REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7401 del
2013, proposto da: Ministero della Salute e Ministero dell'Economia e
delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale
dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli
avv. Renato Ambrosio, Stefano Bertone, Chiara Ghibaudo e Domenico
Fragapane, con domicilio eletto presso l’avv. Stefano Angeloni in Roma,
via degli Scipioni, 288;
nei confronti di
-OMISSIS-;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA -
SEZIONE III QUATER n. 07076/2013, resa tra le parti, concernente
definizione criteri per la stipula di transazione con soggetti danneggiati
da trasfusione
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio con appello
incidentale del signor -OMISSIS- e di altri 71 appellati sopra indicati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il
Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato Fragapane e
l’avvocato dello Stato Rago;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio – Sezione III Quater, con sentenza n. 7076 del 10 aprile – 4 giugno
2013 depositata il 16 luglio 2013, ha parzialmente accolto e respinto, con
compensazione delle spese, il ricorso con motivi aggiunti proposto dagli
attuali appellati ed appellanti incidentali, avverso i decreti del
Ministero della Salute in data 4 maggio 2012 e del Ministero del Lavoro,
della Salute e delle Politiche Sociali in data 28 aprile 2009 n. 132.
I
provvedimenti impugnati in primo grado, emessi in applicazione dell’art.
33 c.2 del D.L. n. 159/2007 convertito in legge n. 222/2007, e dell’art. 2
c. 362 della legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008), hanno stabilito i
criteri e i moduli cui le amministrazioni statali interessate si dovranno
attenere nel concludere gli atti di transazione con i soggetti che abbiano
instaurato, prima del 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni ancora
pendenti, in quanto affetti da determinate patologie e danneggiati da
trasfusioni con sangue infetto, somministrazioni di emoderivati infetti
ovvero da vaccinazioni obbligatorie,.
Il T.A.R. ha rilevato tardive e
inammissibili le censure promosse avverso i contenuti del D.M. del 2012 in
quanto meramente reiterativi e applicativi, quindi non autonomamente
lesivi, di aspetti già disciplinati nel decreto del 2009, non impugnato
nei termini.
Nel merito, quindi, sono state ritenute inammissibili e
comunque infondate le doglianze relative all’introduzione o specificazione
del criterio ostativo della prescrizione asseritamente in contrasto con il
precedente decreto del Ministero della Salute 3 novembre 2003 e con la
normativa del 2007 che aveva stabilito in materia il principio ispiratore
della “analogia e coerenza”.
In effetti il D.M. del 2012 prevedeva la
ostatività della prescrizione in tema di moduli transattivi, in
applicazione del D.M. n. 132/2009, che già, all’art. 2, c.2, disponeva di
tener conto “dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di
prescrizione del diritto”.
Quanto alla prescrizione si ribadisce la
valenza di istituto di carattere generale nell’ordinamento applicabile
ordinariamente e inderogabilmente, a prescindere dalla peculiarità della
transazione de qua e dalla formalizzazione o meno della stessa, nella
considerazione dell’oggetto della transazione, che è sempre una “res
dubia”, e della responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione per
omessa vigilanza anche in ordine alle singole lesioni colpose.
Si
richiamano quindi la sentenza n. 5178/2012 della stessa Sezione del
T.A.R., il parere di questo Consiglio – Sezione Consultiva per gli Atti
normativi del 9 febbraio 2009 reso sullo schema del decreto del 2009 e il
D.M. 13 marzo 2002, che ha istituito un gruppo di lavoro paritetico a fini
istruttori per la definizione di moduli transattivi e della tabella degli
importi massimi transattivi, e si sostiene l’insussistenza della asserita
disparità di trattamento, della violazione dei principi di uguaglianza o
di coerenza del sistema nonché di non discriminazione ex art. 14 C.E.D.U.
fra i destinatari della legge n. 141 del 30 giugno 2003 e del D.M.
attuativo 3 novembre 2003 e quelli della normativa in contestazione, posto
che quest’ultima è stata introdotta senza’altro in coerenza, in termini di
compatibilità e non di identità, con quella precedente di cui è
attuazione, con riguardo per l’appunto sia alla prescrizione, sia ai
moduli transattivi, sia alla tabella degli importi massimi
transattivi.
