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n. 12-2014 - © copyright

 

CARMINE VOLPE

La disciplina delle società pubbliche e l’evoluzione normativa

 

 


 

 

SOMMARIO: 1. La rilevanza del tema delle società pubbliche. 2. Le problematiche. 3. La nozione allargata di pubblica amministrazione e il fenomeno delle società pubbliche. 4. Società pubbliche e fine di lucro. 5. Le società pubbliche derivanti dal processo di privatizzazione e l’organismo di diritto pubblico. 6. Società a totale partecipazione pubblica e in house. L’in house come species del genus delle società pubbliche. 7. Partenariato pubblico-privato e società miste. 8. Società pubbliche che svolgono attività amministrativa e società pubbliche che svolgono attività d’impresa, ovvero servizi strumentali e servizi pubblici. 9. La disciplina delle società pubbliche. 10. Limiti alla costituzione e alla partecipazione in società da parte delle amministrazioni pubbliche. 11. Disposizioni particolari. 12. La nozione europea di servizi di interesse economico generale (SIEG) e i servizi pubblici locali. 13. In house e danno erariale. 14. Conclusioni.


1. La rilevanza del tema delle società pubbliche.
Il tema delle società pubbliche acquista rilievo soprattutto in quanto interseca l’attività amministrativa; la quale, siccome attività svolta dalle pubbliche amministrazioni, o anche da soggetti privati per le pubbliche amministrazioni, deve essere - anche se la pratica recente è piena di esempi contrari - sempre indirizzata al perseguimento e alla soddisfazione dell’interesse pubblico, inteso quale interesse (generale) della collettività.
Nel diritto amministrativo vivono e operano anche soggetti privati, tra cui vi sono le società pubbliche, la cui peculiarità è data dalla partecipazione della pubblica amministrazione; situazione alla quale consegue di norma un particolare status del soggetto e l’applicazione di regole peculiari e/o speciali.
Il fenomeno è regolato innanzitutto dalla l. n. 241/1990, conosciuta come la legge sul procedimento amministrativo (il titolo della legge è “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), che costituisce codificazione dei principi che reggono l’attività amministrativa.
L’art. 1 della l. n. 241/1990 così dispone:
1. L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario.
1-bis. La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
1-ter. I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge.

Tutti i criteri e i principi dell’attività amministrativa - tra cui spiccano quelli di economicità, efficacia ed efficienza, di particolare rilievo nel campo dei servizi pubblici - devono essere rispettati e assicurati anche dai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative, tra cui le società pubbliche, come se fossero delle vere e proprie pubbliche amministrazioni.
Ossia è l’esercizio dell’attività amministrativa, da chiunque essa venga svolta, a richiedere il rispetto delle regole e dei principi propri del pubblico agire.
Ne sono dimostrazione anche:
- l’art. 29, comma 1, della l. n. 241/1990, secondo cui le disposizioni della stessa legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali” e “altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative”;
- l’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), secondo cui “Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo”.
Inoltre, al di fuori del campo dello svolgimento dell’attività amministrativa, il solo fatto che una società sia pubblica (a totale o a parziale partecipazione pubblica) comporta l’applicazione di alcune regole peculiari rispetto a quelle proprie dei soggetti del tutto privati.

2. Le problematiche.
Dagli interventi che mi hanno preceduto vengono in rilievo due criticità, presenti nell’ambito del fenomeno delle società pubbliche.
Una è quella dell’incertezza normativa, ossia della mancanza di regole certe e chiare in un settore nevralgico per l’economia del Paese, quale quello degli appalti pubblici; termine, quest’ultimo, da intendersi comprensivo dei lavori pubblici, degli appalti pubblici di servizi e forniture, nonché dei servizi pubblici. Una situazione di certezza e di stabilità delle regole nel settore costituisce il volano degli investimenti e se mancano gli investimenti il settore non cresce.
Il nostro sistema normativo attualmente manca di chiarezza e di semplicità, oltre che di organicità. Esso è stato caratterizzato, soprattutto in questi ultimi anni, da una sequela di modifiche normative che si sono frequentemente accavallate tra di loro, spesso senza un filo conduttore e senza che il successivo intervento avesse piena coscienza di quelli precedenti. Il che ha complicato il quadro delle procedure da seguire e da applicare e ha frenato la crescita, soprattutto nel campo degli appalti e dei servizi pubblici.
L’altra criticità è stata chiamata il “Giano bifronte” degli amministratori pubblici, i quali, da una parte, sono i rappresentanti degli enti esponenziali delle comunità locali - ad esempio il sindaco rispetto al comune - e in quanto tali devono fare gli interessi degli appartenenti alla comunità; dall’altra, si trovano nelle società partecipate dagli stessi comuni a perseguire gli interessi della società stessa. Come si possano conciliare questi due interessi, in astratto contrastanti tra di loro, costituisce uno dei rebus del fenomeno delle società pubbliche.

