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n. 10-2014 - © copyright |
CARMINE VOLPE
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L’affidamento «in house»: situazione
attuale e proposte per una disciplina specifica
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. La rilevanza
plurima dell’in house. 3. Le ragioni della costruzione dell’in
house. 4. I requisiti dell’in house. 5. L’in house modello
organizzativo e modalità di affidamento. 6. L’in house nelle nuove
direttive: i requisiti. 7. Segue. L’in house nelle nuove direttive:
l’in house verticale capovolto, l’in house orizzontale e il
controllo limitato ad alcune delle attività della società. 8. Segue.
L’in house nelle nuove direttive: l’in house frazionato o
pluripartecipato. 9. Le conseguenze in tema di recepimento delle
direttive. 10. Considerazioni finali.
1.
Introduzione.
Sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea
(UE) del 28 marzo 2014 sono state pubblicate le nuove direttive del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli
appalti pubblici.
Si tratta delle direttive 2014/24/UE nei
settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti
erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei
servizi postali (settori speciali) e 2014/23/UE sull’aggiudicazione
dei contratti di concessione.
La nuova normativa è entrata in
vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale dell'UE e gli Stati membri hanno tempo per
recepire le direttive fino al 18 aprile 2016.
Le prime due
direttive sostituiscono, rispettivamente, le direttive 2004/18/CE e
2004/17/CE, mentre la terza, in tema di concessioni (di lavori e di
servizi), rappresenta novità assoluta.
Le direttive non parlano
mai di in house ma regolano il fenomeno con riguardo agli appalti e
alle concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico, o agli
appalti tra amministrazioni aggiudicatrici (per i settori speciali),
aggiudicati a una “persona giuridica di diritto pubblico o di
diritto privato”; escludendoli dall’ambito di applicazione delle
direttive. Il riferimento normativo è all’art. 12 della direttiva
appalti (2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva settori speciali
(2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (2014/23/UE);
tutte norme di identico tenore.
2. La rilevanza plurima
dell’in house.
La nozione di in house ha plurima
rilevanza.
Essa rileva, innanzitutto, ai fini del fenomeno delle
società pubbliche, tra le quali rientrano le società in house.
Occorre in primis la totale partecipazione pubblica, ma non
tutte le società a totale partecipazione pubblica sono in house,
necessitando la presenza delle ulteriori condizioni del controllo
analogo e della prevalenza dell’attività. L’in house, quindi,
costituisce una nicchia del fenomeno delle società pubbliche e si
distingue ulteriormente dall’ipotesi delle società miste, ossia dal
cosiddetto partenariato pubblico privato istituzionalizzato (PPPI),
caratterizzato dalla partecipazione sia pubblica che privata al
capitale della società.
L’in house, come si è appena visto,
rappresenta anche eccezione al principio di concorrenza e
all’applicazione delle direttive appalti.
L’obiettivo della
normativa europea è quello della costruzione di un mercato unico e
comune. Così che è necessario che non vi siano ostacoli all’entrata
nello stesso; entrata che deve essere consentita a tutti gli
operatori del settore. Di qui il principio dell’evidenza pubblica,
ossia della scelta del soggetto con il quale l’amministrazione dovrà
concludere un contratto pubblico previa applicazione di quei
principi - di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità - che
costituiscono a loro volta corollari del principio di
concorrenza.
Il carattere di “eccezione” dell’in house (affermato
anche dal Consiglio di Stato, con la sentenza dell’adunanza plenaria
3 marzo 2008, n. 1), e la conseguente sua interpretazione
restrittiva, sono confermati, da ultimo, dalla Corte di giustizia
dell’UE, con la sentenza della sez. V, 8 maggio 2014 (causa
C-15/13), nota come quella sul cosiddetto in house
orizzontale.
Ma la giurisprudenza interna appare in
controtendenza, spostando l’in house dall’ottica dell’eccezione
all’applicazione delle direttive a quella di una delle modalità
organizzative di gestione dei servizi.
Recentemente il Consiglio
di Stato (sez. V, 10 settembre 2014, n. 4599) ha ritenuto che
l'affidamento diretto, in house, lungi dal configurarsi come
un'ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici
locali, costituisce invece una delle tre normali forme organizzative
degli stessi, con la conseguenza che la decisione di un ente in
ordine alla concreta gestione di siffatti servizi, ivi compresa
quella di avvalersi dell'affidamento diretto in house (sempre che ne
ricorrano tutti i requisiti), costituisce frutto di una scelta
ampiamente discrezionale, che deve essere motivata in maniera
adeguata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la
giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità
del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente
inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed
arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto
macroscopico travisamento dei fatti.
