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CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE IV - Ordinanza 6 agosto 2014 n. 4211
Pres. Virgilio – Est. Taormina
Gorla Alessandra, Messina Giovanni(Avv.ti Sanino,Cossa) c/Contestabile Maria Luigia,Nardelli Silvano(Avv.ti Sarasso,Corradi) nei confronti di Comune di Verrua Savoia(Avv.ti Manzi, Finocchiaro)


Processo amministrativo – Perenzione – Decreto – Omessa istanza fissazione udienza - Avviso perenzione trasmessa via PEC- Presunzione di conoscenza – Anche in caso di omessa indicazione PEC nel ricorso – Controversia –Va rimessa all’Adunanza Plenaria

 

 

Va rimessa all’Adunanza Plenaria la questione concernente l’efficacia o meno delle comunicazioni rese dalla Segreteria ex art. 136 del cpa ove dirette all’indirizzo di posta elettronica certificate ovvero al recapito di fax del difensore, ancorchè non da questi indicate nel ricorso o nel primo atto difensivo riferibile al processo nell’ambito del quale è effettuata la comunicazione e l’operatività della presunzione di conoscenza sancita nella detta disposizione anche nella suindicata evenienza (fattispecie concernente il decreto di perenzione a seguito di omessa presentazione di istanza di fissazione d’udienza nonostante comunicazione pec fosse stato inviato l’avviso di perenzione ultraquinquennale).

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)



ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA



sul ricorso numero di registro generale 5198 del 2006, proposto da:

Gorla Alessandra e Messina Giovanni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Mario Sanino, Maurizio Cossa, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;;

 

contro



Contestabile Maria Luigia, Nardelli Silvano, rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Sarasso, Marcello Corradi, con domicilio eletto presso Marcello Corradi in Roma, via Baldo degli Ubaldi,250;

 

nei confronti di



Comune di Verrua Savoia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Manzi, Antonio Finocchiaro, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

 

per la riforma
della sentenza del T.A.R. del PIEMONTE – Sede di TORINO- SEZIONE I n. 01877/2006, resa tra le parti, concernente permesso di costruire



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Mario Sanino, Marcello Corradi e Andrea Manzi;

 