3. La nozione allargata di pubblica amministrazione e il fenomeno delle società pubbliche.
Il punto di partenza è almeno un dato certo.
La costituzione e il riconoscimento di enti pubblici possono avvenire esclusivamente in forza di legge. Ciò ai sensi dell’art. 4 della l. n. 70/1975, secondo cui “Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”.
Quindi è solo la legge che può istituire un nuovo soggetto pubblico che diviene tipico, in quanto esiste solo se (e nel modo) previsto dalla legge. Mentre non è possibile che una società, siccome pubblica, sia un ente e quindi un soggetto pubblico.
Se ne trova ulteriore esplicita e recente conferma nella legge. Il d.lgs. n. 39/2013, dal titolo “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, all’art. 1, dopo avere previsto al comma 1 che ,“Ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico si osservano le disposizioni contenute nel presente decreto, fermo restando quanto previsto dagli articoli 19 e 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché dalle altre disposizioni vigenti in materia di collocamento fuori ruolo o in aspettativa”, al comma 2 così dispone:
Ai fini del presente decreto si intende:
…b) per «enti pubblici», gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati;
c) per «enti di diritto privato in controllo pubblico», le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell'articolo 2359 c.c. da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”
.
Sono ben distinti, quindi, gli enti pubblici, ossia i soggetti pubblici, e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, che rimangono sempre soggetti privati anche se esercitano poteri pubblici, svolgono attività strumentale a favore di pubbliche amministrazioni o gestiscono servizi pubblici.
Tuttavia, costituisce ormai dato acquisito quello della nozione allargata di pubblica amministrazione, comprendente non solo soggetti pubblici ma anche soggetti privati che si trovano in un particolare rapporto con le amministrazioni, o alle quali eccezionalmente è consentito lo svolgimento di pubbliche funzioni o di attività amministrativa. Ciò in forza di provvedimenti amministrativi (di concessione, di affidamento, di aggiudicazione) o della circostanza per cui nel soggetto privato c’è una partecipazione della pubblica amministrazione.
In tal modo le società pubbliche rimangono soggetti privati ma ad alcuni fini sono equiparati alla pubblica amministrazione. Uno su tutti quello dell’evidenza pubblica per cui il sistema, di derivazione europea e che nei suoi principi annovera quello della tutela della concorrenza, richiede che determinati soggetti privati, quali i concessionari, le società a partecipazione pubblica, le società in house, devono indire procedure di evidenza pubblica nel caso in cui intendano affidare appalti di lavori, di servizi e di forniture. Divenendo in tal modo, alla pari di ogni pubblica amministrazione, stazione appaltante.
Infatti, la normativa europea, e di conseguenza quella nazionale, tende ad adottare una nozione di ente pubblico (non ontologica ma teleologica) funzionale a casi specifici, e quindi ordinata a qualificare un ente come pubblico non per tutte le circostanze ma per scopi peculiari. Emblematico è il settore degli appalti pubblici.
Un altro fenomeno si fa strada in questi ultimi tempi ed è quello della spending review.
Anche al fine di dare attuazione all’art. 97, comma primo, della Costituzione, secondo cui “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”, e per adeguarsi ai parametri imposti dall’Unione stessa, il debito pubblico e, conseguentemente, la spesa pubblica devono essere ridotti. E nella scure della riduzione impattano le società pubbliche, anche perché si è visto come il loro funzionamento alcune volte non ha perseguito quei principi di economicità, efficacia ed efficienza di cui si è detto (servendo invece alla moltiplicazione dei “posti e delle poltrone”).
In tal modo la società pubblica diviene a statuto speciale o singolare.
In Italia sarebbero oltre 5.000 le società partecipate da amministrazioni statali, regionali e locali. Forse il numero preciso non è nemmeno conosciuto ma gli sprechi sono sotto gli occhi di tutti. Di qui i recenti interventi del legislatore al fine di ridurre il numero degli amministratori e dei componenti degli organi delle società pubbliche, nonché l’ammontare dei relativi compensi.

