REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 5198 del
2006, proposto da:
Gorla Alessandra e Messina Giovanni,
rappresentati e difesi dagli avv.ti Mario Sanino, Maurizio Cossa, con
domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;;
contro
Contestabile Maria Luigia, Nardelli Silvano,
rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Sarasso, Marcello Corradi, con
domicilio eletto presso Marcello Corradi in Roma, via Baldo degli
Ubaldi,250;
nei confronti di
Comune di Verrua Savoia, in persona del legale
rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea
Manzi, Antonio Finocchiaro, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in
Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del PIEMONTE –
Sede di TORINO- SEZIONE I n. 01877/2006, resa tra le parti, concernente
permesso di costruire
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella
camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 il Consigliere Fabio
Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Mario Sanino, Marcello Corradi
e Andrea Manzi;
FATTO
Con ricorso in appello passato per notifica il 7
giugno 2006, notificato a parte appellata il 12 giugno 2006 e depositato
il 14 giugno 2006, la odierna parte opponente aveva chiesto l’annullamento
della sentenza del T.A.R. del PIEMONTE – Sede di TORINO - SEZIONE I n.
01877/2006.
Il Comune si è costituito in giudizio con memoria, e le
parti private appellate hanno depositato memoria contenente appello
incidentale.
Alla adunanza camerale del 28 luglio 2006, con ordinanza
cautelare n. 3971/2006, l’esecutività della sentenza è stata sospesa.
La segreteria della Sezione ha poi provveduto a comunicare alle parti
costituite l’avviso di perenzione ultraquinquennale di cui all’art. 82,
co. 1, cod. proc. amm. in data 13/07/2012 all’appellante ed al Comune di
Verrua Savoia ed in data 17/07/2012 all’appellante incidentale: lo stesso
è stato ricevuto, rispettivamente, in data 13/07/2012 ed in data
23/07/2012.
Posto che nel termine e nel modo previsti dal citato art.
82, co. 1, cod. proc. amm. non è stata presentata nuova istanza di
fissazione di udienza il ricorso è stato dichiarato perento mercè il
richiamata decreto presidenziale n. 00563/2013 del 19 aprile
2013.
Avverso detto decreto di perenzione la difesa di parte appellante
ha proposto un articolato atto di opposizione datato 2 luglio 2013 e
passato per notifica il 4 luglio 2013.
Detto atto di opposizione si
fonda sulle emergenze fattuali e giuridiche che di seguito vengono
indicate.
Ivi, in particolare, si rappresenta la circostanza
che:
a) la difesa dell’impugnante soltanto compulsando il sito internet della Giustizia Amministrativa il 13 maggio 2013 si era
accorta dell’avvenuta pronuncia del decreto di perenzione oggetto
dell’odierna impugnazione;
a1) che solo attraverso approfondite
verifiche era stato possibile accertare che all’indirizzo di posta
elettronica certificata del difensore era stata inviata una comunicazione
di posta elettronica in data 13.07.2012 con la quale si richiedeva la
eventuale presentazione di una istanza di fissazione di udienza per il
caso di persistente interesse al ricorso;
b) che a tale forma di
comunicazione non piena si era unito il disguido per cui il messaggio di
posta risultava “già letto” il che aveva impedito alla difesa di prenderne
conoscenza;
c)che, tuttavia, nell’atto di appello non era stato
indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore qual
riferimento per le comunicazioni, per cui ai fini di consentire una piena
conoscenza dell’avviso sarebbe stata necessari altra forma di
comunicazione (tenuto conto della circostanza che, antecedentemente alla
introduzione della p.e.c. gli avvisi venivano consegnati ai Signori
Avvocati in Sezione);
d)che era evidente l’interesse dell’appellante
alla coltivazione del ricorso, per cui, in eventuale subordine (punto n. 9
della premessa in fatto) si richiedeva la remissione in termini per errore
scusabile.
Con il primo motivo di censura, quindi, l’opponente ha fatto
presente che all’epoca della introduzione nel sistema dell’istituto ex art. 9 della legge n. 205/2000 non era ancora vigente l’art. 136
del cpa.
Peraltro il domicilio eletto “fisicamente” poteva anche non
coincidere con la mail certificata data a riferimento, per cui
sarebbe stata necessario l’inoltro dell’avviso al domicilio eletto
specificamente.
Ulteriormente, se l’art. 16 comma 3 del d. L. n.