FATTO



Con ricorso in appello passato per notifica il 7 giugno 2006, notificato a parte appellata il 12 giugno 2006 e depositato il 14 giugno 2006, la odierna parte opponente aveva chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. del PIEMONTE – Sede di TORINO - SEZIONE I n. 01877/2006.
Il Comune si è costituito in giudizio con memoria, e le parti private appellate hanno depositato memoria contenente appello incidentale.
Alla adunanza camerale del 28 luglio 2006, con ordinanza cautelare n. 3971/2006, l’esecutività della sentenza è stata sospesa.
La segreteria della Sezione ha poi provveduto a comunicare alle parti costituite l’avviso di perenzione ultraquinquennale di cui all’art. 82, co. 1, cod. proc. amm. in data 13/07/2012 all’appellante ed al Comune di Verrua Savoia ed in data 17/07/2012 all’appellante incidentale: lo stesso è stato ricevuto, rispettivamente, in data 13/07/2012 ed in data 23/07/2012.
Posto che nel termine e nel modo previsti dal citato art. 82, co. 1, cod. proc. amm. non è stata presentata nuova istanza di fissazione di udienza il ricorso è stato dichiarato perento mercè il richiamata decreto presidenziale n. 00563/2013 del 19 aprile 2013.
Avverso detto decreto di perenzione la difesa di parte appellante ha proposto un articolato atto di opposizione datato 2 luglio 2013 e passato per notifica il 4 luglio 2013.
Detto atto di opposizione si fonda sulle emergenze fattuali e giuridiche che di seguito vengono indicate.
Ivi, in particolare, si rappresenta la circostanza che:
a) la difesa dell’impugnante soltanto compulsando il sito internet della Giustizia Amministrativa il 13 maggio 2013 si era accorta dell’avvenuta pronuncia del decreto di perenzione oggetto dell’odierna impugnazione;
a1) che solo attraverso approfondite verifiche era stato possibile accertare che all’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore era stata inviata una comunicazione di posta elettronica in data 13.07.2012 con la quale si richiedeva la eventuale presentazione di una istanza di fissazione di udienza per il caso di persistente interesse al ricorso;
b) che a tale forma di comunicazione non piena si era unito il disguido per cui il messaggio di posta risultava “già letto” il che aveva impedito alla difesa di prenderne conoscenza;
c)che, tuttavia, nell’atto di appello non era stato indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore qual riferimento per le comunicazioni, per cui ai fini di consentire una piena conoscenza dell’avviso sarebbe stata necessari altra forma di comunicazione (tenuto conto della circostanza che, antecedentemente alla introduzione della p.e.c. gli avvisi venivano consegnati ai Signori Avvocati in Sezione);
d)che era evidente l’interesse dell’appellante alla coltivazione del ricorso, per cui, in eventuale subordine (punto n. 9 della premessa in fatto) si richiedeva la remissione in termini per errore scusabile.
Con il primo motivo di censura, quindi, l’opponente ha fatto presente che all’epoca della introduzione nel sistema dell’istituto ex art. 9 della legge n. 205/2000 non era ancora vigente l’art. 136 del cpa.
Peraltro il domicilio eletto “fisicamente” poteva anche non coincidere con la mail certificata data a riferimento, per cui sarebbe stata necessario l’inoltro dell’avviso al domicilio eletto specificamente.
Ulteriormente, se l’art. 16 comma 3 del d. L. n. 185/2008 faceva riferimento all’obbligo dei legali di fornire all’Ordine la propria p.e.c., era pur vero che le comunicazioni effettuate ai sensi del cpa dovevano avvenire alla pec indicata specificamente negli atti processuali, e non a quella genericamente reperibile dalla compulsazione dei pubblici registri.
L’onere di fornire i recapiti alla Segreteria era specificamente “sanzionato”: da ciò si evinceva che la comunicazione doveva avvenire eventualmente all’indirizzo pec specificamente indicato nell’atto processuale (il che, nel caso di specie, non era avvenuto).
Di converso, ove nessun atto processuale di parte depositato nel singolo processo avesse recato l’indicazione della pec del difensore, le comunicazioni non avrebbero potuto avvenire in tal modo.
Per altro verso, si sottolineava che, stante l’interesse dell’appellante (peraltro vittoriosa in sede cautelare) alla decisione della causa, la declaratoria di perenzione si sarebbe risolta in un ingiusto diniego di giustizia.
Con il secondo motivo di censura si evidenziava il possibile contrasto con gli articoli 24 e 111 della Costituzione e con l’ art. 6 CEDU di una eventuale contraria opzione interpretativa, invocandosi i principi del “giusto processo” e della effettività della tutela giurisdizionale, e si richiamavano le affermazioni contenute nell’ordinanza collegiale della terza Sezione di questo Consiglio di Stato n. 143/2013 sostenendosi che sarebbe stato ingiusto colpire con la perenzione la parte già sacrificata (senza sua colpa) dalla lunga giacenza del ricorso, se non quando il procedimento di verifica dell’attualità dell’interesse si sia svolto in modo tale da far ritenere con ogni ragionevole certezza che l’interesse è, in effetti, venuto meno.
Nel caso di specie, emergeva per tabulas che tale interesse non era venuto meno, sicchè si chiedeva la revoca del decreto e la fissazione della pubblica udienza di discussione della causa (artt. 85 comma 4 del cpa).
Con ulteriore memoria parte impugnante ha ribadito e precisato le proprie tesi.
L’amministrazione comunale intimata ha depositato una memoria associandosi alla richiesta di parte appellante ed odierna impugnante e chiedendo l’accoglimento della opposizione e la fissazione dell’udienza di merito: in seno a detta memoria ha anche evidenziato che era possibile che la comunicazione dell’avviso di perenzione ultraquinquennale in data 17/07/2012 all’appellante incidentale, non fosse stata effettuata via pec, ma mercè notifica a mezzo di ufficiale giudiziario.
Ciò avrebbe concretato una disparità di trattamento, che certamente non poteva ridondare in danno della parte appellante che manteneva intatto il proprio interesse alla coltivazione dell’appello.
Parte appellata ed appellante incidentale ha chiesto la reiezione della opposizione, facendo presente che, in punto di fatto, la opposizione non era fondata e che comunque al momento della proposizione dell’appello era già vigente l’art. 2 comma I lett. B n. 2 della legge n. 263/2005 che aveva modificato l’art. 136 cpc e che, pertanto, detta disposizione processualcivilistica poteva trovare ingresso nel sistema.
In ogni caso nessuna disposizione imponeva che i recapiti dei difensori utilizzabili per le comunicazioni processuali dovessero essere soltanto quelli indicati negli atti processuali e non potessero, invece, ricavarsi dai pubblici registri.
Nessuna considerazione, infine, meritavano i richiami a supposte necessità di tutela del diritto di difesa, pacificamente garantite dalle disposizioni processuali applicate.
Alla odierna camera di consiglio del 29 aprile 2014 è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO



1. Rileva il Collegio che la questione centrale del giudizio non è nuova, e che sulla stessa si sono più volte pronunciate le Sezioni di questo Consiglio di Stato: esse sono pervenute, tuttavia, a prese di posizione disomogenee, il che induce questo Collegio a rimettere la questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ex art. 99 comma I del cpa.
2.Prima di passare ad illustrare e sintetizzare i termini della questione di diritto, chiarendo al contempo, sul punto, l’opinione del Collegio, pare opportuno richiamare i divergenti arresti delle Sezioni di questo Consiglio di Stato che giustificano l’applicazione dell’art. 99 comma 1 del cpa.
2.1. Si sono confrontate sulla questione due opzioni ermeneutiche.
2.1.1.Secondo un primo orientamento la “comunicazione”, da cui decorre il termine di cui all’art. 1, comma 2 dell’allegato 3 al codice del processo amministrativo … può essere effettuata ai sensi e per gli effetti, di cui all’art. 136 del medesimo cod. proc. amm., solo per i difensori che – rendendo noto nel primo atto difensivo, ai sensi della medesima norma, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o di recapito fax – abbiano consapevolmente assunto l’onere di adottare le necessarie cautele, in funzione della presunzione di conoscenza connessa a siffatte forme di trasmissione. Per i difensori che abbiano proposto ricorso o si siano costituiti in data antecedente all’entrata in vigore del codice, detta presunzione di conoscenza non potrebbe ritenersi operante … con conseguente applicabilità dell’art. 37 cod. proc. amm..
Su tale linea interpretativa, con varie sfumature, si sono orientate le ordinanze della Sezione Quinta nn. 1702/2014, 649/2014 ma anche della Sezione Sesta n. 5391/2012, 3909/2013 e della Sezione Quarta n. 5232/2013.
2.1.2. E’ superfluo porre in luce che, ove venisse prescelto il detto approdo ermeneutico, dovrebbe discenderne, nel caso di specie, l’accoglimento della opposizione al decreto di perenzione: come esposto nella parte “in fatto”, il ricorso in appello è stato depositato nel 2006 ed ivi non v’è alcuna indicazione dell’indirizzo pec del difensore di parte appellante (utilizzato invece dalla segreteria della Sezione per comunicare l’avviso di perenzione ultraquinquennale).
2.2. Secondo invece un altro orientamento, allo stato minoritario, (Sez. IV, Ord. Colleg. n. 144/2014 che comunque ha successivamente accolto l’opposizione proposta, riconoscendo l’errore scusabile), se risponde al vero che solo con l’art. 136 del codice del processo è stato previsto l’obbligo da parte del difensore di indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata presso il quale ricevere le comunicazioni, tuttavia occorre rimarcare che la stessa norma ha cura di precisare che, una volta espressa tale indicazione, si presumono conosciute le comunicazioni pervenute con i predetti mezzi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente.
Tale precisazione contenuta nella norma dovrebbe essere intesa nel senso che, ove alla segreteria fosse comunque noto l’indirizzo di posta certificata del difensore, (per averlo, quest’ultimo, comunicato in occasione di successivi atti difensivi o di altri processi incardinati presso il medesimo organo giurisdizionale) la segreteria sarebbe abilitata ad utilizzare siffatta modalità, a garanzia non solo della celerità, efficienza ed economicità delle comunicazioni, ma anche dell’effettività e sicurezza delle stesse (la comunicazione è realizzata tramite canali sicuri basati sull'utilizzo dei protocolli di trasporto che permettano la crittografia dei dati trasmessi; la ricezione della posta è comprovato da un’attestazione di recapito….).
Secondo tale divisamento, in simili ipotesi si potrebbe piuttosto dibattere (non già della validità della comunicazione, ma) della reale conoscenza della comunicazione recapitata a mezzo pec, ritenendo che la presunzione di conoscenza stabilita dalla norma operi solo quando la pec sia espressamente indicata nel contesto del ricorso in relazione al quale gli avvisi devono essere comunicati. Così che in tali casi, ferma l’idoneità e validità dello strumento di recapito, sia ammessa la prova di impedimenti tecnici o personali che abbiano impedito al titolare della pec l’effettiva percezione dell’avviso.