4. Società pubbliche e fine di lucro.
Anche le società pubbliche, come ogni società, devono perseguire il fine di lucro, che però non è coessenziale all’esistenza stessa della società, potendosi avere società senza scopo di lucro, come le cooperative.
Ma la società pubblica, come si è detto, deve anche perseguire l’interesse pubblico.
Si tratta di interessi conciliabili?
Non in ogni caso. L’interesse pubblico, inteso quale interesse generale della collettività, va sempre perseguito e soddisfatto, mentre non è detto che la massimizzazione, o anche solo il perseguimento, del fine di lucro possano comunque sempre convivere con l’interesse pubblico; che di per sé solo è diverso dall’interesse dei soggetti privati che operano dietro il velo della società, proprio perché (quest’ultimo) di tipo personale e non pubblico, particolare e non generale.
Ma se dietro il velo della società vi sono soggetti pubblici è evidente la possibilità, da parte del soggetto pubblico, di perseguire l’interesse pubblico anche con la partecipazione societaria. Il tutto è vedere se poi la società stessa riesce a perseguire siffatto interesse.
È innegabile che il fenomeno societario ha logiche diverse da quelle della pubblica amministrazione. Il perseguimento dello scopo di lucro è la ragione stessa dell’esistenza della società e, anche se non si riesce in concreto a realizzarlo, quello che non può venire meno è il concetto di economicità, intesa quale gestione non in perdita almeno tesa alla parità di bilancio.
E allora la vera essenza del fenomeno delle società pubbliche sta proprio in questo. Sino a quando si riesce a conciliare scopo di lucro e interesse pubblico, la società e l’attività dalla stessa svolta ha una sua ragione di essere; data, ad esempio, dalla snellezza e dalla maggiore elasticità delle regole privatistiche rispetto a quelle pubblicistiche o dal potere meglio operare in un settore caratterizzato dall’osservanza delle regole di mercato.
Allorquando, invece, la divaricazione diventa evidente, a discapito sia dello scopo di lucro che dell’interesse pubblico, il fenomeno delle società pubbliche dimostra tutti i suoi limiti. A meno che non si voglia vedere di per sé un interesse pubblico nell’intervento della pubblica amministrazione nell’economia se serve a conseguire utili o a dirigere settori strategici. Ma allora anche qui si è in presenza di diversi aspetti dell’interesse pubblico che di per sé rendono plausibile il fenomeno delle società pubbliche.

5. Le società pubbliche derivanti dal processo di privatizzazione e l’organismo di diritto pubblico.
Da tempo è conosciuto il fenomeno dell’esercizio di poteri pubblici da parte di soggetti privati.
Esempi se ne sono avuti con le privatizzazioni allorquando soggetti pubblici sono stati trasformati in soggetti privati, ma senza cambiare alcunché nella sostanza lasciando invece la partecipazione in testa alla medesima amministrazione.
Caso emblematico è stato quello dell’Anas, diventata s.p.a. da un’iniziale azienda autonoma - ossia branca di un Ministero senza soggettività ma con una certa autonomia - attraverso un ente pubblico economico, ossia soggetto pubblico che svolge attività di impresa.
Non essendo cambiato nulla nella sostanza delle partecipazioni la giurisprudenza ha ammesso il controllo della Corte dei Conti e l’esercizio di poteri pubblici.
Secondo il Consiglio di Stato (sez. V, 24 maggio 2013, n. 2829):
- non è certamente di ostacolo al riconoscimento del potere di autotutela esecutiva la natura formalmente privatistica del nuovo soggetto ben potendosi riconnettere tale potere anche ad un organismo organizzato in modo privatistico, mentre resta regolato dagli artt. 823 e 829 c.c. il regime dei beni trasferiti all'Anas;
- è legittima l'ordinanza con la quale l'Anas dispone lo sgombero in via amministrativa di una casa cantoniera occupata. Pur dopo la doppia fase di privatizzazione dell'originaria Azienda di Stato, in capo ad essa permangono poteri di natura pubblicistica, tra i quali rientra l'autotutela amministrativa.
Allo stesso modo soggetti privati sono sottoposti alle direttive appalti e alla normativa di recepimento qualora rientrino nella definizione di organismo pubblico. Il quale, si sensi dell’art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), è :
qualsiasi organismo, anche in forma societaria:
- istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
- dotato di personalità giuridica;
- la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico
”.
Ne costituisce esempio Poste Italiane s.p.a..

