REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f.
-
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente di Sez. -
Dott. RORDORF Renato
- rel. Presidente di Sez. -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere
-
Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo -
Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott.
TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere
-
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7261-2013 proposto da:
ACEA
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BOLZANO 3 32, presso lo studio dell'avvocato
PERRETTINI ENZO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
TASSAN MAZZOCCO DANILO, REGGIO D'ACI ANDREA, per delega in calce al
ricorso;
- ricorrente -
contro
AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in
persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
e
contro
SUEZ ENVIRONNEMENT S.A., FEDERUTILITY;
- intimati -
sul
ricorso 7267-2013 proposto da:
SUEZ ENVIRONNEMENT S.A.S., in persona
del legale rappresentante pro-
tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato MANZI
LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati TASSAN
MAZZOCCO DANILO, SCIUME' ALBERTO, CLARIZIA ANGELO, per delega in calce al
ricorso;
- ricorrente -
contro
AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in
persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
e
contro
ACEA S.P.A., FEDERUTILITY;
- intimati -
avverso la
sentenza n. 5067/2012 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il
24/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/01/2014 dal Presidente Dott. RENATO RORDORF;
uditi gli
avvocati Andrea REGGIO D'ACI, Danilo TASSAN MAZZOCCO, Massimo SANTORO
dell'Avvocatura Generale dello Stato, Luigi MANZI, Alberto SCIUME', Angelo
CLARIZIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i
ricorsi.
Esposizione del fatto
La società italiana Acea
s.p.a. (in prosieguo Acea) e la società francese Suez Environnement s.a.
(n prosieguo Suez) con separati ricorsi impugnarono dinanzi al Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio un provvedimento con il quale
l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo Autorità
Garante), in data 22 novembre 2007, aveva accertato la stipulazione da
parte di dette società di un'intesa restrittiva della concorrenza ed,
oltre a prescrivere comportamenti idonei ad eliminare gli effetti di tale
intesa, le aveva condannate al pagamento di una sanzione pecuniaria
ammontante, rispettivamente, ad Euro 8.300.000,00 ed Euro 3.000.000,00.
L'intesa così sanzionata aveva preso corpo, secondo l'Autorità Garante, in
occasione della comune partecipazione di Acea e Suez ad una gara indetta
dal Comune di Firenze per assegnare il 40% delle quote di una società
mista pubblico-privata destinata alla gestione del servizio idrico
integrato di un ambito territoriale della Toscana, ed era stata poi
rinforzata con la stipulazione di appositi patti parasociali.
Il Tribunale amministrativo accolse i ricorsi ed
annullò il provvedimento impugnato.
L'Autorità Garante propose però
appello ed il Consiglio di Stato, con sentenza resa pubblica il 24
settembre 2012, riformò la decisione di primo grado e respinse le domande
di annullamento del summenzionato provvedimento sanzionatorio, rigettando
nel contempo anche un appello incidentale proposto da Acea.
Il
Consiglio di Stato, per quel che in questa sede interessa, ritenne che
fosse corretto l'iter logico attraverso il quale l'Autorità Garante,
nell'adottare il contestato provvedimento, aveva ricostruito gli estremi
merceologici e geografici del mercato rilevante ai fini dell'accertamento
degli effetti anticoncorrenziali dell'intesa; e precisò, a questo
proposito, che il sindacato del giudice amministrativo non si estende al
merito (salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio) ma è limitato
alla verifica dell'assenza, nel provvedimento impugnato, di travisamenti
di fatto, di vizi logici o di errori giuridici. Il medesimo Consiglio di
Stato reputò inoltre che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo
giudice, fossero consistenti gli effetti prodotti sul mercato dall'intesa
anticoncorrenziale di cui si discute, in quanto: le società tra le quali
l'intesa era intercorsa sono tra la maggiori operanti nel settore; la
ripartizione dei mercati o delle clientele integrano gli estremi
dell'intesa vietata anche qualora la quota di mercato interessata si
collochi al di sotto della soglia minima che la Commissione Europea
considera altrimenti rilevante; nel caso in esame, la quota di mercato
contendibile da prendere in considerazione per soppesare gli effetti
dell'intesa anticoncorrenziale non era comunque quella formata
dall'insieme dei servizi idrici integrati, ma solo quella circoscritta
alle poche situazioni nelle quali l'amministrazione ha optato per
l'affidamento esterno del servizio a società private o a società a
partecipazione mista pubblico- privata.
