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n. 12-2014 - © copyright |
LUIGI GIAMPAOLINO
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Vecchi problemi e nuovi scenari: le
«varianti», il «subappalto», le «misure di prevenzione antimafia», dopo il
d.l. 24 giugno 2014, n. 90 convertito nella legge 11 agosto 2014 n. 114 e
alla vigilia del recepimento della direttive nn. 22, 23 e 24 del
2014*
1. L’ultimo intervento del Prof. Rangone
sull’attività che stanno ponendo in essere i nostri partners europei
per il recepimento delle direttive ci immette nell’attualità e ci
richiama al quid agendum.
È di qualche giorno fa la notizia che
il Presidente della Repubblica, il 31 ottobre u.s., ha dato
l’autorizzazione per la presentazione, in Parlamento, del disegno di
legge di delega al Governo per l’attuazione delle direttive 23, 24 e
25 del 2014.
In tal modo, anche nel nostro Paese, inizia la fase
più propriamente attuativa del recepimento degli atti comunitari e
la nostra attenzione ed il nostro attuale impegno al recepimento,
collocano sullo sfondo questi “Vecchi problemi e nuovi scenari”,
come dice il titolo del nostro incontro.
“Vecchi problemi e nuovi
scenari”, in verità, più che un titolo “creativo” – come si esprime
l’avv. Titomanlio nel testo dell’invito per questo convegno - fu
l’istintiva reazione nell’apprendere gli argomenti che si
preparavano per questo incontro.
Essi infatti richiamavano,
appunto, vecchie problematiche.
Ma il pensiero non poteva non
andare, contemporaneamente, a quanto, nell’immediato, accadeva
nell’ordinamento con la sostituzione dell’esistente – e non tanto
antica - Autorità di vigilanza sui contratti di lavori, servizi e
forniture, con la nuova Autorità Nazionale Anticorruzione e con le
norme, nel settore introdotte dal decreto legge 24 giugno 2014, n.
90 convertito nella legge di conversione 11 agosto 2014, n.
114.
2. Se, infatti, le “varianti”, il “subappalto”, le
“misure di prevenzione antimafia”, sono argomenti da tempo
conosciuti e pur già tanto articolati nel loro contenuto, non si può
non avvertire e non tener conto di quelle che, più che modifiche
legislative intervenute nel settore, appaiono essere dei veri e
propri mutamenti ordinamentali.
Ci si riferisce a nuovi motivi
ispiratori - se non ad una, vera, nuova, configurazione del settore
- che, avendo di mira, come fine primario, la lotta alla corruzione,
adatta a questa esigenza, la disciplina di istituti nei quali la
materia degli appalti si concretizza.
3. Trattasi, peraltro,
com’è noto, di una materia caratterizzata da una normativa vasta,
minuziosa, complessa; una normativa di diverso rango ed efficacia
sulla quale “aleggia” – se è consentita la metafora peraltro
impropria, perché non si tratta di un “aleggiare” ma di un
conformare e di un disporre – un’ulteriore disciplina di rango e
natura comunitari, conformante, come le direttive, o di efficacia
direttamente vincolante, come, i regolamenti.
Trattasi, per di
più, di una normativa che, specie negli ultimi decenni, sembra
percorsa, da un suo sempre maggiore aggrovigliarsi, con repentini
mutamenti di direzione, passando da un consolidato apparato di
stretta difesa dell’Amministrazione pubblica, dei suoi interessi e
delle sue risorse, agli interventi settoriali ed episodici dovuti
agli anni ’70 – ’80 per il recepimento delle direttive che si
susseguivano in sede comunitaria (es. legge n. 14/1973; n. 74/1973;
n.1 del 1978, ecc.).
E poi, al complesso, singolare, ed unitario
intervento normativo degli anni 90 (legge 109/94) noto come legge
Merloni, con il quale si tentò, a seguito dell’esplodere di
“Tangentopoli”, la configurazione, per il settore dei lavori
pubblici, di un ordinamento settoriale, prestando attenzione agli
aspetti organizzativi dello stesso con la creazione di un’Autorità;
la figura del responsabile del procedimento, la previsione della
programmazione delle opere, la centralità del progetto da riportare
nell’ambito dell’amministrazione, ecc.
E ciò, com’è noto, fino a
che, in attuazione della direttiva 2004/17/CE e 2004/18/CE, si dette
luogo al d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, con la formulazione del
“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture”, nel quale le norme derivanti dalle direttive ora dette e
quelle regolanti altresì i settori dei servizi e delle forniture
erano fuse in un unico corpus di ben 257 articoli, cui andavano
aggiunti i 359 articoli del regolamento, oltre alle varie leggi
regionali emanate nella stessa materia ed il profluvio dei vari
interventi normativi a getto continuo su singole discipline o interi
istituti.
4. Ma, intanto, due nuovi, più recenti, accadimenti
economici, istituzionali e normativi, hanno interessato la
materia.