Né è contraddittoria la costituzione di parte civile del
Ministero nei processi penali, trattandosi di singole strategie
processuali e di condotte difensive in specifici giudizi.
Né rileva il
riferimento ai soggetti danneggiati da “talidomide”, trattandosi di
“indennizzo” autonomamente deciso dal legislatore e che prescinde da
pretese e transazioni.
Quindi è inammissibile il rilievo secondo cui
sarebbero stati radicalmente abbattuti gli ammontari di liquidazione e
decurtati gli importi previsti per taluni soggetti, mentre è tardiva la
deduzione relativa alla ascrivibilità tabellare del danno alle categorie
di cui alla tabella A allegata al D.P.R. n. 834/1981, in quanto già
contenuta nel D.M. del 2009, e comunque il rinvio al citato D.P.R. era da
intendersi come “mobile” con conseguente interpretazione estensiva ed
adeguatrice delle tabelle nel tempo.
E’ stata infine ritenuta
illegittima la previsione di cui al comma 2 dell’art. 5 del D.M. 4 maggio
2012, secondo cui i moduli transattivi erano da applicarsi ai soggetti che
avessero presentato istanze riferentesi a eventi trasfusionali non
anteriori al 24 luglio 1978, data di emanazione della circolare
ministeriale n. 68/1978, che aveva reso obbligatoria la ricerca
dell’antigene dell’epatite B nel sangue e negli emoderivati.
Detta
disposizione infatti avrebbe dovuto definire, in corretta applicazione
della legge del 2007 e del regolamento ex D.M. n. 132/2009, solo i moduli
transattivi senza poter introdurre un altro criterio di limitazione
selettiva non previsto per l’appunto dal citato regolamento, per di più in
contrasto con i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, che
hanno riconosciuto la responsabilità ministeriale anche per contagi
verificatisi sin dagli anni “sessanta”, tanto che il Ministero aveva
disposto già con circolari del 1971 e 1972 la ricerca sistematica
dell’antigene Australia (poi virus dell’epatite B), in presenza anche di
obblighi normativi risalenti al 1967, 1971 e 1973.
Infine viene
respinta la richiesta risarcitoria, anche per danno da ritardo, in quanto
del tutto generica ed indimostrata. Peraltro i soggetti interessati, ove
non convinti dei criteri stabiliti nei citati decreti, avrebbero potuto
coltivare i giudizi risarcitori non aderendo alle transazioni in
questione.
2. Il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e
delle Finanze, con atto dell’Avvocatura generale dello Stato notificato il
23 settembre 2013 e depositato il 14 ottobre 2013, hanno interposto
appello, con domanda di sospensiva, deducendo:
- l’infondatezza della
censure relative alla contestata prescrizione e alla violazione del citato
principio di analogia e coerenza, già disattese con la sentenza impugnata,
richiamando in generale la precedente pronuncia di questo Consesso –
Sezione III n. 2506/2013, che avrebbe ribadito la natura essenzialmente
civilistica della transazione;
- il più antico prevalente orientamento
della Cassazione ed anche quello più recente (cfr. Sez. III, n.
2250/2013), che avrebbe escluso la responsabilità del Ministero;
- il
difetto di giurisdizione sotto vari profili, posto che il giudice
amministrativo ha effettuato una valutazione che invece rientrava nella
piena discrezionalità dell’Amministrazione in materia di criteri di
definizione delle transazioni, per di più esaminando anche il merito delle
stesse, e quindi questioni di competenza del giudice ordinario,
concernenti la transazione di giudizi civili pendenti aventi ad oggetto
diritti soggettivi nonché richieste di risarcimento dei danni;
- la
violazione dei principi in materia di transazione, che si fonda anche
sull’accertamento della res dubia, indubbiamente insussistente
anteriormente al 24 luglio 1978.