Avverso tale sentenza hanno
proposto separati ricorsi per cassazione, di analogo contenuto, Acea e
Suez, formulando ciascuna tre motivi di censura, illustrati poi anche con
memorie.
L'Autorità Garante ha resistito con altrettanti
controricorsi.
Ragioni della decisione
1. I ricorsi proposti contro la medesima sentenza
debbono esser preliminarmente riuniti, secondo quanto prescrivel'art.
335 c.p.c..
2. Come già accennato, le doglianze espresse nei due
ricorsi sono di analogo contenuto: li si potrà quindi esaminare
congiuntamente.
2.1. Il primo motivo di censura fa riferimento alla L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 1, che, nella versione vigente
all'epoca dei fatti di causa, faceva ricadere nell'ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo i ricorsi avverso i
provvedimenti dell'Autorità Garante (analoga previsione è contenuta ora
nell'art. 133, comma 1, lett. l, del c.p.a.). Secondo le ricorrenti, vuoi
per le caratteristiche stesse della giurisdizione esclusiva, vuoi per il
principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, la
citata disposizione implica che il sindacato del giudice amministrativo
non debba limitarsi - come erroneamente si legge nell'impugnata sentenza -
ai profili di logicità estrinseca e di correttezza giuridica della
motivazione con cui l'Autorità Garante individua gli estremi di un mercato
rilevante ai fini di accertare e sanzionare intese restrittive della
concorrenza. Quel sindacato, al contrario, deve spingersi alla verifica
dei fatti posti a base del contestato accertamento, come nel caso di
specie era stato richiesto dalle odierne ricorrenti e come il giudice di
primo grado non aveva mancato di fare. L'autolimitazione che il Consiglio
di Stato ha imposto alla propria latitudine di giudizio integrerebbe,
pertanto, un vero e proprio diniego di giurisdizione e violerebbe, di
conseguenza, i limiti esterni della giurisdizione assegnata a quel
giudice: donde la possibilità di denunciare tale diniego in cassazione, a
norma del primo comma dell'art. 362 c.p.c..
Ove, invece,
l'interpretazione che il Consiglio di Stato ha dato alla citata
disposizione della L. n. 287 del 1990, art.33 fosse reputata
condivisibile, le ricorrenti chiedono che la legittimità costituzionale di
tale disposizione si sottoposta al vaglio del giudice delle leggi.
2.2.
Un ulteriore superamento dei limiti esterni della giurisdizione è
addebitato al Consiglio di Stato nel secondo motivo di ricorso, in cui si
lamenta che detto giudice amministrativo, nell'affermare la consistenza ai
fini concorrenziali dell'intesa intercorsa tra le società interessate alla
gestione del servizio idrico integrato nell'ambito territoriale di cui si
tratta, abbia svolto apprezzamenti autonomi e diversi da quelli posti a
base dell'impugnato provvedimento sanzionatorio dell'Autorità Garante,
così finendo per invadere il campo riservato all'amministrazione.
2.3.
Da ultimo le ricorrenti - sempre sul presupposto che si verta in
un'ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione - si
dolgono del fatto che il Consiglio di Stato abbia completamente omesso di
pronunciarsi sulla loro richiesta di sottoporre alla Corte di Giustizia
Europea due quesiti interpretativi, rispettivamente in tema di definizione
del mercato rilevante di carattere nazionale e di utilizzo da parte degli
operatori dello strumento dell'associazione temporanea d'imprese nelle
gare comunitarie.