Il primo riguarda la recrudescenza - sul piano politico
ma anche economico, sociale e sovrattutto mediatico - del fenomeno
della corruzione: questa, sulla spinta anche dell’attenzione ad essa
prestata, anche a livello normativo, in sede internazionale, era
fatta oggetto di mirato (anche perché dovuto, attesa la ratifica di
norme internazionali) impegno governativo e parlamentare sino a
pervenire alla legge n. 90 e, sovrattutto, ad investire, sotto
quest’angolo visuale, sovrattutto la stessa materia dei contratti
pubblici.
In tal modo, in quest’anno, l’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici – che pur aveva tanto ampliato la sua sfera di
vigilanza sino a configurare la sua attività anche come attività di
regolazione del mercato – è stata soppressa e sostituita, anche nei
suoi poteri, con l’Autorità Nazionale anticorruzione (art. 19, comma
1, d.l. 24 giugno 2014, n. 90 provvista di poteri repressivi ed
interdittivi, penetranti e di notevole portata.
Il perseguimento
della lotta alla corruzione, in tal modo, informa ora di sé tutto il
settore e, nell’ottica di un tale valore, tutta la materia è
riguardata, sia dal legislatore (si pensi alla norma sulle
“varianti”, di cui all’art. 37, e alla parte della relazione che
riguarda questa norma e alle motivazioni delle relative modifiche
emendative), sia dalla stessa neo-ricostituita Autorità, nei cui
deliberati forte è la motivazione dell’attenzione alla lotta alla
corruzione, pur nel contesto di una funzione di vigilanza e
regolazione tutt’ora vigente e che non può non sovrintendere
all’intero settore.
E ciò alla stregua dei compiti e delle
incombenze che le norme continuano ad attribuire all’Autorità nella
sua pur mutata, corazzata, veste, nella quale, per di più, si
esalta, maggiormente una funzione monocratica che una funzione
collegiale.
5. L’altro accadimento è il pacchetto delle
direttive UE sugli appalti pubblici entrate in vigore il 18
aprile 2014, che dovranno essere recepite nel nostro ordinamento
entro il 18 aprile 2016 e che riformeranno il settore degli appalti
e delle concessioni. In particolare, esse riformano il settore degli
appalti speciali (dir. 2014/21) e l’aggiudicazione dei contrati di
concessione (2014/23).
Trattasi, com’è noto, di una normativa
volta a realizzare una semplificazione e una maggiore
flessibilità delle procedure, nonché volta ad avvicinare la
disciplina dei settori “speciali” a quella dei settori classici e
contenente diverse novità alle quali sarebbe troppo lungo qui fare
pure solo riferimento.
6. Ed è nell’ambito di questo così
complesso e mutato scenario normativo che dovevano essere e sono
stati considerati gli argomenti di cui ci siamo occupati.
E così,
seguendo l’ordine degli argomenti indicati nel titolo, viene in
rilievo l’argomento delle varianti.
Trattasi di un argomento
antico, tanto che, già nell’appalto privato e finanche sin dal cod.
civ. del 1865 e poi con modifiche nel cod. del 1942, sono contenute
disposizioni che prefigurano i problemi che si sono sviluppati per
gli appalti nei settori pubblici e che, per le opere pubbliche,
trovarono, com’è noto, una disciplina puntuale nella legge generale,
anch’essa del 1865, e, quindi nella legge generale di contabilità
pubblica, nonché nel regolamento del 1895 e nelle disposizioni del
capitolato generale.
Una disciplina, questa, particolarmente
favorevole, in teoria, alla P.A. committente per la quale fu
sinanche richiamata la categoria del diritto potestativo, mentre,
nella pratica, da più parti, si lamentavano disfunzioni ed abusi, di
cui, in verità si rilevano testimonianze e lamentele sin dalla
autorevole dottrina dei primi anni del 900 (Bellesi, “Governo.
Appalti. Appaltatori.”, Firenze, 1904) con pregiudizievoli ricadute
sul costo finale dell’opera, sino a risolversi in una significativa
anche se posticipata lesione della concorrenza.
Da qui la
puntuale norma – art. 25 – della legge Merloni definita, da uno dei
primi e più esperti commentatori della materia (il prof. Benedetto
G. Carbone) norma di “inusitato carattere sanzionatorio”, con la
tipizzazione delle ipotesi nelle quali esclusivamente fossero
ammesse le varianti (le lettere a) B) C) ); la previsione della
responsabilità del progettista (c.2.); la sostanziale riapertura
della gara e, quindi, il ritorno alla concorrenza – nel caso in cui
le varianti avessero ecceduto il quinto dell’importo originario del
contratto.
Il codice del 2006, in attuazione della delega che
era, sovrattutto, quella di dare attuazione alle direttive,
aggiunge, alla disciplina prevista dalla legge Merloni - che,
sostanzialmente, faceva salva, - l’ulteriore previsione della
variante nell’offerta economica più vantaggiosa.
In tal modo,
l’istituto della variante, a ben vedere, si spostava dal campo
dell’esecuzione del contratto a quello della sua formazione;
impingeva nella stessa offerta, alla cui configurazione, in talune
ipotesi e con determinati limiti, poteva concorrere lo stesso
privato.
