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n. 10-2014 - © copyright |
ANDREA LONGO
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Il sequestro dell’informazione
telematica: le garanzie costituzionali tra struttura e funzione. Minime
riflessioni suggerite dalla sentenza n. 10594/2014 della Corte di
Cassazione (sez. V penale, 5 novembre 2013 – 5 marzo 2014)
1. La decisione in esame concerne la
sequestrabilità preventiva dei giornali telematici, nell’ambito del
procedimento penale. Tale problema, ovviamente, possiede un
importante profilo costituzionale, ridondando sull’estensibilità
delle garanzie ex art. 21 Cost. al materiale pubblicato in
rete.
Una prima lettura della sentenza potrebbe indurre a
pensare che tali spazi informatici, ad avviso della Suprema Corte,
non godano delle stesse tutele costituzionali della stampa.
Tuttavia, se questo è innegabile per ciò che attiene alla “porzione
di tutela” riguardante il sequestro (e, dunque, alle garanzie ex art. 21, comma 3, Cost.), da una lettura più attenta della
decisione, invece, si evince una situazione complessa per quel che
riguarda, in generale, la riconducibilità dei siti informatici sotto
l'alveo della più ampia tutela costituzionalistica. Situazione
che sembra disegnare una sorta di assimilazione “a macchia di
leopardo” di giornalismo stampato e giornalismo telematico, in forza
della quale quest’ultimo in parte ricade sotto la tutela
costituzionale e in parte ne viene escluso.
La sentenza che
qui si commenta decide il ricorso avverso un provvedimento del
Tribunale del riesame di Roma che aveva confermato il decreto di
sequestro preventivo di alcuni articoli (potenzialmente
diffamatori), pubblicati su un giornale telematico.
Avverso il
provvedimento del giudice del riesame, la difesa degli imputati
aveva mosso un duplice ordine di censure: in primo luogo, sostenendo
che le garanzie previste in Costituzione, per la libertà di stampa,
andassero estese (analogicamente) anche ai giornali telematici[1];
in secondo luogo, affermando che il giudice del riesame non avesse
preso in considerazione l’accertamento del fumus commissi
delicti, ossia, nel caso di specie, non avesse vagliato la
veridicità della notizia. La prima censura viene respinta, la
seconda accolta.
Per ciò che attiene al primo punto, il
ragionamento del giudice di legittimità muove dall'argomento della
non assimilabilità tra siti web e stampa tradizionale. In
realtà la motivazione appare muoversi su due piani non perfettamente
congruenti: da un lato, si afferma la differenza tra carta stampata
e informazione telematica in forza di alcuni criteri
strutturali; dall’altro, si riconosce che, funzionalmente, i giornali telematici perseguono lo stesso
obiettivo della stampa classica.
La differenziazione
strutturale è, a sua volta, sostenuta da due distinte
argomentazioni: in primo luogo, si pone attenzione alla vera e
propria diversità fisica tra stampa e telematica (non
esistendo una rex estensa non sarebbe possibile parlare di
sequestro vero e proprio); in secondo luogo, si sottolinea l'idea
che il termine “stampa” sia usato in Costituzione in senso
tecnico, riferendosi unicamente alla “carta stampata”[2].
Tuttavia, nonostante questi assunti (che rimangono fermi e
determinanti per la decisione), la Cassazione riconosce la prossimità funzionale tra "carta stampata" e giornali
telematici: «È ovvio ... che il giornale telematico, pur non
rientrando nel concetto di stampa, è comunque funzionalmente un
giornale». Proprio tale profilo di somiglianza, determina, ad avviso
del supremo giudice di legittimità, una sorta di protolesione del principio di eguaglianza, una "situazione di tensione" sul
piano delle garanzie costituzionali[3]. La salomonica conclusione
del giudice di legittimità è quindi che «La distinzione (e
l’esclusione del mondo del web dalle tutele riservate alla
stampa) non è dunque né irragionevole, né iniqua, fermo restando che
un interevento del legislatore (anche a livello costituzionale, come
“tentato” negli anni passati) sarebbe quanto mai
auspicabile»[4].