Il suesposto orientamento, ove traslato sulla presente controversia, comporterebbe la reiezione della opposizione (o quantomeno della più radicale censura ivi prospettata) residuando unicamente l’onere di una delibazione in ordine alla circostanza se possa – o meno- rientrare nel concetto di “errore scusabile” idoneo per la concessione del beneficio di cui all’art. 37 del cpa l’ “inconveniente” denunciato dalla difesa e riposante nella circostanza che il messaggio risultava come “già letto” (l’impugnante ha lealmente rappresentato infatti che non si era verificato un impedimento tecnico o personale tale da impedire al titolare della pec l’effettiva ricezione dell’avviso, ancorchè il detto messaggio risultasse “già letto”).
3. Così sintetizzati gli opposti orientamenti interpretativi sinora emersi, e dato atto della evidente refluenza della problematica sulla controversia assunta in decisione, si può adesso brevemente procedere alla illustrazione dei termini della questione, quale essa appare al Collegio, e, congiuntamente, alla esposizione del punto di vista del medesimo.
4. Quanto al quadro normativo cui fare riferimento si sottolinea che (contrariamente a quanto sostenutosi da parte appellante incidentale nell’ambito della propria memoria depositata nel giudizio di opposizione, pagg. 8 e 9) non ritiene il Collegio che assumano diretta rilevanza, ai fini della risoluzione della questione, argomenti fondati sul dato normativo riposante nel testo dell’art. 136 del codice di procedura civile.
Quest’ultima disposizione, come è noto, era stata interpolata dall’art. 2 comma 1 della legge 28-12-2005 n. 263 che dopo il secondo comma ne aveva aggiunto uno ulteriore, che così recitava «Le comunicazioni possono essere eseguite a mezzo telefax o a mezzo posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi».
L’argomento fondato sulla diretta applicabilità di tale disposizione al rito processuale amministrativo, già in epoca antecedente alla introduzione nel sistema giuridico del codice del processo amministrativo (ed in particolare dell’art. 39 comma II ivi contenuto) non appare condivisibile: è ben noto infatti l’orientamento costante della giurisprudenza amministrativa in materia, a tenore del quale era preclusa la diretta applicabilità delle norme contenute nel codice di procedura civile, a meno che esse non esprimessero, indiscutibilmente, principi generali dell'ordinamento processuale o costituissero lo strumento per colmare una lacuna della legge processuale amministrativa (tra le tante, Cons. Stato Sez. V, 21-11-2007, n. 5926).
Quanto più in particolare alla disciplina delle notificazioni dei ricorsi giurisdizionali davanti al Consiglio di Stato si rammenta che essa, antecedentemente alla entrata in vigore del cpa si rinveniva negli art. 3, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 r. d. 17 agosto 1907, n. 642 e che, per giurisprudenza pacifica, (Cons. Stato Sez. VI, 04-11-1987, n. 869) dette disposizioni avevano strutturato ad hoc un compiuto sistema che riposava su propri ed esclusivi presupposti per cui doveva ritenersi precluso all’interprete far riferimento a procedimenti di eterointegrazione con norme di diversi sistemi, persino ove si fossero ravvisate lacune, dovendo anzitutto riferirsi a procedimenti esegetici conducenti all'autointegrazione del sistema stesso.
4.1. Se così è, la disposizione cui fare diretto riferimento è quella di cui al comma 1 dell'art. 136 c.p.a. (il cui primo periodo è stato sostituito dall'art. 1 del D.Lgs. n. 195 del 2011, decreto correttivo del c.p.a., pubblicato in G.U.R.I. del 23 novembre 2011 e in vigore dall'8 dicembre 2011) laddove si prevede che "I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo un indirizzo di posta elettronica certificata e un recapito di fax, che possono essere anche diversi dagli indirizzi del domiciliatario, dove intendono ricevere le comunicazioni relative al processo. Una volta espressa tale indicazione si presumono conosciute le comunicazioni pervenute con i predetti mezzi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente. È onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione dei suddetti dati".