6. Società a totale partecipazione pubblica e in house. L’in house come species del genus delle società pubbliche.
Le società in house costituiscono una parte del fenomeno delle società a totale partecipazione pubblica, in quanto le stesse devono avere anche gli ulteriori requisiti del controllo analogo e della prevalenza dell’attività con i soggetti controllanti.
Esse si pongono però al confine della concorrenza poiché la configurazione di un soggetto in house, o meglio di una relazione in house tra il soggetto affidante e il soggetto affidatario, giustificano e legittimano l’affidamento diretto, senza previa gara. Tutta la relativa costruzione giurisprudenziale dell’in house, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (UE), è dovuta invero ai problemi conseguenti alla legittimità di un affidamento diretto.
La recente normativa ne prende atto.
Ai sensi dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135/2014:
Al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nel rispetto dell'articolo 2, comma 1 del citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo…”.
Ossia la regola è la gara. Ma, ai sensi del comma 8 del citato art. 4 (la Corte costituzionale, con sentenza 16-23 luglio 2013, n. 229, ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del comma 8 nella parte in cui si applica alle Regioni ad autonomia ordinaria):
A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house…”.
E non poteva essere diversamente in quanto l’in house e le sue condizioni sono state create dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, i cui principi costituiscono diritto europeo direttamente operante negli ordinamenti degli Stati membri.
L’in house, quindi, consente l’affidamento diretto in deroga all’evidenza pubblica.
Le società in house non possono avere vocazione commerciale e mancano di autonomia gestionale; il che è conseguenza del requisito del controllo analogo. Su entrambi tali caratteri la giurisprudenza della Corte di Giustizia è concorde. E ciò rende anche abbastanza palese la specificità e la singolarità dell’in house nel panorama delle società pubbliche.
Una volta che la società in house costituisce una longa manus dei soggetti pubblici controllanti il legislatore, sul presupposto di una parziale assimilazione delle società in house alle amministrazioni pubbliche, prevede la loro sottoposizione alla disciplina posta dal codice appalti per l’acquisto di beni e servizi e l’applicazione delle medesime politiche di contenimento della spesa pubblica e della disciplina in tema di assunzione di personale, compresi conseguenti limitazioni e vincoli assunzionali (art. 3-bis, comma 6, del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011). Mentre solo con la legge di stabilità dell’ultimo anno (l. n. 147/2103) non è stato più previsto l’assoggettamento al patto di stabilità interno.

7. Partenariato pubblico-privato e società miste.
Altro ruolo nel fenomeno delle società miste viene svolto dal partenariato pubblico-privato, ossia dalle diverse forme di collaborazione tra il pubblico e il privato, di cui costituiscono espressione le società miste, espressione di partenariato pubblico-privato istituzionalizzato (PPPI) dando luogo a un nuovo soggetto giuridico.
Nelle società miste le problematiche di maggiore importanza sono collegate all’applicazione della disciplina sull’evidenza pubblica e alla scelta del socio.
Quanto alla prima, le disposizioni del codice appalti trovano applicazione per i contratti di lavori, servizi e forniture affidati dalle società con capitale pubblico anche non maggioritario [art. 32, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006].
Quanto alla seconda, si è ormai assestata la cosiddetta gara a doppio oggetto, ai fini della scelta del socio con cui concludere il contratto di società; gara che deve avere ad oggetto al tempo stesso la qualità di socio e l’attribuzione allo stesso dei compiti operativi connessi alla gestione dello specifico servizio che dovrà essere svolto dalla società stessa.
La Commissione europea, già con la comunicazione interpretativa in data 5 febbraio 2008 “sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI)”, aveva ritenuto che, per costituire un PPPI in modo conforme ai principi del diritto comunitario evitando nel contempo i problemi connessi ad una duplice procedura, si potesse utilizzare il metodo seguente: il partner privato è selezionato nell’ambito di una procedura trasparente e concorrenziale, che ha per oggetto sia l’appalto pubblico o la concessione da aggiudicare all’entità a capitale misto, sia il contributo operativo del partner privato all’esecuzione di tali prestazioni e/o il suo contributo amministrativo alla gestione dell’entità a capitale misto. La selezione del partner privato è accompagnata dalla costituzione del PPPI e dall’aggiudicazione dell’appalto pubblico o della concessione all’entità a capitale misto.
Il modello è stato ammesso dalla Corte di Giustizia UE, sez. III, 15 ottobre 2009, procedimento C-196/08, Acoset s.p.a., in adesione alla comunicazione interpretativa della Commissione europea. Va ricordato che la decisione della Corte di Giustizia è stata di pochi giorni anticipata dal legislatore italiano che, con il d.l. n. 135/2009 (del 25 settembre), aveva previsto per la prima volta il modello della cosiddetta gara a doppio oggetto.