3. Con atto depositato il 29 novembre
2013 gli appellati si sono costituiti e hanno proposto appello
incidentale, con istanza cautelare, replicando argomentatamente ai motivi
dell’appello principale e ribadendo comunque la responsabilità
ministeriale a prescindere dalla data dell’evento.
Si eccepisce in via
preliminare l’inammissibilità dell’appello principale in quanto notificato
in una sola copia e per tutti gli appellati all’unico difensore
domiciliatario.
Si soggiunge che nessun giudicato si è formato sui
contenuti del D.M. del 2009 posto che il pregiudizio si è verificato
concretamente con il D.M. del 2012, richiedendo quindi l’impugnativa
congiunta dei due provvedimenti ministeriali.
Si ripropongono le
censure volte a sostenere:
- l’inapplicabilità della prescrizione nei
casi di transazione in questione (cd. “4^ transazione”), non prevista
dalla precedente normativa e introdotta con le disposizioni ora
intervenute e impugnate;
- la disparità di trattamento, con conseguente
discriminazione vietata dall’art. 14 C.E.D.U., venutasi a costituire fra i
soggetti destinatari della transazione, connessa alle normative
succedutesi nel tempo e interpretate in modo differenziato, e quindi
contraddittorio, come per esempio riguardo al requisito della
ascrivibilità tabellare, da eliminare;
- le caratteristiche invero
specifiche e peculiari della transazione in questione che, a prescindere
dall’art. 1965 c.c. e dalla citata sentenza di questa Sezione n.
2506/2013, ha richiesto l’approvazione di normative di rango primario fin
dal 2003 che hanno tenuto conto senza dubbio della particolare
problematica anche sociale connessa agli eventi e alle patologie di cui
trattasi, della responsabilità dello Stato e, in generale, della tutela
del diritto alla salute;
- in definitiva l’illegittimità degli
ulteriori criteri introdotti asseritamente praeter legem con i DD.MM.
impugnati, viziati quindi da carenza istruttoria e motivazionale con
riferimento anche ai lavori, non noti, istruttori svolti dalla Commissione
istituita con il D.M. 4 marzo 2008.
Reiterano l’istanza
risarcitoria.
4. La causa, rinviata alla trattazione del merito nella
camera di consiglio del 7 novembre 2013, all’udienza pubblica del 18
febbraio 2014 è stata trattenuta in decisione.
5. Si pone come
assolutamente prioritaria l’eccezione d’inammissibilità dell’appello,
dedotta con riferimento alla circostanza che il relativo atto è stato
notificato mediante consegna di una unica copia al difensore di tutti i
ricorrenti in primo grado, anziché in tante copie distinte per ciascuno di
essi.
Il Collegio ritiene di poter superare questa eccezione
richiamando le decisioni Cons. Stato, IV sez., n. 610/1996 e n. 3206/2001
nonché III, n.5419/2011.
6.1. La problematica che viene oggi proposta
in questa sede con gli appelli principale e incidentale in premessa
indicati e all’esame dell’udienza odierna insieme ad altri analoghi
gravami concerne una tematica che ha richiesto specifici interventi
normativi, di rango primario e secondario, nella considerazione dei
peculiari sottesi aspetti di natura non solo giuridica e sanitaria ma
anche sociali ed umani.
Soprattutto ha riguardo a soggetti affetti da
patologie insorte già negli anni ’60 e danneggiati, come detto, da
trasfusioni con sangue infetto, da somministrazioni di emoderivati infetti
e da vaccinazioni obbligatorie, e quindi da contagi evidenziatisi fin
dalla conoscenza dell’epatite B e poi con gli specifici tests volti a
isolare l’antigene dei vari virus (HIV-AIDS; HBV-epatite B; HCV-epatite
C).