Come detto, la Corte accoglie il secondo
motivo, ritenendo che il giudice del riesame male avesse fatto a
limitare il proprio giudizio alla astratta configurabilità del reato
senza accertare «in modo puntuale e coerente» le concrete risultanze
processuali e la effettiva situazione, emergente dagli elementi
forniti dalle parti. Infatti, «il giudicante richiesto di valutare
la fondatezza di un provvedimento cautelare reale, non può,
evidentemente, trascurare la valutazione di una causa di esclusione
dell'antigiuridicità, quale certamente è l’esercizio di un diritto.
Ne consegue che, in tema di diffamazione, il sequestro preventivo di
un mezzo di comunicazione (diverso dalla stampa) in tanto potrà
essere disposto, in quanto non emerga ictu oculi la probabile
sussistenza di una causa di giustificazione e in particolare di
quella ex art. 51 c.p. sub specie del diritto di cronaca e/o di
critica»[5].
Come detto, dalla sentenza in esame emerge una situazione complessa per quanto riguarda l’assimilabilità tra
carta stampata e giornali informatici. Da un lato, tale
assimilazione è posta sul piano funzionale: i siti web (soprattutto i giornali telematici) ricadrebbero sotto la generica
garanzia dell’art. 21 Cost., rappresentando una forma qualificata di
manifestazione del pensiero (e, per questo, potrebbe essere invocata
la scriminante ex art. 51 c.p., dell'esercizio di un diritto,
per ciò che attiene alla diffamazione). Dall’altro lato, tale
assimilazione è negata sul piano oggettuale, tanto da respingere
l’idea della estensione delle garanzie processuali in tema di
sequestro preventivo (ex art. 21, commi 2 e 3, Cost.). La
sentenza, insomma, pur affermando che entrambe le forme di
manifestazione del pensiero ricadono sotto l'egida dell’art. 21
Cost., sembra disegnare un’area forte di tutela, riservata alla
stampa cartacea, ed un area debole, nella quale ricade
l'informazione telematica.
Prima di esprimere le nostre
considerazioni sul merito di tale decisione, vogliamo ripercorrere
brevemente il quadro giuridico nel quale si inserisce tale
problematica.
2. Secondo una nota quanto autorevole
tradizione liberale[6], si ritiene che, fra tutte le libertà civili,
quella di manifestazione del pensiero rivesta un ruolo fondamentale,
la «pietra angolare dell’ordine democratico»[7], poiché «se di una
libertà può parlarsi, questa è la libertà di esprimere le proprie
idee, e cercare in ogni modo di divulgarle; la libertà di tentare di
persuadere gli altri»[8]: la libertà di pensiero, come
ellitticamente viene chiamata, ha dunque un valore centrale in un
ordinamento democratico, «al cui corretto funzionamento concorre
come presupposto e condizione di ogni altro istituto»[9].
Il
problema che qui viene in rilievo è la relazione tra manifestazione e divulgazione, (atto quest’ultimo
intrinsecamente legato alla specificità del mezzo utilizzato) e se
la tutela costituzionale conosca o meno temperamenti nel passaggio
dall'una altra. La formula costituzionale indica, insieme e
congiuntamente, il diritto di esprimersi liberamente («di
manifestare liberamente il proprio pensiero») e il diritto di
utilizzare ogni mezzo allo scopo di portare l’espressione del
pensiero a conoscenza del massimo numero di persone («con la parola,
lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione»): si tratta, dunque,
di una norma connessa alla stessa essenza della democrazia[10] (il
cui valore, per la vita politica di un paese, sembra oggi
reincanalarsi nelle moderne forme di internet[11]).
Si è discusso
a lungo se l'espressione ed il mezzo dell’espressione sottendano a
due diversi diritti ovvero la norma esprima un’endiadi; a chi
scrive, sembra preferibile questa seconda soluzione che sottolinea
il carattere strumentale (ma necessario) del mezzo di diffusione
rispetto alla manifestazione del pensiero e che, conseguentemente,
ritiene coperta dalla stessa garanzia costituzionale
“manifestazione” e “diffusione” del pensiero. Infatti, nonostante
l’inconfigurabilità di un vero e proprio «diritto al mezzo»[12], è
stato sostenuto autorevolmente che la garanzia costituzionale de
qua abbia per oggetto unitariamente il «libero uso dei mezzi di
diffusione» del pensiero, o quanto meno «la libera utilizzazione in
condizione di uguaglianza»[13].