185/2008 faceva riferimento all’obbligo dei legali di fornire all’Ordine
la propria p.e.c., era pur vero che le comunicazioni effettuate ai sensi
del cpa dovevano avvenire alla pec indicata specificamente negli atti
processuali, e non a quella genericamente reperibile dalla compulsazione
dei pubblici registri.
L’onere di fornire i recapiti alla Segreteria
era specificamente “sanzionato”: da ciò si evinceva che la comunicazione
doveva avvenire eventualmente all’indirizzo pec specificamente indicato
nell’atto processuale (il che, nel caso di specie, non era avvenuto).
Di converso, ove nessun atto processuale di parte depositato nel
singolo processo avesse recato l’indicazione della pec del difensore, le
comunicazioni non avrebbero potuto avvenire in tal modo.
Per altro
verso, si sottolineava che, stante l’interesse dell’appellante (peraltro
vittoriosa in sede cautelare) alla decisione della causa, la declaratoria
di perenzione si sarebbe risolta in un ingiusto diniego di
giustizia.
Con il secondo motivo di censura si evidenziava il possibile
contrasto con gli articoli 24 e 111 della Costituzione e con l’ art. 6
CEDU di una eventuale contraria opzione interpretativa, invocandosi i
principi del “giusto processo” e della effettività della tutela
giurisdizionale, e si richiamavano le affermazioni contenute
nell’ordinanza collegiale della terza Sezione di questo Consiglio di Stato
n. 143/2013 sostenendosi che sarebbe stato ingiusto colpire con la
perenzione la parte già sacrificata (senza sua colpa) dalla lunga giacenza
del ricorso, se non quando il procedimento di verifica dell’attualità
dell’interesse si sia svolto in modo tale da far ritenere con ogni
ragionevole certezza che l’interesse è, in effetti, venuto meno.
Nel
caso di specie, emergeva per tabulas che tale interesse non era
venuto meno, sicchè si chiedeva la revoca del decreto e la fissazione
della pubblica udienza di discussione della causa (artt. 85 comma 4 del
cpa).
Con ulteriore memoria parte impugnante ha ribadito e precisato
le proprie tesi.
L’amministrazione comunale intimata ha depositato una
memoria associandosi alla richiesta di parte appellante ed odierna
impugnante e chiedendo l’accoglimento della opposizione e la fissazione
dell’udienza di merito: in seno a detta memoria ha anche evidenziato che
era possibile che la comunicazione dell’avviso di perenzione
ultraquinquennale in data 17/07/2012 all’appellante incidentale, non fosse
stata effettuata via pec, ma mercè notifica a mezzo di ufficiale
giudiziario.
Ciò avrebbe concretato una disparità di trattamento, che
certamente non poteva ridondare in danno della parte appellante che
manteneva intatto il proprio interesse alla coltivazione
dell’appello.
Parte appellata ed appellante incidentale ha chiesto la
reiezione della opposizione, facendo presente che, in punto di fatto, la
opposizione non era fondata e che comunque al momento della proposizione
dell’appello era già vigente l’art. 2 comma I lett. B n. 2 della legge n.
263/2005 che aveva modificato l’art. 136 cpc e che, pertanto, detta
disposizione processualcivilistica poteva trovare ingresso nel
sistema.
In ogni caso nessuna disposizione imponeva che i recapiti dei
difensori utilizzabili per le comunicazioni processuali dovessero essere
soltanto quelli indicati negli atti processuali e non potessero, invece,
ricavarsi dai pubblici registri.
Nessuna considerazione, infine,
meritavano i richiami a supposte necessità di tutela del diritto di
difesa, pacificamente garantite dalle disposizioni processuali
applicate.
Alla odierna camera di consiglio del 29 aprile 2014 è stata
trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. Rileva il Collegio che la questione centrale
del giudizio non è nuova, e che sulla stessa si sono più volte pronunciate
le Sezioni di questo Consiglio di Stato: esse sono pervenute, tuttavia, a
prese di posizione disomogenee, il che induce questo Collegio a rimettere
la questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ex art.
99 comma I del cpa.
2.Prima di passare ad illustrare e sintetizzare i
termini della questione di diritto, chiarendo al contempo, sul punto,
l’opinione del Collegio, pare opportuno richiamare i divergenti arresti
delle Sezioni di questo Consiglio di Stato che giustificano l’applicazione
dell’art. 99 comma 1 del cpa.