Quesiti che, eventualmente, le medesime ricorrenti
chiedono ora anche a questa corte di sollevare.
3. L'Autorità
controricorrente ha eccepito l'inammissibilità di entrambi i ricorsi nella
loro interezza, perchè nessuna delle censure in essi espresse
riguarderebbe il superamento dei limiti esterni della giurisdizione
spettante al giudice amministrativo. I ricorsi, quindi, si porrebbero al
di fuori dell'ambito entro il quale è consentito impugnare per cassazione
le sentenze emesse da quel giudice.
Posta in questi termini,
l'eccezione d'inammissibilità non coglie però nel segno, dovendosi
escludere, almeno per quel che riguarda il primo motivo di ricorso, che la
doglianza esuli dall'area delle questioni in materia di giurisdizione
sottoponibili all'esame delle sezioni unite di questa corte; le quali
hanno già in più occasioni ribadito che, ai fini dell'individuazione dei
limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che segnano il confine
entro il quale è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze del
Consiglio di Stato, si deve tenere conto anche del canone dell'effettività
della tutela giurisdizionale: onde rientra nello schema logico del
sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l'operazione che consiste
nell'interpretare la norma attributiva di tutela per verificare se il
giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 8, la
abbia concretamente erogata e nel vincolarlo ad esercitare la
giurisdizione rispettandone il contenuto essenziale (cfr., tra le altre,
Sez. un. n. 19048 del 2010 e n. 30254 del 2008).
Alla stregua di tale
principio, dal quale non si ha motivo per discostarsi, è innegabile che
l'assunto delle ricorrenti secondo cui il Consiglio di Stato, nel caso in
esame, avrebbe omesso di esercitare con pienezza il controllo
giurisdizionale che gli compete sugli atti dell'Autorità Garante,
limitando tale controllo ai profili giuridici, formali e motivazionali
dell'atto senza procedere anche alla dovuta verifica della sussistenza dei
presupposti di fatto che ne sono alla base, non si traduce nella denuncia
di un mero error in iudicando o in procedendo nel quale il giudice
amministrativo sarebbe incorso. Quel che viene denunciata è sì un'errata
interpretazione di legge (l'art. 33, comma 1, della citata L. n.
287), ma ciò che le ricorrenti sostengono è che tale errore ha
condotto ad un indebito rifiuto di erogare la dovuta tutela
giurisdizionale: non per un vizio del giudizio concernente il singolo e
specifico caso, ma in via generale, a cagione di una male intesa
autolimitazione dei poteri del giudice in questa materia. Ed è allora
chiaro che - fondata o meno che sia tale doglianza nel merito - essa
attiene proprio alla corretta individuazione dei limiti esterni della
giurisdizione, che, come detto, non sono soltanto quelli che separano i
diversi plessi giurisdizionali ma anche quelli che stabiliscono fin dove
ciascun giudice è tenuto ad esercitare il potere-dovere di ius
dicere.
4. Occorre dunque procedere all'esame dei singoli motivi di
ricorso, cominciando ovviamente dal primo, che, come già rilevato, pone la
questione dei limiti entro i quali può e deve esercitarsi il controllo
giurisdizionale sui provvedimenti dell'Autorità Garante, impugnati a norma
della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 1 (ora dell'art. 133,
comma 1, lett. l, del c.p.a.).
4.1. La questione non è nuova.
E'
stato già ripetutamente affermato, anche da queste sezioni unite, che i
provvedimenti dell'Autorità Garante sono sindacabili dal giudice
amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non
è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di
tipo "forte" sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe
nell'esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo
spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella
dell'amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni
tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di
ragionevolezza, logicità e coerenza (Sez. un n. 8882 del 2005 e n. 7063
del 2008).
