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n. 3-2014 - © copyright |
CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE IV -
Sentenza 19 marzo 2014 n. 1344
Pres. Numerico - Est. Sabatino
M. C. (Avv. C. Ventura) / Comune di Bari (Avv. A. Baldi) |
1. Espropriazione per p.u. – Occupazione illegittima –
Annullamento giurisdizionale – Risarcimento del danno – Stima – Consulenza
tecnica – Natura – Individuazione.
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2. Espropriazione per p.u. – Occupazione illegittima –
Annullamento giurisdizionale – Giudicato – Esecuzione – Ricorso per
ottemperanza - Poteri del giudice - Imposizione alla P.A. di procedere
all'acquisizione sanante – Esclusione.
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3. Giudicato – Esecuzione del giudicato – Ricorso per
ottemperanza – Poteri del giudice – Limiti – Individuazione.
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1. In tema di risarcimento del danno da occupazione
illegittima, le consulenze tecniche non sono lo strumento per ricercare il
vero valore di mercato (atteso che questo è determinabile unicamente solo
con l’effettiva messa in vendita del bene) ma servono unicamente a
simulare il possibile comportamento delle parti coinvolte, qualora se ne
presentassero le condizioni. È quindi un profilo ordinario, anzi
ontologico, dell’azione di stima che questa fondi le sue valutazioni su
situazioni non esattamente sovrapponibili a quella in esame, ma
paragonabili sotto profili diversi. Pertanto, gli elementi di criticità
evidenziati, ossia le diversità delle situazioni prese in considerazione,
non rappresentano un profilo patologico dell’azione dello stimatore, fino
a che non viene provato, evento qui non realizzatosi, che tra gli elementi
presi a sostegno e quelli da valutare non vi fossero profili di
somiglianza.
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2. Nel caso di esecuzione di una sentenza di annullamento
di una procedura espropriativa, il giudice amministrativo, sia in sede di
ottemperanza e a maggior ragione in sede di cognizione, non può imporre
all’amministrazione di agire tramite il ricorso al procedimento di
acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto,
da un lato, si assisterebbe alla singolare situazione per cui lo stesso
giudice, che in sede di cognizione ha ritenuto che il bene dovesse essere
restituito al legittimo proprietario, in sede di ottemperanza ordini
invece all’amministrazione di impossessarsi dello stesso bene, anzi
addirittura di sostituirla, mandando un suo ausiliario a mettere in atto
tale proposito e, dall’altro, è da considerare che l’unico obbligo
scaturente dalla sentenza che annulla una procedura espropriativa è quello
di restituzione del bene, mentre le altre opzioni sono rimesse alle scelte
dell’amministrazione, visto che si pongono su un piano diverso da quello
dell’esecuzione del giudicato.
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3. In sede di ottemperanza, se è vero, da un lato, che il
giudice amministrativo può sostituire l’amministrazione anche nelle scelte
che toccano il merito dell’azione, è anche vero, dall’altro, che il
giudizio di ottemperanza altro non è che il portato esecutivo del giudizio
di cognizione. Quindi, se è pacifico che il giudice dell’ottemperanza è
vincolato dal contenuto della sentenza da eseguire, è del pari evidente
che la sentenza di cognizione ottemperanda è a sua volta legata ai limiti
dati dalla domanda proposta dalla parte in sede di ricorso introduttivo.
Si tratta cioè di un rapporto di successiva delimitazione e progressiva
messa a fuoco, dal quale non si può prescindere se non dimenticando le
interconnessioni tra i vari momenti del processo.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1108 del
2011, proposto da: Marco Campanile, Michele Campanile, Anna Campanile,
Rosaria Campanile e Liliana Campanile, rappresentati e difesi dall’avv.
Costantino Ventura, ed elettivamente domiciliati, unitamente al difensore,
presso il dott. Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza n. 24, come da
mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Comune di Bari, in persona del sindaco legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra
Baldi, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso
l’avv. Roberto Ciociola in Roma, viale delle Milizie n. 2, come da mandato
a margine della comparsa di costituzione e risposta;
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sul ricorso numero di registro generale 7969 del
2013, proposto da: Marco Campanile, Michele Campanile, Anna Campanile,
Rosaria Campanile e Liliana Campanile, rappresentati e difesi dall’avv.