2.1. Si sono confrontate sulla questione
due opzioni ermeneutiche.
2.1.1.Secondo un primo orientamento la
“comunicazione”, da cui decorre il termine di cui all’art. 1, comma 2
dell’allegato 3 al codice del processo amministrativo … può essere
effettuata ai sensi e per gli effetti, di cui all’art. 136 del medesimo
cod. proc. amm., solo per i difensori che – rendendo noto nel primo atto
difensivo, ai sensi della medesima norma, il proprio indirizzo di posta
elettronica certificata o di recapito fax – abbiano consapevolmente
assunto l’onere di adottare le necessarie cautele, in funzione della
presunzione di conoscenza connessa a siffatte forme di trasmissione. Per i
difensori che abbiano proposto ricorso o si siano costituiti in data
antecedente all’entrata in vigore del codice, detta presunzione di
conoscenza non potrebbe ritenersi operante … con conseguente applicabilità
dell’art. 37 cod. proc. amm..
Su tale linea interpretativa, con varie
sfumature, si sono orientate le ordinanze della Sezione Quinta nn.
1702/2014, 649/2014 ma anche della Sezione Sesta n. 5391/2012, 3909/2013 e
della Sezione Quarta n. 5232/2013.
2.1.2. E’ superfluo porre in luce
che, ove venisse prescelto il detto approdo ermeneutico, dovrebbe
discenderne, nel caso di specie, l’accoglimento della opposizione al
decreto di perenzione: come esposto nella parte “in fatto”, il ricorso in
appello è stato depositato nel 2006 ed ivi non v’è alcuna indicazione
dell’indirizzo pec del difensore di parte appellante (utilizzato invece
dalla segreteria della Sezione per comunicare l’avviso di perenzione
ultraquinquennale).
2.2. Secondo invece un altro orientamento, allo
stato minoritario, (Sez. IV, Ord. Colleg. n. 144/2014 che comunque ha
successivamente accolto l’opposizione proposta, riconoscendo l’errore
scusabile), se risponde al vero che solo con l’art. 136 del codice del
processo è stato previsto l’obbligo da parte del difensore di indicare
l’indirizzo di posta elettronica certificata presso il quale ricevere le
comunicazioni, tuttavia occorre rimarcare che la stessa norma ha cura di
precisare che, una volta espressa tale indicazione, si presumono
conosciute le comunicazioni pervenute con i predetti mezzi nel rispetto
della normativa, anche regolamentare, vigente.
Tale precisazione
contenuta nella norma dovrebbe essere intesa nel senso che, ove alla
segreteria fosse comunque noto l’indirizzo di posta certificata del
difensore, (per averlo, quest’ultimo, comunicato in occasione di
successivi atti difensivi o di altri processi incardinati presso il
medesimo organo giurisdizionale) la segreteria sarebbe abilitata ad
utilizzare siffatta modalità, a garanzia non solo della celerità,
efficienza ed economicità delle comunicazioni, ma anche dell’effettività e
sicurezza delle stesse (la comunicazione è realizzata tramite canali
sicuri basati sull'utilizzo dei protocolli di trasporto che permettano la
crittografia dei dati trasmessi; la ricezione della posta è comprovato da
un’attestazione di recapito….).
Secondo tale divisamento, in simili
ipotesi si potrebbe piuttosto dibattere (non già della validità della
comunicazione, ma) della reale conoscenza della comunicazione recapitata a
mezzo pec, ritenendo che la presunzione di conoscenza stabilita dalla
norma operi solo quando la pec sia espressamente indicata nel contesto del
ricorso in relazione al quale gli avvisi devono essere comunicati. Così
che in tali casi, ferma l’idoneità e validità dello strumento di recapito,
sia ammessa la prova di impedimenti tecnici o personali che abbiano
impedito al titolare della pec l’effettiva percezione dell’avviso.
Il
suesposto orientamento, ove traslato sulla presente controversia,
comporterebbe la reiezione della opposizione (o quantomeno della più
radicale censura ivi prospettata) residuando unicamente l’onere di una
delibazione in ordine alla circostanza se possa – o meno- rientrare nel
concetto di “errore scusabile” idoneo per la concessione del beneficio di
cui all’art. 37 del cpa l’ “inconveniente” denunciato dalla difesa e
riposante nella circostanza che il messaggio risultava come “già letto”
(l’impugnante ha lealmente rappresentato infatti che non si era verificato
un impedimento tecnico o personale tale da impedire al titolare della pec
l’effettiva ricezione dell’avviso, ancorchè il detto messaggio risultasse
“già letto”).
