presupposti per
l’indizione della conferenza di servizi finalizzata alla formulazione
della proposta di variante, e questo a fortioriladdove, come nella
specie, tale valutazione sia stata formalmente sollecitata dall’istante
(si veda la nota della C.N.T. allegata alla proposta di piano di recupero,
nella quale sono evidenziati gli scostamenti della proposta medesima dai
parametri urbanistici e viene richiesta l’attivazione del procedimento di
variante).
Né la motivazione insufficiente può essere integrata dalle
deduzioni difensive svolte in questa sede dal Comune, ivi comprese quelle
inerenti la pretesa applicabilità delle salvaguardie stabilite dall’art.
39 l.r. toscana n. 5/1995, la quale neppure indirettamente è contemplata
dal provvedimento impugnato, giacché il richiamo al regolamento
urbanistico in corso di approvazione ha una funzione meramente
illustrativa, ma nessuna statuizione ne è fatta derivare dall’organo
procedente, la cui volontà non può essere ricostruita se non sulla base
del contenuto obiettivo del provvedimento. In ogni caso, l’invocato art.
39 non pone un divieto assoluto di nuovi interventi per l’ipotesi di
mancata approvazione del piano strutturale e del regolamento urbanistico,
ma ne esige l’approvazione attraverso il procedimento aggravato
dell’accordo di pianificazione (e non può certo dirsi palese, ai sensi e
per gli effetti di cui all’art. 21-octies co. 2 della legge n.
241/1990, che detto procedimento non avrebbe potuto essere avviato dal
Comune sulla variante richiesta da C.N.T., secondo una valutazione che
pertiene esclusivamente all’amministrazione).
Per tali ragioni, anche
il diniego frapposto al progetto presentato il 17 luglio 2006 deve essere
annullato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti del
Comune.
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Conclusioni.
In forza di tutte le considerazioni
che precedono, i ricorsi nn. 628/1998, 2740/2001 e 2159/2007 R.G. debbono
essere accolti nei sensi precisati. Quanto al ricorso n. 2266/2001 R.G.,
l’impugnativa proposta con l’atto introduttivo del giudizio va dichiarata
improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, mentre vanno accolti
il primo ed il terzo atto di motivi aggiunti e respinti i secondi motivi
aggiunti.
Le spese delle cause riunite possono essere compensate in
ragione di un quarto, tenuto conto del complessivo esito del contenzioso,
e per il resto seguono la soccombenza, prevalente, del Comune di
Viareggio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, riunisce le cause
e:
accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione i ricorsi
nn. 628/1998, 2740/2001 e 2159/2007 R.G.;
dichiara improcedibile per
sopravvenuto difetto di interesse l’impugnativa proposta con l’atto
introduttivo del ricorso n. 2266/2001 R.G.;
accoglie le impugnative
proposte con il primo ed il terzo atto di motivi aggiunti nel ricorso n.
2266/2001 e respinge i secondi motivi aggiunti.
Dichiara compensate in
ragione di un quarto le spese delle cause riunite, e condanna
l’amministrazione resistente alla rifusione della porzione residua, che
liquida in complessivi euro 6.000,00, oltre agli accessori di
legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio
del giorno 19 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo
Buonvino, Presidente
Alessandro Cacciari, Consigliere
Pierpaolo
Grauso, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/06/2014
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