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n. 7-2014 - © copyright |
CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA
PLENARIA - Sentenza 20 giugno 2014 n. 14
Pres. Giovannini, Est.
Meschino
Atac s.p.a. (Avv.ti R. Iacovazzi e R. Mazzei) c/ Ccc Società
Cooperativa (Avv.ti M. Lotti e B.G.Carbone) |
1. Contratti della P.A. – Stipula – Ragioni di
opportunità – Revoca dell’aggiudicazione – Inammissibilità – Recesso –
Necessità.
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2. Contratti della P.A. – Stipula – Amministrazione e
contraente privato – Posizione paritetica – Conseguenze – Disciplina
civilistica – Norme speciali codice contratti – Applicabilità – Revoca –
Esclusione.
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1. Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le
pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto,
rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del
rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico
della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto
potestativo di recesso regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006.
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2. In tema di affidamento di lavori pubblici, la
posizione dell’amministrazione nella fase successiva alla stipula del
contratto è paritetica a quella del contraente privato e va, dunque,
definita dalle norme civilistiche e da quelle speciali previste nel codice
dei contratti. Pertanto, deve ritenersi insussistente in tale fase il
potere di revoca poiché: presupposto di tale potere è la diversa
valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo
presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato
su sopravvenuti motivi di opportunità; la specialità della previsione del
recesso di cui all’art. 134 del codice dei contratti preclude, di
conseguenza, l’esercizio della revoca.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza
Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2 di A.P.
del 2014, proposto dalla Azienda per la Mobilita' del Comune di Roma -
Atac s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Roberta Iacovazzi e Rodolfo Mazzei,
con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via XX Settembre, 1;
contro
Consorzio Cooperative Costruzioni - Ccc -
Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro
tempore, in proprio ed in qualità di mandataria dell’ATI con le
mandanti Igemas società consortile a r. l., Salcef Costruzioni Edili e
Ferroviarie s.p.a., Erregi s.r.l., Project Automation s.p.a.,
rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Lotti e Benedetto Giovanni
Carbone, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via di Ripetta, 70;
nei confronti di
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi D'Ottavi, ed
elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via del
Tempio di Giove, 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA:
SEZIONE II TER n. 2432/2013, resa tra le parti;
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Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio
Cooperative Costruzioni - Ccc - Società Cooperativa in proprio ed in
qualità di mandataria Ati e di Roma Capitale;
Viste le memorie
difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza
pubblica del giorno 30 aprile 2014 il consigliere Maurizio Meschino e
uditi per le parti gli avvocati Mazzei, Carbone e D'Ottavi;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
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FATTO
1. Il Consiglio di Amministrazione dell’Azienda
per la Mobilità del Comune di Roma (ATAC s.p.a), con deliberazione n. 2
del 27 gennaio 2005, ha autorizzato l’indizione di una gara pubblica con
procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e
dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione di un deposito
tranviario nell’area ex “Centro Carni” e delle opere connesse.
La gara,
con deliberazione del Consiglio di Amministrazione di ATAC n. 81 del 14
novembre 2005, è stata aggiudicata all’ATI composta da Consorzio
Cooperative Costruttori (mandataria) e I.G.E.M.A.S. soc. cons. a r.l.,
Salcef Costruzioni Edili e Ferroviarie s.p.a., Project Automation Spa,
Erregi Srl (mandanti), e, in data 19 maggio 2006, è stato stipulato il
relativo contratto di appalto.
2. L’ATAC, con provvedimento n. 80861
del 4 giugno 2012, ha disposto la revoca definitiva di tutti gli atti
della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione.
La
revoca è basata su diversi motivi di interesse pubblico, consistenti:
nella “sostanziale non esecuzione” dell’appalto; nell’aggravio dei costi
prospettati dall’appaltatrice; nelle proprie sopravvenute mutate esigenze
operative; nell’inserimento del deposito tramviario in un piano di
dismissioni immobiliari deliberato dall’assemblea di Roma Capitale;
nell’incertezza sulla effettiva disponibilità di risorse per finanziare
l’opera, venendo altresì preannunciato che, con separato provvedimento,
sarebbe stato corrisposto all’appaltatrice l’indennizzo di cui all’art.
21-quinquies, comma 1-bis, della legge n. 241 del
1990.
Successivamente l’ATAC, con nota del 19 ottobre 2012 (prot. n.