Ciò è stato affermato sulla
premessa che, per effetto della decisione della Corte cost. 20
luglio 2012 n. 199, i servizi pubblici locali di rilevanza economica
possono essere gestiti indifferentemente mediante il mercato (ossia
individuando all'esito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto
affidatario), ovvero con il cosiddetto partenariato pubblico -
privato (ossia per mezzo di una società mista e, quindi, con una
gara a doppio oggetto per la scelta del socio e poi per la gestione
del servizio), ovvero con l'affidamento diretto, in house, senza
previa gara, ad un soggetto che solo formalmente è diverso
dall'ente, ma che di esso costituisce sostanzialmente un diretto
strumento operativo; ricorrendo in capo a quest'ultimo i requisiti
della totale partecipazione pubblica, del controllo sulla società
affidataria analogo a quello che l'ente affidante esercita sui
propri servizi e della realizzazione, da parte della società
affidataria, della parte più importante della sua attività con
l'ente o gli enti che la controllano.
Così che l’in house
rappresenta modello di gestione dei servizi di interesse economico
generale che, se affidati dagli enti locali, costituiscono i servizi
pubblici locali, in alternativa a quello dell’evidenza pubblica e
della società mista (PPPI). In tal modo era stato concepito
dall’art. 113, comma 5, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e dalla
normativa successiva. E siffatta concezione non è stata smentita
dall’art. 34, commi 20 e seguenti, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221,
che, anzi, dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4
del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,
dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, da parte della Corte
costituzionale (con la sentenza 20 luglio 2012, n. 199), è ritornato
(almeno esteriormente) all’idea alla base del citato art. 113, comma
5.
L’in house costituisce esempio di organizzazione
amministrativa in quanto l’amministrazione, attraverso di esso,
decide di non esternalizzare l’appalto o il servizio ma di procedere
in autoproduzione. La scelta, che costituisce espressione di
discrezionalità amministrativa e in quanto tale si manifesta
attraverso un provvedimento amministrativo emesso in esercizio di
potere e quindi sindacabile dal giudice amministrativo, dà luogo a
un soggetto formalmente distinto dall’amministrazione, anche se non
sostanzialmente; soggetto il quale svolge attività che altrimenti
sarebbe stata prestata dalla stessa
amministrazione.
L’operatività dell’in house esula dai confini
dei servizi pubblici estendendosi a tutta la materia degli appalti.
Tant’è vero che la prima sentenza con cui la Corte di giustizia ha
elaborato l’istituto dell’in house conseguiva ad una controversia in
materia di appalto di forniture (sentenza Teckal, 18 novembre 1999,
causa C-107/98).
L’in house è anche una modalità di affidamento e
comporta problematiche conseguenti alla sua ammissibilità e ai suoi
limiti ma anche una disciplina peculiare, soprattutto interna, che
regola la vita del soggetto in house e si distingue parzialmente da
quella inerente le altre società non in house; disciplina che
consegue all’immedesimazione, a determinati fini, tra il soggetto in
house e la pubblica amministrazione.
Connessi all’in house sono
poi diversi problemi in tema di governance della società,
ossia riguardanti le peculiarità (rispetto all’ordinario) che sono
richieste nello statuto - relativamente a poteri e organi sociali -
affinché si possa individuare il cosiddetto controllo analogo, il
quale rappresenta uno degli elementi essenziali, forse il più tipico
oltre che il più difficile da individuare in pratica, del soggetto
in house.
Comunque la finalizzazione della società di capitali
alla gestione in house di un servizio pubblico, e il conseguente
affidamento diretto (ossia senza gara) dell’appalto, non muta la
natura giuridica privata della società, ma assume rilievo
nell'ordinamento nazionale ed europeo con riguardo al mercato e alla
tutela della concorrenza (Cass., sez. lav., 23 aprile 2014, n.
9204).
3. Le ragioni della costruzione dell’in
house.
L’in house nasce dalla funzione creatrice della
giurisprudenza della Corte di giustizia e trova origine nei principi
del Trattato, tenuti sempre presenti nell’elaborazione
giurisprudenziale.
L’in house non è concepito come modello a sé
stante ma unicamente come possibilità, da parte
dell’amministrazione, di affidamento diretto di un appalto o di un
servizio prescindendo dall’evidenza pubblica. Le ragioni alla base
della costruzione della figura dell’in house trovano origine sempre
in controversie aventi ad oggetto la legittimità o meno di un
affidamento diretto, ossia senza previa gara. Ne consegue che l’in
house viene ad essere concepito dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia come eccezione all’evidenza pubblica, in quanto non si
applica il principio di concorrenza.
L’individuazione delle
ipotesi e delle condizioni in cui è consentito un affidamento
diretto, in favore di un soggetto che non è sostanzialmente diverso
dall’amministrazione affidante siccome ne costituisce branca o
braccio operativo, non dando luogo alla lesione dei principi del
Trattato e, in particolare, del principio di concorrenza proprio
perché l’autoproduzione non presenta l’alterità di soggetti,
alimenta la giurisprudenza sull’in house.