Costantino Ventura, ed elettivamente domiciliati, unitamente al difensore,
presso il dott. Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza n. 24, come da
mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Comune di Bari, in persona del sindaco legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra
Baldi, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso
l’avv. Roberto Ciociola in Roma, viale delle Milizie n. 2, come da mandato
a margine della comparsa di costituzione e risposta;
per la riforma
quanto al ricorso n. 1108 del
2011:
dell’ordinanza collegiale del T.A.R. della Puglia, sezione
seconda, n. 284 del 30 dicembre 2010, resa tra le parti e concernente
chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza dell'ordinanza
istruttoria n. 244 del 2010 in tema di risarcimento per occupazione
d'urgenza;
quanto al ricorso n. 7969 del 2013:
della sentenza del
T.A.R. della Puglia, sezione seconda, n. 1213 del 29 luglio 2013, resa tra
le parti e concernente l’ottemperanza alla sentenza n. 2908 del 2009 in
tema di risarcimento danni a seguito di occupazione
d'ugenza;
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Visti i ricorsi in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di
Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2014 il
Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Costantino Ventura
e Alessandra Baldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
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FATTO
Con ricorso iscritto al n. 1108 del 2011, Marco
Campanile, Michele Campanile, Anna Campanile, Rosaria Campanile e Liliana
Campanile propongono appello avverso l’ordinanza collegiale del T.A.R.
della Puglia, sezione seconda, n. 284 del 30 dicembre 2010, resa tra le
parti nell’ambito del processo iscritto al n.r.g. 903/2010 e concernente
chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza dell'ordinanza
istruttoria n. 244 del 2010 in tema di risarcimento per occupazione
d'urgenza.
Discussa in camera di consiglio alla data del 15 marzo 2011,
il detto appello è stato respinto con ordinanza cautelare n.
1234/2011.
Con ricorso iscritto al n. 5556 del 2013, gli stessi
soggetti propongono appello avverso la sentenza del T.A.R. della Puglia,
sezione seconda, 1213 del 29 luglio 2013, con cui il primo giudice si è
definitivamente espresso sulla questione sottoposta nel processo iscritto
al n.r.g. 903/2010 e nel cui corso si è inserita l’ordinanza gravata con
il sopracitato appello n. 1108/2011. Con la sentenza definitiva, il T.A.R.
ha accolto il ricorso proposto contro il Comune di Bari per l'ottemperanza
alla sentenza 25 novembre 2009 n. 2908, resa inter partes dal Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, terza Sezione, disponendo le
modalità di quantificazione del danno.
La vicenda, che coinvolge i
profili della cognizione e dell’ottemperanza, può così essere
riassunta.
Gli appellanti Campanile erano proprietari di un’area nel
centro urbano di Bari, compreso tra le vie Omodeo, Dorso, Salvemini e
strada di nuova viabilità, tipizzato dalla variante al P.R.G., approvata
con D.P.G.R. n. 1475 datato 8 luglio 1976, per la maggior parte a “verde
pubblico – verde di quartiere” e in parte minima a viabilità.
Con
decreto dirigenziale n. 54 del 7 ottobre 2002 veniva disposta
l’occupazione d’urgenza dell’area in parola per la dichiarata
realizzazione di un piazzale alberato.
Avverso tale decreto gli
interessati proponevano gravame con ricorso iscritto al n. 1753/2002,
lamentando che lo scopo effettivo della procedura avviata fosse la
realizzazione di una struttura funzionale all’ubicazione del mercato
settimanale, incompatibile con la destinazione a verde dell’area in
questione; e che in ogni caso tale destinazione dovesse ritenersi caducata
per effetto del decorso del termine di cui all’art. 2 della legge n.
1187/68.
Il T.A.R. della Puglia, sezione terza, con sentenza n. 1630
del 16 marzo 2004, confermata da questa Sezione con decisione 25 maggio
2005 n. 2718, rigettava il ricorso ritenendo tra l’altro che fosse ancora
efficace la destinazione a verde in quanto vincolo conformativo e che alla
destinazione stessa fosse conforme la realizzazione di un piazzale
alberato. Successivamente, non ancora pronunziata la definitiva
espropriazione, l’Amministrazione comunale disponeva il trasferimento del
mercato settimanale sull’area con determinazioni gravate dagli interessati
con il ricorso n. 234/2005, con cui chiedevano l’annullamento degli atti
impugnati e la conseguente restituzione dell’immobile; in subordine, il
risarcimento dei danni.