147684), ha chiesto la riconsegna delle aree di cantiere sul presupposto,
espressamente dichiarato, dell’intervenuta caducazione del contratto per
effetto della precedente revoca.
3. L’ATI aggiudicataria, con il
ricorso n. 5947 del 2012 proposto al Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio, ha chiesto l’annullamento dell’atto di revoca (n. 80861 del
2012), e, con motivi aggiunti, della nota relativa alla riconsegna delle
aree (n. 147684 del 2012), sostenendo che:
- la stazione appaltante
avrebbe esercitato un potere di autotutela al di fuori dei presupposti di
legge, sugli atti della procedura di gara, ormai privati di efficacia in
conseguenza della sopravvenuta stipulazione del contratto;
- il
provvedimento impugnato non aveva ponderato il contrapposto interesse
privato, consolidatosi nei sei anni intercorsi dalla stipula del
contratto;
- con la revoca l’appaltante avrebbe esercitato in realtà un
diritto di recesso o di risoluzione unilaterale, finalizzato a sottrarsi
alle conseguenze derivanti dall’esercizio di dette facoltà privatistiche,
maggiormente onerose dal punto di vista economico, perché non limitate
all’indennizzo commisurato al solo danno emergente;
- l’atto non aveva
tenuto in considerazione le controdeduzioni presentate nel corso del
procedimento.
4. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,
sezione seconda ter, con la sentenza n. 2432 del 2013, ha accolto
il primo ordine di censure, assorbendo le restanti, affermando che la
revoca era stata adottata “in assenza del suo essenziale presupposto, e
cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a
spiegare effetti”, non essendo tale l’aggiudicazione della gara in seguito
alla stipulazione del contratto, cosicché, secondo il primo giudice, per
sciogliersi dal vincolo discendente da quest’ultimo, l’amministrazione
avrebbe dovuto ricorrere all’istituto del recesso ai sensi dell’art. 134
del d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici). Nella sentenza
è ritenuta la giurisdizione amministrativa sulla controversia, vertendosi
in un caso di carenza di potere in concreto.
5. L’ATAC ha proposto
avverso la sentenza di primo grado l’appello n. 2775 del 2013, che è stato
deciso dalla Sezione V di questo Consiglio con la sentenza non definitiva
n. 5786 del 2013, con la quale, respinti i pregiudiziali motivi di appello
di insussistenza della giurisdizione amministrativa sulla controversia e
di mancata integrazione del contraddittorio in primo grado nei confronti
della Regione Lazio, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., si rimette
all’esame dell’Adunanza plenaria la questione di merito relativa al
principio di diritto formulato dal primo giudice, secondo cui il potere di
revoca dell’aggiudicazione non può essere esercitato dall’amministrazione
una volta intervenuta la stipula del contratto.
6. All’udienza del 30
aprile 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. La questione da esaminare è esposta dalla V
Sezione nei termini che di seguito si sintetizzano riportando il quadro
della normativa rilevante e delle posizioni della giurisprudenza al
riguardo, con l’indicazione, su questa base, dell’ipotesi interpretativa
ritenuta preferibile.
1.1. La normativa rilevante.
Nella
normativa si riscontra anzitutto, afferma la Sezione, un elemento di
contraddittorietà tra i commi 1 e 1-bis dell’art.
21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché, per il primo, la
revoca può incidere soltanto su atti “ad efficacia durevole”,
mentre, per il secondo, l’atto revocato può anche essere “ad efficacia
istantanea” se incidente su “rapporti negoziali”, con un
possibile effetto retroattivo che avvicina l’istituto a quello
dell’annullamento d’ufficio per illegittimità, convergendo, in questo
senso, anche l’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311,
per il quale l’annullamento volto a “conseguire risparmi o minori oneri
finanziari” regola il caso in cui incida “su rapporti contrattuali
o convenzionali con privati”; potere quest’ultimo che, al di là del nomen dell’atto, appare peraltro vicino allo schema della revoca
sul presupposto della rivalutazione della convenienza di contratti già
stipulati.
La normativa richiamata deve essere a sua volta esaminata
insieme con quella dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990,
per cui è possibile “il recesso unilaterale dai contratti della
pubblica amministrazione…nei casi previsti dalla legge o dal
contratto”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso
analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c..