Tenuto conto quindi delle caratteristiche del fenomeno, delle
patologie e delle loro conseguenze sul piano non solo sanitario nonché
della pluralità dei soggetti coinvolti, sono state per l’appunto
introdotte nel 2003 e nel 2007 normative finalizzate ad agevolare la
definizione delle singole situazioni per il tramite di apposite
transazioni da stipulare in presenza di giudizi pendenti e di un notevole
contenzioso, in atto ormai da tempo.
Il contesto quindi non sfugge alla
comprensione del Collegio, che invero è chiamato, è bene precisare, a
valutare la legittimità della sentenza appellata nei suoi profili di rito
e di merito, come dedotti dalle varie parti.
6.2. Ciò premesso, occorre
esaminare, per la sua valenza pregiudiziale, la questione della
giurisdizione, dedotta dai Ministeri appellanti sotto vari profili, e, si
sottolinea, a fronte di sentenza di merito, che contiene una statuizione
implicita sulla giurisdizione, il difetto di giurisdizione, ai sensi
dell’art. 9 c.p.a., deve essere fatto valere con specifico motivo di
appello come per l’appunto proposto nel caso di specie.
Ciò detto la
Sezione è dell’avviso, per le considerazioni che seguono, che nella
fattispecie ricorra il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo
e quindi la giurisdizione del giudice ordinario, posto che il T.A.R., al
di là della legittimità dei decreti ministeriali impugnati che pure ha
affrontato, ha poi valutato specifiche tematiche e si è soffermato su
aspetti e pretese concernenti diritti soggettivi non affievolibili, di
spettanza del giudice civile.
6.3. La materia del contendere, come
detto, ha ad oggetto le transazioni relative alle cause risarcitorie
attivate da emofilici, talassemici, vaccinati e trasfusi occasionali a
causa di patologie (HIV, HCB, HBV) insorte con l’assunzione di
emoderivati, emotrasfusioni, vaccini obbligatori.
La definizione del
contenzioso e la disciplina normativa delle transazioni hanno inizio con
la legge n. 141/2003 e il decreto del Ministero della Salute 3 novembre
2003, che ha disposto l’applicazione dei moduli e della tabella con gli
importi massimi rassegnati dal gruppo di lavoro ex D.M. 13 marzo 2002,
pervenendo poi al decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle
Politiche Sociali n. 132 del 28 aprile 2009, reso su parere del Consiglio
di Stato – Sezione consultiva Atti Normativi del 9 febbraio 2009 e recante
il regolamento di esecuzione dell’art. 33, c. 2, del D.L. n. 159/2007
convertito nella legge n. 222/2007 e dell’art. 2, c. 362, della legge
244/2007 (Finanziaria 2008), che hanno posto i criteri con i quali
definire le transazioni da stipulare con i soggetti affetti dalle
patologie in questione e che avessero promosso azioni risarcitorie.
E’
seguito poi il decreto dei Ministeri della Salute e dell’Economia e delle
Finanze del 4 maggio 2012 volto all’applicazione dei moduli transattivi,
da utilizzare ai fini suddetti, ex art. 5 del citato D.M. n. 132.
In
proposito i soggetti interessati hanno lamentato sostanzialmente
l’erronea, illogica e irrazionale applicazione della normativa secondaria
di cui ai DD.MM. del 2009 e 2012, che, in contrasto e in contraddittorietà
con il precedente D.M. del 2003, con la legge del 2007 e con l’affermato
principio di “analogia e trasparenza”, avrebbe introdotto criteri (come in
tema di prescrizione, data di riferimento dell’evento dannoso e tabelle di
riferimento) e importi più restrittivi con conseguente ingiustificata
disparità di trattamento fra i destinatari delle transazioni nel
tempo.
L’Amministrazione ha di contro sempre sostenuto la legittimità
dei decreti ministeriali contestati.