8. Società pubbliche che svolgono attività amministrativa e società pubbliche che svolgono attività d’impresa, ovvero servizi strumentali e servizi pubblici.
La Corte Costituzionale (sentenze 1 agosto 2008, n. 326 e 30 aprile 2009, n. 125) differenzia l’ipotesi delle società strumentali da quella delle società che erogano servizi pubblici locali; le prime sono quelle che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione che ne beneficia e conseguentemente paga il prezzo della prestazione (appalti pubblici di servizi e di forniture), le seconde sono quelle che erogano servizi alla collettività, ossia agli utenti, al fine di soddisfare bisogni generali; utenti che per il servizio pagano una tariffa (servizi pubblici).
Secondo La Corte solo le seconde esercitano attività di impresa, mentre le prime svolgono attività amministrativa; giustificando in tal modo l’esclusività dell’oggetto sociale imposto solo alle prime dall’art. 13 del d.l. n. 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 223/2006, il quale esclude la possibilità di esercitare attività di impresa beneficiando dei privilegi delle quali esse godono proprio perché svolgono attività amministrativa.
La costruzione della Corte costituzionale non convince.
Anche le società strumentali quando svolgono attività nei confronti di pubbliche amministrazioni rimangono pur sempre soggetti regolati dal diritto privato ed aventi scopo di lucro. E non è perché le stesse si sono aggiudicate appalti pubblici di servizi e forniture che la loro attività diviene attività amministrativa. Nella sostanza si tratta di escamotage creato dalla Corte per considerare costituzionalmente legittime norme limitative della capacità di agire di alcune società pubbliche, quelle strumentali, oltre che della capacità delle pubbliche amministrazioni stesse di costituire società pubbliche, al fine di tutelare la concorrenza; evitando che tali tipi di società, usufruendo dei vantaggi conseguenti allo svolgimento di attività nei confronti della pubblica amministrazione, possano godere di privilegi rispetto agli altri operatori.
Ma è difficile sostenere che le società strumentali non svolgano anch’esse attività d’impresa.

9. La disciplina delle società pubbliche.
Con riguardo alla disciplina delle società pubbliche, si applicano innanzitutto il codice civile e le disposizioni civilistiche.
Si vedano in particolare:
- gli art. 2380-bis c.c., dal titolo “Amministrazione della società”, e seguenti, per l’assetto organizzativo;
- l’art. 2449 c.c., dal titolo “Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici”;
- le norme sul fallimento, in quanto anche le società pubbliche, comprese quelle in house, possono essere sottoposte alla relativa procedura concorsuale (Cass., sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209).
Conferma di tutto ciò la si trova in una recente disposizione, l’art. 4, comma 13, ultimo periodo, del d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135/2014 - dal titolo “Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche” - secondo cui “Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”.