Emerge da ciò
la questione se con il potere attribuito dall’art. 21-quinquies e
dalla legge n. 311 del 2004 si possa incidere sul contratto stipulato e
come ciò si concilii con il carattere paritetico delle posizioni fondate
su di esso, di cui è espressione la generalizzazione dell’istituto del
recesso ex art. 21-sexies, cui si correla la previsione specifica
dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici che, per gli appalti di
lavori pubblici, attribuisce all’amministrazione “il diritto di
recedere in qualunque tempo dal contratto”, con effetto economico più
oneroso, però, di quanto previsto dal comma 136 dell’art. 1 della legge n.
311 del 2004, poiché non limitato alla dimensione indennitaria ma
comprendente il ristoro dei lavori eseguiti e dei materiali utili in
cantiere oltre al decimo delle opere non eseguite (effetto non dissimile
da quello, previsto dall’art. 158 del medesimo codice dei contratti
pubblici, in caso di risoluzione per inadempimento o di revoca delle
concessioni di lavori pubblici).
Il quadro normativo deve essere
completato, infine, con il richiamo dell’art. 11 della legge n. 241 del
1990, che fa salvo il potere di recesso dell’amministrazione “per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse” in caso di accordi
integrativi o sostitutivi del provvedimento, e degli articoli 121 e 122
c.p.a. quanto ai poteri del giudice amministrativo di incidere sul
contratto.
1.2. La giurisprudenza.
La Sezione riferisce:
-
a) che il Consiglio di Stato ha affermato la legittimità del potere di
revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica
anche se sia stato stipulato il contratto, con il conseguente diritto del
privato all’indennizzo; ciò emerge in particolare dalle sentenze della
Sezione VI n. 1554 del 2010 e n. 5993 del 2012 e della Sez. IV, n. 156 del
2013 (nella quale si richiama anche, con il comma 136 dell’art. 1 della
legge n. 311 del 2004, il comma 9 dell’art. 11 del codice dei contratti
pubblici che consente l’intervento in autotutela sugli atti di gara pur
divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva), apparendo parzialmente
difforme la sola sentenza della Sez. III n. 2291 del 2011, poiché la
legittimità della revoca degli atti di una gara vi è affermata anche
perché intervenuta prima della stipulazione del contratto;
b) che la
Corte di Cassazione ha affermato, al contrario, che tutte le vicende
successive alla stipulazione del contratto danno luogo a questioni
relative alla sua validità ed efficacia anche se dovute all’esercizio di
poteri pubblicistici in autotutela. Con la stipula del contratto si
costituisce infatti tra le parti, pubblica e privata, un rapporto
giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da
qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici; il
riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità della realizzazione
dell’opera si riconduce perciò all’esercizio del potere contrattuale di
recesso, previsto dalla normativa sugli appalti pubblici, con scelta che
si riverbera sul contratto in quanto potere contrattuale del committente
di recedere da esso, cosicché l’atto di revoca dell’aggiudicazione, ciò
nonostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo del privato in
quanto incidente sul sinallagma funzionale (Sez. unite, n. 10160 del 2003
e n. 29425 del 2008).
1.3. L’interpretazione prospettata.
La
Sezione prospetta l’esigenza di riconsiderare l’indirizzo prevalente nella
giurisprudenza amministrativa ritenendo che, intervenuta la stipulazione
del contratto ad evidenza pubblica, l’amministrazione non possa esercitare
il potere di revoca ma debba agire attraverso il recesso.
1.3.1.
In
primo luogo la Sezione osserva che:
- nonostante la sussistenza della
norma generale dell’art. 21-quinquies sono state previste norme
specifiche che, attraverso il potere di revoca per pubblico interesse,
attribuiscono all’amministrazione la facoltà di incidere unilateralmente
sui contratti stipulati con i privati, come è per l’art. 11, comma 4,
della legge n. 241 del 1990 (dove il potere, pur nominato di “recesso”, è
in sostanza di revoca) e per il citato art. 158 del codice dei contratti
pubblici;
- ne emerge sul piano normativo la categoria dei contratti di
diritto pubblico (o ad oggetto pubblico) che, fermo il ricorso alle regole
civilistiche per la disciplina generale del rapporto contrattuale tra
amministrazione e privati, si distingue da quella dei contratti di diritto
privato per il mantenimento di una posizione di supremazia
dell’amministrazione;
- in relazione a ciò la parallela previsione
dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, sulla facoltà
dell’amministrazione di incidere sul contratto con il recesso, deve
ritenersi propria dei contratti in cui essa non è in posizione supremazia,
cioè di quelli di diritto privato, considerate: l’analogia della norma con
quelle di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c.; la sua coerenza con il
principio di cui all’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241 del
1990, per il quale “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti
di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato
salvo che la legge disponga diversamente”; l’inutilità della
previsione, altrimenti, se l’amministrazione potesse sempre incidere sul
contratto con la revoca, peraltro più conveniente per il profilo
economico;
- essendo quindi corretta la valutazione del primo giudice
per la quale la revoca può essere ammessa solo nelle concessioni, dove il
contratto è accessivo al provvedimento concessorio e ne dipende
direttamente, fondandosi su ciò anche la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo in materia, considerato che nelle concessioni il
modulo consensuale è sempre sostitutivo di poteri autoritativi (Cass. Sez.