Non v’è chi non veda, come, a seguito delle indicazioni
comunitarie, l’istituto della variante assumesse una ulteriore
funzione: non solo quella di adeguamento della esecuzione del
contratto alle esigenze, anche sopravvenute, dell’amministrazione
nei limiti dell’oggetto del contratto e per fattispecie
espressamente e dettagliatamente previste, ma, altresì, quella della partecipazione delle imprese - allorché il criterio
dell’aggiudicazione era quello dell’offerta più vantaggiosa –
(dell’impresa offerente) alla configurazione, a determinate
condizioni e determinati limiti, dello stesso
progetto.
Trattavasi di una innovazione dovuta alla normativa
comunitaria, la quale, com’è noto, in un’ottica di mercato e di
favore delle imprese, specie delle piccole e medie imprese,
considerava con favore il criterio dell’offerta più vantaggiosa,
(sono note le vicende che, a proposito di questo criterio, portarono
l’Italia innanzi alla Corte di Giustizia europea) ed il ruolo
dell’impresa nel settore e nelle relative procedure.
Con l’art,
37 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge11 agosto
2014, n.114 si è di recente previsto che, fermo restando quanto già
stabilito in merito agli obblighi di comunicazione all’Osservatorio
dei contratti pubblici, per gli appalti di importo pari o superiori
alla soglia comunitaria, le varianti in corso d’opera di cui
all’art. 132 cod. degli appalti (con esclusione di quelle derivanti
da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari) di importo
eccedente il 10 per cento dell’importo originario del contratto devono essere trasmesse, unitamente al progetto esecutivo,
all’atto di valutazione e ad apposita relazione del responsabile del
procedimento, all’ANAC entro trenta giorni dall’approvazione da
parte della stazione appaltante.
Trattasi di un obbligo che
s’inquadra nel contesto del provvedimento legislativo n. 90
contenente misure urgenti, oltre che per la semplificazione e per la
trasparenza amministrativa. Trattasi di provvedimento che, com’è
noto, reca significative, penetranti norme a tale fine e,
dichiaratamente (vedasi gli atti parlamentari) a questi stessi fini,
la norma riguardante l’obbligo di comunicazione delle varianti è
stata prevista.
In tal modo, le varianti sembrano fuoriuscire
dal sinallagma funzionale del contratto, pur nella particolare
configurazione che questo assume nella contrattualistica pubblica
(pur sempre dominata, anche se immersa ormai nell’ottica
comunitaria, dalla prevalenza dell’interesse pubblico della PA) per assumere la funzione di fattispecie sintomatiche di patologie
sottostanti.
Si deve ricordare che l’obbligo della loro
comunicazione all’Osservatorio era funzionale all’originaria
missione dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici: una
vigilanza che sfociasse nella regolazione.
L’onere non viene meno
con la nuova norma, ma, senza dubbio, tutto il tenore
dell’intervento legislativo e del mutamento soggettivo – una
novazione ordinamentale saremmo tentati di dire – dell’organo
depongono per altri fini: preponderante è, al momento, l’interesse
alla lotta alla corruzione, alla sua prevenzione, ed al suo
contrasto.
E ciò risulta evidente anche dagli atti che sono stati
posti in essere.
Ed esso non può non essere tenuto presente
dall’interprete dal momento che esso non può non guidare l’azione di
quanti alle norme devono dare attuazione: si è in presenza di un
fine che per il rilievo che ha assunto a livello normativo ed
ordinamentale, di sé conforma tutte le funzioni e le connesse
esplicazioni.
7. Con i lavori complementari si torna ai
vecchi problemi – deve trattarsi di lavori non compresi nell’appalto
(la vecchia dottrina si rifaceva all’elemento dell’oggetto del
contratto) e sul progetto appaltato e divenuti necessari
all’esecuzione dell’opera del contratto iniziale a seguito di
circostanze impreviste; devono sussistere gravi inconvenienti
qualora i lavori complementari siano separati dal contratto iniziale
ovvero siano strettamente necessari al loro perfezionamento, non
possono superare il limite tassativo dell’importo complementare del
50% dei lavori principali.
Un’importanza particolare risiede
inoltre nella qualità della “connessione” dei lavori complementari
con quelli principali.
In merito, autorevole giurisprudenza
ritiene che possono ritenersi "complementari" quelle opere che, da
un punto di vista tecnico – esecutivo, rappresentino una
integrazione dell'opera principale sì da giustificare l'affidamento
e la relativa responsabilità costruttiva ad un unico esecutore.
Ed ancora, sono da ritenersi complementari soltanto quelle opere
che, da un punto di vista tecnico – costruttivo, rappresentino una
integrazione dell'opera principale saldandosi inscindibilmente con
essa sì da giustificarne l'affidamento e la relativa responsabilità
costruttiva ad un unico esecutore.