6.4. Ciò detto, è evidente che la
fattispecie impinge primariamente sulla fondamentale tutela del diritto
alla salute, garantito costituzionalmente come diritto soggettivo
perfetto, e al contempo sulla disciplina di istituti regolati in primis
dal diritto civile, ma immanenti e trasversali nell’ordinamento giuridico
generale, quali la prescrizione, la transazione, la responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale, l’azione di risarcimento, che
riguardano diritti soggettivi non suscettibili di essere degradati e
affievoliti in interessi legittimi dalla discrezionalità meramente tecnica
dell’Amministrazione in ordine all’apprezzamento dei presupposti per la
definizione delle transazioni e delle controversie, disciplina quindi che
non può soffrire deroghe se non introdotte con norme primarie.
La
prescrizione invero, quale istituto di ordine pubblico generale, presiede
a garanzia della certezza nel tempo dei rapporti giuridici, attivi e
passivi, privati e pubblici, e vive nell’ordinamento, esplicitamente o
implicitamente formalizzata e semmai dedotta dalla parte
interessata.
La corretta individuazione del dies a quo della decorrenza
del termine di prescrizione è quindi questione che esula dal presente
giudizio amministrativo e che attiene, invece, alla vicenda delle singole
domande di transazione oltre che, in caso di esito negativo, dei singoli
giudizi risarcitori già pendenti dinanzi al giudice (cfr. anche III, n.
2506/2013 su analoga fattispecie).
La transazione trova il riferimento
negli artt. 1965 e seg. c.c., che pongono uno strumento, non obbligatorio,
nella disponibilità dell’interessato volto a risolvere, con reciproche
concessioni, un contrasto fra pretese di diverso tenore, al fine di
prevenire o comporre una lite.
La normativa di cui trattasi ha sì
disciplinato una specifica transazione, motivata dalle ragioni dinanzi
illustrate, ma quale species di un genus e senza derogare la norma di
carattere generale e pregiudicare i diritti soggettivi in capo agli
interessati che, si rammenta, sono stati già portati all’attenzione del
giudice ordinario.
Quanto alla responsabilità ministeriale di natura
extracontrattuale, la citata tutela della salute pubblica, assicurata
dall’art. 32 Cost., e il connesso obbligo di vigilanza e di controllo e
quindi di adozione di tutte le iniziative necessarie pro tempore, sul
piano amministrativo ma anche e soprattutto tecnico-scientifico-sanitario,
in relazione allo sviluppo delle fenomenologie nel tempo, rientrano di
certo e da sempre nelle attribuzioni istituzionali del competente
Ministero e quindi nelle connesse responsabilità, a prescindere dalla data
di insorgenza dell’evento dannoso, con un accertamento di fatto demandato
anch’esso al giudice ordinario.
Con riguardo alle istanze risarcitorie,
sono fatti salvi gli autonomi giudizi pendenti in sede civile o attivabili
in caso di mancata adesione alle procedure transattive anche per singole
responsabilità a carico delle strutture sanitarie e del personale.
La
questione quindi si pone in relazione alle pretese e alle vertenze insorte
in sede di transazione ex citati DD.MM. 2009 e 2012.
Si sostiene che
gli stessi, in quanto atti amministrativi regolamentari o generali
adottati dalla P.A. nell’esercizio di attività autoritativa e
discrezionale, siano sindacabili dal giudice amministrativo, in quanto
attuativi di norme primarie a tutela di interessi legittimi di carattere
generale e specifico coinvolti nella fattispecie.
Ma i diritti non solo
risarcitori che intendono esercitare gli attuali appellanti incidentali
sono, per definizione, diritti soggettivi, e i decreti ministeriali
impugnati nel presente giudizio sono atti amministrativi che, altrettanto
per definizione, non possono incidere sui diritti soggettivi,
oggettivamente qui in questione, come del resto si evidenzia quanto meno
per i profili in contestazione, che sono quelli della disciplina della
transazione, della prescrizione, del risarcimento e della responsabilità,
posto che tale disciplina è regolabile, come è regolata, unicamente dalla
legge (cfr. cit. III n. 2506/2013).