Emanato il decreto di esproprio (n. 364 del 24
aprile 2007), a firma del dirigente della ripartizione lavori pubblici, i
Campanile proponevano l’ulteriore ricorso n. 1287/2008, chiedendo altresì
il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima trasformazione
dell’area.
Con lo stesso ricorso lamentavano anche l’occupazione e la
trasformazione di una porzione di suolo pari a mq 1.426, costituita dalle
particelle nn. 1147, 1148, 1150 e 1151, rinvenenti dal frazionamento delle
particelle nn. 177 e 72, che sarebbero state oggetto di occupazione e non
invece del decreto di esproprio stesso, conseguentemente formulando
richiesta di restituzione dell’area in parte qua.
Con la sentenza 10
luglio 2009 n. 1421, il T.A.R. rigettava il ricorso n. 1287/2008 (con
riferimento sia alla domanda di annullamento sia alla conseguente
richiesta risarcitoria) e dichiarava in parte inammissibile per carenza di
interesse il ricorso n. 234/2005, non potendo i ricorrenti ottenere
dall’annullamento delle relative delibere alcun’utilità, stanti i giudizi
a loro sfavorevoli sugli atti presupposti.
Quanto invece alla richiesta
di restituzione della porzione di suolo che gli istanti ricorrenti
assumevano non ricompresa nel provvedimento finale di esproprio ma
effettivamente occupata e trasformata, il T.A.R. ordinava al Comune di
fornire chiarimenti in ordine all’effettiva trasformazione in strada delle
particelle nn. 1147, 1148, 1150 e 1151, non ricomprese nel decreto di
esproprio e rinvenenti dal frazionamento delle originarie particelle nn.
72 e 177.
All’esito dell’istruttoria, il primo giudice, con sentenza 25
novembre 2009 n. 2908, accertava, tramite la determinazione prot. n.
192950 del 30 luglio 2009, a firma del direttore della ripartizione
edilizia pubblica e lavori pubblici, che in effetti le predette particelle
erano state interamente interessate e trasformate dal progetto di
realizzazione del piazzale alberato e della viabilità di via Salvemini e
via Sorrentino. Il Comune rappresentava inoltre l’inopportunità della loro
restituzione, vista la l’utilizzazione per scopi d’interesse
pubblico.
Il T.A.R. quindi, facendo applicazione dall’art. 43, comma
terzo, del D.P.R. n. 327/2001 (nella formulazione allora vigente), nella
parte in cui prevedeva la condanna al risarcimento del danno, con
esclusione della restituzione del bene stesso senza limiti di tempo,
precisava, richiamando il sesto comma, “che il danno in tali casi debba
essere rapportato al “valore del bene utilizzato per scopi di pubblica
utilità”, maggiorato degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in
cui il bene stesso sia stato occupato sine titulo; e che, se in
particolare si tratta di “terreno edificabile”, il valore stesso debba
essere determinato sulla base delle disposizioni dell’art. 37, commi 3, 4,
5, 6 e 7”.
In particolare, la sentenza osservava:
“Orbene, se è vero
che tale ultima disposizione evoca il criterio dell’edificabilità di
fatto, giacché al comma 3 prescrive che la determinazione del valore
venale debba tener conto delle “possibilità legali ed effettive di
edificazione” esistenti al momento dell’emanazione del decreto di
esproprio o dell’accordo di cessione (al momento cioè in cui la proprietà
viene trasferita), è pur vero che, secondo il consolidato orientamento
della Cassazione, il criterio stesso soccorre solo in via suppletiva nei
casi di carenza di classificazione urbanistica, oppure in via
complementare ed integrativa ai fini della determinazione del concreto
valore di mercato delle aree che nello strumento urbanistico vigente siano
classificate come edificabili.
“In effetti, il T.U. lo ha richiamato
nella norma che si occupa della determinazione dell’indennità con
riferimento specifico a tali aree.
“Ne discende che, in presenza di uno
strumento urbanistico vigente ed efficace, è in primo luogo alla
destinazione ivi prevista che deve farsi riferimento nella determinazione
del valore di un’area, pur senza tener conto degli effetti del vincolo
preordinato all’esproprio.
“Questa è la regola generale, stabilita per
le aree comunque classificate nei piani urbanistici. In tal senso dispone
infatti espressamente l’art. 32 del T.U. espropri.