L’Autorità, nel parere AG
19-10 del 29 aprile 2010, ha ripreso e ampliato la stessa
giurisprudenza per chiarire la nozione di lavori complementari:
“possono ritenersi complementari soltanto le opere che da un punto
di vista tecnico costruttivo rappresentano un’integrazione delle
opere principali”; mentre in altra fattispecie, argomenta sempre il
parere AG 19-10, viene segnalata la differenza tra i lavori
rientranti nel piano dell’opera e dunque come tali ascrivibili a
lavori suppletivi o complementari, e “i lavori extracontrattuali
consistenti in lavori aventi una propria individualità distinta da
quella dell’opera originaria e che integrano un’opera a sé stante
(es. strada di collegamento)
8. In merito alla fattispecie
del subappalto ed alla sua nuova disciplina, dopo quanto detto dall’
avv. Conforti che ha ricostruito la storia dell’istituto del
subappalto, è appena il caso di ricordare che, come è noto, il
subappalto è il contratto, funzionalmente collegato al contratto
principale stipulato tra la stazione appaltante e l’appaltatore,
attraverso il quale quest’ultimo affida ad un terzo (il
subappaltatore) l’esecuzione parziale dell’opera, servizio o
fornitura oggetto dell’affidamento. Ai sensi dell’art. 118 del D.
Lgs. n.163/2006 se trattasi di appalto di lavori la quota massima
subappaltabile delle opere riconducibili alla categoria prevalente è
pari al 30%; per servizi e forniture invece il limite è del 30%
dell’importo complessivo del contratto di
appalto.
L’ammissibilità del subappalto è normativamente
subordinata alla sussistenza di specifiche condizioni specificate al
comma 2 del suddetto articolo: 1) che i concorrenti già in sede di
offerta o l'affidatario, nel caso di varianti in corso di
esecuzione, all'atto dell'affidamento, abbiano manifestato la
volontà di affidare le relative lavorazioni, servizi e forniture in
subappalto (indicazione rilevante ai fini della successiva
autorizzazione e la sua mancanza preclude unicamente di giovarsi del
sub affidamento); 2) che l'affidatario provveda al deposito del
contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno 20
giorni prima della data di effettivo inizio dell'esecuzione delle
relative prestazioni; 3) che al momento del deposito del contratto
di subappalto, presso la stazione appaltante, l'affidatario
trasmetta altresì la certificazione attestante il possesso da parte
del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal
Codice dei contratti, in relazione alla prestazione subappaltata e
la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei
requisiti generali; 4) che non sussista nei confronti
dell'affidatario del subappalto alcuno dei divieti previsti
dall’art. 67 D.lgs. n. 159/2011.
9. La
disciplina del subappalto nel Codice dei contratti pubblici consente
all’amministrazione aggiudicatrice di indicare, nel bando di gara,
se intende provvedere a corrispondere direttamente al
subappaltatore/cottimista l’importo dovuto per le prestazioni dagli
stessi eseguite, ovvero, in alternativa, se pagare il
subappaltatore, secondo la modalità ordinaria, per il tramite
dell’appaltatore.
Si tratta di una disposizione che, in entrambi
i casi, tutela la parte contrattualmente debole dei rapporti di
subappalto.
Infatti, se da una parte è previsto il pagamento
diretto da parte della stazione appaltante ai subappaltatori,
dall’altra è previsto l’obbligo agli affidatari di trasmettere,
entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei
loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai
pagamenti da essi effettuati nei confronti del subappaltatore entro
il termine, al fine di evitare la sospensione del successivo
pagamento a proprio favore da parte della stazione appaltante (art.
118, comma 3, Codice).
Dal lato delle stazioni appaltanti, è
innegabile che il pagamento diretto – a fronte di pur non
trascurabili oneri amministrativi – comporta dei vantaggi per le
amministrazioni aggiudicatrici le quali possono evitare i
comportamenti fraudolenti dell’appaltatore e consolidare la certezza
del loro rapporto con i subappaltatori.
La scelta della modalità
di pagamento deve ritenersi che abbia natura discrezionale, salvo il
caso delle opere superspecialistiche, per le quali si osserva una
opzione non derogabile del legislatore, operata dunque a
monte.
Come è stato correttamente osservato, il pagamento diretto
ai subappaltatori è una opzione facoltativa per l’amministrazione,
sulla quale ricade soltanto l’onere di optare per tale modalità al
momento dell’indizione del bando di gara. Nel caso in cui sia
previsto il pagamento diretto da parte della stazione appaltante,
questo potrà avvenire soltanto dopo che l’appaltatore abbia
comunicato la parte dei lavori eseguita dal subappaltatore e la
motivata proposta di pagamento con il relativo importo.
In
mancanza, vale la disciplina generale per la quale sono dettati
analiticamente obblighi a carico della stazione appaltante e la
sanzione della sospensione dei pagamenti che la stessa può
adottare.
10. Una recente modifica apportata dall’art. 13 del
decreto “Destinazione Italia” (decreto legge 23 dicembre 2013, n.
145, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 9) all’art. 118 del
Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 163/2006) pone un’ulteriore
problematica che si colloca a cavallo tra la materia dei pagamenti
di crediti anteriori (ulteriormente divaricandola), e la materia dei
contratti pubblici pendenti.
Innanzitutto, viene aggiunto un
periodo al comma tre dell'articolo 118 del codice con cui si
specifica che in caso di crisi di liquidità dell'impresa principale
(«comprovata da reiterati ritardi nei pagamenti» a valle), la
stazione appaltante può procedere al pagamento diretto dei
subappaltatori anche se questa possibilità non era stata
espressamente prevista dal bando.