Aderendo a questa linea, la
Corte Costituzionale ha negato l'esistenza di una netta separazione
tra manifestazione e divulgazione del pensiero[14] ed ha anzi
ribadito il «nesso di indispensabile strumentalità» che lega la
divulgazione alla manifestazione[15].
3. Pertanto, se stampa cartacea e “stampa” telematica sono distinguibili sotto il
profilo strutturale (in relazione cioè al supporto fisico che le
ospita) ma assimilabili sotto quello funzionale (vale a dire
l’essere destinate alla pubblicazione o comunque alla diffusione),
allora la possibilità di far ricadere o meno il materiale pubblicato
in Internet nell'ambito delle garanzie ex art. 21 Cost.
(soprattutto in relazione al comma 3) si risolve, sul piano
logico-argomentativo, in un giudizio di prevalenza di un profilo
rispetto all'altro: nella scelta ermeneutica di valorizzare la
struttura o la funzione. Scelta che, ad avviso di chi scrive,
deve essere formulata tenendo conto del quadro normativo nel quale
si inserisce tale dilemma.
Per ciò che attiene la definizione di
“stampa” si può certamente registrare una forma di evoluzione nel
sistema giuridico: tale concetto sembra aver progressivamente
abbandonato l’aggancio strutturale alla carta stampata per muoversi
verso una definizione sempre più ampia che abbracci anche le nuove
forme informatiche e telematiche.
La norma di cui all’art.
1 della l. n. 47/48 – la quale sancisce che “sono considerate
stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni
tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o
fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione” – marca i termini del problema, ipostatizzando la distinzione cui
accede nella propria decisione la Corte di Cassazione. Già
leggendo la disposizione, infatti, viene in evidenza che stampa
cartacea e stampa telematica possiedono una profonda discrasia
strutturale (non si può certo affermare che un giornale on-line sia una “riproduzione tipografica”) ma un'altrettanto
profonda prossimità funzionale (sono entrambe destinate alla
pubblicazione).
Il legislatore, intervenendo in materia con la
legge 7 marzo 2001, n. 62[16], ha emendato la oramai datata
formulazione originaria[17], cominciando ad erodere quella discrasia
cui sopra facevamo cenno tramite una prima estensione della nozione
di “prodotto editoriale”: anzitutto all'art. 1, comma 1, è stato
previsto che «per prodotto editoriale, ai fini della presente legge,
si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso
il libro, o su supporto informatico, destinato alla
pubblicazione o, comunque, alla diffusione di
informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche
elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva,
con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici» (corsivi
nostri); al comma 3, poi, viene prescritto che a tale prodotto «si
applicano le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 8
febbraio 1948, n. 47. Il prodotto editoriale, diffuso al pubblico
con periodicità regolare e contraddistinto da una testata,
costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto,
altresì, agli obblighi previsti dall’art. 5 della medesima legge n.
47 del 1948».
Come detto, tale nuova definizione sembra
connotarsi per una prevalenza degli elementi funzionali (la
destinazione alla pubblicazione e la periodicità). Inoltre, anche
quello che in sé potrebbe essere considerato un elemento strutturale
(la testata che costituisce un elemento identificativo del prodotto)
viene sganciato dal riferimento materiale del supporto
cartaceo.
Con questo intervento, il legislatore ha cominciato ad
equiparare alla stampa tradizionale le nuove forme di manifestazioni
del pensiero proprie dell’era digitale; ne è ulteriore prova la
disciplina riguardante la registrazione delle testate
periodiche[18]. Anche sotto tale profilo, infatti, sembra perdere
valore l’elemento strutturale a favore di quello funzionale,
divenendo dirimente, per l’iscrizione nel registro della stampa
l’elemento (funzionale) della regolare diffusione periodica,
piuttosto che quello (strutturale) della natura (fisica o digitale)
del supporto.
Tuttavia, nonostante la nuova normativa, il
dibattito ed i problemi interpretativi sono tutt’altro che conclusi.
Se, infatti, da un lato – attraverso la legge 1 marzo 2002, n.
39[19], all’art. 31, 1 co. lett. a) – il legislatore ha chiarito,
con interpretazione autentica, che la registrazione delle testate
telematiche non è condicio sine qua non per beneficiare delle
provvidenze previste dalla l. n. 62/2001[20]; dall'altro lato,
rimane innegabile che alcune differenze nel regime fiscale
permangono a seconda che si discorra di carta stampata o di
periodici on-line[21].
