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CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE III - Sentenza 28 marzo 2014 n. 1505
Pres. Lignani, Est. Stelo
Ministero della Salute e Ministero dell'Economia e delle Finanze (Avv. dello Stato) c/ Omissis (Avv.ti R. Ambrosio, S. Bertone, C. Ghibaudo e D. Fragapane) e nei confronti di Omissis


Igiene e sanità – Infezione da trasfusione di sangue, emoderivati infetti e vaccinazioni obbligatorie – Risarcimento del danno – Transazione – Giurisdizione del G.A. – Non sussiste – Ragioni – Natura – Diritto soggettivo

 

 

Il diritto al risarcimento e non solo dei danni conseguenti a trasfusione, somministrazione di emoderivati infetti e vaccinazioni obbligatorie è diritto soggettivo, per definizione, non affievolibile, ed i decreti ministeriali impugnati nel presente giudizio sono atti amministrativi che, altrettanto per definizione, non possono incidere sui diritti soggettivi, quali transazione, prescrizione, risarcimento e responsabilità, posto che tale disciplina è regolabile unicamente dalla legge. Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere delle transazioni per il risarcimento dei danni da trasfusione, somministrazione di emoderivati infetti e vaccinazioni obbligatorie.

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 7401 del 2013, proposto da: Ministero della Salute e Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro



-OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Renato Ambrosio, Stefano Bertone, Chiara Ghibaudo e Domenico Fragapane, con domicilio eletto presso l’avv. Stefano Angeloni in Roma, via degli Scipioni, 288;

nei confronti di



-OMISSIS-;

per la riforma



della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA - SEZIONE III QUATER n. 07076/2013, resa tra le parti, concernente definizione criteri per la stipula di transazione con soggetti danneggiati da trasfusione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio con appello incidentale del signor -OMISSIS- e di altri 71 appellati sopra indicati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato Fragapane e l’avvocato dello Stato Rago;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO



1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sezione III Quater, con sentenza n. 7076 del 10 aprile – 4 giugno 2013 depositata il 16 luglio 2013, ha parzialmente accolto e respinto, con compensazione delle spese, il ricorso con motivi aggiunti proposto dagli attuali appellati ed appellanti incidentali, avverso i decreti del Ministero della Salute in data 4 maggio 2012 e del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali in data 28 aprile 2009 n. 132.
I provvedimenti impugnati in primo grado, emessi in applicazione dell’art. 33 c.2 del D.L. n. 159/2007 convertito in legge n. 222/2007, e dell’art. 2 c. 362 della legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008), hanno stabilito i criteri e i moduli cui le amministrazioni statali interessate si dovranno attenere nel concludere gli atti di transazione con i soggetti che abbiano instaurato, prima del 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni ancora pendenti, in quanto affetti da determinate patologie e danneggiati da trasfusioni con sangue infetto, somministrazioni di emoderivati infetti ovvero da vaccinazioni obbligatorie,.
Il T.A.R. ha rilevato tardive e inammissibili le censure promosse avverso i contenuti del D.M. del 2012 in quanto meramente reiterativi e applicativi, quindi non autonomamente lesivi, di aspetti già disciplinati nel decreto del 2009, non impugnato nei termini.
Nel merito, quindi, sono state ritenute inammissibili e comunque infondate le doglianze relative all’introduzione o specificazione del criterio ostativo della prescrizione asseritamente in contrasto con il precedente decreto del Ministero della Salute 3 novembre 2003 e con la normativa del 2007 che aveva stabilito in materia il principio ispiratore della “analogia e coerenza”.
In effetti il D.M. del 2012 prevedeva la ostatività della prescrizione in tema di moduli transattivi, in applicazione del D.M. n. 132/2009, che già, all’art. 2, c.2, disponeva di tener conto “dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di prescrizione del diritto”.
Quanto alla prescrizione si ribadisce la valenza di istituto di carattere generale nell’ordinamento applicabile ordinariamente e inderogabilmente, a prescindere dalla peculiarità della transazione de qua e dalla formalizzazione o meno della stessa, nella considerazione dell’oggetto della transazione, che è sempre una “res dubia”, e della responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione per omessa vigilanza anche in ordine alle singole lesioni colpose.
Si richiamano quindi la sentenza n. 5178/2012 della stessa Sezione del T.A.R., il parere di questo Consiglio – Sezione Consultiva per gli Atti normativi del 9 febbraio 2009 reso sullo schema del decreto del 2009 e il D.M. 13 marzo 2002, che ha istituito un gruppo di lavoro paritetico a fini istruttori per la definizione di moduli transattivi e della tabella degli importi massimi transattivi, e si sostiene l’insussistenza della asserita disparità di trattamento, della violazione dei principi di uguaglianza o di coerenza del sistema nonché di non discriminazione ex art. 14 C.E.D.U. fra i destinatari della legge n. 141 del 30 giugno 2003 e del D.M. attuativo 3 novembre 2003 e quelli della normativa in contestazione, posto che quest’ultima è stata introdotta senza’altro in coerenza, in termini di compatibilità e non di identità, con quella precedente di cui è attuazione, con riguardo per l’appunto sia alla prescrizione, sia ai moduli transattivi, sia alla tabella degli importi massimi transattivi.
Né è contraddittoria la costituzione di parte civile del Ministero nei processi penali, trattandosi di singole strategie processuali e di condotte difensive in specifici giudizi.
Né rileva il riferimento ai soggetti danneggiati da “talidomide”, trattandosi di “indennizzo” autonomamente deciso dal legislatore e che prescinde da pretese e transazioni.
Quindi è inammissibile il rilievo secondo cui sarebbero stati radicalmente abbattuti gli ammontari di liquidazione e decurtati gli importi previsti per taluni soggetti, mentre è tardiva la deduzione relativa alla ascrivibilità tabellare del danno alle categorie di cui alla tabella A allegata al D.P.R. n. 834/1981, in quanto già contenuta nel D.M. del 2009, e comunque il rinvio al citato D.P.R. era da intendersi come “mobile” con conseguente interpretazione estensiva ed adeguatrice delle tabelle nel tempo.
