REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1478 del
2014, proposto da: Soc. Crescent s.r.l., in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino,
Lorenzo Lentini e Paolo Vosa, con domicilio eletto presso lo studio
dell’avvocato Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
contro
Associazione Italia Nostra Onlus -
Associazione nazionale tutela patrimonio artistico della Nazione,
rappresentata e difesa dagli avvocati Oreste Agosto e Pierluigi Morena,
con domicilio eletto presso Associazione Italia Nostra Onlus in Roma,
viale Liegi, 33; Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia e
Antonio Brancaccio, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo
in Roma, via Taranto, 18; Regione Campania, Provincia di Salerno, in
persona dei rispettivi Presidenti pro tempore, Autorità di Bacino
Regionale Campania Sud ed Interregionale Bacino Idrografico Fiume Sele,
Immobiliare Panoramica s.r.l., Consorzio Stabile Tekton Soc. Consortile
a.r.l., Sviluppo Immobiliare Santa Teresa s.r.l. – Sist, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti; Ministero dell'economia e delle finanze,
Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, in persona dei rispettivi Ministri pro
tempore, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici
Province Salerno ed Avellino, in persona del Soprintendente pro
tempore, Agenzia del Demanio - Direzione Generale, Agenzia del Demanio
- Direzione Regionale Campania - Sede di Napoli, n persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura
generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Autorità Portuale di Salerno, in persona del Presidente pro
tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Barbara Pisacane, con
domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma,
piazza Capo di Ferro 13;
per chiarimenti in ordine all’ottemperanza
della sentenza 23 dicembre 2013, n. 6223 del
Consiglio di Stato, Sezione sesta..
Visti il ricorso in appello e i
relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della
causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 il
Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato
Aiello, gli avvocati Lentini, Sanino, Agosto, Morena, Brancaccio, Clarizia
e Pisacane.
FATTO
1.– Italia Nostra O.N.L.U.S., Associazione
nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della
Nazione, con sede in Roma (d’ora innanzi solo Italia Nostra), ha
impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania (a
seguito di trasposizione del ricorso straordinario), con due ricorsi, i
provvedimenti statali e comunali aventi ad oggetto la sdemanializzazione
di area appartenente al demanio statale, la sua successiva alienazione
dallo Stato al Comune di Salerno, l’approvazione del piano urbanistico
comunale - PUC e del piano urbanistico attuativo - PUA, l’approvazione del
progetto per la realizzazione dell’edificio privato denominato Crescent
sul lungomare di Salerno nell’area denominata S. Teresa (oggetto della
predetta procedura di sdemanializzazione e vendita), il rilascio, alla
suddetta società, del relativo permesso di costruire 12 maggio 2011, n.
27563.
1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenze 8 novembre 2011
n. 1170 e n.1768, ha dichiarato inammissibili i ricorsi e i motivi
aggiunti.
2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello. Nel
relativo giudizio si sono costituite le parti indicate in
epigrafe.
2.1.– Il Consiglio di Stato, Sezione sesta, con sentenza 23
dicembre 2013, n. 6223, ha esaminato una serie di questioni di legittimità
afferenti alla urbanistica, alla sdemalializzazione, all’edilizia, al
paesaggio, all’assetto idrogeologico, alla sismicità dell’area,
all’ambiente, alla concorrenza, alla sostenibilità economico-finanziaria
dell’opera.
All’esito del giudizio, la Sezione ha ritenuto fondate
esclusivamente le censure relative al difetto di motivazione degli atti di
autorizzazione paesaggistica e, pertanto, ha annullato l’autorizzazione
paesaggistica relativa al PUA rilasciata dal Comune di Salerno con
provvedimento 18 febbraio 2008, n. 20 e l’autorizzazione paesaggistica
relativa al progetto definitivo, rilasciata dal Comune di Salerno, con
atto del 10 dicembre 2008, n. 164.
La Sezione ha ritenuto che tale
annullamento «comporta che le amministrazioni statali e locali dovranno,
attraverso i propri organi competenti, adottare nuove determinazioni
dotate di una motivazione» adeguata.
3.– La società Crescent, con
ricorso notificato il 18 febbraio 2014, ha proposto ricorso per
chiarimenti ai sensi dell’art. 112, quinto comma, cod. proc. amm.