Quindi alla base della
creazione dell’in house vi sono essenzialmente ragioni di tipo
pratico; le quali connotano tutta la giurisprudenza della Corte di
giustizia [a partire dalla sentenza Teckal (18 novembre 1999, causa
C-107/98) e a finire a quella della sez. V, 8 maggio 2014 (causa
C-15/13)].
4. I requisiti dell’in house.
La Corte
di giustizia individua i requisiti dell’in house con la famosa
sentenza “Teckal” (18 novembre 1999, causa C-107/98), in materia di
un appalto di forniture. Tali requisiti vengono poi precisati e
rifiniti dalla giurisprudenza successiva della Corte medesima.
I
requisiti devono essere tutti sussistenti; la mancanza anche di uno
solo di essi non consente l’in house e, quindi, non rende legittimo
l’affidamento diretto.
In primo luogo occorre la totale
partecipazione pubblica, che distingue l’in house dal PPPI.
Va
detto subito che il requisito della totale partecipazione pubblica
non è più richiesto in maniera assoluta dalle nuove direttive
appalti e concessioni. E già non lo era, con riguardo ai servizi
pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, ai
sensi del regolamento CEE del Parlamento europeo e del Consiglio 23
ottobre 2007, n. 1370, che, all’art. 5, comma 2, lett. a),
consentiva egualmente di individuare il requisito del controllo
analogo anche in mancanza di partecipazione pubblica al 100% “a
condizione che vi sia un'influenza pubblica dominante e che il
controllo possa essere stabilito in base ad altri
criteri”.
Il requisito della totale partecipazione pubblica è
stato però sinora richiesto dalla Corte di giustizia (da ultimo,
sez. V, 19 giugno 2014, n. 574, secondo cui qualora l'aggiudicatario
di un appalto pubblico sia un'associazione di pubblica utilità senza
scopo di lucro la quale, al momento dell'affidamento di tale
appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che fanno parte
del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che
svolgono attività senza scopo di lucro, la condizione relativa al
“controllo analogo”, dettata dalla giurisprudenza della Corte
affinché l'affidamento di un appalto pubblico possa essere
considerato come un'operazione “ in house”, non è soddisfatta, e
pertanto la direttiva 2004/18 è applicabile).
Occorre inoltre il
controllo analogo, ossia che il soggetto pubblico o i soggetti
pubblici che partecipano al capitale della società hanno sulla
stessa un controllo analogo a quello che hanno sui propri servizi.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha rifinito
successivamente questo requisito, richiedendo che il controllo
analogo consista nella possibilità di determinare gli obiettivi
strategici e le decisioni significative del soggetto in house; il
quale, quindi, non deve avere autonomia gestionale.
Il controllo
deve essere effettivo, strutturale e funzionale [da ultimo, Corte di
giustizia, sez. V, 8 maggio 2014 (causa C-15/13)], ed esula da
quelli che sono gli ordinari poteri attribuiti ai soci pubblici
dagli ordinamenti degli Stati membri (si veda, ad esempio, l’art.
2449 c.c.; in tal senso, espressamente, Cons. Stato, sez. V, 13
marzo 2014, n. 1181).
La verifica in ordine alla ricorrenza dei
requisiti propri del soggetto in house deve compiersi in concreto e
in base alle previsioni contenute nello statuto della società in
forza di un’indagine empirica da effettuarsi caso per caso (da
ultimo, Cass. civ., sez. un., 26 marzo 2014, n. 7177).
E’ di
facile intuizione rilevare come in ordine all’individuazione di una
società in house non vi siano certezze assolute dipendendo il tutto
da una verifica empirica che, come varie volte ha affermato la Corte
di giustizia, è rimessa, in caso di controversia, ai giudici degli
Stati membri.
Per aversi controllo analogo è necessario che non
vi sia l’apertura del capitale del soggetto in house ai privati (da
ultimo Cons. Stato, sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 221). Al riguardo
si configura una diversa posizione della giurisprudenza della Corte
di giustizia, più largheggiante, rispetto a quella del Consiglio di
Stato, più restrittiva. La prima tende a posizionarsi al momento
dell’affidamento ritenendo che quanto accade successivamente non sia
in grado di influire sulla sua legittimità, mentre invece il
Consiglio di Stato richiede che comunque nello statuto siano
previste clausole che stabiliscono l’incedibilità delle quote di
partecipazione a privati.
La giurisprudenza della Corte di
giustizia ha anche legittimato l’in house frazionato o
pluripartecipato, configurando egualmente il controllo analogo in
caso di partecipazione di diversi soggetti pubblici, ritenendosi che
lo stesso possa essere effettuato congiuntamente e non
necessariamente da parte del singolo ente; sempreché ciascuna delle
autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi
dell'entità suddetta [sez. III, 29 novembre 2012, n. 182 (Società
Econord)].