E’ stata infine ritenuta illegittima la previsione di cui al comma 2 dell’art. 5 del D.M. 4 maggio 2012, secondo cui i moduli transattivi erano da applicarsi ai soggetti che avessero presentato istanze riferentesi a eventi trasfusionali non anteriori al 24 luglio 1978, data di emanazione della circolare ministeriale n. 68/1978, che aveva reso obbligatoria la ricerca dell’antigene dell’epatite B nel sangue e negli emoderivati.
Detta disposizione infatti avrebbe dovuto definire, in corretta applicazione della legge del 2007 e del regolamento ex D.M. n. 132/2009, solo i moduli transattivi senza poter introdurre un altro criterio di limitazione selettiva non previsto per l’appunto dal citato regolamento, per di più in contrasto con i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, che hanno riconosciuto la responsabilità ministeriale anche per contagi verificatisi sin dagli anni “sessanta”, tanto che il Ministero aveva disposto già con circolari del 1971 e 1972 la ricerca sistematica dell’antigene Australia (poi virus dell’epatite B), in presenza anche di obblighi normativi risalenti al 1967, 1971 e 1973.
Infine viene respinta la richiesta risarcitoria, anche per danno da ritardo, in quanto del tutto generica ed indimostrata. Peraltro i soggetti interessati, ove non convinti dei criteri stabiliti nei citati decreti, avrebbero potuto coltivare i giudizi risarcitori non aderendo alle transazioni in questione.
2. Il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con atto dell’Avvocatura generale dello Stato notificato il 23 settembre 2013 e depositato il 14 ottobre 2013, hanno interposto appello, con domanda di sospensiva, deducendo:
- l’infondatezza della censure relative alla contestata prescrizione e alla violazione del citato principio di analogia e coerenza, già disattese con la sentenza impugnata, richiamando in generale la precedente pronuncia di questo Consesso – Sezione III n. 2506/2013, che avrebbe ribadito la natura essenzialmente civilistica della transazione;
- il più antico prevalente orientamento della Cassazione ed anche quello più recente (cfr. Sez. III, n. 2250/2013), che avrebbe escluso la responsabilità del Ministero;
- il difetto di giurisdizione sotto vari profili, posto che il giudice amministrativo ha effettuato una valutazione che invece rientrava nella piena discrezionalità dell’Amministrazione in materia di criteri di definizione delle transazioni, per di più esaminando anche il merito delle stesse, e quindi questioni di competenza del giudice ordinario, concernenti la transazione di giudizi civili pendenti aventi ad oggetto diritti soggettivi nonché richieste di risarcimento dei danni;
- la violazione dei principi in materia di transazione, che si fonda anche sull’accertamento della res dubia, indubbiamente insussistente anteriormente al 24 luglio 1978.
3. Con atto depositato il 29 novembre 2013 gli appellati si sono costituiti e hanno proposto appello incidentale, con istanza cautelare, replicando argomentatamente ai motivi dell’appello principale e ribadendo comunque la responsabilità ministeriale a prescindere dalla data dell’evento.
Si eccepisce in via preliminare l’inammissibilità dell’appello principale in quanto notificato in una sola copia e per tutti gli appellati all’unico difensore domiciliatario.
Si soggiunge che nessun giudicato si è formato sui contenuti del D.M. del 2009 posto che il pregiudizio si è verificato concretamente con il D.M. del 2012, richiedendo quindi l’impugnativa congiunta dei due provvedimenti ministeriali.
Si ripropongono le censure volte a sostenere:
- l’inapplicabilità della prescrizione nei casi di transazione in questione (cd. “4^ transazione”), non prevista dalla precedente normativa e introdotta con le disposizioni ora intervenute e impugnate;
- la disparità di trattamento, con conseguente discriminazione vietata dall’art. 14 C.E.D.U., venutasi a costituire fra i soggetti destinatari della transazione, connessa alle normative succedutesi nel tempo e interpretate in modo differenziato, e quindi contraddittorio, come per esempio riguardo al requisito della ascrivibilità tabellare, da eliminare;
- le caratteristiche invero specifiche e peculiari della transazione in questione che, a prescindere dall’art. 1965 c.c. e dalla citata sentenza di questa Sezione n. 2506/2013, ha richiesto l’approvazione di normative di rango primario fin dal 2003 che hanno tenuto conto senza dubbio della particolare problematica anche sociale connessa agli eventi e alle patologie di cui trattasi, della responsabilità dello Stato e, in generale, della tutela del diritto alla salute;