La
società ha premesso di avere già realizzato la «struttura portante
dell’emiciclo del Crescent, per ben quattro settori, oltre la piazza
antistante e parte dell’assetto viario e dei parcheggi sottostanti
(realizzati dal Comune)». Si aggiunge che le parti hanno previsto, negli
atti posti in essere per la realizzazione dell’opera, una specifica
clausola di garanzia «secondo cui, in caso di esito negativo, anche di uno
solo dei giudizi, il Comune di Salerno si è obbligato a restituire non
solo il corrispettivo e gli oneri versati (euro 28.800.00) ma anche il
valore delle opere fino a quel momento realizzate che (…) ammontano ad
oltre euro 16.000.000».
Ciò premesso, la Società ha dedotto che, con
atto del 20 gennaio 2014, «ha invitato le amministrazioni competenti
(Comune di Salerno e Soprintendenza)» a dare ottemperanza alla decisione
del Consiglio di Stato, «riformulando il tratto dell’azione amministrativa
ritenuto carente (la sola motivazione), in prospettiva conformativa».
Successivamente il Capo di Gabinetto del Ministro dei beni ed attività
culturali, con note prot. n. 2080 e n. 3683 del 2014, indirizzate alla
società, essendo mutata la disciplina del procedimento di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica, ha prospettato dubbi in ordine alla
individuazione della normativa applicabile in sede di rinnovo
procedimentale.
La Società, a fronte di tale contrasto interpretativo,
ha proposto ricorso per chiarimenti, allo scopo di evitare «un nuovo e
defatigante contenzioso, che sarebbe “fatale” per la Società Crescent, che
si vede esposta, finora, per oltre euro 50.000.000 e vede accrescersi il
danno, de die in diem, in ragione di circa euro 10.000 pro
die, per i soli interessi dovuti agli Istituti di credito
finanziatori».
Nel ricorso si assume che, ad avviso della Società: i) la rinnovazione del procedimento deve avvenire nel rispetto
dell’art. 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137), applicato ratione temporis nella decisione
del Consiglio di Stato; ii) «la statuizione sulle corrette modalità
di esecuzione dovrà risultare necessariamente compatibile con il divieto
di sanatoria dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 e, quindi, riguardare
(…) unicamente la riedizione motivazionale, ora per allora, del titolo
paesistico, secondo il regime, all’epoca vigente (art. 159)».
3.1.– Si
è costituito in giudizio il Comune di Salerno, rilevando che la
rinnovazione del procedimento deve avvenire nel rispetto della normativa
prevista dall’art. 159, anche perché la nuova normativa attribuisce al
Comune un mero potere istruttorio, spettando la relativa decisione
all’amministrazione statale. Si afferma, inoltre, che la sentenza di
cognizione avrebbe determinato soltanto effetti conformativi, imponendo il
riesercizio del potere in applicazione della normativa vigente al momento
dell’adozione degli atti impugnati.
3.2.– Si è costituita in giudizio
Italia Nostra, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del
ricorso, in quanto il Comune avrebbe già provveduto ad eseguire la
sentenza mediante l’adozione dell’atto di autorizzazione 14 febbraio 2014,
n. 10, che la parte si è riservata di impugnare mediante ricorso
incidentale.
Nel merito si è affermato che il riesercizio del potere
mediante l’adozione di nuovi atti di autorizzazione sarebbe vietato dagli
articoli 146 e 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, che non consentono la
sanatoria di opere realizzate in zone vincolate.
3.3.– Si è costituito
in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, rilevando
l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui sono state impugnate le
note del Ministero, sopra indicate, in ragione della loro natura non
provvedimentale.
Il Ministero ha proposto anch’esso ricorso
incidentale, chiedendo la declaratoria di nullità per violazione del
giudicato del provvedimento di autorizzazione paesaggistica n. 10 del
2014. Tale autorizzazione sarebbe stata rilasciata, infatti, in
applicazione del regime transitorio previsto dall’art. 159 del d.lgs. n.
42 del 2004 e non di questo definitivo previsto dall’art. 146 dello stesso
decreto.
In via subordinata, il Ministero ha affermato che, qualora
questo Consiglio dovesse ritenere applicabile il citato art. 159, in ogni
caso deve essere dichiarata l’elusività dell’atto di autorizzazione, in
quanto lo stesso non conterrebbe una motivazione adeguata, essendosi il
Comune limitato a descrivere l’opera già realizzata.
Infine, il
Ministero ha chiesto che, avendo il Comune intimato alla Soprintendenza di
pronunciarsi entro il termine di due mesi decorrenti dal 17 febbraio 2014,
venga sospesa, in via cautelare, l’autorizzazione paesaggistica nelle more
della decisione del ricorso per chiarimenti.
3.4.– Si è costituita in
giudizio l’Autorità portuale di Salerno, rilevando che la normativa
applicabile, ad avviso dell’ente, è l’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004.