A questo insegnamento va data continuità, ma qualche
ulteriore precisazione può essere opportuna, anche in ragione di una certa
quale ambiguità insita nella suaccennata distinzione tra controllo di
legittimità "debole" e "forte": una distinzione che, in via di principio,
si potrebbe esser tentati di rifiutare ove si abbia a che fare con la
tutela di diritto soggettivi, la quale, alla luce degli artt. 24 e 101
Cost., mal si presta ad una simile graduazione d'intensità.
Occorre
ben chiarire, allora, che la non estensione al merito del sindacato
giurisdizionale sugli atti dell'Autorità Garante implica, certo, che il
giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello adottato
da detta Autorità, ma non che il sindacato sia limitato ai profili
giuridico-formali dell'atto amministrativo, restandone esclusa ogni
eventuale verifica dei presupposti di fatto. La pienezza della tutela
giurisdizionale necessariamente comporta che anche le eventuali
contestazioni in punto di fatto debbano esser risolte dal giudice, quando
da tali contestazioni dipenda la legittimità del provvedimento
amministrativo che ha inciso su posizioni di diritto soggettivo.
Nè
osta a tale conclusione il divieto per il giudice di sindacare l'esercizio
della discrezionalità amministrativa: perchè di questa è dato parlare solo
quando si tratta di attività dell'amministrazione che comportino margini
di scelta nell'apprezzamento dell'interesse pubblico, cui quell'attività
deve tendere, e del modo in cui esso è destinato a contemperarsi con
eventuali interessi contrastanti. In situazioni come quella in esame,
viceversa, all'Autorità Garante è affidato un compito di accertamento e di
applicazione della legge: un compito che ha connotati di neutralità e di
oggettività ed in cui la discrezionalità amministrativa, come sopra
intesa, di regola non gioca alcun ruolo.
Può accadere, invece, che
giochi un ruolo importante la c.d.
discrezionalità tecnica (da
intendersi nei termini che appresso si diranno), giacchè la legge che
l'Autorità Garante è chiamata ad applicare fa talvolta riferimento a
nozioni - quale, ad esempio, quella di mercato rilevante - che non trovano
nella legge stessa una definizione in tutto e per tutto puntuale: di modo
che la loro individuazione in concreto richiede un tipo di valutazione di
carattere tecnico, che, tanto nei suoi presupposti generali quanto nella
sua specifica applicazione ai singoli casi, può talora presentare margini
di opinabilità.
E' su questo punto che occorre allora interrogarsi: se
le valutazioni tecniche operate dall'Autorità Garante, al fine di
conferire concreto significato e di dare attuazione al precetto legale,
possano e debbano esser sindacate da parte del giudice amministrativo, in
presenza di un'impugnazione sollevata dalla parte interessata, pur quando
presentino un inevitabile margine di opinabilità.
In via di principio
risulta difficile dare a tale domanda una risposta totalmente negativa.
L'esercizio della discrezionalità tecnica, non essendo espressione di un
potere di supremazia della pubblica amministrazione, non è di per sè solo
idoneo a determinare l'affievolimento dei diritti soggettivi di coloro che
dal provvedimento amministrativo siano eventualmente pregiudicati. Non può
perciò sostenersi che chi lamenti la lesione del proprio diritto, a causa
del cattivo esercizio della discrezionalità tecnica, non possa chiederne
l'accertamento al giudice, il quale non potrà quindi esimersi dal
verificare se le regole della buona tecnica sono state o meno violate
dall'amministrazione. Ne fornice evidente conferma il fatto stesso che il
giudice amministrativo disponga oggi di ampi mezzi istruttori, ivi
compreso lo strumento della consulenza tecnica.
Anche in settori
diversi da quello che viene ora in esame questa corte, d'altronde, ha già
avuto modo di precisare che le valutazioni tecniche, inserite in un
procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione
dei criteri predisposti preventivamente, sono assoggettabili al sindacato
giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò comporti
un'invasione della sfera del merito amministrativo (Sez. un. n. 10065 del
2011 e n. 14893 del 2010).