In particolare, nel comma 10,
viene consentito alla Stazione Appaltante, in determinate
condizioni, di provvedere al pagamento diretto dell’importo dovuto
per le prestazioni effettuate dal subappaltatore o dal cottimista o
dalle mandanti che fanno parte dell’ATI.
La legge di
conversione, rispetto alla previsione del Decreto Legge, ha
modificato e meglio chiarito le condizioni in base alle quali è
concessa tale facoltà: il pagamento diretto non è più consentito in
relazione alle “condizioni di particolare urgenza inerenti il
completamento dell’esecuzione del contratto ”, bensì “ove
ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria
dell’affidatario ” accertate dalla Stazione appaltante e
comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori o
cottimisti.
Il nuovo comma 3 dell’art.118 del Codice dei
contratti, così come modificato, dispone infatti che: “Ove
ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria
dell'affidatario, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei
subappaltatori o dei cottimisti, o anche dei diversi soggetti che
eventualmente lo compongono, accertate dalla stazione
appaltante, per il contratto di appalto in corso può
provvedersi, sentito l'affidatario, anche in deroga alle
previsioni del bando di gara, al pagamento diretto alle mandanti,
alle società, anche consortili, eventualmente costituite per
l'esecuzione unitaria dei lavori a norma dell'articolo 93 del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5
ottobre 2010, n. 207, nonché al subappaltatore o al cottimista
dell'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite”.
La modifica chiarisce quindi meglio l’ambito di applicazione
e le modalità, stabilendo che il pagamento diretto può avvenire per
i casi di crisi di liquidità finanziaria dell’impresa appaltatrice
che siano comprovate da ripetuti ritardi nei pagamenti dei
Subappaltatori o dei Cottimisti ed accertate dalla Stazione
appaltante, dopo aver sentito l’Appaltatore.
Sempre nell’art.188,
al comma 3 bis, è stata confermata anche la norma che consente la
possibilità di effettuare i pagamenti in caso di pendenza di
procedura di concordato preventivo in continuità. Ai sensi di tale
norma “È sempre consentito alla stazione appaltante, anche per i
contratti di appalto in corso, nella pendenza di procedura di
concordato preventivo con continuità aziendale, provvedere ai
pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dagli eventuali diversi
soggetti che costituiscano l'affidatario, quali le mandanti, e dalle
società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione
unitaria dei lavori a norma dell'articolo 93 del regolamento di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.
207, dai subappaltatori e dai cottimisti” ”. La legge di
conversione ha opportunamente chiarito che tale pagamento deve
avvenire “secondo le determinazioni del Tribunale competente
per l’ammissione alla predetta procedura” di concordato.
Il nuovo comma 3-ter stabilisce infine che “la stazione
appaltante, ferme restando le disposizioni previste in materia di
obblighi informativi, pubblicità e trasparenza, è in ogni caso
tenuta a pubblicare nel proprio sito internet istituzionale le somme
liquidate con l'indicazione dei relativi beneficiari”.
Sempre in riferimento ai casi di concordato in preventivo,
si segnala la novità introdotta (dall’art. 13, comma 11 bis)
all’art. 186 bis della Legge Fallimentare di cui al R.D. n.
267/1942, in riferimento alla partecipazione alle gare di appalto
per le imprese che hanno depositato domanda di concordato con
continuità aziendale. Tale modifica prevede che “Successivamente
al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di
affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal
Tribunale, acquisito il parere del commissario
giudiziale, se nominato. In mancanza di tale nomina, provvede il
Tribunale”.
L’avv. Conforti ha brillantemente esposto, nel
suo intervento, le difficoltà ed i problemi che la nuova normativa
pone, specie all’operatore pratico.
Esse derivano, a ben vedere,
dal voler addossare alle stazioni appaltanti incombenze che esulano,
in verità, dai compiti e dalle funzioni proprie di queste strutture
della pubblica amministrazione.
Esse attengono ai rapporti
economici tra le imprese, seppure inseriti nel contratto di appalto,
ma che si caratterizzano per le difficoltose situazioni economiche
che, a prescindere dal contratto di appalto, vengono a crearsi per
qualche impresa.
In tal modo, come appresso si dirà, la
disciplina dell’appalto è piegata ad esigenze di natura diversa
dalla sua più propria causa giuridica.
11. In merito, infine,
alle misure di prevenzione antimafia e i requisiti per le
partecipazioni alle gare e di cui, per la nuova disciplina, così
bene ed analiticamente, ha parlato l’avv. Leozappa che è riuscito a
raffigurare un sistematico quadro di un variegato complesso di
misure, va rilevato che l’ANAC ha affrontato, come lo stesso avv.
Leozappa ci ha ricordato, la problematica delle misure di
prevenzione nella recente Determinazione n. 2 del 2 settembre
2014, con particolare riferimento all’applicazione dell’art. 38,
comma 1, lett. b), del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 a seguito
dell’entrata in vigore del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e le
disposte abrogazioni della Legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e Legge 31
maggio 1965 n. 575.