3. Così sintetizzati gli opposti orientamenti
interpretativi sinora emersi, e dato atto della evidente refluenza della
problematica sulla controversia assunta in decisione, si può adesso
brevemente procedere alla illustrazione dei termini della questione, quale
essa appare al Collegio, e, congiuntamente, alla esposizione del punto di
vista del medesimo.
4. Quanto al quadro normativo cui fare riferimento
si sottolinea che (contrariamente a quanto sostenutosi da parte appellante
incidentale nell’ambito della propria memoria depositata nel giudizio di
opposizione, pagg. 8 e 9) non ritiene il Collegio che assumano diretta
rilevanza, ai fini della risoluzione della questione, argomenti fondati
sul dato normativo riposante nel testo dell’art. 136 del codice di
procedura civile.
Quest’ultima disposizione, come è noto, era stata
interpolata dall’art. 2 comma 1 della legge 28-12-2005 n. 263 che dopo il
secondo comma ne aveva aggiunto uno ulteriore, che così recitava «Le
comunicazioni possono essere eseguite a mezzo telefax o a mezzo posta
elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente
la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti
informatici e teletrasmessi».
L’argomento fondato sulla diretta
applicabilità di tale disposizione al rito processuale amministrativo, già
in epoca antecedente alla introduzione nel sistema giuridico del codice
del processo amministrativo (ed in particolare dell’art. 39 comma II ivi
contenuto) non appare condivisibile: è ben noto infatti l’orientamento
costante della giurisprudenza amministrativa in materia, a tenore del
quale era preclusa la diretta applicabilità delle norme contenute nel
codice di procedura civile, a meno che esse non esprimessero,
indiscutibilmente, principi generali dell'ordinamento processuale o
costituissero lo strumento per colmare una lacuna della legge processuale
amministrativa (tra le tante, Cons. Stato Sez. V, 21-11-2007, n.
5926).
Quanto più in particolare alla disciplina delle notificazioni
dei ricorsi giurisdizionali davanti al Consiglio di Stato si rammenta che
essa, antecedentemente alla entrata in vigore del cpa si rinveniva negli
art. 3, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 r. d. 17 agosto 1907, n. 642 e che, per
giurisprudenza pacifica, (Cons. Stato Sez. VI, 04-11-1987, n. 869) dette
disposizioni avevano strutturato ad hoc un compiuto sistema che
riposava su propri ed esclusivi presupposti per cui doveva ritenersi
precluso all’interprete far riferimento a procedimenti di
eterointegrazione con norme di diversi sistemi, persino ove si fossero
ravvisate lacune, dovendo anzitutto riferirsi a procedimenti esegetici
conducenti all'autointegrazione del sistema stesso.
4.1. Se così è, la
disposizione cui fare diretto riferimento è quella di cui al comma 1
dell'art. 136 c.p.a. (il cui primo periodo è stato sostituito dall'art. 1
del D.Lgs. n. 195 del 2011, decreto correttivo del c.p.a., pubblicato in
G.U.R.I. del 23 novembre 2011 e in vigore dall'8 dicembre 2011) laddove si
prevede che "I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo
un indirizzo di posta elettronica certificata e un recapito di fax, che
possono essere anche diversi dagli indirizzi del domiciliatario, dove
intendono ricevere le comunicazioni relative al processo. Una volta
espressa tale indicazione si presumono conosciute le comunicazioni
pervenute con i predetti mezzi nel rispetto della normativa, anche
regolamentare, vigente. È onere dei difensori comunicare alla segreteria e
alle parti costituite ogni variazione dei suddetti dati".
Sulla
circostanza che trattasi di disposizione di carattere processuale che, in
armonia con principi assolutamente pacifici trova immediata applicazione
fin dal momento della relativa entrata in vigore, con inevitabile
operatività estesa anche ai giudizi in corso non pare potersi
dubitare.