Ma questo non esaurisce certo il problema.
Sarebbe davvero ingenuo supporre che il ricorso a criteri di valutazione
tecnica, in qualsiasi campo, offra sempre risposte univoche. E' vero
invece - e lo si è già accennato - che sovente esso conduce ad un
ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi
in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità. In
situazioni di tal fatta il sindacato del giudice, essendo pur sempre un
sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul
limite oltre il quale la stessa opinabilità dell'apprezzamento operato
dall'amministrazione impedisce d'individuare un parametro giuridico che
consenta di definire quell'apprezzamento illegittimo. Con l'ovvio
corollario che compete comunque al giudice di vagliare la correttezza dei
criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e
l'adeguatezza della motivazione con cui l'amministrazione ha supportato le
proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti neppure
compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di opinabilità
dell'apprezzamento da essa compiuto.
Se quanto appena detto è vero, in
via generale, ancor più lo è nel caso particolare del sindacato sui
provvedimenti delle cosiddette autorità amministrative indipendenti, tra
le quali va annoverata l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
trattandosi di autorità cui proprio in ragione della loro specifica
competenza tecnica, oltre che del carattere oggettivo e neutrale delle
loro funzioni, sono stati affidati dal legislatore compiti di vigilanza ed
accertamento nei settori di rispettiva competenza (compiti da esplicare
attraverso procedimenti amministrativi connotati da particolari garanzie
per i controinteressati).
E' fuori discussione che anche gli atti di
tali autorità siano soggetti al sindacato giurisdizionale, ed è agevole
comprendere la ragione per la quale, nel caso degli atti dell'Autorità
Garante, il legislatore abbia fatto ricorso alla giurisdizione esclusiva,
così da unificare la tutela dei diritti e degli interessi legittimi che
non sempre sarebbe stato altrimenti agevole distinguere. Ma ipotizzare
che, con riguardo a valutazioni tecniche aventi un significativo margine
di opinabilità - valutazioni proprio per operare le quali il legislatore
ha stimato necessario dar vita ad un organismo al tempo stesso
indipendente e dotato di specifiche competenze professionali -, il
sindacato giurisdizionale possa spingersi sino a preferire una soluzione
diversa da quella plausibilmente prescelta dall'Autorità Garante
significherebbe misconoscere la ragione stessa per la quale questa è stata
istituita.
Nè è senza significato che anche nel corrispondente scenario
Europeo, mentre per un verso viene ribadito che compete al Tribunale
dell'Unione Europea l'esame delle circostanze fattuali rilevanti (cfr.
Corte di giustizia 3 maggio 2012, n.285/11, Legris Industries), per altro
verso si afferma che appartiene alle prerogative della Commissione di
svolgere le valutazioni economiche necessarie per garantire la concorrenza
nel mercato interno: di modo che, in presenza di simili complesse
valutazioni, il controllo che i giudici comunitari esercitano deve
limitarsi alla verifica del rispetto delle regole di procedura e di
motivazione, nonchè dell'esattezza materiale dei fatti, dell'insussistenza
di errori manifesti di valutazione e di sviamento di potere, non spettando
al tribunale sostituire le proprie valutazioni economiche a quelle
dell'autore della decisione di cui gli venga chiesto di verificarne la
legittimità (cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 2009, n. 501, 513, 515,
519/06 P. GlaxoSmithKline). L'ampia corrispondenza tra le competenze
riconosciute all'Autorità Garante in ambito nazionale con quelle proprie
della Commissione in ambito Europeo da ragione dell'agevole trasposizione
di tale principio alla fattispecie ora in esame.