Sulla circostanza che trattasi di disposizione di carattere processuale che, in armonia con principi assolutamente pacifici trova immediata applicazione fin dal momento della relativa entrata in vigore, con inevitabile operatività estesa anche ai giudizi in corso non pare potersi dubitare.
L’art. 2, comma 6, dell’all. 2 al D.L.vo 104 del 2010, dispone poi che “la Segreteria effettua le comunicazioni alle parti ai sensi dell’art. 136, comma 1, del codice o, altrimenti, nelle forme di cui all’art. 45 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile”. Come già colto dalla ordinanza collegiale n. 00649/2014 prima citata, per il vero esiste (rectius: permane) nel “sistema” una disciplina sulle modalità di inoltro delle “comunicazioni relative al processo” che contempla comunque strumenti di inoltro diversi rispetto alla PEC, qualora la parte non abbia prescelto in via espressa quest’ultima modalità.
5. Muovendo da detto dato di partenza, osserva ancora il Collegio che l’art. 16 del d.L. 29-11-2008 n. 185 nel testo convertito con modificazioni dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 prevede, ai commi 7-9 quanto di seguito:
“7. I professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.
7-bis. L'omessa pubblicazione dell'elenco riservato previsto dal comma 7, ovvero il rifiuto reiterato di comunicare alle pubbliche amministrazioni i dati previsti dal medesimo comma, costituiscono motivo di scioglimento e di commissariamento del collegio o dell'ordine inadempiente.
8.Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, qualora non abbiano provveduto ai sensi dell'articolo 47, comma 3, lettera a), del Codice dell'Amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, istituiscono una casella di posta certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e si deve provvedere nell'ambito delle risorse disponibili.
9. Salvo quanto stabilito dall'articolo 47, commi 1 e 2, del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le comunicazioni tra i soggetti di cui ai commi 6, 7 e 8 del presente articolo, che abbiano provveduto agli adempimenti ivi previsti, possono essere inviate attraverso la posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6, senza che il destinatario debba dichiarare la propria disponibilità ad accettarne l'utilizzo.”.
5.1. La linea di tendenza che emerge dalla detta disposizione, ad avviso del Collegio, è quella per cui, una volta che sia stato comunicato all’Amministrazione un “indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica “ (cui l’art. 136 del cpa equipara l’indirizzo fax) lo stesso possa essere utilizzato dalle Amministrazioni tout court, senza che ci si debba limitare al singolo procedimento nell’ambito del quale la comunicazione è stata effettuata o che debba dichiararsi di volta in volta la disponibilità ad accettarne l’utilizzo.
5.2.Per opinare diversamente, si dovrebbe sostenere che l’art. 136 del cpa abbia ristretto il perimetro della utilizzabilità della pec rispetto alle disposizioni generali.
5.3. Di tale tendenza prima richiamata applicativa si è avveduta l’ordinanza della Quarta Sezione n. 144/2014 che ne ha tratto spunto per ritenere che l’incipit del secondo periodo del primo comma dell’art. 136 del cpa (“una volta espressa tale indicazione “) dovesse essere interpretato nel senso che la operatività del meccanismo comunicativo di cui all’art. 136 del cpa non fosse precluso allorchè alla segreteria fosse comunque noto l’indirizzo di posta certificata del difensore (in quanto comunicato in occasione di successivi atti difensivi o di altri processi incardinati).
5.4. Il Collegio remittente condivide tale (allo stato minoritario) opinamento alla stregua di più considerazioni.
5.4.1. Il dato letterale dell’art. 136, per il vero, autorizzerebbe entrambe le opzioni ermeneutiche: i termini ivi utilizzati al singolare “nel ricorso o nel primo atto difensivo… le comunicazioni relative al processo…. una volta espressa tale indicazione”, sono evidente frutto di una tecnica redazionale della norma e non costituiscono indizio della preclusione ad utilizzare l’indirizzo di posta certificata del difensore comunicato in occasione di successivi atti difensivi o di altri processi incardinati presso il medesimo organo giurisdizionale (o comunque, eventualmente, acquisito presso il Consiglio dell’Ordine, motu proprio, dalla Segreteria)