“4.-Delineati dunque
i principi generali non può dubitarsi, facendo applicazione degli stessi,
che nel caso di specie il risarcimento del danno debba essere commisurato
al valore venale dell’area tenuto conto della concreta destinazione
urbanistica impressa alla stessa dal piano regolatore: la destinazione a
servizi. Come anticipato in fatto, invero, tale destinazione è stata
ritenuta tuttora efficace e vigente con sentenza di questa Sezione
n.1630/04, confermata dal Consiglio di Stato e ormai passata in giudicato,
che vi ha individuato un vincolo conformativo non soggetto a
decadenza.
“Quanto poi al momento cui rapportare la valutazione, è
altrettanto indubitabile che debba farsi riferimento alla data di
pubblicazione della presente sentenza. Inoltre l’Amministrazione sarà
tenuta a corrispondere, in aggiunta al valore venale della porzione di
suolo in questione, gli interessi moratori (calcolati nella misura degli
interessi legali ex art.1224 c.c.) a decorrere dal giorno in cui il
terreno è stato occupato sine titulo, ai sensi dell’art. 43 più volte
richiamato, comma 6, lett. b); salva l’indennità di occupazione per il
periodo di occupazione legittima”.
Il Giudice affidava poi al
meccanismo di cui all’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31
marzo 1998 n. 80 - oggi corrispondente all’articolo 34, comma quarto, del
codice del processo amministrativo - la quantificazione del ristoro (con
condanna del Comune di Bari al pagamento delle somme risultanti nel
termine di novanta giorni), prevedendo che, in caso di mancato accordo, la
liquidazione sarebbe stata effettuata in via giudiziale, secondo quanto
stabilito dal medesimo art. 35.
Non avendo le parti raggiunto l’accordo
sul quantum, i Campanile producevano il ricorso n. 903/2010, per
l’ottemperanza alla sentenza n. 2908/2009 e dunque per la liquidazione
delle somme dovute a titolo di risarcimento.
Con ordinanza 21 ottobre
2010 n. 244, il T.A.R. nominava c.t.u. il dott. Giuseppe Garofalo, perché
determinasse l’ammontare dell’importo dovuto dall’Amministrazione ai
ricorrenti secondo le indicazioni contenute nella motivazione della
richiamata sentenza n. 2908/2009.
Con ordinanza 2 dicembre 2010 n. 284,
su richiesta dell’Ente di chiarimenti sulle modalità di esecuzione, ai
sensi dell’art. 112, ultimo comma, del codice del processo amministrativo,
il T.A.R. esplicitava che “quando si è statuito nella precedente sentenza
di questa Sezione n. 2908/2009 del 25.11.2009 che per la quantificazione
del danno dovesse farsi riferimento –testualmente- “..al valore venale
dell’area tenuto conto della concreta destinazione urbanistica impressa
alla stessa dal piano regolatore: la destinazione a servizi” si è inteso
far riferimento ai possibili servizi ivi allocabili secondo le previsioni
dello strumento urbanistico generale della cui vigenza non si poteva –ne
può- dubitarsi in virtù del giudicato formatosi sulla sentenza della terza
Sezione di questo Tar n.1630/04 confermata dal C.d.S. (attrezzature per
svago, come chioschi bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per
allenamento e spettacolo e simili, secondo un’elencazione evidentemente
non esaustiva); nonché si è inteso tener conto delle concrete possibilità
di utilizzazione e di edificazione dell’area stessa, secondo le previsioni
dello strumento urbanistico stesso.
Riformulava di conseguenza il
quesito al perito incaricato nei termini seguenti: “Accerti il C.T.U. il
valore venale dell’area tenendo conto delle concrete possibilità di
utilizzazione ed edificazione della stessa secondo le previsioni dello
strumento urbanistico vigente (art. 31 N.T.A.)”.
Questa Sezione
respingeva l’appello cautelare con ordinanza 15 marzo 2011 n. 1234, già
sopra ricordata, constatata la coerenza con l’impianto argomentativo della
sentenza ottemperanda.
Il Comune reiterava poi la stessa istanza,
dichiarata inammissibile con ordinanza 11 gennaio 2011 n. 98.
Al dott.