10. Limiti alla costituzione e alla partecipazione in società da parte delle amministrazioni pubbliche.
Vengono in rilievo innanzitutto due disposizioni.
La prima è quella temporalmente successiva che però in ordine logico si pone a monte rispetto all’altra.
Nel campo delle società strumentali, e con esclusione delle società che gestiscono o erogano servizi pubblici, vi è un limite legislativo alla costituzione della società, posto dall’art. 3, comma 27, della l. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Tale norma ha posto un limite all'impiego dello strumento societario non tanto per assicurare la tutela della concorrenza quanto per garantire, in coerenza con l'esigenza di rispettare il principio di legalità, il perseguimento dell'interesse pubblico. Può, pertanto, ritenersi che, allo stato, esiste una norma imperativa che - esprimendo un principio già in precedenza immanente nel sistema - pone un chiaro limite all'esercizio dell'attività di impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento anche dell'interesse pubblico (Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574).
La seconda disposizione è data dall’art. 13 del d.l. n. 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 248/2006.
Si prevede l’esclusività dell’oggetto sociale a favore delle amministrazioni pubbliche che vi partecipano. Le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale.
Siffatto limite, dal quale sono escluse le società statali, viene imposto al dichiarato “fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”.
Ciò comporta, conseguentemente, che le società strumentali degli enti locali e delle Regioni per essere in house devono possedere solo due dei tre requisiti prescritti; il controllo analogo e la totale partecipazione pubblica, non essendo possibile la configurabilità del terzo, ossia la prevalenza dell’attività, essendo già richiesto per legge qualcosa che assorbe la prevalenza, quale l’esclusività.
Dette società diventano ad oggetto sociale esclusivo; come testualmente disposto dal comma 2 del citato art. 13, secondo cui “Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1”.
Di qui 1’ulteriore peculiarità propria delle società strumentali in house; dovendo l’attività svolta a favore dell’ente controllante essere esclusiva, non è possibile effettuare attività a favore o assieme ad amministrazioni diverse. Di qui il requisito della prevalenza richiesto nell’in house viene ad essere assorbito da quello dell’esclusività.
La conformità a Costituzione di tutte queste norme limitative solo per le società strumentali è stata ritenuta dalla Corte costituzionale (con le sentenze 1 agosto 2008, n. 326 e 30 aprile 2009, n. 125), che ne ha individuato la ratio nel carattere amministrativo dell’attività svolta dalle società medesime, oltre che - come visto al para. 8 - nell’esigenza di tutelare la concorrenza al fine di evitare alterazioni o distorsioni del mercato e di assicurare la par condicio degli operatori che ambiscono alle commesse pubbliche.

11. Disposizioni particolari.
Disposizioni particolari sono dirette alle società in house e conseguono alla loro parziale assimilazione alle pubbliche amministrazioni.
Esse “sono tenute all'acquisto di beni e servizi secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163…” (art. 3-bis, comma 6, del d.l. n. 138/2011, e successive modificazioni) e devono adottare “con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” - si tratta dei principi di “adeguata pubblicità della selezione”, di imparzialità, economicità e trasparenza, che impongono una procedura concorsuale - “nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008 (stessa norma).
Alcuni recenti interventi si inquadrano nelle politiche di spending review. Di rilievo i seguenti.
Con riguardo alla riduzione delle spese per gli amministratori:
- l’art. 6 del d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 122/2010, dal titolo “Riduzione dei costi degli apparati amministrativi”;
- l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135/2012, in tema di riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione.
Con riguardo al reclutamento del personale delle società pubbliche e alla riduzione delle spese per personale e servizi:
- l’art. 18 del d.l. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 133/2008, prevede che:
1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.
2-bis. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. A tal fine l'ente controllante, con proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto delle disposizioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, definisce, per ciascuno dei soggetti di cui al precedente periodo, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo adottano tali indirizzi con propri provvedimenti e, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, gli stessi vengono recepiti in sede di contrattazione di secondo livello…
”.