Posto che tra le norme intervenute e quelle
previgenti non sussiste una completa sovrapponibilità, è sorta
l’esigenza di un coordinamento tra l’art. 38, comma 1, lett. b) del
Codice dei contratti e le richiamate disposizioni del codice delle
leggi antimafia al fine di risolvere alcuni profili di criticità
sorti in ordine all’applicazione delle norme stesse nell’ambito del
sistema di qualificazione.
Deve ritenersi che il Codice delle
leggi antimafia – pur non prevedendo l’abrogazione espressa del
citato art. 38, il quale continua, quindi, ad esplicare i propri
effetti – ha senz’altro innovato la disciplina dettata da tale
disposizione, con particolare riferimento agli aspetti di seguito
indicati:
a) Partecipazione alla procedura di gara e stipula
del contratto d’appalto.
Al riguardo è stato preliminarmente
chiarito che, ai fini della verifica dei requisiti di carattere
generale dei concorrenti in sede di gara, continua a trovare
applicazione esclusivamente l’art. 38, comma 1, lett. b) del Codice
dei contratti, trattandosi di disposizione normativa sulla quale
non incidono – in relazione a tale fase della procedura – le
norme dettate dal codice delle leggi antimafia. Le verifiche
contemplate nel codice delle leggi antimafia, come emerge dal
disposto dell’art. 83 dello stesso corpus normativo attengono,
infatti, al momento immediatamente antecedente alla stipula del
contratto – e come tali sono limitate all’aggiudicatario – ed alla
fase esecutiva dello stesso. In sintesi, valgono le considerazioni
espresse dall’Autorità (in particolare) nelle determinazioni n.
1/2010 e n. 1/2012, con riferimento all’esclusione dalle procedure
di affidamento dei soggetti sottoposti a procedimenti per
l’irrogazione di misure di prevenzione antimafia ed agli strumenti
che le stazioni appaltanti possono utilizzare per effettuare i
necessari riscontri. Ai fini della stipula del contratto,
invece, occorre eseguire sull’aggiudicatario le verifiche
contemplate dallo stesso art. 38, comma 1, lett. b), così
come innovate dal codice delle leggi antimafia.
Al riguardo è
stato sottolineato che la mera pendenza del procedimento per
l’irrogazione di misure cautelari non osta alla stipula del
contratto (né all’affidamento in subappalto) ma le stazioni
appaltanti sono tenute ad effettuare i riscontri indicati
nell’art. 67, commi 3 e 6, del codice delle leggi antimafia, con
le modalità indicate nella deliberazione dell’Autorità n.
111/2012.
b) Ambito soggettivo nel sistema di
qualificazione.
Rispetto all’art. 38, comma 1, lett.
b) del Codice dei contratti, il codice delle leggi antimafia
contiene un elenco più ampio di soggetti da sottoporre a verifica
antimafia, sino ad includere anche i “(…) soggetti membri del
collegio sindacale o, nei casi contemplati dall'articolo 2477
del Codice civile, [il] sindaco, nonché [i] soggetti che
svolgono i compiti di vigilanza di cui all'articolo 6, comma 1,
lettera b) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”, come
disposto dall’art. 85, comma 2-bis.
Si deve quindi ritenere che
la verifica circa l’assenza delle cause ostative antimafia ex art.
38, comma 1, lett. b), del Codice dei contratti – richiamato
dall’art. 78 del Regolamento ai fini del conseguimento
dell’attestato di qualificazione – deve essere effettuata anche nei
confronti dei soggetti indicati dal comma 2-bis dell'art. 85 del
codice delle leggi antimafia, quale ulteriore garanzia
dell’affidabilità morale dell’impresa che intende ottenere
l’attestato di qualificazione.
c) “Pendenza” del
procedimento.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del Codice dei
contratti individua tra le cause ostative alla partecipazione alle
gare d'appalto ed alla successiva stipula dei contratti - cui va
aggiunto il rilascio dell'attestazione di qualificazione, in forza
della previsione di cui all’art. 78 del Regolamento - la mera
pendenza del procedimento per l’applicazione di una misura di
prevenzione (vedasi determinazioni n. 1/2010 e n. 1/2012). Diversamente, l 'art. 67 del codice delle leggi antimafia
prevede, invece, ai commi 3 e 6, che sia il giudice a poter
disporre in via provvisoria l'operatività dei divieti di stipula dei
contratti e di rilascio dell’attestazione SOA durante il
procedimento per l'applicazione delle misure di
prevenzione.
Tale ultima disposizione non attribuisce,
dunque, come invece l’art. 38, comma 1, lett. b), del Codice dei
contratti effetto interdittivo automatico alla mera pendenza
dei procedimenti in questione.
Ne consegue che, in applicazione
del combinato disposto delle disposizioni sopra richiamate (art. 38,
comma 1, lett. b) del Codice dei contratti ed art. 67 del codice
delle leggi antimafia), il divieto contemplato nello stesso
art. 38, comma 1, lett. b) in relazione al rilascio
dell’attestato di qualificazione, opera – non più sulla
base della mera pendenza del procedimento per l'applicazione
delle misure di prevenzione – ma sulla base di un provvedimento
espresso del giudice con il quale sia disposta in via
provvisoria l'operatività del divieto stesso durante il
procedimento per l’applicazione delle misure di
prevenzione.
d) Termini.