3.5.– Con atto del 10 marzo 2014 Italia Nostra ha chiesto il rinvio
della trattazione del causa, essendo «in corso di notifica» l’azione
«incidentale di nullità» dell’autorizzazione paesaggistica n. 10 del 2014.
4.– Nel corso della discussione nella camera di consiglio dell’11
marzo 2014, il Collegio non ha concesso il rinvio richiesto, facendo
presente che: i) sussistono ragioni di urgenza che hanno
giustificato la concessione della abbreviazione del termini e che non
sarebbero compatibili con i tempi di attesa della udienza successiva
utile, non possibile prima del mese di giugno; ii) i termini del
procedimento, pur abbreviati, non erano tali da aver reso impossibile la
proposizione di un ricorso incidentale, come quello proposto dal
Ministero, in tempo utile per consentire la trattazione della causa alla
camera di consiglio già fissata; iii) le esigenze di difesa,
rappresentante da Italia Nostra, avrebbero potuto essere ugualmente
assicurate mediante l’esposizione orale nel corso della camera di
consiglio degli argomenti difensivi contenuti nel ricorso incidentale.
La difesa di Italia Nostra ha, pertanto, illustrato il contenuto di
detto ricorso, ribadendo, in sostanza, quanto già contenuto nel proprio
atto di costituzione.
5.– La causa è stata, pertanto, decisa, nel senso
indicato in motivazione, all’esito della discussione che si è svolta nella
suddetta camera di consiglio dell’11 marzo 2014.
DIRITTO
1.– I quesiti posti con il ricorso impongono di
esaminare la questione relativa al rapporto tra lo ius superveniens nel corso del giudizio e il regime dell’attività posta in essere
dall’amministrazione dopo il giudicato.
La ricorrente, infatti, ha
chiesto alla Sezione di chiarire quali sono, alla luce delle
sopravvenienze normative, le modalità di esecuzione della sentenza 23
dicembre 2013, n. 6223, con cui questo Consiglio ha annullato le
autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune di Salerno per la
realizzazione dell’edificio “Crescent”.
2.– L’art. 112, comma 5, cod.
proc. amm., prevede che il ricorso di ottemperanza può essere proposto
anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di
esecuzione: lo scopo perseguito è quello di consentire alle parti
interessate, in attuazione del principio di celerità nella definizione
delle controversie, di ottenere le indicazioni necessarie ad evitare che
venga posta in essere una attività di violazione o elusione del giudicato
(Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569).
Si tratta di un’azione
esecutiva di accertamento volta ad eliminare possibili incertezze nella
fase di attuazione del rapporto processuale definito con una sentenza
passata in giudicato.
3.– In via preliminare, è necessario riportare,
nelle parti che interessano in questa sede, quanto affermato nella
sentenza n. 6223 del 2013, nonché le norme rilevanti ai fini della
risoluzione della presente controversia.
3.1.– In relazione al primo
aspetto, la predetta decisione ha esaminato la legittimità degli atti
relativi alla realizzazione dell’edificio “Crescent” con riferimento ad
una serie di norme che Italia Nostra aveva ritenuto essere state violate.
Il progetto dell’edificio è stato esaminato nelle fasi di
predisposizione degli strumenti urbanistici, di approvazione del progetto
stesso, di rilascio del permesso di costruire. La valutazione della
fattibilità dell’opera ha richiesto l’attivazione di una serie di
procedimenti aventi ad oggetto questioni relative alla urbanistica, alla
sdemanializzazione, all’edilizia, al paesaggio, all’assetto idrogeologico,
alla sismicità dell’area, all’ambiente, alla concorrenza, alla
sostenibilità economico-finanziaria dell’intervento.
All’esito del
giudizio, questa Sezione ha ritenuto prive di fondamento tutte le censure
prospettate, ad eccezione di quelle relative al difetto di motivazione
degli atti di autorizzazione paesaggistica.
In particolare, si è
affermato che, ai sensi dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241,
«l’atto di autorizzazione dell’ente locale, espressione dell’esercizio di
valutazioni tecniche, deve contenere una adeguata motivazione, indicando i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la
decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze
dell’istruttoria».