Nella pratica si era verificata l’ipotesi di enti
locali che acquisivano una partecipazione minima (1%) di capitale di
un soggetto in totale partecipazione pubblica e conseguentemente
affidavano direttamente il servizio alla società stessa. La Corte di
giustizia, a cui si era rivolto il Consiglio di Stato nell’ambito
della decisione di un ricorso straordinario, ha ritenuto possibile
l’affidamento diretto qualora sia consentita la rappresentanza di
tutti gli enti pubblici partecipanti negli organi della società e il
controllo analogo avvenga congiuntamente, e non necessariamente, da
parte dei singoli soggetti pubblici. Come poi in pratica si
verifichi tale ipotesi consegue a un’indagine empirica rimessa al
giudice del singolo Stato membro.
La giurisprudenza nazionale (da
ultimo, Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5080) ha ritenuto
legittimo l’affidamento di un servizio pubblico (nella specie si
trattava del servizio idrico integrato) ad una società consortile
nel caso in cui sia dalle norme convenzionali che da quelle
statutarie risultino sussistenti il requisito della prevalenza
dell’attività in favore degli enti pubblici partecipanti e inoltre
l’ulteriore requisito del “controllo analogo” a quello esercitato
sui propri servizi, nella peculiare forma del controllo congiunto da
parte di più amministrazioni partecipanti ed in particolare emerga
che, in deroga alle norme civilistiche sul funzionamento delle
società per azioni, ed in conformità ai principi stabiliti dalla
Corte di giustizia, gli enti pubblici partecipanti sono posti nelle
condizioni di svolgere un controllo strategico nei confronti degli
amministratori e sui singoli atti di gestione societaria. Così che
risultano riprodotte le caratteristiche del controllo di tipo
organico che costituisce l’essenza del fenomeno dell’in house, tale
da privare di rilievo l’alterità soggettiva tra autorità pubbliche
partecipanti ed ente societario partecipato.
Le nuove direttive
appalti e concessioni hanno disciplinato anche l’in house frazionato
o pluripartecipato.
Il terzo requisito è costituito dalla
prevalenza dell’attività con l’ente affidante; ossia il soggetto in
house deve svolgere la parte più importante della propria attività
con il soggetto o i soggetti pubblici che lo controllano. Il che non
vuol dire che il soggetto in house debba svolgere esclusivamente
l’attività con i soggetti controllanti, ma che la diversa attività
svolta debba essere accessoria, marginale e residuale.
Una delle
novità delle nuove direttive appalti e concessioni è costituita
dall’aver definito la soglia minima necessaria per l’individuazione
del requisito della prevalenza dell’attività.
5. L’in
house modello organizzativo e modalità di affidamento.
In
presenza delle tre condizioni di cui si è detto il soggetto in house
è solo formalmente e non sostanzialmente distinto
dall’amministrazione o dalle amministrazioni controllanti, delle
quali costituisce una longa manus o braccio operativo; il che
legittima l’affidamento diretto.
La libertà delle amministrazioni
di autoorganizzarsi costituisce principio da sempre riconosciuto
dalla Corte di giustizia, ed è ribadito dall’art. 2 della direttiva
2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, dal
titolo “Principio di libera amministrazione delle autorità
pubbliche”. Ma il principio convive con l’altro (cardine del
Trattato) di tutela della concorrenza.
Si tratta di due principi
che non vivono su due rette parallele le quali non si incontrano
mai; essi, invece, vanno coordinati tra di loro, dato che la libertà
di autoorganizzazione se incide sul principio di concorrenza non è
più consentita; anzi essa non può mai portare al punto di chiudere
l’accesso al mercato. Anche se, secondo la Corte di giustizia, nel
caso in cui l’amministrazione affida direttamente a un soggetto in
house un servizio o un appalto essa non incide sul mercato proprio
perché non si verifica alcuna relazione di mercato, intesa come
rapporto intersoggettivo. E’ chiaro però che, nella sostanza,
l’affidamento in house toglie comunque la possibilità agli operatori
del settore di conseguire una commessa pubblica.
E allora la
chiave di volta la si trova nell’art. 106, comma 2, primo periodo,
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), secondo
cui “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse
economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono
sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di
concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti
all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica
missione loro affidata”.