Garofalo veniva concessa una proroga dei termini fissati per
l’espletamento dell’incarico (ordinanza 16 febbraio 2011 n. 354) e veniva
liquidato il compenso (ordinanza 21 luglio 2011 n. 1222).
A seguito
della richiesta del professionista di un’integrazione delle competenze
liquidate, veniva emessa l’ordinanza 26 ottobre 2011 n. 1629 che rigettava
l’istanza, ritenendo il compenso, come calcolato dall’interessato,
esorbitante, perché a sua volta era reputata esorbitante la stessa stima
dei beni posta a base del computo. In particolare, l’atto reiettivo si
fondava sulle seguenti ragioni:
“Considerato che l’area oggetto di
valutazione, che si compone di numero tre particelle catastali, ha una
consistenza complessiva di appena 1.426 mq con indice planovolumetrico
pari a 0,05 mc/mq, con destinazione a servizi;
“Considerato che a
fronte dell’offerta del Comune a titolo di risarcimento della somma di €
57.000 circa oltre accessori di legge, e di una proposta transattiva per
l’importo di € 200.000,00 (importo ritenuta satisfattiva dai ricorrenti),
proposta non andata a buon fine, il predetto C.T.U. ha invece determinato
un valore venale del bene di € 4.800.000,00 ritenendo l’ipotesi di una
edificazione sotterranea, la quale porterebbe ad un presunto reddito annuo
di € 120.000,00.
“Rilevato che, ferma restando la discrezionalità
tecnica riservata al C.T.U. nell’espletamento dell’incarico di che
trattasi, emerge ictu oculi l’abnormità della stima del valore venale del
bene;
“Rilevato che detto importo di € 4.800.000,00 ha costituito la
base di calcolo utilizzata dal medesimo C.T.U. per la quantificazione del
cospicuo compenso professionale richiesto dal suddetto tecnico”.
Con
ordinanza 26 ottobre 2011 n. 1742 veniva disposta una verificazione
(sempre per la valutazione del fondo), nominando, a tal fine, il dirigente
dell’Agenzia del territorio di Bari, con facoltà di delega e fissando,
quale anticipo, sul compenso la somma € 1.000,00, a carico di entrambe le
parti in via solidale.
Con ordinanza 17 maggio 2012 n. 1094, il T.A.R.
ha disposto un approfondimento istruttorio, investendo il verificatore
della questione relativa alle opere e ai manufatti che sul suolo
espropriato si trovavano al momento dell’occupazione legittima, quali
risultano dalla nota integrativa al verbale di consistenza del 5 novembre
2002, redatto all’atto dell’immissione in possesso, laddove risultano
stimati per un valore complessivo di 75 milioni di lire.
Dopo il
deposito della relazione del verificatore sul punto, i ricorrenti
lamentavano sia il persistente mancato inserimento del valore di tali
opere nel calcolo dell’indennità di occupazione sia la mancata
considerazione nella stima del valore delle opere stesse (consistenti in
opere di recinzione) delle fondazioni e degli oneri di sicurezza; perciò,
con ordinanza 8 novembre 2012 n. 2110, la Sezione disponeva un ulteriore
approfondimento sulla questione, nel contraddittorio delle parti, al fine
eventualmente di rideterminare il valore delle opere, sia ai fini del
calcolo dell’indennità di esproprio sia di quella di
occupazione.
All’udienza del 25 luglio 2013, il ricorso veniva discusso
e deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le
doglianze delle parti, accogliendo la loro domanda risarcitoria sebbene in
maniera non completamente satisfattiva.
Contestando le statuizioni del
primo giudice nei limiti del mancato accoglimento della totalità delle
loro domante, le parti appellanti evidenziano l’erroneità della
ricostruzione in fatto e in diritto operata dal T.A.R. e ripropongono le
proprie argomentazioni.
In entrambi i giudizi si è costituito il Comune
di Bari, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata,
rigettare il ricorso e dispiegando appello incidentale teso
all’accoglimento delle domande rigettate o assorbite in prime
cure.
Alla camera di consiglio del 14 gennaio 2014, i due ricorsi sono
stati congiuntamente discussi e assunti in decisione.
DIRITTO
1. - In via preliminare e a norma dell’art. 70
del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei
diversi appelli, in quanto connessi perché proposti in relazione allo
stesso giudizio di primo grado.