Nello specifico settore paesaggistico, la
motivazione contenuta nei provvedimenti di autorizzazione comunale 18
febbraio 2008, n. 20 (rilasciata in relazione al progetto inserito nello
strumento urbanistico di attuazione) e 10 dicembre 2008, n. 164
(rilasciata in relazione al progetto da approvare) – si è affermato nella
sentenza da eseguire – «non risponde al contenuto essenziale che, secondo
quanto sopra esposto, il provvedimento in esame deve avere». In
particolare, «non viene descritto in modo dettagliato: i)
l’edificio, anche mediante l’indicazione delle dimensioni (venendo in
rilievo una struttura con una lunghezza di circa 260 metri, uno sviluppo
lineare percepibile di circa 200 metri, una altezza fuori terra di circa
25,80 metri e una cubatura di circa 73.000 metri cubi), dei colori e dei
materiali impiegati, non essendo sufficiente affermare che
l’amministrazione “condivide l’articolazione dei materiali e delle cromie”
delle pavimentazioni; ii) il paesaggio nell’ambito del quale esso è
collocato, non essendo sufficiente affermare (peraltro, solo con
riferimento all’autorizzazione resa sul PUA) che “la volumetria edilizia a
semicerchio porticato è idonea a rimarcare la volontà simbolica di
accogliere e definire formalmente ciò che per definizione è continuamente
mutevole come il mare”; iii) il modo in cui l’edificio si inserisce
in modo coerente ed armonico nel contesto complessivo, non essendo
sufficiente affermare (peraltro, solo con riferimento all’autorizzazione
resa sul PUA) che “le aperture nella cortina edilizia realizzano la
necessaria permeabilità visuale, oltre che funzionale, tra la piazza e il
tessuto urbano” e che “l’altezza dell’emiciclo raggiunge il giusto
equilibrio tra la profondità della piazza, le altezze di alcuni fabbricati
moderni alle spalle e la necessità di “monumentalizzare” il
sito».
Nella parte finale della sentenza si è rilevato che
l’annullamento di tali atti «comporta che le amministrazioni statali e
locali dovranno, attraverso i propri organi competenti, adottare nuove
determinazioni dotate di una motivazione che rispetti i requisiti indicati
nella presente sentenza».
3.2.– In relazione al secondo aspetto,
l’articolo 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137) ha previsto un regime transitorio, applicabile sino
al 31 dicembre 2009, secondo cui il rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica avviene all’esito di un procedimento complesso composto da
due fasi necessarie: l’una di competenza dell’amministrazione locale che
svolge valutazioni tecniche in ordine alla compatibilità delle opere con
il paesaggio; l’altra di competenza dell’amministrazione statale che
svolge, nell’ottica della cogestione del vincolo, un “controllo” in ordine
alle modalità di svolgimento delle suddette valutazioni, con divieto, in
presenza di una adeguata motivazione, di sovrapporre propri giudizi a
quelli sottoposti al suo esame (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre
2001, n. 9).
L’articolo 146 dello stesso decreto, applicabile a
partire dal 1° gennaio 2010, ha cambiato le regole sul procedimento e
sulla competenza, prevedendo, al comma 5, l’esistenza di un procedimento
unico nell’ambito del quale l’amministrazione locale adotta l’atto di
autorizzazione previa acquisizione, in presenza di aree vincolate per
legge, del parere vincolante dell’amministrazione statale che ha la
possibilità di esprimere valutazioni di merito in ordine alla
compatibilità paesaggistica.
Il quarto comma dello stesso articolo 146
ha disposto che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5,
l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente
alla realizzazione, anche parziale, degli interventi». Il richiamato
articolo 167 ha stabilito che tale divieto non opera nei casi in cui: a) i
lavori eseguiti non hanno determinato la «creazione di superficie utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati»; b) sono stati
impiegati «materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica»; c)
gli interventi eseguiti sono qualificabili quali «interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria» ai sensi dell’art. 3 del decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia).
L’articolo 159, comma 4, sopra riportato, ha previsto che,
anche nella fase transitoria, si applica quanto stabilito, tra l’altro,
dall’art. 146, comma 4, e quindi opera il divieto di sanatoria con le
indicate eccezioni.
4.– Il primo quesito interpretativo posto attiene
alla stessa ammissibilità di una fase di riedizione del potere, in
presenza di disposizioni (articoli 146, comma 4, 159, comma 5, 167, commi
4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004) che hanno stabilito il divieto di
sanatoria di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica.
Le norme riportate, come risulta dal loro tenore letterale, non
consentono la sanatoria di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ammettendo il
rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi
minori.
Si tratta di norme imperative di divieto di fattispecie
specificamente descritte, con individuazione di quelle sottratte al
divieto stesso.