un. ord. n. 8094 del 2007).
1.3.2.
Tanto rilevato le previsioni
dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990 e dell’134 del
codice dei contratti pubblici portano a non riferire i contratti ad
evidenza pubblica al contesto dei rapporti negoziali distinti dal potere
autoritativo di revoca, essendo avvalorata questa conclusione dalle
seguenti considerazioni:
- la riconosciuta scissione tra aggiudicazione
e stipulazione del contratto, che emerge sul piano funzionale poiché, con
la prima, si conclude la fase pubblicistica del perseguimento
dell’interesse pubblico alla selezione della migliore offerta mentre la
seconda si colloca nel diverso quadro del rapporto paritetico tra i
contraenti con predominanza del diritto privato, riflettendosi questa
scissione anche sul piano strutturale, poiché, ai sensi dell’art. 11 del
codice dei contratti pubblici, “l’aggiudicazione definitiva non
equivale ad accettazione dell’offerta” (comma 7), essendo poi previsto
un termine per stipulare successivamente il contratto soltanto entro il
quale l’amministrazione può agire in autotutela (comma 9);
- ciò che
porta alla distinzione fra l’atto di aggiudicazione e il consenso
contrattuale dell’amministrazione e a far escludere che questo possa
essere ritirato in via unilaterale, e tanto meno perciò mediante il
riesame dell’aggiudicazione in autotutela, essendo il detto consenso
confluito con quello della parte privata nell’accordo di cui all’art.
1325, n. 1), c.c., essendo in seguito possibile soltanto il mutuo dissenso
di cui all’art. 1372 c.c., ed operando la altresì prevista facoltà di
recesso non sull’atto contrattuale ma sul rapporto.
Sarebbe peraltro
ingiustificato, si soggiunge, che l’amministrazione possa, attraverso i
propri poteri di autotutela decisoria, ottenere un risultato in ipotesi
superiore a quello ottenibile dal contraente privato in sede
giurisdizionale ai sensi della normativa sull’inefficacia del contratto
per l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, di cui agli
articoli 121 e 122 c.p.a..
1.3.3.
La Sezione conclude osservando
che:
- la normativa posta con il comma 1-bis dell’art.
21–quinquies della legge n. 241 del 1990, così come con l’art. 1,
comma 136, della legge n. 311 del 2004, si inserisce nel quadro delineato
se si circoscrive il potere di revoca ivi previsto soltanto alle
concessioni amministrative, con ciò erigendo a ratio della
normativa il suo puntuale scopo originario, dell’intervento sulle
concessioni di lavori pubblici a favore della TAV, e risultando in essa
presupposto l’effetto di incidenza sul contratto in coerenza con l’assenza
di deroga all’art. 21-sexies e all’art. 134;
- il divieto di
revoca quando sia stato stipulato il contratto si fonda sulla fondamentale
ragione dell’affidamento del privato negli impegni reciproci consacrati
nell’accordo, sulla cui base egli ha maturato aspettative di profitto e
assunto impegni organizzativi che l’art. 21-quinquies non impone di
considerare (a differenza dell’art. 21-nonies per l’annullamento
d’ufficio) e il cui ristoro è ivi previsto soltanto con l’indennizzo,
mentre, ad esito del recesso consentito per i contratti di diritto
privato, l’amministrazione è obbligata, come visto, ad una più adeguata
compensazione del pregiudizio sofferto dalla controparte;
- ciò non
comporta, peraltro, un’automatica svalutazione dell’interesse pubblico, di
cui la pubblica amministrazione è sempre portatrice, al quale è comunque
strumentale il diritto di recesso nell’ampia configurazione dell’art. 134
del codice dei contratti pubblici, potendo l’amministrazione valorizzare,
ai fini del recesso, circostanze che porterebbero alla revoca, con il
corollario di non dover assicurare il contraddittorio procedimentale né
esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò
bilanciato dal maggiore onere economico che ne consegue.