L’art. 2, comma 6, dell’all. 2 al D.L.vo 104 del 2010,
dispone poi che “la Segreteria effettua le comunicazioni alle parti ai
sensi dell’art. 136, comma 1, del codice o, altrimenti, nelle forme di cui
all’art. 45 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura
civile”. Come già colto dalla ordinanza collegiale n. 00649/2014 prima
citata, per il vero esiste (rectius: permane) nel “sistema” una
disciplina sulle modalità di inoltro delle “comunicazioni relative al
processo” che contempla comunque strumenti di inoltro diversi rispetto
alla PEC, qualora la parte non abbia prescelto in via espressa
quest’ultima modalità.
5. Muovendo da detto dato di partenza, osserva
ancora il Collegio che l’art. 16 del d.L. 29-11-2008 n. 185 nel testo
convertito con modificazioni dalla legge di conversione 28 gennaio 2009,
n. 2 prevede, ai commi 7-9 quanto di seguito:
“7. I professionisti
iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai
rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica
certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6
entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli
ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via
telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati
identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta
elettronica certificata.
7-bis. L'omessa pubblicazione dell'elenco
riservato previsto dal comma 7, ovvero il rifiuto reiterato di comunicare
alle pubbliche amministrazioni i dati previsti dal medesimo comma,
costituiscono motivo di scioglimento e di commissariamento del collegio o
dell'ordine inadempiente.
8.Le amministrazioni pubbliche di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, qualora non abbiano provveduto ai sensi
dell'articolo 47, comma 3, lettera a), del Codice dell'Amministrazione
digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, istituiscono
una casella di posta certificata o analogo indirizzo di posta elettronica
di cui al comma 6 per ciascun registro di protocollo e ne danno
comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica
amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un
elenco consultabile per via telematica. Dall'attuazione del presente
articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica e si deve provvedere nell'ambito delle risorse disponibili.
9. Salvo quanto stabilito dall'articolo 47, commi 1 e 2, del codice
dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005,
n. 82, le comunicazioni tra i soggetti di cui ai commi 6, 7 e 8 del
presente articolo, che abbiano provveduto agli adempimenti ivi previsti,
possono essere inviate attraverso la posta elettronica certificata o
analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6, senza che il
destinatario debba dichiarare la propria disponibilità ad accettarne
l'utilizzo.”.
5.1. La linea di tendenza che emerge dalla detta
disposizione, ad avviso del Collegio, è quella per cui, una volta che sia
stato comunicato all’Amministrazione un “indirizzo di posta elettronica
certificata o analogo indirizzo di posta elettronica “ (cui l’art. 136 del
cpa equipara l’indirizzo fax) lo stesso possa essere utilizzato dalle
Amministrazioni tout court, senza che ci si debba limitare al
singolo procedimento nell’ambito del quale la comunicazione è stata
effettuata o che debba dichiararsi di volta in volta la disponibilità ad
accettarne l’utilizzo.
5.2.Per opinare diversamente, si dovrebbe
sostenere che l’art. 136 del cpa abbia ristretto il perimetro della
utilizzabilità della pec rispetto alle disposizioni generali.
5.3. Di
tale tendenza prima richiamata applicativa si è avveduta l’ordinanza della
Quarta Sezione n. 144/2014 che ne ha tratto spunto per ritenere che
l’incipit del secondo periodo del primo comma dell’art. 136 del cpa (“una
volta espressa tale indicazione “) dovesse essere interpretato nel senso
che la operatività del meccanismo comunicativo di cui all’art. 136 del cpa
non fosse precluso allorchè alla segreteria fosse comunque noto
l’indirizzo di posta certificata del difensore (in quanto comunicato in
occasione di successivi atti difensivi o di altri processi
incardinati).
5.4. Il Collegio remittente condivide tale (allo stato
minoritario) opinamento alla stregua di più considerazioni.
5.4.1. Il
dato letterale dell’art. 136, per il vero, autorizzerebbe entrambe le
opzioni ermeneutiche: i termini ivi utilizzati al singolare “nel ricorso o
nel primo atto difensivo… le comunicazioni relative al processo…. una
volta espressa tale indicazione”, sono evidente frutto di una tecnica
redazionale della norma e non costituiscono indizio della preclusione ad
utilizzare l’indirizzo di posta certificata del difensore comunicato in
occasione di successivi atti difensivi o di altri processi incardinati
presso il medesimo organo giurisdizionale (o comunque, eventualmente,
acquisito presso il Consiglio dell’Ordine, motu proprio, dalla
Segreteria)
5.4.2. Neppure appaiono appaganti per il vero, le tesi
esposte in taluno degli arresti giurisdizionali prima menzionati e che
militano per la tesi preclusiva.