Il legislatore non ha ricompreso nell’ambito di
applicazione della disposizione in esame la realizzazione di lavori
eseguiti sulla base di una autorizzazione paesaggistica rilasciata e,
successivamente, annullata in sede giurisdizionale. Né sarebbe ammissibile
una interpretazione analogica del citato articolo 146, comma 4, in quanto,
venendo in rilievo una norma di proibizione, la stessa, per la sua natura
eccezionale, non è suscettibile di applicazione a casi diversi da quelli
espressamente contemplati. Ma anche a volere prescindere da tale aspetto,
non sussisterebbe neanche la identità di ratio che giustifica il
procedimento di interpretazione analogica: non sono, infatti, equiparabili
le due fattispecie costituite, da un lato, dall’assenza o difformità dal
titolo, dall’altro, dall’esistenza di un titolo invalido ma, sino alla
sentenza del giudice amministrativo, pienamente efficace. Lo stesso
legislatore tiene normalmente separate le ipotesi in esame: si pensi, a
titolo esemplificativo, sia pure in relazione ad un ambito diverso da
quello in esame, alla diversa disciplina edilizia prevista per le opere
realizzate senza titolo, in difformità essenziale da esso ovvero sulla
base di un atto annullato (si vedano, a tale proposito, gli articoli 31 e
seguenti del d.lgs. n. 380 del 2001).
5.– Nel caso in questione, le
norme sopra riportate – applicabili sia alla luce del regime transitorio
che del regime definitivo – non impediscono, pertanto, che le
amministrazioni competenti possano riesercitare il potere successivamente
al giudicato di annullamento delle autorizzazione paesaggistiche.
6.–
Il secondo quesito interpretativo, una volta affermato che detti atti
possono essere rilasciati, impone di individuare la disciplina applicabile
in sede di riesercizio del potere nel caso in cui la normativa esistente
al momento della loro adozione sia mutata nel corso di svolgimento del
giudizio.
La questione in esame non è regolata dal legislatore.
Occorre, pertanto, rendere i chiarimenti alla luce dei principi
generali che presiedono allo svolgimento dell’azione
amministrativa.
7.– Il provvedimento amministrativo, in ossequio al
principio di legalità, deve essere conforme alla normativa esistente al
momento della sua adozione.
Il giudice amministrativo, nell’esercizio
del sindacato di legittimità, deve accertare se la pubblica
amministrazione abbia agito nel rispetto della predetta normativa.
Se
il giudizio si conclude con una sentenza di annullamento,
l’amministrazione, nella fase di rinnovazione procedimentale, deve
attenersi, sempre in attuazione del principio di legalità, alla normativa
esistente nel momento dell’adozione degli atti (Cons. Sato, sez. VI, 19
giugno 2012, n. 3569, ha affermato questo principio con riferimento al
rapporto tra giudicato e normativa sopravvenuta dopo il giudicato). La
funzione amministrativa ha, infatti, una dimensione dinamica che impone un
costante adeguamento del rapporto regolato dall’amministrazione, in un
determinato momento storico, al mutamento degli assetti organizzativi,
procedimentali e sostanziali che il legislatore intende
assicurare.
Questa regola generale deve, però, essere sottoposta, ai
fini della sua applicazione, ad un giudizio di compatibilità processuale e
procedimentale.
7.1.– In relazione al giudizio di compatibilità
processuale, la nuova normativa e la successiva attività
amministrativa non devono porsi in contrasto con gli accertamenti compiuti
nel corso del giudizio e con i conseguenti effetti derivanti dalla
sentenza di annullamento.
L’accertamento giudiziale ha una intensità
modulata alla luce della natura del potere pubblico esercitato: in
presenza di una attività vincolata o con “discrezionalità esaurita” il
giudice amministrativo può accertare, nel rispetto del principio della
domanda, pienamente il rapporto giuridico; in presenza, invece, di una
attività connotata da discrezionalità amministrativa o tecnica l’esigenza
di garantire il rispetto del principio costituzionale di separazione dei
poteri impedisce che l’accertamento si estenda ad ambiti riservati alla
pubblica amministrazione (cfr. Cons. Sato, sez. VI, n. 3569 del 2012,
cit.).
Gli effetti derivanti dall’accertamento possono essere di
eliminazione, di ripristinazione e di conformazione.
La produzione
dell’effetto di eliminazione si indirizza al “tempo passato”, in quanto
l’atto ritenuto illegittimo viene eliminato dal sistema con effetti
retroattivi. E’ fatto, pertanto, divieto all’amministrazione di adottare
un atto amministrativo che presenti gli stessi vizi accertati alla luce
della normativa esistente al momento della sua adozione.
La produzione
dell’effetto di ripristinazione si indirizza al “tempo intermedio”, al
fine di adeguare lo stato di fatto e di diritto successivo all’atto
illegittimo a quello definito con la pronuncia giurisdizionale.
L’amministrazione deve adottare un atto amministrativo retroattivo idoneo
a consentire, “ora per allora”, il raggiungimento della finalità indicata
nella sentenza (si pensi all’esigenza di ricostruire, sul piano giuridico,
la carriera di un dipendente pubblico).