2. Si passa
ora all’esame del quesito sottoposto all’Adunanza plenaria precisando, in
via preliminare, che si prescinde da questioni attinenti alla
giurisdizione, che pure possano essere connesse al quesito stesso,
considerato che nel caso di specie la questione di giurisdizione è stata
espressamente decisa in primo grado con pronuncia confermata in secondo
grado, essendosi perciò formato al riguardo il giudicato.
3. L’Adunanza
plenaria ritiene, per le ragioni che seguono, che, intervenuta la
stipulazione del contratto per l’affidamento dell’appalto di lavori
pubblici, l’amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo
operare con l’esercizio del diritto di recesso.
3.1. Ai sensi del
codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 (in seguito
anche “codice”), la fase della scelta del contraente, conclusa con
l’aggiudicazione definitiva, risulta distinta da quella, successiva, della
stipulazione e conseguente esecuzione del contratto, pur costituendone il
necessario presupposto funzionale, considerato che l’aggiudicazione
definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta (art. 11, comma 7,
primo periodo, del codice) e che, pur divenuta efficace l’aggiudicazione
definitiva, prima della stipulazione resta comunque salvo “L’esercizio
dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti”
(art. 11, comma 9). Il vincolo sinallagmatico nasce perciò soltanto con il
separato e distinto atto della stipulazione del contratto quando, essendo
stata fino a quel momento irrevocabile soltanto l’offerta
dell’aggiudicatario (art. 11, comma 7, secondo periodo), l’amministrazione
a sua volta si impegna definitivamente.
3.2. Ciò considerato la
giurisprudenza ha affermato che la fase conclusa con l’aggiudicazione ha
carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi
attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente
nella tutela della concorrenza, mentre quella che ha inizio con la
stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto
negoziale ha carattere privatistico ed è quindi retta dalle norme
civilistiche (Corte costituzionale, sentenze n. 53 e n. 43 del 2011;
Cassazione, Sez. un. civ. n. 391 del 2011; Consiglio di Stato, Sez. III,
n. 450 del 2009).
3.3. Nella fase privatistica l’amministrazione si
pone quindi con la controparte in posizione di parità che però, è stato
anche precisato, è “tendenziale” (Corte Cost. n. 53 e n. 43 del
2011 citate), con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui,
pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per
l’amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite
di autotutela privatistica (Ad. Plen. n. 6 del 2014); ciò, evidentemente,
perché l’attività dell’amministrazione, pur se esercitata secondo moduli
privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con
la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e
distinte.
3.4. Nel codice dei contratti pubblici sono previste norme
con tratti di specialità riguardo specificamente alla fase dell’esecuzione
del contratto per la realizzazione di lavori pubblici, cui attiene la
questione all’esame.
Ci si riferisce a norme collocate nella Parte II,
Titolo III del codice (Disposizioni ulteriori per i contratti relativi
ai lavori pubblici) relative alla disciplina del recesso dal contratto
e della sua risoluzione, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 134 -
136 del codice (collocate nel Capo II del Titolo III e perciò riferite
agli appalti di lavori pubblici ex art. 126 del codice), della risoluzione
per inadempimento e, specificamente, della revoca delle concessioni di
lavori pubblici in finanza di progetto ai sensi dell’art. 158 del medesimo
codice, ovvero della sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 158 e
seguenti del regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n.
207).
In questo contesto la specialità della disciplina del recesso
emerge non soltanto perché, a fronte della generale previsione civilistica
(art. 1373 c.c.), il legislatore ne ha ritenuto necessaria una specifica
nella legge sul procedimento (art. 21-sexies) ma in particolare
perché l’art. 134, nel concretare il caso applicativo di tale previsione,
lo regola in modo diverso rispetto all’art. 1671 c.c., prevedendo il
preavviso all’appaltatore e, quanto agli oneri, la forfetizzazione del
lucro cessante nel dieci per cento delle opere non eseguite e la
commisurazione del danno emergente, fermo il pagamento dei lavori
eseguiti, al “valore dei materiali utili esistenti in cantiere”
mentre, per il citato art. 1671 c.c., il lucro cessante è dovuto per
intero (“il mancato guadagno”) e per il danno emergente vanno
rimborsate tutte le spese sostenute.