Innanzitutto, nell’ambito della
gestione di servizi di interesse economico generale, ossia dei
servizi pubblici di rilevanza economica, vanno osservate le regole
di concorrenza. Solo allorquando l’applicazione delle regole di
concorrenza ostacoli l’adempimento della specifica missione affidata
ai soggetti incaricati della gestione dei servizi, consistente nella
soddisfazione dei bisogni degli utenti destinatari dei servizi, è
consentito non applicare le regole di concorrenza; e quindi affidare
direttamente a soggetto in house in deroga alla concorrenza. È
quanto accade nell’ipotesi del cosiddetto fallimento del mercato,
nozione nota agli economisti, che si verifica quando l’indizione di
una procedura di evidenza pubblica diventa antieconomica per l’ente
pubblico poiché non si trovano sul mercato soggetti interessati a
svolgere lo specifico servizio, o a svolgerlo alle condizioni
richieste.
6. L’in house nelle nuove direttive: i
requisiti.
I requisiti dell’in house sono indicati dall’art.
12, paragrafo 1, della direttiva appalti (2014/24/UE), dall’art. 28,
paragrafo 1, della direttiva settori speciali (2014/25/UE) e
dall’art. 17, paragrafo 1, della direttiva concessioni (2014/23/UE).
O meglio si parla di condizioni che devono essere tutte
soddisfatte.
I principi affermati dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia in materia di in house sono stati in gran parte
recepiti e codificati dalle nuove direttive (sulla falsariga di
quanto avvenuto con la l. 7 agosto 1990, n. 241, in materia di
procedimento amministrativo, che ha legificato diversi principi
giurisprudenziali). Ma vi sono alcune precisazioni e
novità.
All’individuazione di una relazione in house consegue,
come effetto, l’esclusione dall’applicazione delle direttive appalti
e concessioni. La relazione, ipotizzata nei riguardi di una “persona
giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”, estende i
confini dell’in house al di fuori del fenomeno delle società
comprendendovi anche gli enti pubblici; ad esempio, le aziende
speciali di cui all’art. 114 del d.lgs. n. 267/2000, definite quali
enti strumentali dell'ente locale dotati di personalità giuridica,
di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, che costituiscono
enti pubblici economici.
Per l’individuazione dell’in house è
richiesto innanzitutto il controllo analogo.
Le direttive, al
riguardo, precisano che tale condizione risulta soddisfatta qualora
l’amministrazione aggiudicatrice (o anche l’ente aggiudicatore per
le concessioni) eserciti un’influenza determinante (o decisiva, il
che è lo stesso) sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni
significative dell’affidatario in house e risolvono anche i dubbi in
tema di cosiddetto controllo analogo indiretto, in quanto si prevede
che il controllo possa essere esercitato da una persona giuridica
diversa, a sua volta controllata allo stesso modo
dall’amministrazione aggiudicatrice. Si pensi, ad esempio, alle
holding di partecipazioni, che si interpongono fra l’amministrazione
aggiudicatrice e la società beneficiaria in house, o alle società
consortili, dove gli enti pubblici esercitano il controllo della
società consortile non direttamente ma attraverso le società
consorziate, che, a loro volta, sono controllate da tali
enti.
Una precisazione delle nuove direttive riguarda il concetto
di prevalenza dell’attività. La condizione viene ritenuta
soddisfatta qualora oltre l’80% delle attività del soggetto
affidatario in house siano effettuate nello svolgimento dei compiti
ad esso affidati dal soggetto controllante direttamente o anche
indirettamente, ossia da parte di altre persone giuridiche
controllate dall’amministrazione controllante.
Viene poi indicato
cosa debba considerarsi al fine della determinazione dell’80%:
prevedendolo nel fatturato totale medio, o in un’idonea misura
alternativa basata sull'attività, quali i costi sostenuti dalla
persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei
campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni
precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione. E in
mancanza del triennio (a causa di recente costituzione o inizio
dell’attività, oppure per riorganizzazione dell’attività, con
riguardo al soggetto controllato o all’amministrazione
aggiudicatrice) o di pertinenza del fatturato e dei costi, è
sufficiente dimostrare, sulla base di proiezioni dell’attività, la
credibilità della misura dell’attività (ultimo paragrafo dell’art.
12 della direttiva 2014/24/UE nei settori ordinari, dell’art. 28
della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto nei settori
speciali e dell’art. 17 della direttiva 2014/23/UE
sull’aggiudicazione dei contratti di concessione).
Novità di
rilievo è quella in tema del requisito della totale partecipazione
pubblica. Che è sempre richiesta, ma una relazione in house viene
egualmente configurata anche in presenza di forme di partecipazione
diretta di capitali privati, a condizione che:
a) non comportino
controllo o potere di veto, attraverso le quali non può essere
esercitata alcuna influenza determinante sul soggetto
affidatario;
b) siano prescritte dalle disposizioni legislative
nazionali e quindi siano previste dalla legge;
c) la legge sia
conforme ai trattati.