4.2. Tornando, per
l'appunto, all'esame della fattispecie in esame nella presente causa,
giova ancora aggiungere una breve considerazione sulla nozione di "mercato
rilevante" (nella duplice accezione merceologica e geografica): elemento
centrale ai fini dell'accertamento dell'intesa anticoncorrenziale, con
riferimento al quale le ricorrenti imputano al Consiglio di Stato di non
avere esercitato appieno il proprio compito giurisdizionale.
Si tratta,
indubbiamente, di uno di quei concetti giuridici indeterminati, che sono
enunciati dalla legge in termini generali, ma la cui concreta
specificazione impone di far ricorso a canoni di volta desunti dal
patrimonio di saperi diversi; in questo caso da quello della scienza
economica, la quale ha infatti da tempo prodotto al riguardo un'amplissima
elaborazione ed una vasta casistica (cui si è ispirata anche la Comunicazione 9 dicembre 1997 della Commissione Europea, in GUCE, C
372), che confermano, pur all'interno di parametri teorici ben
individuati, l'estrema elasticità del concetto in relazione alle diverse
possibili caratteristiche di mercato dipendenti dalla varietà delle
situazioni date.
Non appare seriamente dubitabile, pertanto, che la
determinazione in concreto del mercato rilevante rientri, in fattispecie
come quella in esame, nell'ambito di quelle valutazioni tecniche non prive
di ampi margini opinabilità cui sopra s'è fatto cenno. Il relativo
controllo giurisdizionale risulta perciò circoscritto entro i limiti
dianzi chiariti.
4.3. In base alle considerazioni ora svolte è quindi
possibile enunciare il seguente principio di diritto: "Il sindacato di
legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell'Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei
fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai
profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della
legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici
siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo
margine di opinabilità - come nel caso della definizione di mercato
rilevante nell'accertamento di intese restrittive della concorrenza -
detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e
coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla
verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini
di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il
proprio apprezzamento a quello dell'Autorità Garante ove questa si sia
mantenuta entro i suddetti margini".
4.4. L'impugnata sentenza del
Consiglio di Stato è conforme al principio di diritto sopra
enunciato.
Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il
Consiglio di Stato non ha negato il proprio potere di accertamento dei
fatti posti a base del contestato provvedimento dell'Autorità Garante. Per
persuadersene è sufficiente leggere quanto scritto alla pag. 11 della
sentenza impugnata, ove testualmente si afferma che "Il giudice
amministrativo... deve valutare i fatti, onde acclarare se la
ricostruzione di essi operata dall'AGCM sia immune da travisamenti...". Se
e come, in concreto, tale compito sia stato condotto a termine dal giudice
amministrativo nella vertenza di cui trattasi - e quindi se bene o male
abbia fatto il Consiglio di Stato a non dar corso agli adempimenti
istruttori, ed in particolare alla consulenza tecnica, richiesta delle
odierne ricorrenti - esula dal tema del preteso vizio di giurisdizione;
vizio che sussisterebbe solo qualora quel giudice avesse negato in via di
principio ed in termini generali di poter esercitare il controllo
giurisdizionale demandatogli dalla legge, ma non anche se, per avventura,
egli lo abbia esercitato male incorrendo in eventuali errori in punto di
fatto o di diritto che questa corte non ha titolo per
sindacare.
Parimenti condivisibile, alla stregua di quanto sopra detto,
è l'ulteriore affermazione di principio dell'impugnata sentenza, secondo
cui il giudice amministrativo non può sostituirsi all'Autorità Garante
nell'esercizio di valutazioni tecniche opinabili, quale è quella
consistente nell'individuazione del mercato rilevante cui riferire
l'intesa anticoncorrenziale. Non senza peraltro aggiungere che, a tal
proposito, il Consiglio di Stato ha dato ampio conto nell'impugnata
sentenza della conformità ai principi generali della materia dei criteri
al riguardo adottati dalla Autorità Garante e della loro plausibilità con
riferimento alle specificità del caso concreto (in particolare: delle
peculiari caratteristiche del mercato della gestione dei servizi idrici
integrati, della correttezza dell'assunto per cui tale mercato ha un
ambito geografico locale sul versante della domanda e nazionale su quello
dell'offerta, e della possibilità d'identificare il mercato rilevante
anche in relazione ad una singola gara bandita dalla pubblica
amministrazione) e, nello stimare tali criteri logici, coerenti e
giuridicamente corretti, li ha evidentemente anche fatti propri.