3.5. Su questa base si ritiene di
poter affermare quanto segue.
3.5.1. La posizione dell’amministrazione
nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con
la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni,
civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti
pubblici, operando l’amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non
integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando
che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque
parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle
singole norme che le prevedono.
Ciò rilevato ne consegue che deve
ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di revoca, poiché:
presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse
pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base
del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di
opportunità (Cass. n. 391 del 2011 cit.; Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre
2008, n. 4455); la specialità della previsione del recesso di cui al
citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della
revoca.
Se infatti, come correttamente indicato dal giudice rimettente,
nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione
nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori
pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori
pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può
ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la
revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata
valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto
analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto
negoziale); richiamato anche che, quando il legislatore ha ritenuto di
consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto
stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla
concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici
(o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice).
In caso
contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando
nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate
a operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che
l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca
ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio
esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione
comunque privilegiata; fermo restando, come anche richiamato dalla V
Sezione, che per l’amministrazione la maggiore onerosità del recesso è
bilanciata dalla mancanza dell’obbligo di motivazione e del
contraddittorio procedimentale.
3.5.2. Quanto sopra vale in riferimento
alla possibilità della revoca nella fase aperta con la stipulazione del
contratto nel procedimento per l’affidamento dell’appalto di lavori
pubblici, che è l’oggetto specifico del quesito all’esame.
Resta perciò
impregiudicata, nell’inerenza all’azione della pubblica amministrazione
dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità: a) della
revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla
stipulazione del contratto; b) dell’annullamento d’ufficio
dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto,
ai sensi dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, nonché
concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione
automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta
consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la
stipulazione dello stesso (Cass. sezioni unite, 8 agosto 2012, n. 14260;
Cons. Stato: sez III, 23 maggio 2013, n. 2802; sez. V: 7 settembre 2011,
n. 5032; 4 gennaio 2011, n. 11, 9 aprile 2010, n. 1998).
Così come,
pure nel caso di contratto stipulato, sussiste la speciale previsione in
ordine al recesso della stazione appaltante quando si verifichino i
presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza
(Cass. n. n. 391 del 2011 cit.) ha riferito alla nozione dell’autotutela
autoritativa, poiché potere “del tutto alternativo a quello generale di
cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F” (oggi art. 134 del
codice dei contratti pubblici); qualificazione questa che può ritenersi
tuttora valida poiché le stazioni appaltanti, pur nel quadro della
normativa oggi vigente in materia, devono comunque valutare l’esistenza
delle eccezionali condizioni non comportanti l’altrimenti vincolato
esercizio del diritto di recesso (art. 94, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 159
del 2011).
3.5.3. In questo quadro si coordina e delimita, ad avviso
del Collegio, la previsione della revoca di cui al comma 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché
dall’ambito di applicazione della norma risulta esclusa la possibilità di
revoca incidente sul rapporto negoziale fondato sul contratto di appalto
di lavori pubblici, in forza della speciale e assorbente previsione
dell’art. 134 del codice (così, come, per la medesima logica, né è esclusa
la revoca di cui all’art. 158 del codice), restando per converso e di
conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui
rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati
dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle
concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni
amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici),
nonché in riferimento ai contratti attivi.
4. Sulla base di quanto
esposto l’Adunanza plenaria afferma il seguente principio di diritto:
<<Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche
amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano
sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto
negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca
dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato
dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006.>>.
5. Ciò affermato
l’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., restituisce
gli atti alla Sezione quinta di questo Consiglio per le ulteriori pronunce
sul merito della controversia e sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria), affermato il principio di diritto di cui in
motivazione, restituisce gli atti alla Sezione quinta per ogni ulteriore
statuizione nel merito della controversia e sulle spese del
giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
giorno 30 aprile 2014, con l'intervento dei magistrati:
Giorgio
Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio
Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno,
Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola,
Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella,
Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Nicola Russo,
Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo,
Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/06/2014
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