E’ chiaro che l'unico elemento determinante
è la partecipazione privata diretta al capitale della persona
giuridica controllata. Mentre la partecipazione di capitali privati
nell'amministrazione aggiudicatrice controllante o nelle
amministrazioni aggiudicatrici controllanti non preclude
l'aggiudicazione diretta (ossia senza applicare le procedure
previste dalle direttive) di appalti pubblici alla persona giuridica
controllata, poiché tali partecipazioni non incidono negativamente
sulla concorrenza tra operatori economici privati (in tal senso,
espressamente, il punto 32 dei “considerando” della direttiva
2014/24/UE nei settori ordinari e il punto 46 dei “considerando”
della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di
concessione).
7. Segue. L’in house nelle nuove direttive:
l’in house verticale capovolto, l’in house orizzontale e il
controllo limitato ad alcune delle attività della
società.
Quanto previsto in tema di affidamento a un soggetto
in house vale anche per escludere l’applicazione delle direttive
agli appalti o alle concessioni aggiudicati dal soggetto in house,
che è a sua volta amministrazione aggiudicatrice, alla propria
amministrazione controllante o ad altro soggetto giuridico
controllato da quest’ultima, sempreché nell’aggiudicataria non vi
sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione
di forme di partecipazione di capitali privati di cui si è detto al
paragrafo precedente.
Il che è disposto dall’art. 12, paragrafo
2, della direttiva appalti (2014/24/UE), dall’art. 28, paragrafo 2,
della direttiva settori speciali (2014/25/UE) e dall’art. 17,
paragrafo 2, della direttiva concessioni (2014/23/UE).
Si tratta
di due fattispecie diverse.
La prima la possiamo chiamare in
house verticale capovolto e riguarda unicamente due soggetti che si
trovano in relazione di in house. Il soggetto controllato, essendo a
sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida al soggetto
controllante. Si verifica una sorta di bidirezionalità dell’in
house.
La seconda costituisce il cosiddetto in house orizzontale
e implica l’esistenza di tre soggetti. Un soggetto A aggiudica un
appalto o una concessione a un soggetto B, e sia A che B sono
controllati da un altro soggetto C. Ossia non vi è alcuna relazione
diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il
soggetto C, che controlla sia A che B.
Una recente decisione
della Corte di giustizia si è interessata del fenomeno dell’in house
orizzontale, inteso come la situazione in cui l’amministrazione o le
amministrazioni aggiudicatrici esercitano un controllo analogo su
due operatori economici distinti di cui uno affida un appalto
all’altro, oltre che del controllo limitato ad alcune delle attività
della società controllata.
Si tratta di Corte di giustizia, sez.
V, 8 maggio 2014 (causa C-15/13), la cui massima è la
seguente:
“L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della
direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31
marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di
servizi, deve essere interpretato nel senso che un contratto avente
ad oggetto la fornitura di prodotti, concluso tra, da un lato,
un’Università che è un’amministrazione aggiudicatrice ed è
controllata nel settore delle sue acquisizioni di prodotti e servizi
da uno Stato federale tedesco e, dall’altro, un’impresa di diritto
privato detenuta dallo Stato federale e dagli Stati federali
tedeschi, compreso detto Stato federale, costituisce un appalto
pubblico ai sensi della medesima disposizione e, pertanto, deve
essere assoggettato alle norme di aggiudicazione di appalti pubblici
previste da detta direttiva”.
La controversia conseguiva
all’affidamento diretto di un appalto di forniture da parte di
un’Università della Città di Amburgo (Stato federale e
amministrazione aggiudicatrice) ad una società tedesca. La Corte di
giustizia, come di solito, viene investita del problema conseguente
alla legittimità di siffatto affidamento diretto a seguito della
contestazione innanzi al giudice tedesco da parte di un operatore
del settore.
Nella specie, tra l’Università tedesca e la società
non vi era alcun rapporto di controllo in quanto la prima non aveva
partecipazioni nella seconda. Tuttavia, la Città di Amburgo, Stato
federale tedesco, controllava, assieme alla Repubblica federale di
Germania e ad altri Lander tedeschi, sia la società che
l’Università. In tal modo sia la società che l’Università erano
controllate dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, la Città di
Amburgo. La questione viene rimessa alla Corte da parte del giudice
di appello tedesco che, configurando nella specie la possibilità di
un in house orizzontale, prefigura la legittimità dell’affidamento
diretto; che viene invece escluso dalla Corte di giustizia sulla
base di due considerazioni.
La prima, consistente nella
circostanza che l’affidamento è disposto da un’amministrazione
aggiudicatrice (l’Università della Città di Amburgo) a favore di una
società nella quale l’Università non detiene alcuna partecipazione
nel capitale e non ha alcun rappresentante legale negli organi
direttivi della stessa.