- in definitiva l’illegittimità degli ulteriori criteri introdotti asseritamente praeter legem con i DD.MM. impugnati, viziati quindi da carenza istruttoria e motivazionale con riferimento anche ai lavori, non noti, istruttori svolti dalla Commissione istituita con il D.M. 4 marzo 2008.
Reiterano l’istanza risarcitoria.
4. La causa, rinviata alla trattazione del merito nella camera di consiglio del 7 novembre 2013, all’udienza pubblica del 18 febbraio 2014 è stata trattenuta in decisione.
5. Si pone come assolutamente prioritaria l’eccezione d’inammissibilità dell’appello, dedotta con riferimento alla circostanza che il relativo atto è stato notificato mediante consegna di una unica copia al difensore di tutti i ricorrenti in primo grado, anziché in tante copie distinte per ciascuno di essi.
Il Collegio ritiene di poter superare questa eccezione richiamando le decisioni Cons. Stato, IV sez., n. 610/1996 e n. 3206/2001 nonché III, n.5419/2011.
6.1. La problematica che viene oggi proposta in questa sede con gli appelli principale e incidentale in premessa indicati e all’esame dell’udienza odierna insieme ad altri analoghi gravami concerne una tematica che ha richiesto specifici interventi normativi, di rango primario e secondario, nella considerazione dei peculiari sottesi aspetti di natura non solo giuridica e sanitaria ma anche sociali ed umani.
Soprattutto ha riguardo a soggetti affetti da patologie insorte già negli anni ’60 e danneggiati, come detto, da trasfusioni con sangue infetto, da somministrazioni di emoderivati infetti e da vaccinazioni obbligatorie, e quindi da contagi evidenziatisi fin dalla conoscenza dell’epatite B e poi con gli specifici tests volti a isolare l’antigene dei vari virus (HIV-AIDS; HBV-epatite B; HCV-epatite C).
Tenuto conto quindi delle caratteristiche del fenomeno, delle patologie e delle loro conseguenze sul piano non solo sanitario nonché della pluralità dei soggetti coinvolti, sono state per l’appunto introdotte nel 2003 e nel 2007 normative finalizzate ad agevolare la definizione delle singole situazioni per il tramite di apposite transazioni da stipulare in presenza di giudizi pendenti e di un notevole contenzioso, in atto ormai da tempo.
Il contesto quindi non sfugge alla comprensione del Collegio, che invero è chiamato, è bene precisare, a valutare la legittimità della sentenza appellata nei suoi profili di rito e di merito, come dedotti dalle varie parti.
6.2. Ciò premesso, occorre esaminare, per la sua valenza pregiudiziale, la questione della giurisdizione, dedotta dai Ministeri appellanti sotto vari profili, e, si sottolinea, a fronte di sentenza di merito, che contiene una statuizione implicita sulla giurisdizione, il difetto di giurisdizione, ai sensi dell’art. 9 c.p.a., deve essere fatto valere con specifico motivo di appello come per l’appunto proposto nel caso di specie.
Ciò detto la Sezione è dell’avviso, per le considerazioni che seguono, che nella fattispecie ricorra il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e quindi la giurisdizione del giudice ordinario, posto che il T.A.R., al di là della legittimità dei decreti ministeriali impugnati che pure ha affrontato, ha poi valutato specifiche tematiche e si è soffermato su aspetti e pretese concernenti diritti soggettivi non affievolibili, di spettanza del giudice civile.
6.3. La materia del contendere, come detto, ha ad oggetto le transazioni relative alle cause risarcitorie attivate da emofilici, talassemici, vaccinati e trasfusi occasionali a causa di patologie (HIV, HCB, HBV) insorte con l’assunzione di emoderivati, emotrasfusioni, vaccini obbligatori.
La definizione del contenzioso e la disciplina normativa delle transazioni hanno inizio con la legge n. 141/2003 e il decreto del Ministero della Salute 3 novembre 2003, che ha disposto l’applicazione dei moduli e della tabella con gli importi massimi rassegnati dal gruppo di lavoro ex D.M. 13 marzo 2002, pervenendo poi al decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali n. 132 del 28 aprile 2009, reso su parere del Consiglio di Stato – Sezione consultiva Atti Normativi del 9 febbraio 2009 e recante il regolamento di esecuzione dell’art. 33, c. 2, del D.L. n. 159/2007 convertito nella legge n. 222/2007 e dell’art. 2, c. 362, della legge 244/2007 (Finanziaria 2008), che hanno posto i criteri con i quali definire le transazioni da stipulare con i soggetti affetti dalle patologie in questione e che avessero promosso azioni risarcitorie.