La produzione dell’effetto
conformativo si indirizza al “tempo futuro”, in quanto, valorizzando la
motivazione della sentenza, si individua il modo corretto di esercizio del
potere nella fase di riesercizio dello stesso a seguito dell’annullamento.
L’amministrazione deve, sussistendone le condizioni, adottare un atto non
retroattivo che definisca l’assetto di interessi della futura azione
amministrativa.
7.2.– In relazione al giudizio di compatibilità
procedimentale, strettamente connesso al primo, la nuova normativa e
la successiva attività amministrativa non devono porsi in contrasto con le
eventuali fasi del procedimento amministrativo che si sono già esaurite
nel vigore della precedente disciplina e che non sono state incise dalla
sentenza di annullamento.
Come è noto, il procedimento amministrativo
si compone delle fasi, autonome e collegate, dell’iniziativa,
dell’istruttoria, costitutiva e dell’efficacia.
Se nel momento in cui
deve svolgersi la fase intermedia dell’istruttoria o quelle successive
muta la disciplina, la stessa si applica purché non risulti incompatibile
con le fasi già esaurite nel vigore della previgente normativa.
La
stessa regola si applica nel caso in cui talune fasi procedimentali si
devono rinnovare dopo il giudicato di annullamento delle stesse: la
ripetizione deve assicurare la conservazione dei momenti procedimentali
sottratti all’effetto di eliminazione derivante dalla sentenza di
annullamento.
La ragione sottesa a tale regola risiede nell’esigenza di
assicurare il rispetto del principio di economicità e celerità dell’azione
amministrativa (art. 1 della legge n. 241 del 1990), che non
ammetterebbero la ripetizione di atti che si sono svolti in modo conforme
ai parametri legali.
8.– Nella fattispecie in esame occorre, pertanto,
stabilire se l’applicazione della nuova normativa, contenuta nell’art. 146
del d.lgs. n. 42 del 2004, e la successiva attività amministrativa ad essa
conforme possano ritenersi compatibili con le fasi del procedimento e del
processo che si sono concluse.
8.1.– In relazione al giudizio
dicompatibilità processuale, la sentenza di cognizione ha accertato,
nel rispetto degli ambiti riservati alle valutazioni tecniche
dell’amministrazione, la violazione dell’obbligo di motivazione degli atti
di autorizzazione paesaggistica. La verifica svolta per pervenire a questo
esito è consistita nel confrontare la condotta tenuta dall’amministrazione
comunale e la condotta prefigurata dalle norme così come interpretate
dalla giurisprudenza amministrativa. In questa indagine si è accertato che
sussisteva uno “scarto” tra motivazione legale e motivazione concreta con
possibile pregiudizio per la tutela del paesaggio e, pertanto, si è
disposto l’annullamento dei provvedimenti di autorizzazione.
L’accertamento processuale ha prodotto effetti di eliminazione e
conformativi.
L’effetto di eliminazione è conseguito alla
dichiarazione di illegittimità degli atti di autorizzazione per mancanza
di adeguata motivazione.
L’attività successiva dell’amministrazione non
deve, in applicazione della normativa vigente all’epoca dell’adozione
degli atti, incorrere nel vizio accertato con la sentenza di annullamento.
La nuova normativa, avendo modificato soltanto le regole di competenza e
procedimentali, non interferisce con l’osservanza dell’effetto di
eliminazione. L’incompatibilità processuale ci sarebbe stata nel caso in
cui lo ius supervienens nel corso del processo avesse stabilito
che, da quel momento in poi, gli atti di autorizzazione paesaggistica
avrebbero potuto essere adottati senza motivazione.
In definitiva,
l’effetto retroattivo di eliminazione dell’atto, derivante dalla sentenza
di annullamento, porta con sé, “indietro nel tempo”, soltanto la normativa
di cui è stata accertata, in sede giurisdizionale, la violazione.
L’effetto conformativo, risultante implicitamente dalla motivazione e
reso esplicito con la presente decisione, è consistito, in particolare,
nella individuazione dei soggetti competenti e del procedimento da seguire
nella fase di rinnovazione dell’attività amministrativa.
La sentenza
di cognizione ha richiamato, ratione temporis, il sistema
transitorio previsto dall’articolo 159 del d.lgs. n. 42 del 2014, in
quanto lo stesso era funzionale soltanto all’accertamento, ai fini della
produzione dell’effetto di eliminazione, della violazione dell’obbligo di
motivazione.
La stessa sentenza, chiarendo che l’efficacia temporale
della disposizione citata è cessata alla data del 31 dicembre 2009, ha
richiamato anche il sistema a regime.