La seconda, fondata sul fatto che il
controllo esercitato dalla Città di Amburgo sull’Università si
estende solo a una parte dell’attività di quest’ultima, ossia solo
in materia di acquisizioni e non anche ai settori dell’istruzione e
della ricerca, nell’ambito dei quali l’Università dispone di ampia
autonomia. Cosicché in una situazione di controllo parziale non è
configurabile il controllo analogo, venendo meno la possibilità di
determinare (tutti) gli obiettivi strategici e (tutte) le decisioni
significative del soggetto controllato. Pertanto, considerato che
l’oggetto dell’affidamento dell’Università alla società riguarda
l’attività di istruzione svolta dall’Università stessa, sulla quale
attività non è ipotizzabile alcun controllo analogo da parte della
Città di Amburgo, e data l’inconfigurabilità di un in house
parziale, nella specie l’affidamento senza gara viene ritenuto
illegittimo siccome in violazione delle regole di concorrenza.
La
decisione della Corte di giustizia avalla così l’in house
orizzontale, ma richiede che il controllo, per configurasi analogo,
debba essere totale e non limitato solo ad alcune delle attività
svolte dal soggetto controllato.
8. Segue. L’in house
nelle nuove direttive: l’in house frazionato o
pluripartecipato.
L’art. 12, paragrafo 3, della direttiva
appalti (2014/24/UE), l’art. 28, paragrafo 3, della direttiva
settori speciali (2014/25/UE) e l’art. 17, paragrafo 3, della
direttiva concessioni (2014/23/UE) chiariscono anche le modalità
attraverso cui le amministrazioni pubbliche in possesso di
partecipazioni di minoranza possono esercitare egualmente il
controllo analogo, codificando l’in house frazionato o
pluripartecipato. Ossia consentendo che un'amministrazione
aggiudicatrice, la quale non eserciti di per sé su una persona
giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del
paragrafo 1, possa lo stesso affidare direttamente un appalto a tale
persona giuridica.
Le condizioni richieste, tutte da soddisfare,
sono:
a) l'amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente
con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona
giuridica affidataria analogo a quello da esse esercitato sui propri
servizi;
b) oltre l'80 % delle attività dell’affidataria sono
effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle
amministrazioni aggiudicatrici controllanti direttamente o
indirettamente da altre persone giuridiche controllate dalle
amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi;
c) nella persona
giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di
capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di
capitali privati che non comportano controllo o potere di veto,
prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità
dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla
persona giuridica controllata.
Si tratta delle condizioni
richieste al paragrafo 1 per la configurazione di una relazione in
house, con la peculiarità che il controllo non è più personale ed
esclusivo ma congiunto (ossia assieme agli altri soggetti
partecipanti nel capitale del soggetto affidatario).
E in che
consista il controllo congiunto prescritto dalla lett. a) viene a
sua volta definito dalle direttive.
Le amministrazioni
aggiudicatrici esercitano il controllo in modo congiunto con le
altre qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a)
gli organi decisionali dell’organismo controllato devono essere
composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti,
ovvero, da soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci
pubblici partecipanti. Ossia ogni soggetto pubblico partecipante
deve essere comunque rappresentato negli organi decisionali del
soggetto affidatario;
b) i soci pubblici devono essere in grado
di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli
obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo
controllato;
c) l’organismo controllato non deve perseguire
interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici
partecipanti.
Anche qui l’individuazione di tutte le condizioni
richieste per la sussistenza del controllo congiunto, soprattutto
con riguardo alla lett. b), passa attraverso l’indagine empirica
delle disposizioni dello statuto della società
affidataria.
9. Le conseguenze in tema di recepimento
delle direttive.
È evidente che nelle nuove direttive l’in
house viene visto come eccezione alle stesse. E’ quindi considerato
prioritariamente il rilievo eccezionale dell’in house, come una
delle fattispecie che rimane al di fuori dell’ambito applicativo
della disciplina delle direttive appalti pubblici e concessioni.
Così che si crea una sorta di linea di confine; da una parte le
direttive e dall’altra l’in house.
L’eccezione consegue alla
circostanza che si è in presenza di appalti o di concessioni tra
enti, o amministrazioni aggiudicatrici, nell’ambito del settore
pubblico.
Inoltre, secondo le direttive si può parlare di in
house allorquando esiste una relazione di controllo tra il soggetto
affidante e il soggetto affidatario, altrimenti, in mancanza di
questo elemento, si è semmai in presenza del fenomeno del
partenariato pubblico-pubblico, ossia della cooperazione
pubblico-pubblico non istituzionalizzata tra due o più
amministrazioni aggiudicatrici; fenomeno che anch’esso, e a
determinate condizioni, non rientra nell’ambito di applicazione
delle direttive ma esula dalla fattispecie dell’in house.