12. La nozione europea di servizi di interesse economico generale (SIEG) e i servizi pubblici locali.
In ambito europeo non viene utilizzata l’espressione “servizio pubblico locale di rilevanza economica”, ma solo quella di “servizio di interesse economico generale” (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea (in specie, nelle comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonché nel libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’ambito locale, e quella interna di servizio pubblico locale di rilevanza economica hanno “contenuto omologo”.
Il che è stato espressamente riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 27 luglio 2004, n. 272.
Le regole sulla concorrenza non trovano applicazione per i servizi che non abbiano rilevanza economica.
I servizi pubblici locali occupano un campo a sé nella disciplina degli appalti pubblici differenziandosi in particolare da quella degli appalti pubblici di servizi. Differenza che si riverbera, conseguentemente, anche con riguardo alle società pubbliche se guardata dal lato dei soggetti gestori. Le società miste e le società in house, infatti, costituiscono anche modalità di affidamento e forme organizzative dei servizi.
Ai servizi pubblici, siccome servizi di interesse generale, non si applicano i limiti alla costituzione e allo scopo delle società (previsti esclusivamente per i servizi strumentali) né il codice degli appalti e le direttive dallo stesso recepite. Lo dice espressamente l’art. 30 del codice, che, al comma 3, richiama solo l’applicazione dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici.
La situazione è destinata a cambiare a breve per effetto dell’approvazione delle nuove direttive in materia di appalti pubblici e concessioni.
Sulla Gazzetta Ufficiale della UE del 28 marzo 2014 sono state pubblicate le nuove direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici. Si tratta delle direttive 2014/24/UE nei settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (settori speciali) e 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.
La nuova normativa è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE e gli Stati membri hanno tempo per recepire le direttive fino al 18 aprile 2016.
Le prime due direttive sostituiscono, rispettivamente, le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, mentre la terza, in tema di concessioni (di lavori e di servizi), rappresenta novità assoluta.
Norme specifiche in materia di servizi pubblici locali si rinvengono poi nell’art. 34, commi dal 20 al 27, del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012.

13. In house e danno erariale.
Recentemente la Corte di Cassazione (sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283) ha ritenuto che la Corte dei Conti abbia giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte, quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house. Ciò in quanto queste ultime hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano, e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. All’impossibilità di configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house la quale ad esso fa capo, consegue che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità.
Da ciò discende che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l'attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità.
La peculiarità della pronuncia consiste in questo: pur affermando la permanenza della separazione patrimoniale tra capitale del socio (pubblico) e capitale della società, carattere tipico del regime societario, la riconducibilità del patrimonio della società in house al socio pubblico configura il danno erariale e fa scattare, conseguentemente, la giurisdizione della Corte dei Conti.
Le criticità della sentenza stanno nella circostanza che viene meno, nella sostanza, uno dei caratteri tipici del fenomeno societario, costituito dalla separazione tra i patrimoni della società e quello dei singoli soci; il che ha rappresentato una delle ragioni, forse la più importante, dello sviluppo del fenomeno societario.

14. Conclusioni.
Recentemente la Corte di Cassazione (sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991) ha ribadito un principio: la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici ne posseggono le azioni, in tutto o in parte.
Ma un tale principio è ancora valido?
Senza dubbio lo è con riguardo alle società che operano “nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico”. Inizia invece a sfumare relativamente alle società in house, nelle quali il controllo analogo e la conseguente mancanza di autonomia gestionale le avvicina a una pubblica amministrazione, anzi le immedesima nella o nelle pubbliche amministrazioni controllanti.
Un diritto speciale dei soggetti in house non è più negabile, come può dirsi ormai acquisito il carattere anomalo del fenomeno dell’in house nel panorama del diritto societario (sottolineato da Corte di Cassazione, sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283).
Un diritto speciale non è nemmeno negabile per le altre società pubbliche, sempre più caratterizzate da una disciplina speciale su tre fili conduttori:
a) equiparazione a dati fini ai soggetti pubblici, con riguardo alla scelta del soggetto con cui stipulare contratti di appalto e alla stipulazione stessa;
b) limitazione alla costituzione e allo scopo delle società pubbliche strumentali;
c) sottoposizione a politiche di spending review.
Le società pubbliche continuano ad essere soggetti privati e a sottostare alle relative regole; ma vi è specialità nella specialità per le società in house e specialità per le altre società pubbliche, alcune volte peculiari per alcuni tipi di società (quelle nel settore dei servizi pubblici e dei servizi strumentali). Il che consegue all’applicazione di tutta una serie di regole particolari le quali derivano dalla circostanza per cui la partecipazione pubblica in una società, e la conseguente spendita di denaro pubblico, non possono considerarsi neutre. E il diritto, non essendo che sovrastruttura, si dimostra sensibile al fenomeno e interviene a regolarlo.

 

(pubblicato l'11.12.2014)

 

 

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