2. - Ancora in via preliminare, va
dichiarata l’improcedibilità del ricorso n. 1108/2011. Questo è stato,
infatti, proposto contro l’ordinanza collegiale del T.A.R. della Puglia,
sezione seconda, n. 284 del 30 dicembre 2010. Si trattava quindi di una
vicenda incidentale, già decisa dalla Sezione con ordinanza n. 1234 del 15
marzo 2011 e pertanto erroneamente portato in discussione in udienza. Per
altro verso, tutte le questioni di eventuale rilevanza contenute
nell’appello sono state assorbite dalla pubblicazione della sentenza n.
1213 del 29 luglio 2013, con cui si è chiuso il giudizio e che ha quindi
reso improcedibile il primo giudizio.
3. - Ancora in via preliminare,
deve valutarsi l’eccezione proposta dal Comune di Bari il quale,
evidenziando di aver proposto una somma a titolo di ristoro, come
richiesto nella sentenza ottemperanda, ritiene inammissibile il ricorso.
Si tratta di doglianza che, per i suoi contenuti, mira a paralizzare
l’azione stessa proposta in prime cure, ed ha quindi valore pregiudiziale
intrinseco.
3.1. - La censura non può essere accolta.
Come si vedrà
nel prosieguo, il primo giudice ha valutato il risarcimento non congruo,
tanto da procedere alla rideterminazione del dovuto. Pertanto, nel caso in
esame, non è il T.A.R. ma il Comune di Bari a leggere la norma di cui al
previgente art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998 in maniera formale, come se
questo imponesse una mera attività procedimentale. Al contrario, e quindi
correttamente, il primo giudice ha evidenziato come la finalità della
norma fosse quella di pervenire ad un corretto risarcimento del danno, e
non quella unicamente di sollecitare un’attività procedimentale
dell’amministrazione.
Peraltro, il T.A.R. ha espressamente rilevato
l’effettivo inadempimento, considerando che, a prescindere dal quantum
effettivamente calcolato, il Comune non aveva comunque ristorato i
proprietari dopo aver occupato senza titolo il loro terreno.
La censura
va quindi respinta, dovendosi quindi procedere alla disamina delle ragioni
dell’appello principale.
4. - Nel merito, l’appello iscritto al n. 7969
del 2013 non è fondato e va respinto per i motivi di seguito
precisati.
5. - Con il primo motivo di diritto, articolato sotto
quattro profili, viene lamentata l’inadeguata determinazione del
risarcimento spettante anche alla luce della sentenza ottemperanda n. 2908
del 2009. Nel dettaglio, la valutazione operata dal primo giudice è
censurata sotto i seguenti profili: a) incoerenza con la sentenza
ottemperanda che aveva imposto di accertare il valore venale dell’area
tenendo conto delle concrete possibilità di utilizzazione e edificazione
della stessa, laddove la sentenza gravata ha eliso la valutazione delle
destinazioni impresse; b) l’erroneità della valutazione di correttezza
delle operazioni di stima svolte, laddove il verificatore si era avvalso
dei valori deducibili da sei atti di compravendita che non sono stati
allegati alla documentazione; c) l’errata considerazione sulla correttezza
del metodo sintetico – comparativo, non applicabile alla fattispecie in
esame; d) inadeguata valutazione dei manufatti, per mancata considerazione
delle fondazioni del muretto di recinzione.
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5.1. - Le censure, attinenti tutte i profili e il
metodo di stima usato, possono essere congiuntamente considerate e
respinte, in quanto infondate.
Riguardo alle potestà edificatorie non
considerate, occorre evidenziare come il primo giudice si sia
correttamente correlato alle indicazioni contenute nella sentenza
ottemperanda, laddove le censure proposte dalle parti appellanti mirano ad
introdurre ulteriori elementi, quali quelli attinenti al ristoro di una
possibile gestione economica privata dell’area (pag. 7 dell’atto di
appello) non inclusi nell’ambito del giudicato della sentenza da
eseguire.
In merito alla base di giudizio su cui si è fondata la
verificazione, occorre sottolineare come le consulenze tecniche non sono
lo strumento per ricercare il vero valore di mercato (atteso che questo è
determinabile unicamente solo con l’effettiva messa in vendita del bene)
ma servono unicamente a simulare il possibile comportamento delle parti
coinvolti, qualora se ne presentassero le condizioni. È quindi un profilo
ordinario, anzi ontologico, dell’azione di stima che questa fondi le sue
valutazioni su situazioni non esattamente sovrapponibili a quella in
esame, ma paragonabili sotto profili diversi. Pertanto, gli elementi di
criticità evidenziati, ossia le diversità delle situazioni prese in
considerazione, non rappresentano un profilo patologico dell’azione dello
stimatore, fino a che non viene provato, evento qui non realizzatosi, che
tra gli elementi presi a sostegno e quelli da valutare non vi fossero
profili di somiglianza.