Si
tratta pur sempre di contratti conclusi nell’ambito del settore
pubblico astrattamente soggetti all’applicazione delle direttive in
materia di appalti e concessioni poiché deve essere comunque
garantito il principio di concorrenza, ma nei quali non vi è alcuna
relazione di controllo tra il soggetto affidante e il soggetto
affidatario. La cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici (o
enti aggiudicatori) è disciplinata, fissando le condizioni che
consentono l’esclusione dall’applicazione delle direttive, dall’art.
12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE nei settori ordinari,
dall’art. 28, paragrafo 4, della direttiva 2014/25/UE sulle
procedure d’appalto nei settori speciali e dall’art. 17, paragrafo
4, della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di
concessione.
Il recepimento delle direttive in materia di in
house dovrà comportare:
- la previsione dell’in house anche in
materia di lavori, servizi e forniture, e non solo di servizi
pubblici locali come è stato finora;
- una prima disciplina
completa in tema di servizi pubblici locali, andando al di là del
ristretto ambito fissato dai commi da 20 a 27 dell’art. 34 del d.l.
n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n.
221/2012;
- una disciplina dei servizi pubblici in parte comune
con quella degli appalti pubblici, che consegue all’attuazione delle
norme e dei principi del TFUE, nonché dei principi della
giurisprudenza della Corte di giustizia; ai quali le medesime
direttive non possono non conformarsi.
10. Considerazioni
finali.
Nell’ambito della prossima e necessaria attività di
riordino normativo degli appalti pubblici e delle concessioni l’in
house non potrà non avere un suo spazio. E’ arrivato il momento che
tutta la relativa elaborazione giurisprudenziale sul tema, a partire
dalla famosa sentenza Teckal, trovi la sua sistemazione
normativa.
Il recepimento delle direttive da parte del diritto
interno non potrà che essere uniformato alle stesse. Il contenuto
delle relative disposizioni delle direttive, infatti, è più che
dettagliato e incondizionato, trattandosi di normativa già di per sé
autosufficiente.
Sulla strada della semplificazione normativa
oltre che della particolare forza del diritto europeo, quanto
disposto dalle direttive in materia di in house andrebbe recepito
pressoché pedissequamente. Se così non fosse si potrebbe andare
incontro a problematiche conseguenti all’interpretazione e ai
rapporti tra le due normative; il che, in un ambito di confine tra
quello che rientra nell’applicazione delle nuove direttive e quello
che ne rimane al di fuori, non è certo da augurarsi ai fini di
certezza del diritto e di effettività di tutela delle situazioni
giuridiche.
Tra l’altro, come si è visto, tutte le problematiche
connesse all’in house conseguono alla determinazione della
legittimità o meno di un affidamento diretto. Così che, incidendo
sulla legittimità dell’agire amministrativo, è evidente l’esigenza
di individuare con certezza una relazione di in house.
Al
proposito, l’accertamento del controllo analogo, che è uno degli
elementi necessari perché ci possa essere un in house, consegue
all’esercizio, sul soggetto affidatario, di “un’influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni
significative della persona giuridica controllata”. E si è visto
come l’individuazione di questa condizione presuppone un’indagine di
tipo empirico sullo statuto del soggetto controllato e sui poteri
attribuiti agli organi sociali; indagine che è demandata
all’amministrazione ai fini dell’affidamento oppure al giudice
investito della legittimità dell’affidamento stesso.
Allo stesso
modo dicasi per l’individuazione del controllo congiunto nell’in
house frazionato o pluripartecipato.
Ed è questo il punto intorno
al quale ruotano le maggiori problematiche dell’in house. Dovendo
necessariamente l’elemento del controllo analogo, singolo o
congiunto, conseguire ad un accertamento concreto, ne derivano due
alternative:
- o la norma interna riesce a definire quelli che
sono gli elementi minimi necessari per l’individuazione del
controllo analogo; ma il dettaglio spesso non paga dato che la
casistica offre sempre nuove fattispecie e soluzioni;
- o ci si
deve rimettere all’interpretazione giurisprudenziale, come avvenuto
finora, da parte della Corte di giustizia innanzitutto e del giudice
nazionale poi.
L’auspicio comunque è quello che l’emananda
disciplina di recepimento non perda di mira quelli che devono essere
gli obiettivi principali: tutela della concorrenza e creazione di un
mercato comune, semplificazione e trasparenza, nonché previsione di
un sistema normativo efficiente, efficace ed economico.
Il che se
avverrà non potrà che avvantaggiare l’applicazione che della
normativa deve dare la giurisprudenza, troppo spesso impegnata con
fatica nell’individuazione e nell’interpretazione delle regole da
applicare in una moltitudine di disposizioni di rango e provenienza
diversi, infinite, troppo numerose e di inutile dettaglio, oltre che
spesso poco chiare e contraddittorie.
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(pubblicato il
29.10.2014)
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