In definitiva se, sul piano
della nozione legislativa, non si può affermare l'assoluto venir
meno della distinzione tra la “stampa” e i nuovi mezzi di
comunicazione di massa offerti dalla telematica, sembra tuttavia
potersi sostenere con ragionevole certezza che tale distinzione stia
perdendo di forza all'interno del sistema.
Per ciò che attiene
alla proiezione sovranazionale del problema in oggetto,
bisogna sottolineare che la libertà d’informazione, quale interesse
generale all’informazione – sotto il duplice profilo attivo di
libertà di informare e passivo di libertà di ricevere le
informazioni[22] – è stata, da tempo, oggetto di tutela: gli artt.
10 e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e
l’art. 10 della Convenzione Europea dei diritto dell’uomo tutelano
la libertà di pensiero come libertà di formare liberamente il
proprio pensiero e la libertà di espressione come libertà di
comunicare liberamente le proprie idee ed opinioni.
La Corte
Europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di pronunciarsi a
proposito dell’informazione telematica, manifestando una particolare
sensibilità e protezione a favore dei nuovi mezzi di comunicazione
che i legislatori e le corti di giustizia nazionali non sembrano
accordare.
Sul punto la Corte di Strasburgo ha sottolineato come
l’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo non
concerne solamente il contenuto delle informazioni ma anche i mezzi
di trasmissione, poiché le restrizioni che concernono i mezzi
incidono anche sulla libertà di ricevere e comunicare le
informazioni[23].
Internet è stato riconosciuto come
strumento di informazione e di comunicazione da distinguersi
rispetto agli altri media, specialmente quelli su carta, in
considerazione della più elevata capacità di memorizzazione e
trasmissione delle informazioni[24].
La Corte EDU ha, inoltre,
riconosciuto l’obbligo per gli Stati di approvare un sistema
normativo idoneo ad assicurare, anche e soprattutto in ambito
telematico, una tutela effettiva della libertà di espressione[25].
Va tuttavia tenuto presente che, nel diritto della Convenzione (come
in quello UE), sembra affermarsi l’idea di un bilanciamento tra la
libertà di espressione (e informazione) ed il diritto al rispetto
della altrui reputazione (aspetto nel quale appare evidente la
capacità lesiva di Internet[26]).
Nell'ambito squisitamente
penalistico, ritroviamo una medesima situazione di ambiguità circa
l’assimilabilità di stampa cartacea e stampa telematica: sotto
alcuni profili, infatti, le due situazioni appaiono equiparate,
sotto altre distinte[27].
Ad esempio appare pacifica la
potenzialità lesiva che una pubblicazione tramite internet possiede
nei confronti dell’onore e della reputazione degli individui; in tal
senso, secondo la giurisprudenza di legittimità, «deve allora
concludersi ribadendo che i siti elettronici sono soggetti agli
stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione,
incontrando tutti i limiti previsti dalla legge
penale»[28].
D'altra parte, invece, il problema della
responsabilità oggettiva (ex art. 57 c.p.), ad esempio,
permane, allo stato, certamente irrisolto: così, in presenza di un
organo di informazione telematico, regolarmente registrato e dotato
di un direttore responsabile, non sono mancate pronunce
reciprocamente contraddittorie, alcune delle quali hanno affermato
la penale responsabilità ex art. 57 c.p. anche al titolare
responsabile del sito, mentre altre hanno dichiarato
l’inapplicabilità della previsione de qua[29].
4.
Giungendo ora al problema affrontato nella decisione in esame, è
chiaro che il piano processual-penalistico e il piano costituzionale
si saldano logicamente.
Sul punto, ancora, si riscontrano non
poche ambiguità: da un lato, la giurisprudenza di legittimità
sottolinea come la diffusione del pensiero tramite Internet ricada
sotto la generale egida dell’art. 21 Cost., dall'altro, nega che ad
essa si possano estendere tutte le garanzie (in tema di sequestro)
di cui gode la stampa periodica.