In relazione al metodo utilizzato, va
evidenziato come la richiesta delle parti che, tramite l’auspicato ricorso
al metodo analitico – ricostruttivo, tendono a far valutare le stesse
utilità già oggetto del primo motivo di doglianza, si scontra, da un lato,
con i limiti sopra indicati di rispetto delle statuizioni della sentenza
passata in giudicato e, dall’altro, dalla correttezza del criterio
sintetico - comparativo utilizzato, giustificato non solo dalla
considerazione giurisprudenziale (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 luglio
2011, n. 4311) ma anche dalle difficoltà oggettive, evidenziate in sede di
confutazione del primo profilo, date dalla difficoltà di calcolare un
valore venale per una zona di uso collettivo.
Infine, in merito alla
determinazione del valore del muretto di recinzione, il primo giudice lo
ha considerato nel complesso, e quindi comprendendone anche le fondazioni,
quando ha affermato che “deve tenersi conto del valore della recinzione
(accedendo al suolo e risultando espressamente dai verbali d’immissione in
possesso), che l’ing. Percoco Morea ha determinato in euro 26.000,00,
sulla base dei detti verbali e delle relative fotografie, non essendo
l’opera di protezione più esistente”. La valutazione operata appare
corretta, essendo stata peraltro oggetto di tre diversi approfondimenti
istruttori, mentre le censure opposte sono basate su considerazioni del
tutto carenti di riscontro.
Conclusivamente, il motivo appare del tutto
infondato e va respinto.
6. - Con il secondo motivo di diritto, le
parti appellanti lamentano la mancata applicazione dell’art. 42 bis del
d.P.R. n. 327 del 2001 e, in particolare, ha ritenuto non risarcibile il
danno non patrimoniale.
6.1. - La censura non può essere
condivisa.
Va innanzi tutto evidenziato come la Sezione non ritenga che
il giudice, sia in sede di ottemperanza e a maggior ragione in sede di
cognizione, possa imporre all’amministrazione di agire tramite il ricorso
al procedimento di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
A
tal fine va osservato come si sia oramai consolidato l’insegnamento per
cui l’ente pubblico possa procedere al recupero della legittimità violata
secondo una serie di scansioni derivanti dall’ordinamento (e riassunte
nella sentenza n. 4969 del 2 settembre 2011 di questa Sezione dove si
legge: “l'amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo
uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite
l'acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e
quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del
procedimento espropriativo con le sue garanzie. L'illecita occupazione, e
quindi il fatto lesivo, permangono quindi fino al momento della
realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all'acquisto
della proprietà, indifferentemente dal fatto che questo evento avvenga
consensualmente o autoritativamente. A questi due strumenti va altresì
aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato,
già previsto dall'art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 "Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità" ed ora, successivamente alla sentenza
della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all'art. 42 bis
dello stesso testo, come introdotto dall'articolo 34, comma 1, del D.L. 6
luglio 2011 n. 98 "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria", convertito in legge 15 luglio 2011 n. 111”).
La Sezione
non ignora come sia rinvenibile in giurisprudenza un orientamento che
addirittura impone all’amministrazione, o al commissario ad acta che
agisce in via sostitutiva, di attivarsi in tal senso (Consiglio di Stato,
sez. VI, 1 dicembre 2011, n. 6351), ma intende evidenziare le ragioni che
fanno apparire impraticabile tale soluzione, sulla scorta di una
ricostruzione istituzionale dei poteri del giudice in merito.
Infatti,
se è vero che, in sede di ottemperanza, il giudice amministrativo può
sostituire l’amministrazione anche nelle scelte che toccano il merito
dell’azione, è anche vero che il giudizio di ottemperanza altro non è che
il portato esecutivo del giudizio di cognizione. Quindi, se è pacifico che
il giudice dell’ottemperanza è vincolato dal contenuto della sentenza da
eseguire, è del pari evidente che la sentenza di cognizione ottemperanda è
a sua volta legata ai limiti dati dalla domanda proposta dalla parte in
sede di ricorso introduttivo. Si tratta cioè di un rapporto di successiva
delimitazione e progressiva messa a fuoco, dal quale non si può
prescindere se non dimenticando le interconnessioni tra i vari momenti del
processo.