5.4.2. Neppure appaiono appaganti per il vero, le tesi esposte in taluno degli arresti giurisdizionali prima menzionati e che militano per la tesi preclusiva.
Ivi, si muove dal presupposto che soltanto allorchè avesse reso noto nel primo atto difensivo il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o di recapito fax il difensore abbia assunto l’onere di cautela in funzione della presunzione di conoscenza connessa alle dette forme comunicative, e che in carenza di tale assunzione di responsabilità, debba essere preclusa alla Segreteria l’utilizzo delle medesime (la cui utilità, a fini di semplificazione degli adempimenti, risparmio di spesa etc, non pare necessiti di dimostrazione).
Tale lodevole preoccupazione di escludere ingiustificate compressioni del diritto di difesa delle parti ben si inquadra, per il vero (e ne è forse in qualche misura condizionato) nella pacifica considerazione secondo cui l’istituto della perenzione dei ricorsi ultraquinquennali (in origine degli ultradecennali) introdotto dall’art. 9 l. n. 205 del 2000 ed oggi recepito nell’art. 82 Cod. proc. amm., in quanto non volto a sanzionare inerzie e negligenze delle parti, bensì a deflazionare l’arretrato va applicato con cautela risolvendo ogni dubbio sul perfetto e tempestivo svolgimento di tutti gli adempimenti inerenti al subprocedimento di perenzione in favore della parte che alleghi il proprio persistente interesse.
5.4.3. Senonchè, è possibile controbattere a tale argomento, ponendo in luce che il consapevole apprestamento di cautele non “nasce” o è riferibile esclusivamente al singolo processo nell’ambito del quale il difensore ha indicato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o di recapito fax.
Allorchè infatti questi – in uno qualsiasi dei processi allo stesso affidati- abbia proceduto a rendere siffatta indicazione, per ciò solo si è assunto l’onere di adottare le necessarie cautele per essere reso tempestivamente edotto delle comunicazioni allo stesso indirizzate (compulsazione sistematica e periodica della posta in arrivo, etc).
Detti incombenti non sono diversi, ove la indicazione sia stata resa in uno soltanto, od in molteplici processi, e sono di natura unitaria, riposando nella periodica compulsazione delle comunicazioni in arrivo: il dovere di controllo scaturisce quindi dalla prima comunicazione resa in qualsivoglia processo, ed è il medesimo, quale che sia il numero di processi in cui essa ha avuto luogo.
Non può quindi affermarsi che dalla mancata comunicazione nel singolo processo (laddove comunque detta comunicazione sia stata effettuata in altri processi pendenti presso lo steso Ufficio giudiziario) si possa desumere che non insorga ex se l’onere di cautela, tanto più che lo stesso non è differenziato in relazione al numero di comunicazioni effettuate.
5.5. Per altro verso, rammenta il Collegio che per costante giurisprudenza formatasi in relazione al terzo comma dell’art. 156 del codice di procedura civile (disposizione quest’ultima, espressiva di principi generali e ritenuta applicabile al processo amministrativo sin da tempi risalenti e comunque ben prima dalla introduzione dell’art. 39 del cpa nel sistema) il principio del “raggiungimento dello scopo” ivi espresso è applicabile anche alle nullità attingenti le notificazioni e le comunicazioni (tra le tante: Cons. Stato Sez. V, 22-03-2012, n. 1631; Cass. civ. Sez. II, 21-02-2007, n. 4035; Cass. civ. Sez. II, 01-03-2007, n. 4866).
La regola generale è quella per cui allorchè sia dimostrato infatti che l'atto ha raggiunto lo scopo di portare tempestivamente a conoscenza quanto ivi contenuto detta circostanza rende giuridicamente irrilevante, valendo come sanatoria la nullità dell'eseguita notificazione (con riferimento alle notificazioni di parte: Cass. Sez. Un. sent. n. 3110 del 1987; Cass. sent. n. 8641 del 1987 Cass. Sent. 19/11/1997 n. 11524).
5.5.1. In proposito va anche sottolineato che la giurisprudenza di legittimità riconosce efficacia sanante al raggiungimento dello scopo non solo nelle ipotesi di comportamenti conseguenti, ma anche del tutto indipendentemente da questi ultimi.