4.5.
Così interpretata, la citata disposizione della L. n. 287 del 1990,
art. 33 non appare sospetta d'incostituzionalità, giacchè non si
evidenziano profili di ineffettualità della tutela giurisdizionale.
Nemmeno può dirsi, pur con le differenze inerenti al diverso modo di
esplicazione della giurisdizione, che si manifesti una significativa
differenza nel livello di tutela dei diritti soggettivi affidati alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rispetto a quello
altrimenti assicurato dal giudice ordinario, fatto salvo il diverso regime
delle impugnazioni per cassazione, che trova però diretto fondamento nell'art. 111 Cost., u.c. (eccezioni d'illegittimità costituzionale
della medesima disposizione dell'art. 33 sono già state a suo tempo
dichiarate manifestamente infondate, anche sotto altri profili, da Sez.
un. n. 8882/05, cit., cui si fa qui senz'altro rinvio).
5. Se col primo
motivo le ricorrenti si erano dolute di un preteso rifiuto da parte del
giudice amministrativo di esercitare appieno il potere giurisdizionale
spettantegli, col secondo motivo esse viceversa lamentano che quel potere
sia stato esercitato oltre misura, giacchè detto giudice, occupandosi del
requisito della consistenza dell'intesa anticoncorrenziale, avrebbe in più
occasioni sostituito la propria valutazione a quella dell'Autorità
Garante.
Nei termini in cui è stato formulato, tale motivo di ricorso
appare, però, inammissibile.
Occorre infatti considerare che, trattando
il tema della consistenza dell'intesa, il Consiglio di Stato ha posto
anzitutto l'accento su un dato emergente dallo stesso provvedimento
dell'Autorità Garante, secondo cui i soggetti coinvolti nell'intesa - Acea
e Suez - sono, rispettivamente, uno tra i principali concorrenti a livello
nazionale ed il primo operatore a livello mondiale nel settore idrico.
Donde la conseguenza che detta intesa configura una forma di "ripartizione
dei mercati e della clientela" integrante una restrizione grave della
concorrenza indipendentemente dal fatto che essa possa eventualmente
collocarsi al di sotto della soglia dimensionale di rilevanza individuata
dalla Commissione Europea nella Comunicazione 2001/C 368/07. Solo quale
ulteriore ed autonoma ratio decidendi ("Inoltre, anche a tralasciare
l'argomento della esclusione,. ratione materiae, dell'intesa de qua dal
regime dei c.d. accordi de minimis,...) il Consiglio di Stato ha poi
aggiunto che la quota di mercato contendibile da prendere in
considerazione, per soppesare gli effetti dell'intesa anticoncorrenziale,
non è comunque quella formata dall'insieme dei servizi idrici integrati
esistenti sul territorio nazionale, ma solo quella circoscritta alle poche
situazioni nelle quali le amministrazioni hanno optato per l'affidamento
esterno del servizio a società private o a società a partecipazione mista
pubblico-privata.
E' unicamente a questa seconda argomentazione che le
ricorrenti si riferiscono, quando lamentano che il giudice amministrativo
abbia invaso la sfera di valutazione riservata all'Autorità Garante, la
quale non avevrebbe posto siffatte considerazioni a base del proprio
provvedimento. Se pure questa doglianza fosse esatta, essa quindi non
scalfirebbe l'altra autonoma ratio decidendi su cui si fonda la sentenza
impugnata, e tanto basta a renderla irrilevante: perciò inammissibile
anche sotto il profilo del preteso eccesso di potere
giurisdizionale.