Altra problematica attiene ai termini per il rilascio della documentazione antimafia di
cui all’art. 84 del codice delle leggi antimafia. L’interpretazione
logico-sistematica delle norme in materia induce a ritenere sussistente la possibilità di procedere comunque
all’emissione dell’attestato di qualificazione, anche nelle more del
rilascio della comunicazione antimafia.
Ciò in considerazione
del fatto che se il legislatore ha riconosciuto la possibilità di
emettere i provvedimenti richiesti, anche nelle more del rilascio
dell’informazione antimafia (la quale ai sensi dell’art. 84, comma
3, del codice delle leggi antimafia ha il medesimo contenuto della
comunicazione antimafia, oltre l’attestazione della sussistenza o
meno di tentativi di infiltrazione mafiosa) deve ritenersi
ammesso anche procedere all’emissione dei provvedimenti in esame
anche nelle more del rilascio della comunicazione
antimafia.
Pertanto è stato ritenuto possibile procedere
all’emissione dell’attestato di qualificazione ove siano decorsi
infruttuosamente i termini per il rilascio della comunicazione
antimafia, fatta salva la facoltà di procedere alla
revoca del predetto documento ex art. 40, comma 9-ter del Codice
dei contratti in caso di successiva documentazione antimafia dalla
quale emerga, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause
di decadenza di cui all’art. 67 del codice delle leggi
antimafia.
12. I vecchi problemi, le varianti, i lavori
complementari, il subappalto e i rapporti tra appaltatori e i
subappaltatori; i requisiti per la partecipazione alle gare e le
sopravvenute norme del codice delle leggi antimafia, sembrano oggi
individuati in un nuovo scenario.
Parlare di “scenario” – melius
re perpensa – appare forse improprio e sovrabbondante: più
propriamente essi sembrano interventi normativi condizionati da due
situazioni che ci si augura contingenti: l’emergenza della
corruzione; l’emergenza della grave crisi economica che investe
sovrattutto le piccole imprese.
L’emergenza della corruzione è a
fondamento delle norme sulle varianti e di altre norme che qui si
sono considerate: ci si riferisce all’art. 19 (soppressione
dell’AVCP), e a tutto il titolo III della legge 11 agosto 2014, n.
114 di conversione del decreto legge 24 giugno 2014,
n.90.
Trattasi di norme di eccezionale portata rispetto alle
quali, già in altre occasioni, si è avuto modo di osservare che
trattasi di un intervento penetrante, di misure che, in verità,
dicemmo allora, si sarebbe auspicato di non dover essere costretti
mai a commentare.
Esse appartengono, invero, al novero delle
misure estreme, quali, appunto, il Codice penale contempla (o,
addirittura, un Codice penale di diritto speciale, qual è il codice
delle leggi antimafia).
Al contrario, il nostro ordinamento , in
passato, alla stregua di modelli che ci pervenivano da esperienze di
altri Paesi ed in attuazione, appunto, di Convenzioni
internazionali, aveva previsto, all’uopo, diverse normative
riguardanti le imprese, sia con riferimento agli obblighi dei loro
comportamenti, sia con riferimento ai modi stessi del loro
conformarsi: la stessa legge n. 231 del 2001, quella sulla
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ed, in
particolare, delle società, ne è, in questi sensi, un
esempio.
Esso, ancor prima, aveva dato luogo alla costruzione di
un ordinamento composito “in sè concluso”, per usare un’espressione
dovuta ad uno dei maggiori amministrativisti del XX secolo, il
Berti, il quale aveva particolarmente studiato il fenomeno della
degenerazione degli ordinamenti amministrativi ed aveva
continuamente indicato, quale rimedio a questa degenerazione, la
loro ricostruzione con rimedi ad essi connaturati (i controlli; la
trasparenza; la partecipazione; ecc. ) proprio per evitare il
ricorso al Codice penale.
Purtroppo, negli ultimi provvedimenti,
le misure che si configurano sono quelle estreme della normativa
antimafia dove si è discusso, e si discute, se i basilari principi
dello stesso diritto penale siano osservati e rispettati.
Non si
nega che le norme del codice delle leggi antimafia siano le
benvenute nello scenario della lotta alla mafia, ma è evidente che,
ancor più a monte, la qualificazione delle imprese (e perché no?
anche quella delle stazioni appaltanti) è ben altro problema, ed è
il vero grande problema del settore: solo una selezione seria e
rigorosa dei soggetti che possono accedere al settore - dove, tra
l’altro, non si dimentichi, vi è una enorme erogazione di ingenti
pubbliche risorse (quelle che, ci si ricordi sempre, sono le risorse
forzosamente prelevate ai cittadini), - può essere un rimedio
valido, ad ogni deprecabile forma di disfunzione.
Ed esso deve
accompagnarsi all’altro rimedio, quello della preparazione
amministrativa e tecnica delle stazioni appaltanti: anche qui, una
seria, rigorosa, preparazione professionale è la prima forma di
difesa contro la corruzione.
Essa contribuisce a quella tensione
e a quel rigore morale che è il vero antidoto contro ogni
degenerazione.