Costituisce infatti pacifico insegnamento in tema di notifiche nulle per assoluta incompetenza dell'organo notificante la affermazione che tale nullità è "sanabile non solo a seguito della costituzione della parte ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova dell'avvenuta comunicazione dell'atto al notificato" (Cass. 29-1-2014 n.1990). Questa esegesi che riconduce la ratio della sanatoria all'assolvimento concreto della funzione cui l'atto era preordinato anche indipendentemente dal comportamento conseguente del soggetto interessato si è mantenuta inalterata nella giurisprudenza (oltre a Cass. cit. 1990/14 v. Cass. 12456/08; 770/1999; 4474/81). Quest'ultima costantemente confermata - come già osservato - appare particolarmente illuminante.
"La citazione, atto formale che esteriorizza la domanda giudiziale proposta dall'attore, ha a funzione di portare tale domanda a conoscenza del convenuto e di chiamare questi davanti al giudice (vocatio in ius).E’ , perciò, un atto recettizio. E funzione della notificazione, strumentale rispetto a quella principale della citazione, è, appunto, di attuare la recezione, medianteconsegna di copia della citazione al convenuto o ad altra persona a ciò legittimata dalla legge.
“Avvenuta la recezione della citazione, a mezzo dell'eseguita notificazione, è costituito, parzialmente, il rapporto processuale, che sarà completato, anche nei confronti del giudice, con la costituzione in giudizio dell'una o dell'altra parte. La notificazione è nulla o perche viziata nella sua struttura, cioè per ragioni oggettive (inosservanza delle disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia od incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data: art. 160 c.p.c.), oppure per vizio attinente al suo presupposto soggettivo, allorchè venga effettuata da un pubblico ufficiale in astratto abilitato ad eseguirla (ufficiale giudiziario, aiutante ufficiale giudiziario, messo di conciliazione) ma incompetente in concreto. Nullità, per l'una o per l'altra ragione, di cui è possibile la sanatoria, tra l'altro, per il principio generale stabilito dall'ultimo comma dell'art. 156 c.p.c. (che l'art. 160 richiama, appunto, come applicabile alla nullità delle notificazioni), il quale, con riferimento a qualsiasi atto processuale dispone: « la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato ».
“Scopo dell'atto processuale è la sua funzione. E poichè la funzione della notificazione della citazione è di attuare la recezione di quest'ultima da parte del convenuto, lo scopo di essa e raggiunto se la recezione della citazione e stata attuata; sicchè, quando l'attuazione della ricezione sia avvenuta, la nulità della notificazione, per l'una o per l'altra ragione, è sanata. Se cosi è, la nullità della notificazione della citazione è sanata non soltanto dalla costituzione del convenuto (atto che non integra il rapporto processuale, quando è perfezionato dalla costituzione dell'attore), ma anche quando risulti dallo stesso atto di notificazione (cioè dalla relata) l'avvenuta attuazione della recezione, che è lo scopo dell'atto. In particolare, in ipotesi di notificazione della citazione a mezzo del servizio postale, nulla per incompetenza dell'ufficiale giudiziario o dell'aiutante ufficiale giudiziario o del messo di conciliazione che l'ha eseguita, si ha sanatoria della nullità quando la ricevuta di ritorno sia sottoscritta dal convenuto, poichè risulta documentalmente, dallo stesso atto di notifica, l'avvenuta consegna a quest'ultimo personalmente del plico contenente la copia della citazione."
Questa è esattamente l'ipotesi che si è verificata in concreto in cui non si sconosce o si contesta l'avvenuta ricezione ma si vuole disconoscere l'effetto di un evento che si è verificato e che per sua natura è autosufficiente a dimostrare la piena attuazione della funzione cui l'atto era preordinato.
5.5.2. E’ ben vero poi, che la dimostrazione dell’avvenuto raggiungimento dello scopo si è fatta di regola coincidere con la circostanza che la parte intimata aveva esercitato i diritti difensivi preordinati alla comunicazione dell’atto.
Senonchè tale profilo attiene alla fase dimostrativa, e non a quella sostanziale dell’avvenuto raggiungimento dello scopo, per cui non potrebbe affermarsi che, nel caso di specie, posto che la parte destinataria della comunicazione non si è tempestivamente attivato, la comunicazione del decreto di perenzione non avrebbe raggiunto lo scopo.