L’effetto conformativo derivante
dalla sentenza non può, pertanto, che implicare lo svolgimento futuro
dell’azione amministrativa di rinnovazione nel rispetto delle nuove
disposizioni sul procedimento e sulla competenza. Non sarebbe, del resto,
neanche astrattamente possibile ritenere applicabili norme la cui vigenza
è oramai cessata.
L’attività successiva dell’amministrazione deve,
pertanto, rispettare la normativa sopravvenuta nel corso del giudizio non
tanto perché la stessa non è incompatibile con l’accertamento processuale
ma perché, nella specie, le nuove modalità di esercizio delle funzioni
amministrative costituiscono adempimento dell’obbligo conformativo
derivante dalla sentenza.
In definitiva, la proiezione futura di tale
effetto porta con sé la normativa vigente nel momento dell’adozione del
nuovo atto.
Né per pervenire ad una diversa conclusione può sostenersi,
come ha fatto la ricorrente, che la sentenza di cognizione abbia, invero,
prodotto esclusivamente effetti conformativi prescrivendo, mediante il
richiamo alla normativa applicabile ratione temporis, che la
rinnovazione procedimentale si sarebbe dovuta svolgere nel rispetto della
disciplina previgente. Ciò in quanto la produzione dei soli effetti
conformativi, a prescindere dai suoi possibili profili di criticità per
contrasto con la connotazione tipica dell’azione di annullamento,
presuppone una espressa statuizione giudiziale e, in ogni caso, per le
ragioni indicate, comporterebbe l’applicazione della normativa
sopravvenuta.
8.2.– In relazione al giudizio di compatibilità
procedimentale, l’annullamento degli atti di autorizzazione
paesaggistica per difetto di motivazione ha inciso esclusivamente sulla
fase costitutiva del procedimento amministrativo.
La fase
dell’iniziativa procedimentale e, soprattutto, la fase dell’istruttoria
sono state ritenute esenti dai vizi denunciati.
E’, pertanto,
necessario verificare se l’applicazione della nuova normativa e la
successiva attività amministrativa ad essa conforme possano travolgere
anche le precedenti fasi procedimentali ovvero gli altri procedimenti
connessi.
L’articolo 146, rispetto a quanto stabilito dall’articolo
159, come già rilevato, ha previsto che l’intervento della Soprintendenza
avvenga non mediante un atto di “controllo” successivo ma, in presenza di
aree vincolate per legge, attraverso l’adozione di un preventivo parere
vincolante. La previsione di tale parere implica che il legislatore ha
inteso attribuire all’amministrazione statale un potere sostanzialmente
decisorio che si inserisce, pertanto, non nella fase dell’istruttoria ma
in quella costitutiva.
L’applicazione della nuova normativa, nel
momento del riesercizio del potere, non determina, pertanto, la
caducazione degli atti procedimentali relativi a fasi già definite.
Le
conclusioni cui si è pervenuti non sono in contrasto, contrariamente a
quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente nel corso della discussione
orale nella camera di consiglio, con quanto affermato da questa Sezione
nella sentenza 20 dicembre 2012, n. 6585. Con la citata sentenza è stata
dichiarata l’illegittimità dell’atto della Soprintendenza perché, senza
indicare adeguate ragioni, aveva annullato un atto di autorizzazione
paesaggistica comunale. Si è puntualizzato che, nel riesercizio del
potere, la Soprintendenza avrebbe dovuto applicare la normativa all’epoca
vigente. Ciò in quanto, in quel caso, l’annullamento aveva avuto ad
oggetto la sola fase di competenza dell’amministrazione statale, con la
conseguenza che l’applicazione della nuova disciplina avrebbe inciso sulla
precedente fase del procedimento già esaurita.
La nuova normativa non
risulta neanche incompatibile con gli altri procedimenti amministrativi,
sopra descritti, connessi o collegati con quello paesaggistico. Il
procedimento paesaggistico, infatti, ha, per espressa previsione
legislativa, una sua autonomia. La riedizione della sola fase costitutiva
di esternazione di una motivazione conforme ai parametri legali non
confligge, pertanto, con lo svolgimento della complessiva attività posta
in essere dalle parti della presente vicenda amministrativa.
In
definitiva, la sentenza di cognizione, sia pure non espressamente, nel
richiamare la nuova disciplina del potere autorizzatorio ha ritenuto che
la stessa non presentasse profili di incompatibilità con le fasi del
procedimento definite e non ritenute illegittime.