Ugualmente inammissibili, e per il resto infondate,
sono le ulteriori analoghe censure di cui è cenno nel medesimo motivo di
ricorso.
Inammissibili nella parte in cui solo genericamente fanno
riferimento ad altre valutazioni che il Consiglio di Stato avrebbe
formulato benchè esse non trovino riscontro nell'impugnato provvedimento
dell'Autorità Garante, senza però evidenziarne nè la rilevanza nè
l'effettivo significato; infondate nella parte in cui, con appena un
minimo grado di maggiore specificità, alludono alla "valutazione degli
elementi indiziari a sostegno della prova dell'intesa", giacchè l'unico di
tali elementi indiziari cui nel ricorso si fa specificamente riferimento -
un intervento di Suez per indurre una propria controllata a non
partecipare alla gara - è invece menzionato alla pag. 23 nella sentenza
impugnata tra gli indizi dei quali già l'Autorità Garante, nel paragrafo
80 del proprio provvedimento, aveva tenuto conto.
6. L'ultimo motivo di
ricorso, con cui si lamenta che il Consiglio di Stato non si sia
pronunciato sulla richiesta d'investire la Corte di giustizia Europea con
quesiti interpretativi inerenti all'applicazione di disposizioni del
Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, che le parti interessate
avevano formulato, esula dall'ambito entro cui è consentito impugnare per
cassazione le decisioni del giudice amministrativo.
E' quasi superfluo
ricordare che eventuali vizi di omessa pronuncia integrerebbero errores in
procedendo, e non certo violazioni di norme in tema di
giurisdizione.
Quanto al resto, non v'è che da richiamare il principio
già altre volte espresso secondo cui, poichè la Corte di giustizia
Europea, nell'esercizio del potere d'interpretazione delle norme del
Trattato, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete
di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del
giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione
giurisdizionale, il mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di
Stato a detta Corte di giustizia non configura una questione attinente
allo sconfinamento dalla giurisdizione del giudice amministrativo (cfr.,
tra le altre, Sez. un. n.16886 del 2013). Il che rende inammissibile il
terzo motivo di ricorso.
7. E' poi appena il caso di aggiungere che,
proprio in quanto la cognizione della Corte di cassazione è qui limitata
ai motivi attinenti alla giurisdizione, non sussistono neppure le
condizioni perchè essa stessa prospetti alla Corte di giustizia Europea
quesiti interpretativi che attengono al merito della vertenza e non al
tema della giurisdizione.
D'altronde, in nessuno dei motivi di ricorso
è prospettata in modo diretto ed esplicito un'eccezione di difetto di
giurisdizione del giudice nazionale rispetto al giudice Europeo, in
relazione al diverso ambito di competenza attribuito all'uno o all'altro a
seconda che l'intesa anticoncorrenziale si ripercuota sul solo mercato
nazionale o abbia un ambito territoriale più vasto. Nè una tale questione
di riparto di giurisdizione internazionale avrebbe potuto esser sollevata
in questa sede, non essendo stata a suo tempo impugnata sotto questo
profilo la sentenza di primo grado ed essendosi quindi ormai formato sul
punto un giudicato interno.
8. Dal rigetto del ricorso consegue la
condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate
come in dispositivo, dovendosi inoltre dare atto, come prescrive il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i
presupposti per la maggiorazione del versamento del contributo unificato
da parte delle medesime ricorrenti, a norma dell'art. 1-bis del citato
art. 13.
P.Q.M.
La corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e
condanna ciascuna delle società ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in Euro 15.000,00, oltre a quelle
prenotate a debito, per ognuna di esse, dando atto che sussistono i
presupposti per il versamento, da parte di ciascuna di dette ricorrenti,
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per i ricorsi proposti.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio
2014.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio
2014