Lo scopo della comunicazione è quello di fare entrare nella sfera di conoscenza del destinatario una determinata “notizia” di rilevo processuale: e questo avviene certamente allorchè al difensore si comunichi un atto con le modalità di cui all’art. 136 cpa.
5.5.3. Con più stringente riferimento alla fattispecie oggetto di esame, è anche il caso di rammentare che, quanto alla disciplina delle comunicazioni nel codice di procedura civile, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che la comunicazione è valida anche se eseguita in forme diverse da quelle prescritte (di cui all'art. 136 c.p.c.) sempre che vi sia stata un'attività a tal fine del cancelliere "e vi sia la certezza che il provvedimento sia stato portato a conoscenza del destinatario e sia altresì certa la data di tale conoscenza" (Cass. civ. n. 24742 del 2006; n. 14737 del 2006);
5.5.4. Non è inopportuno porre in luce, in ultimo, che se il principio del raggiungimento dello scopo è predicabile allorchè un atto sia affetto dal radicale vizio della nullità, a fortiori esso dovrebbe trovare applicazione qualora in alcun modo tale vizio sia riscontrabile.
Al più, infatti, ove si accedesse alla tesi che l’art. 136 del cpa abbia ristretto il campo applicativo della comunicazione a mezzo pec rispetto alla disposizione generale (cfr. comma 10 dell’art. 16 del d.L. 29-11-2008 n. 185: “la consultazione per via telematica dei singoli indirizzi di posta elettronica certificata o analoghi indirizzi di posta elettronica di cui al comma 6 nel registro delle imprese o negli albi o elenchi costituiti ai sensi del presente articolo avviene liberamente e senza oneri. L'estrazione di elenchi di indirizzi è consentita alle sole pubbliche amministrazioni per le comunicazioni relative agli adempimenti amministrativi di loro competenza”) si potrebbe discutere di una “irritualità” della comunicazione, in quanto effettuata in forma diversa da quella prescritta, ma non certo di nullità.
5.5.5. Nel caso di specie, essendo provato per tabulas che lo scopo della comunicazione è stato raggiunto (il decreto è entrato nella sfera conoscitiva del destinatario, come lealmente non disconosciuto da quest’ultimo) mancherebbero i presupposti per ritenere la comunicazione effettuata dalla Segreteria affetta da vizio alcuno.
E, pertanto, anche a volere ritenere che la possibilità di procedere alla comunicazione dell’avvenuta emissione del decreto di perenzione ex art. 136 del cpa fosse preclusa non avendo il difensore indicato “in quel processo” il proprio indirizzo pec ugualmente non potrebbe considerarsi la stessa inutiliter data in quanto la supposta irritualità sarebbe stata sanata.
5.5.6. Le innegabili esigenze di cautela applicativa sottese alla ratio giustificativa dell’istituto della perenzione (che il Collegio ribadisce di condividere) potrebbero essere assicurate attraverso un accurato vaglio in ordine alla sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio ex art. 37 del cpa.
6. In conclusione, pronunciando sulla opposizione al decreto di perenzione in epigrafe indicato la Quarta Sezione rimette all’esame della Adunanza Plenaria la questione controversa, riposante nella ritualità ed immunità da vizi delle comunicazioni rese dalla Segreteria ex art. 136 del cpa ove dirette all’ indirizzo di posta elettronica certificata ovvero al recapito di fax del difensore, ancorchè non da questi indicate nel ricorso o nel primo atto difensivo riferibile al processo nell’ambito del quale è effettuata la comunicazione, e sulla operatività della presunzione di conoscenza sancita nella detta disposizione anche nella suindicata evenienza.
Rimette altresì la eventuale definizione del giudizio di opposizione e la statuizione sulle spese.

P.Q.M.



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nei sensi di cui alla motivazione.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Penaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Michele Corradino, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/08/2014





 

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