Trasponendo tali lineari considerazioni nel caso concreto
dell’esecuzione di sentenza di annullamento di una procedura
espropriativa, si è di fronte ad una vicenda così riassumibile: la domanda
posta è una domanda demolitoria degli atti espropriativi; l’accoglimento
della domanda, cui consegue l’annullamento della procedura e il
contestuale riconoscimento della mancata acquisizione alla mano pubblica
della proprietà, comporta l’obbligo della restituzione del bene
illegittimamente sottratto; stante l’inerzia dell’amministrazione, il
giudice dell’ottemperanza deve muoversi con i poteri di merito e
nell’ambito dei limiti della domanda proposta e accolta.
Appare quindi
arduo immaginare che, di fronte alla domanda introdotta in giudizio e ivi
considerata fondata, ossia alla domanda di declaratoria d’illegittimità
della procedura espropriativa, il giudice dell’ottemperanza, chiamato dal
ricorrente insoddisfatto a conseguire quanto ha diritto, decida nel senso
di ordinare all’amministrazione di provvedere ex art. 42 bis. Si
assisterebbe alla singolare situazione per cui lo stesso giudice, che in
sede di cognizione ha ritenuto che il bene dovesse essere restituito al
legittimo proprietario, in sede di ottemperanza ordinerà invece
all’amministrazione di impossessarsi dello stesso bene, anzi addirittura
la sostituirà, mandando un suo ausiliario a mettere in atto tale
proposito.
Un tale singolare esito, della cui coerenza con l’art. 24
della Costituzione è lecito dubitare, può essere invece superato se si
tiene presente che l’unico obbligo scaturente dalla sentenza è quello di
restituzione del bene, mentre le altre opzioni (come esaurientemente
indicate nella citata sentenza n. 4969 del 2 settembre 2011) sono rimesse
alle scelte dell’amministrazione, visto che si pongono su un piano diverso
da quello dell’esecuzione del giudicato.
La Sezione non ignora che, a
seguito delle modifiche intervenute in tema di quantificazione delle
indennità e dei risarcimenti spettanti a seguito di procedure
espropriative illegittime, gli interessi economici delle parti possano
seguire percorsi diversi da quelli immaginati originariamente dal
legislatore, tanto da far ritenere vantaggioso per gli espropriati il
ricorso alla procedura di cui all’art. 42 bis, ma proprio la maggiore
incidenza economica di tale provvedimento impone che sia lasciata
all’amministrazione la ponderazione comparativa delle alternative
disponibili.
Conclusivamente, correttamente il primo giudice ha
ritenuto non applicabile l’art. 42 bis e, in relazione alle singole voci
di danno, non ha considerato il danno non patrimoniale, considerandolo
voce esterna al contenuto del giudicato già in sé risarcitorio. Si noti
peraltro che le parti appellanti, fondando integralmente la propria
pretesa sulla quantificazione forfetaria di cui all’inapplicabile art. 42
bis del d.P.R. n. 380 del 2001, non ha comunque allegato alcun elemento a
sostegno della sua pretesa.
Conclusivamente, anche il secondo motivo di
diritto deve essere respinto.
7. - Gli appelli riuniti non possono
quindi essere accolti, in quanto il primo, iscritto al n. 1108 del 2011,
va dichiarato improcedibile e il secondo, iscritto al n. 7969 del 2013, va
respinto, unitamente all’appello incidentale proposto nella stessa sede
dal Comune di Bari. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente
esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della
decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo
diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le
parti le spese processuali, determinati dalla particolarità della
questione decisa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in
epigrafe, così provvede:
1. Dispone la riunione dei ricorsi n. 1108 del
2011 e n. 7969 del 2013;
2. Dichiara improcedibile il ricorso n. 7969
del 2013 per sopravvenuta carenza di interesse;
3. Respinge l’appello
n. 1108 del 2011;
4. Compensa integralmente tra le parti le spese del
presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia
eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella
camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2014, dal Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei
signori:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo,
Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza,
Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/03/2014
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