13. L’altra emergenza è quella
economica.
Ed è nell’ambito di questa che si colloca la peculiare
norma sul subappalto, quella cioè, che consente alla stazione
appaltante di pagare direttamente al subappaltatore in presenza di
difficoltà economiche dell’appaltatore: è evidente l’intento della
norma di favorire le imprese in difficoltà.
Questa materia dei
contratti pubblici sembra quasi esorbitare da una identità sua
propria, caratterizzata, com’era in antico, dalla esecuzione dei
lavori o dalla costruzione dell’opera; dalla prestazione del
servizio o dall’erogazione della fornitura.
La materia, cioè,
sembra essere sovente considerata dal legislatore come materia,
sovrattutto, lato senso meramente economica, nella quale, quindi,
intervenire per fini ulteriori rispetto a quelli nei quali la
materia era tradizionalmente considerata e trattata.
Da qui
interventi vari e nei provvedimenti più diversi (nella specie,
quello significativamente intitolato “Destinazione Italia”), con
pregiudizio però di una sistematicità di scelte e di coerenza di
disciplina.
Ma, come si è detto all’inizio e come il Dr. Rangone
chiaramente e sistematicamente ha esposto suscitando il nostro
interesse e la nostra attenzione, ora, i “vecchi problemi” e i
“nuovi scenari” sembrano quasi allontanarsi, perdere il
proscenio.
Si è infatti, alla vigilia di un nuovo evento, anzi,
l’evento è già in fieri: il recepimento delle nuove direttive.
Il
provvedimento con i principi della delega dovrebbe ormai essere
innanzi alla competente commissione parlamentare.
Il relativo
testo, oltre a prevedere provvidenzialmente il divieto di
introduzione o di mantenimento dei livelli di regolazione superiori
a quelli minimi richiesti dalle direttive come definiti dall’art. 14
comma 24 ter della legge 28 novembre 2005, n. 246, prevede altresì la “compilazione di un unico testo normativo denominato
“Codice dei contratti e delle concessioni
pubbliche”
14. Sembra, pertanto, preannunziato un
nuovo Codice dei contratti cui si aggiungono anche le concessioni
pubbliche e che, in ogni caso, dovrebbe sostituire quello
attualmente esistente con i suoi 257 articoli e il suo pedissequo
regolamento.
Nei principi di delega, in verità, sono riportati
quasi tutti i principi che regolano la materia dei contratti
pubblici e sui quali ovviamente non si può che concordare.
Ma una
forte perplessità, a dire il vero, sorge in merito all’avvento di un
del tutto nuovo plesso normativo, con tutte le difficoltà e le
implicazioni che un siffatto nuovo evento comporterà
nell’ordinamento, nell’attività amministrativa, nel complesso della
giurisprudenza, nella prassi.
C’è, infatti, da domandarsi se non
sarebbe il caso di operare con i principi che la delega detta e che
finiscono quasi per configurare, se è consentita l’espressione, una
sorta di diritto naturale della materia e di ovvi principi in tema
di semplificazione, razionalizzazione, trasparenza, pubblicità ecc.:
una rilettura del codice attuale e del pedissequo regolamento con un
ammodernamento dei principi dettati dalle nuove normative e,
procedendo, quindi, ad una semplificazione di tutto il complesso
normativo.
All’uopo dovrebbero essere di ausilio i criteri che la
speciale commissione sulla semplificazione ha, nei mesi scorsi,
formulati; non rendendo così vano tutto lo sforzo che, in sede
parlamentare, è già stato posto in essere.
Trattasi di
un’operazione politica e tecnica che richiederebbe un’apposita sede
da individuare nel nostro assetto istituzionale e che potrebbe
altresì bypassare le complesse procedure che, tralaticiamente,
vengono indicate in queste forme di deleghe per “codici”, sempre più
frequenti nella nostra esperienza normativa e, sulla quale,
peraltro, vale a dire sulla portata di essa, occorrerebbe fare un
momento di riflessione.
E, pertanto, lo stesso provvedimento di
delega andrebbe sottoposto ad una riflessione e ad un dibattito che
coinvolga i vari soggetti istituzionali e i vari ambienti
interessati alla materia.
Questo nostro odierno incontro, in
conclusione, con i sui “vecchi problemi e nuovi scenari” e che ci ha
permesso di vedere in vitro o come in un film i problemi che in
senso diacronico si pongono, con i mutamenti degli interessi che si
volevano perseguire e con i vari interventi mossi dall’urgenza che
si vogliono soddisfare, può considerarsi uno spunto o, per meglio
dire, un preavviso per i problemi che dovranno affrontarsi e sui
quali, forse, converrebbe chiamare tutti i soggetti interessati a
meglio riflettere e confrontarsi
Soggetti interessati, nel senso
più alto del termine: vale a dire soggetti interessati alla tutela
dei valori istituzionali ed economici dei quali essi sono
depositari.
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(*) Trattasi delle
conclusioni del Presidente Giampaolino al convegno I.G.I. “Vecchi
problemi e nuovi scenari” del 5 nov. 2014, Roma, NH Leonardo Da
Vinci.
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(pubblicato il
4.12.2014)
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