Sotto il primo profilo,
basti por mente al problema del sequestro di un intero sito (o anche
soltanto di una pagina) nel caso in cui sia presente (anche) del
materiale personale (del titolare) non pertinente all’indagine; in
tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha sancito che tale
materiale debba essere prontamente restituito, secondo il disposto
dell’art. 254 c.p.p., affermando che occorre «prendere le mosse
dall’art. 21 della Norma Fondamentale (ma anche in ambito
sovranazionale dall’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo nonché dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea) che tutela l’esercizio dell’attività
d’informazione, le notizie di cronaca, le manifestazioni di critica,
le denunce civili con qualsiasi mezzo diffuse in quanto espressione
di un chiaro diritto di libertà: quello della manifestazione del
proprio pensiero. Nessun ostacolo può, quindi, sussistere nel
ritenere la diffusione di un articolo giornalistico a mezzo internet
quale concreta manifestazione del proprio pensiero, che non può,
quindi, trovare limitazioni se non nella corrispondente tutela di
diritti a pari dignità costituzionale e nel rispetto, altresì, delle
norme di legge, di grado inferiore, con le quali il legislatore
disciplina, in concreto, l’esercizio delle attività dianzi indicate. Il sequestro preventivo, a sua volta, allorché cada su di un
qualsiasi supporto destinato a comunicare fatti di cronaca
ovvero espressioni di critica o ancora denunce su aspetti della vita
civile di pubblico interesse, non incide solamente sul diritto di
proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione, ma su di un
diritto di libertà che a dignità pari a quello della libertà
individuale»[30].
Per ciò che attiene al secondo profilo, il
diritto vivente sembra concludere che l’informazione telematica
non sia qualificabile come stampa e che alla stessa non possa
applicarsi la garanzia di cui all’art. 21, comma 3, Cost. in tema di
sequestro della pubblicazione, proprio perché una
“pubblicazione” o “stampa” in senso tecnico (o, meglio, fisico) non
vi è. Orientamento che privilegia quella lettura che sopra abbiamo
definito come strutturale e che appare sempre più datata alla
luce del sistema normativo. In definitiva, qualora l’informazione
telematica incriminata sia contenuta in un sito che, a sua volta,
costituisca organo d’informazione in tutto e per tutto assimilabile
alla stampa cartacea[31], diviene difficile comprendere la ragione
ostativa all’estensione del divieto di sequestro previsto dall’art.
21 Cost..
Ad avviso della Corte di Cassazione, tuttavia, «la
norma costituzionale [l’art. 21 Cost.] dovrebbe essere interpretata
in senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute
ed ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma da questo
assunto, non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione
del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing
list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in
blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai
sensi dell’art. 21, comma 3, Cost., prescindendo dalle
caratteristiche specifiche di ciascuno di essi. In realtà i messaggi
lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può
essere aperto a tutti indistintamente, a chiunque si registri con
qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione)
sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati
in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o
privato) e, così come quest’ultimi, anche i primi sono mezzi di
comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di
informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di
stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano
le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma
costituzionale»[32].
5. Come detto, il percorso argomentativo
della Cassazione delinea una sovrapposizione solo parziale tra carta
stampata e informazione telematica: da un lato, vi è una
comunanza funzionale (l’essere destinati entrambe alla
divulgazione del pensiero), dall’altra una distanza
strutturale che attiene, per così dire, al supporto che
costituisce il sostrato materiale dell’una e dell’altra. Proprio su
quest’ultima differenza si basa la decisione in esame che non
ritiene di poter estendere le garanzie processuali della carta
stampata in via analogica. Facendo leva su quanto emerge dal dato
normativo, il supremo giudice di legittimità ritiene che tale ultima
connotazione sia sufficiente a marcare la differenza di tutela tra
le due situazioni.
L'esito di questo ragionamento, come
anticipato all'inizio di questo lavoro, è che la tutela ex art. 21 Cost. possiede, da un lato, un’area “forte” che
sostanzialmente si risolve nelle garanzie di cui al comma 3 della
norma costituzionale e che non può essere applicata ai siti
informatici; dall’altro, esiste un’area “debole” di tutela che
riguarda, in generale, le garanzie della manifestazione del pensiero
e che, invece può, essere applicata al web.
In chi scrive
la decisione in oggetto lascia non pochi dubbi sotto molteplici
aspetti.
In primo luogo, dal punto di vista
teorico-generale, l’idea di far prevalere il profilo strutturale
su quello funzionale, per decidere la possibilità di un’estensione
analogica, appare erroneo: la miglior dottrina insegna che alla base
di un’analogia vi è (o almeno dovrebbe esserci) l’eadem ratio tra due diverse fattispecie, il medesimo scopo che esse perseguono:
in tale similitudine si pone quella «somiglianza rilevante» che è
alla base di ogni operazione analogica. Ignorando tale insegnamento
il supremo giudice di legittimità, invece, considera il profilo
funzionale argomentativamente recessivo[33].