E’ seguito poi il decreto dei Ministeri della Salute e dell’Economia e delle Finanze del 4 maggio 2012 volto all’applicazione dei moduli transattivi, da utilizzare ai fini suddetti, ex art. 5 del citato D.M. n. 132.
In proposito i soggetti interessati hanno lamentato sostanzialmente l’erronea, illogica e irrazionale applicazione della normativa secondaria di cui ai DD.MM. del 2009 e 2012, che, in contrasto e in contraddittorietà con il precedente D.M. del 2003, con la legge del 2007 e con l’affermato principio di “analogia e trasparenza”, avrebbe introdotto criteri (come in tema di prescrizione, data di riferimento dell’evento dannoso e tabelle di riferimento) e importi più restrittivi con conseguente ingiustificata disparità di trattamento fra i destinatari delle transazioni nel tempo.
L’Amministrazione ha di contro sempre sostenuto la legittimità dei decreti ministeriali contestati.
6.4. Ciò detto, è evidente che la fattispecie impinge primariamente sulla fondamentale tutela del diritto alla salute, garantito costituzionalmente come diritto soggettivo perfetto, e al contempo sulla disciplina di istituti regolati in primis dal diritto civile, ma immanenti e trasversali nell’ordinamento giuridico generale, quali la prescrizione, la transazione, la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, l’azione di risarcimento, che riguardano diritti soggettivi non suscettibili di essere degradati e affievoliti in interessi legittimi dalla discrezionalità meramente tecnica dell’Amministrazione in ordine all’apprezzamento dei presupposti per la definizione delle transazioni e delle controversie, disciplina quindi che non può soffrire deroghe se non introdotte con norme primarie.
La prescrizione invero, quale istituto di ordine pubblico generale, presiede a garanzia della certezza nel tempo dei rapporti giuridici, attivi e passivi, privati e pubblici, e vive nell’ordinamento, esplicitamente o implicitamente formalizzata e semmai dedotta dalla parte interessata.
La corretta individuazione del dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione è quindi questione che esula dal presente giudizio amministrativo e che attiene, invece, alla vicenda delle singole domande di transazione oltre che, in caso di esito negativo, dei singoli giudizi risarcitori già pendenti dinanzi al giudice (cfr. anche III, n. 2506/2013 su analoga fattispecie).
La transazione trova il riferimento negli artt. 1965 e seg. c.c., che pongono uno strumento, non obbligatorio, nella disponibilità dell’interessato volto a risolvere, con reciproche concessioni, un contrasto fra pretese di diverso tenore, al fine di prevenire o comporre una lite.
La normativa di cui trattasi ha sì disciplinato una specifica transazione, motivata dalle ragioni dinanzi illustrate, ma quale species di un genus e senza derogare la norma di carattere generale e pregiudicare i diritti soggettivi in capo agli interessati che, si rammenta, sono stati già portati all’attenzione del giudice ordinario.
Quanto alla responsabilità ministeriale di natura extracontrattuale, la citata tutela della salute pubblica, assicurata dall’art. 32 Cost., e il connesso obbligo di vigilanza e di controllo e quindi di adozione di tutte le iniziative necessarie pro tempore, sul piano amministrativo ma anche e soprattutto tecnico-scientifico-sanitario, in relazione allo sviluppo delle fenomenologie nel tempo, rientrano di certo e da sempre nelle attribuzioni istituzionali del competente Ministero e quindi nelle connesse responsabilità, a prescindere dalla data di insorgenza dell’evento dannoso, con un accertamento di fatto demandato anch’esso al giudice ordinario.
Con riguardo alle istanze risarcitorie, sono fatti salvi gli autonomi giudizi pendenti in sede civile o attivabili in caso di mancata adesione alle procedure transattive anche per singole responsabilità a carico delle strutture sanitarie e del personale.
La questione quindi si pone in relazione alle pretese e alle vertenze insorte in sede di transazione ex citati DD.MM. 2009 e 2012.
Si sostiene che gli stessi, in quanto atti amministrativi regolamentari o generali adottati dalla P.A. nell’esercizio di attività autoritativa e discrezionale, siano sindacabili dal giudice amministrativo, in quanto attuativi di norme primarie a tutela di interessi legittimi di carattere generale e specifico coinvolti nella fattispecie.