10.– La parte del
ricorso principale con la quale sono state impugnate le note del Capo di
Gabinetto del Ministero per i beni e le attività culturali è
inammissibile, in ragione della valenza non provvedi mentale di dette note
che le rende non suscettibili di autonoma impugnazione.
11.– Quanto sin
qui esposto conduce ad affermare che la nuova disciplina sul procedimento
e sulla competenza supera positivamente il giudizio di compatibilità sia
procedimentale sia processuale.
12.– Alla luce dei chiarimenti resi,
occorre esaminare il ricorso incidentale proposto dal Ministero, con cui
si è chiesto che venga dichiarata la nullità dell’atto di autorizzazione
n. 10 del 2014, e l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale,
sollevata da Italia Nostra, sul presupposto dell’esistenza del predetto
atto.
Sul piano dell’ammissibilità del ricorso incidentale, contestata
dai ricorrenti principali nel corso della discussione in camera di
consiglio, deve rilevarsi che nel processo amministrativo è consentita, ai
sensi dell’art. 32 cod. proc. amm., il cumulo di azioni connesse. Nel caso
in esame il ricorrente principale ha proposto, come già rilevato,
un’azione di ottemperanza con finalità di accertamento del rapporto
processuale. L’amministrazione ha proposto un’azione di ottemperanza con
finalità di accertamento della nullità dell’atto adottato dal Comune per
asserita violazione del giudicato. La connessione tra le due domande è
resa palese dalla circostanza che il giudizio sulla nullità dell’atto
presuppone il previo accertamento del contenuto della sentenza di
cognizione.
Ciò comporta anche l’infondatezza dell’eccezione sollevata
da Italia Nostra, in quanto non sussistono preclusioni tra la proposizione
dell’azione di chiarimenti e l’eventuale esistenza di atti di esecuzione
del giudicato, quando, come nel caso in esame, l’accertamento del rapporto
impedisce che vengano posti in essere “ulteriori” atti invalidi.
Nel
merito il ricorso incidentale è fondato.
Il Comune, infatti, ha
riesercitato il potere, adottando un nuovo atto di autorizzazione, in
applicazione della normativa vigente al momento dell’adozione degli atti
di autorizzazione annullati.
L’effetto conformativo della sentenza
imponeva, invece, per le ragioni esposte, che si applicasse la nuova
normativa.
L’atto impugnato è, pertanto, nullo perché elusivo
dell’accertamento disposto con la sentenza n. 6223 del 2013.
12.– La
domanda di sospensione degli effetti dell’atto di autorizzazione è
assorbita dalla intervenuta dichiarazione di nullità dell’atto
stesso.
13.– In conclusione, va affermato che:
a) non sussistono
ostacoli normativi al riesercizio del potere pubblico mediante l’adozione
di nuovi atti di autorizzazione paesaggistica, in quanto il divieto di
sanatoria di opere realizzate in aree vincolate per legge non è
applicabile nel caso in cui nel momento della realizzazione dell’opera il
titolo abilitativo era stato rilasciato ed è stato solo successivamente
annullato;
b) nella fase di rinnovazione dei procedimenti devono
essere osservate le norme sul procedimento e sulla competenza vigenti al
momento dell’adozione dei nuovi atti (articolo 146 del d.lgs. n. 42 del
2004), con la conseguenza che, ferme restando le fasi procedimentali già
svolte, l’amministrazione comunale deve adottare gli atti di
autorizzazione paesaggistica previa acquisizione del parere vincolante
della Soprintendenza, che dovrà essere rilasciato, anche con eventuali
prescrizioni, nel rispetto dei termini procedimentali previsti dalla
legge;
c) l’atto di autorizzazione paesaggistica 10 febbraio 2014, n.
10, unitamente agli atti preparatori, adottato dal Comune di Salerno è
nullo perché elusivo del giudicato.
12.– La natura della controversia e
la novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione
tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione sesta, in sede
giurisdizionale, definitivamente pronunciando:
a) fornisce i
chiarimenti richiesti, dichiarando che la fase di rinnovazione degli atti
di autorizzazione paesaggistica è ammissibile e che la stessa deve
svolgersi nel rispetto delle norme sul procedimento e sulla competenza
contenute nell’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137);
b) dichiara inammissibile il
ricorso principale nella parte in cui ha impugnato le note del Capo di
Gabinetto del Ministro dei beni ed attività culturali, recanti protocollo
n. 2080 e n. 3683 del 2014;
c) accoglie il ricorso incidentale e, per
l’effetto, dichiara la nullità dell’atto di autorizzazione paesaggistica
10 febbraio 2014, n. 10, adottato dal Comune di Salerno;
d) dichiara
integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 11 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Stefano
Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De
Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato,
Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/03/2014