Ivi, si muove dal presupposto che
soltanto allorchè avesse reso noto nel primo atto difensivo il proprio
indirizzo di posta elettronica certificata o di recapito fax il difensore
abbia assunto l’onere di cautela in funzione della presunzione di
conoscenza connessa alle dette forme comunicative, e che in carenza di
tale assunzione di responsabilità, debba essere preclusa alla Segreteria
l’utilizzo delle medesime (la cui utilità, a fini di semplificazione degli
adempimenti, risparmio di spesa etc, non pare necessiti di
dimostrazione).
Tale lodevole preoccupazione di escludere
ingiustificate compressioni del diritto di difesa delle parti ben si
inquadra, per il vero (e ne è forse in qualche misura condizionato) nella
pacifica considerazione secondo cui l’istituto della perenzione dei
ricorsi ultraquinquennali (in origine degli ultradecennali) introdotto
dall’art. 9 l. n. 205 del 2000 ed oggi recepito nell’art. 82 Cod. proc.
amm., in quanto non volto a sanzionare inerzie e negligenze delle parti,
bensì a deflazionare l’arretrato va applicato con cautela risolvendo ogni
dubbio sul perfetto e tempestivo svolgimento di tutti gli adempimenti
inerenti al subprocedimento di perenzione in favore della parte che
alleghi il proprio persistente interesse.
5.4.3. Senonchè, è possibile
controbattere a tale argomento, ponendo in luce che il consapevole
apprestamento di cautele non “nasce” o è riferibile esclusivamente al
singolo processo nell’ambito del quale il difensore ha indicato il proprio
indirizzo di posta elettronica certificata o di recapito fax.
Allorchè
infatti questi – in uno qualsiasi dei processi allo stesso affidati- abbia
proceduto a rendere siffatta indicazione, per ciò solo si è assunto
l’onere di adottare le necessarie cautele per essere reso tempestivamente
edotto delle comunicazioni allo stesso indirizzate (compulsazione
sistematica e periodica della posta in arrivo, etc).
Detti incombenti
non sono diversi, ove la indicazione sia stata resa in uno soltanto, od in
molteplici processi, e sono di natura unitaria, riposando nella periodica
compulsazione delle comunicazioni in arrivo: il dovere di controllo
scaturisce quindi dalla prima comunicazione resa in qualsivoglia processo,
ed è il medesimo, quale che sia il numero di processi in cui essa ha avuto
luogo.
Non può quindi affermarsi che dalla mancata comunicazione nel
singolo processo (laddove comunque detta comunicazione sia stata
effettuata in altri processi pendenti presso lo steso Ufficio giudiziario)
si possa desumere che non insorga ex se l’onere di cautela, tanto
più che lo stesso non è differenziato in relazione al numero di
comunicazioni effettuate.
5.5. Per altro verso, rammenta il Collegio
che per costante giurisprudenza formatasi in relazione al terzo comma
dell’art. 156 del codice di procedura civile (disposizione quest’ultima,
espressiva di principi generali e ritenuta applicabile al processo
amministrativo sin da tempi risalenti e comunque ben prima dalla
introduzione dell’art. 39 del cpa nel sistema) il principio del
“raggiungimento dello scopo” ivi espresso è applicabile anche alle nullità
attingenti le notificazioni e le comunicazioni (tra le tante: Cons. Stato
Sez. V, 22-03-2012, n. 1631; Cass. civ. Sez. II, 21-02-2007, n. 4035;
Cass. civ. Sez. II, 01-03-2007, n. 4866).
La regola generale è quella
per cui allorchè sia dimostrato infatti che l'atto ha raggiunto lo scopo
di portare tempestivamente a conoscenza quanto ivi contenuto detta
circostanza rende giuridicamente irrilevante, valendo come sanatoria la
nullità dell'eseguita notificazione (con riferimento alle notificazioni di
parte: Cass. Sez. Un. sent. n. 3110 del 1987; Cass. sent. n. 8641 del 1987
Cass. Sent. 19/11/1997 n. 11524).
5.5.1. In proposito va anche
sottolineato che la giurisprudenza di legittimità riconosce efficacia
sanante al raggiungimento dello scopo non solo nelle ipotesi di
comportamenti conseguenti, ma anche del tutto indipendentemente da questi
ultimi.