In effetti i decreti ministeriali
di cui trattasi non possono incidere sui diritti soggettivi degli
interessati, di contenuto sostanzialmente patrimoniale, né possono farli
degradare a interessi legittimi, posto che gli stessi sono diretti a
attuare le norme primarie con disposizioni di carattere amministrativo e
regolatorie del procedimento, con l’indicazione di criteri generali e
specifici rivolti alle strutture ministeriali e che devono essere
necessariamente in sintonia con quelle norme.
Gli stessi hanno di certo
rilevanza esterna, ma resta sempre nella disponibilità delle parti
interessate aderirvi o meno. Nel caso che vi aderiscano, stipuleranno la
transazione (la quale implica per definizione una parziale abdicazione
alle proprie pretese: aliquid datum, aliquid retentum). Qualora non vi
aderiscano, ritenendo inaccettabili le limitazioni imposte, coltiveranno
le azioni risarcitorie in sede civile; così come faranno coloro che,
stando ai criteri dettati con i provvedimenti impugnati in primo grado,
risultino esclusi dalle procedure di transazione. Resta così confermato,
anche per tale aspetto, come la soluzione ai problemi di grande rilievo
sollevati dagli odierni appellati ed appellanti incidentali debba essere
per lo più ricercata proprio dinanzi al giudice civile, il quale, è bene
ricordarlo, ha anche il potere di disapplicare gli atti amministrativi
qualora risultino indebitamente limitativi dei diritti
soggettivi.
Conviene sottolineare, infatti, che le norme speciali
(legislative e regolamentari) dettate allo scopo di definire
transattivamente le numerose controversie risarcitorie in discorso non
hanno avuto l’intento – né comunque producono l’effetto – di obbligare i
danneggiati ad aderire alla transazione, pena la perdita dei propri
diritti; né tanto meno quello di escludere dal risarcimento i danneggiati
che non siano ammessi alle procedure di transazione non rispondendo alle
condizioni stabilite negli atti amministrativi impugnati.
6.5. In
conclusione, in accoglimento dell’appello ministeriale sul punto, va
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle
domande avanzate in primo grado, trattandosi di questioni che sono invece
di spettanza del giudice ordinario.
In applicazione dell’art. 11,
c.p.a., gli originari ricorrenti potranno riassumere il giudizio in sede
civile nel termine ivi previsto; ciò si dice, beninteso, solo in quanto
essi intendano avvalersi dei vantaggi inerenti alla c.d. translatio
iudicii (ossia la conservazione degli effetti della domanda e degli atti
compiuti) fermo restando che le domande risarcitorie e le altre azioni
proponibili in sede civile, com’è noto, non soggiacciono a termini di
decadenza.
Va altresì dichiarata l’improcedibilità dell’appello
incidentale, e, per l’effetto, la sentenza di primo grado deve essere
annullata e il ricorso introduttivo dichiarato inammissibile per difetto
di giurisdizione.
La particolarità e la delicatezza delle questioni
affrontate, il cui determinarsi ha origine e colpe storiche fin troppo
note, impone la compensazione integrale delle spese di lite (cfr. cit. III
n. 2506/2013).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando, accoglie nei limiti di cui
in motivazione l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello
incidentale, come in epigrafe proposti, e, per l’effetto, in riforma della
sentenza appellata, dichiara inammissibile, per difetto di giurisdizione,
il ricorso di primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese
del giudizio.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52,
comma 1, D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della
dignità della parte interessata, per disporre l’oscuramento delle
generalità dei dati identificativi degli appellati, manda alla Segreteria
di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima
disposizione nei termini indicati.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella
camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l’intervento dei
magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Michele Corradino,
Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Angelica
Dell'Utri, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/03/2014