Ma i diritti non solo risarcitori che intendono esercitare gli attuali appellanti incidentali sono, per definizione, diritti soggettivi, e i decreti ministeriali impugnati nel presente giudizio sono atti amministrativi che, altrettanto per definizione, non possono incidere sui diritti soggettivi, oggettivamente qui in questione, come del resto si evidenzia quanto meno per i profili in contestazione, che sono quelli della disciplina della transazione, della prescrizione, del risarcimento e della responsabilità, posto che tale disciplina è regolabile, come è regolata, unicamente dalla legge (cfr. cit. III n. 2506/2013).
In effetti i decreti ministeriali di cui trattasi non possono incidere sui diritti soggettivi degli interessati, di contenuto sostanzialmente patrimoniale, né possono farli degradare a interessi legittimi, posto che gli stessi sono diretti a attuare le norme primarie con disposizioni di carattere amministrativo e regolatorie del procedimento, con l’indicazione di criteri generali e specifici rivolti alle strutture ministeriali e che devono essere necessariamente in sintonia con quelle norme.
Gli stessi hanno di certo rilevanza esterna, ma resta sempre nella disponibilità delle parti interessate aderirvi o meno. Nel caso che vi aderiscano, stipuleranno la transazione (la quale implica per definizione una parziale abdicazione alle proprie pretese: aliquid datum, aliquid retentum). Qualora non vi aderiscano, ritenendo inaccettabili le limitazioni imposte, coltiveranno le azioni risarcitorie in sede civile; così come faranno coloro che, stando ai criteri dettati con i provvedimenti impugnati in primo grado, risultino esclusi dalle procedure di transazione. Resta così confermato, anche per tale aspetto, come la soluzione ai problemi di grande rilievo sollevati dagli odierni appellati ed appellanti incidentali debba essere per lo più ricercata proprio dinanzi al giudice civile, il quale, è bene ricordarlo, ha anche il potere di disapplicare gli atti amministrativi qualora risultino indebitamente limitativi dei diritti soggettivi.
Conviene sottolineare, infatti, che le norme speciali (legislative e regolamentari) dettate allo scopo di definire transattivamente le numerose controversie risarcitorie in discorso non hanno avuto l’intento – né comunque producono l’effetto – di obbligare i danneggiati ad aderire alla transazione, pena la perdita dei propri diritti; né tanto meno quello di escludere dal risarcimento i danneggiati che non siano ammessi alle procedure di transazione non rispondendo alle condizioni stabilite negli atti amministrativi impugnati.
6.5. In conclusione, in accoglimento dell’appello ministeriale sul punto, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle domande avanzate in primo grado, trattandosi di questioni che sono invece di spettanza del giudice ordinario.
In applicazione dell’art. 11, c.p.a., gli originari ricorrenti potranno riassumere il giudizio in sede civile nel termine ivi previsto; ciò si dice, beninteso, solo in quanto essi intendano avvalersi dei vantaggi inerenti alla c.d. translatio iudicii (ossia la conservazione degli effetti della domanda e degli atti compiuti) fermo restando che le domande risarcitorie e le altre azioni proponibili in sede civile, com’è noto, non soggiacciono a termini di decadenza.
Va altresì dichiarata l’improcedibilità dell’appello incidentale, e, per l’effetto, la sentenza di primo grado deve essere annullata e il ricorso introduttivo dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.
La particolarità e la delicatezza delle questioni affrontate, il cui determinarsi ha origine e colpe storiche fin troppo note, impone la compensazione integrale delle spese di lite (cfr. cit. III n. 2506/2013).

P.Q.M.



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, accoglie nei limiti di cui in motivazione l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale, come in epigrafe proposti, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso di primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per disporre l’oscuramento delle generalità dei dati identificativi degli appellati, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione nei termini indicati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Michele Corradino, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/03/2014





 

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