Costituisce infatti pacifico insegnamento in tema di notifiche
nulle per assoluta incompetenza dell'organo notificante la affermazione
che tale nullità è "sanabile non solo a seguito della costituzione della
parte ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova
dell'avvenuta comunicazione dell'atto al notificato" (Cass. 29-1-2014
n.1990). Questa esegesi che riconduce la ratio della sanatoria
all'assolvimento concreto della funzione cui l'atto era preordinato anche
indipendentemente dal comportamento conseguente del soggetto interessato
si è mantenuta inalterata nella giurisprudenza (oltre a Cass. cit. 1990/14
v. Cass. 12456/08; 770/1999; 4474/81). Quest'ultima costantemente
confermata - come già osservato - appare particolarmente
illuminante.
"La citazione, atto formale che esteriorizza la domanda
giudiziale proposta dall'attore, ha a funzione di portare tale domanda a
conoscenza del convenuto e di chiamare questi davanti al giudice (vocatio
in ius).E’ , perciò, un atto recettizio. E funzione della notificazione,
strumentale rispetto a quella principale della citazione, è, appunto, di
attuare la recezione, medianteconsegna di copia della citazione al
convenuto o ad altra persona a ciò legittimata dalla legge.
“Avvenuta la recezione della citazione, a mezzo dell'eseguita
notificazione, è costituito, parzialmente, il rapporto processuale, che
sarà completato, anche nei confronti del giudice, con la costituzione in
giudizio dell'una o dell'altra parte. La notificazione è nulla o perche
viziata nella sua struttura, cioè per ragioni oggettive (inosservanza
delle disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la
copia od incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data:
art. 160 c.p.c.), oppure per vizio attinente al suo presupposto
soggettivo, allorchè venga effettuata da un pubblico ufficiale in astratto
abilitato ad eseguirla (ufficiale giudiziario, aiutante ufficiale
giudiziario, messo di conciliazione) ma incompetente in concreto. Nullità,
per l'una o per l'altra ragione, di cui è possibile la sanatoria, tra
l'altro, per il principio generale stabilito dall'ultimo comma dell'art.
156 c.p.c. (che l'art. 160 richiama, appunto, come applicabile alla
nullità delle notificazioni), il quale, con riferimento a qualsiasi atto
processuale dispone: « la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto
ha raggiunto lo scopo a cui è destinato ».
“Scopo dell'atto
processuale è la sua funzione. E poichè la funzione della notificazione
della citazione è di attuare la recezione di quest'ultima da parte del
convenuto, lo scopo di essa e raggiunto se la recezione della citazione e
stata attuata; sicchè, quando l'attuazione della ricezione sia avvenuta,
la nulità della notificazione, per l'una o per l'altra ragione, è sanata.
Se cosi è, la nullità della notificazione della citazione è sanata non
soltanto dalla costituzione del convenuto (atto che non integra il
rapporto processuale, quando è perfezionato dalla costituzione
dell'attore), ma anche quando risulti dallo stesso atto di notificazione
(cioè dalla relata) l'avvenuta attuazione della recezione, che è lo scopo
dell'atto. In particolare, in ipotesi di notificazione della citazione a
mezzo del servizio postale, nulla per incompetenza dell'ufficiale
giudiziario o dell'aiutante ufficiale giudiziario o del messo di
conciliazione che l'ha eseguita, si ha sanatoria della nullità quando la
ricevuta di ritorno sia sottoscritta dal convenuto, poichè risulta
documentalmente, dallo stesso atto di notifica, l'avvenuta consegna a
quest'ultimo personalmente del plico contenente la copia della
citazione."
Questa è esattamente l'ipotesi che si è verificata in
concreto in cui non si sconosce o si contesta l'avvenuta ricezione ma si
vuole disconoscere l'effetto di un evento che si è verificato e che per
sua natura è autosufficiente a dimostrare la piena attuazione della
funzione cui l'atto era preordinato.
5.5.2. E’ ben vero poi, che la
dimostrazione dell’avvenuto raggiungimento dello scopo si è fatta di
regola coincidere con la circostanza che la parte intimata aveva
esercitato i diritti difensivi preordinati alla comunicazione
dell’atto.
Senonchè tale profilo attiene alla fase dimostrativa, e non
a quella sostanziale dell’avvenuto raggiungimento dello scopo, per cui non
potrebbe affermarsi che, nel caso di specie, posto che la parte
destinataria della comunicazione non si è tempestivamente attivato, la
comunicazione del decreto di perenzione non avrebbe raggiunto lo
scopo.
Lo scopo della comunicazione è quello di fare entrare nella
sfera di conoscenza del destinatario una determinata “notizia” di rilevo
processuale: e questo avviene certamente allorchè al difensore si
comunichi un atto con le modalità di cui all’art. 136 cpa.
5.5.3. Con
più stringente riferimento alla fattispecie oggetto di esame, è anche il
caso di rammentare che, quanto alla disciplina delle comunicazioni nel
codice di procedura civile, la giurisprudenza di legittimità ha affermato
il principio che la comunicazione è valida anche se eseguita in forme
diverse da quelle prescritte (di cui all'art. 136 c.p.c.) sempre che vi
sia stata un'attività a tal fine del cancelliere "e vi sia la certezza che
il provvedimento sia stato portato a conoscenza del destinatario e sia
altresì certa la data di tale conoscenza" (Cass. civ. n. 24742 del 2006;
n. 14737 del 2006);
5.5.4. Non è inopportuno porre in luce, in ultimo,
che se il principio del raggiungimento dello scopo è predicabile allorchè
un atto sia affetto dal radicale vizio della nullità, a fortiori esso
dovrebbe trovare applicazione qualora in alcun modo tale vizio sia
riscontrabile.
Al più, infatti, ove si accedesse alla tesi che l’art.
136 del cpa abbia ristretto il campo applicativo della comunicazione a
mezzo pec rispetto alla disposizione generale (cfr. comma 10 dell’art. 16
del d.L. 29-11-2008 n. 185: “la consultazione per via telematica dei
singoli indirizzi di posta elettronica certificata o analoghi indirizzi di
posta elettronica di cui al comma 6 nel registro delle imprese o negli
albi o elenchi costituiti ai sensi del presente articolo avviene
liberamente e senza oneri. L'estrazione di elenchi di indirizzi è
consentita alle sole pubbliche amministrazioni per le comunicazioni
relative agli adempimenti amministrativi di loro competenza”) si potrebbe
discutere di una “irritualità” della comunicazione, in quanto effettuata
in forma diversa da quella prescritta, ma non certo di nullità.
5.5.5.
Nel caso di specie, essendo provato per tabulas che lo scopo della
comunicazione è stato raggiunto (il decreto è entrato nella sfera
conoscitiva del destinatario, come lealmente non disconosciuto da
quest’ultimo) mancherebbero i presupposti per ritenere la comunicazione
effettuata dalla Segreteria affetta da vizio alcuno.
E, pertanto, anche
a volere ritenere che la possibilità di procedere alla comunicazione
dell’avvenuta emissione del decreto di perenzione ex art. 136 del
cpa fosse preclusa non avendo il difensore indicato “in quel processo” il
proprio indirizzo pec ugualmente non potrebbe considerarsi la stessa inutiliter data in quanto la supposta irritualità sarebbe stata
sanata.
5.5.6. Le innegabili esigenze di cautela applicativa sottese
alla ratio giustificativa dell’istituto della perenzione (che il
Collegio ribadisce di condividere) potrebbero essere assicurate attraverso
un accurato vaglio in ordine alla sussistenza dei presupposti per la
concessione del beneficio ex art. 37 del cpa.
6. In
conclusione, pronunciando sulla opposizione al decreto di perenzione in
epigrafe indicato la Quarta Sezione rimette all’esame della Adunanza
Plenaria la questione controversa, riposante nella ritualità ed immunità
da vizi delle comunicazioni rese dalla Segreteria ex art. 136 del
cpa ove dirette all’ indirizzo di posta elettronica certificata ovvero al
recapito di fax del difensore, ancorchè non da questi indicate nel ricorso
o nel primo atto difensivo riferibile al processo nell’ambito del quale è
effettuata la comunicazione, e sulla operatività della presunzione di
conoscenza sancita nella detta disposizione anche nella suindicata
evenienza.
Rimette altresì la eventuale definizione del giudizio di
opposizione e la statuizione sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,
ne dispone il deferimento all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nei
sensi di cui alla motivazione.
Manda alla segreteria della sezione per
gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del
fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di
assistere all'Adunanza Penaria.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Nicola Russo,
Consigliere
Michele Corradino, Consigliere
Fabio Taormina,
Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/08/2014