In secondo luogo, dal punto di vista pratico-consequenzialista, tale estensione
avrebbe condotto ad un ampliamento delle tutele cui possono godere
indagati ed imputati all'interno del processo penale; dunque ad
un’operazione, quanto meno sotto l'aspetto processual-penalistico, in bonam partem. Elemento questo che dovrebbe possedere forza
determinante all'interno di un sistema giudiziario improntato al
garantismo.
In terzo luogo, sotto il profilo
ricostruttivo-dogmatico del diritto di manifestazione del
pensiero, tale prevalenza dell’elemento strutturale sembra
negare sia le ricostruzioni dottrinali più autorevoli (che vedono la
complementarietà del messaggio e del mezzo) sia lo spirito del
contesto normativo che (in ambito nazionale e sovranazionale) volge
verso la progressiva approssimazione (sarebbe, in effetti troppo
parlare di equiparazione) di stampa e web.
Infine, per ciò che
attiene alla coerenza sistematica – come rilevato dallo stesso
giudice di legittimità – la sperequazione nella tutela di queste due
declinazioni del medesimo (e fondamentale) diritto fa emergere
l’esistenza di un disagio ordinamentale o, usando l’espressione
della Cassazione, di una «tensione» che coinvolge lo stesso
principio di eguaglianza ex art 3 Cost.; proprio la
consapevolezza di tale stato di tensione spinge il supremo
giudice di legittimità ad invocare, sul punto, un intervento del
legislatore.
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[1] Secondo il combinato disposto degli articoli
21, comma 3, Cost., 1 della legge n. 47 del 1948, 1 del R.D.L. n.
561 del 1946, tranne che si tratti di pubblicazioni oscene, di
pubblicazioni attraverso le quali si faccia apologia di fascismo,
ovvero di pubblicazioni che integrino gli estremi del plagio, non è
consentito il sequestro di più di tre copie del giornale (dato
numerico ovviamente inapplicabile ai giornali telematici). A ciò si
aggiunga che l’art. 1 L. n. 62 del 2001 ha esteso la nozione di
“prodotto editoriale” anche alle pubblicazioni on-line. Ma
sul punto torneremo più avanti nel testo. In sostanza l’unico
sequestro eseguibile con riferimento al delitto di diffamazione
sarebbe quello probatorio, “sia perché, oggettivamente, un sequestro
limitato a sole tre copie non potrebbe avere alcuna efficacia
preventiva, sia perché in senso contrario va letto l’esplicito
divieto costituzionale”.
[2] Punto 1.3 della motivazione.
[3] «In merito, non ci si può nascondere che certamente si viene
a creare una “situazione di tensione” con il principio di
eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost.»: punto 1.10 della motivazione.
[4] Punto 1.11 della motivazione.
[5] Punto 2.5 della
motivazione, corsivi nostri.
[6] J.S. Mill, On liberty,
trad. it. Saggio sulla libertà, Milano, 2009.
[7] Corte
Cost., 2 aprile 1969, n. 84, in Giur. cost., 1969, 1175.
[8] A. C. Jemolo, I problemi pratici della libertà,
Milano, 1972, 47.
[9] C. Lavagna, Istituzioni di
diritto pubblico, I, Torino, 1970, 464.
[10] Col termine
“informazione” s’intende indicare, sotto il profilo
politico-costituzionale, un vasto ed indistinto campo materiale
avente al suo centro la disciplina della libertà di pensiero e degli
strumenti di circolazione dei suoi contenuti nel quadro della
dialettica individuo-autorità, talché lo statuto dell’informazione
poteva assurgere a criterio di classificazione degli ordinamenti
statali, dando luogo precisamente alla dicotomia tra ordinamenti
fondati sulla subordinazione dell’informazione al potere politico e
ordinamenti che, all’opposto, una simile subordinazione respingono
ed escludono (P. Costanzo, voce Informazione nel diritto
costituzionale, in Digesto disc. pubbl. VIII, Torino,
319).
[11] Sul valore che Internet (quale moderno, e
peculiarmente libero, veicolo di manifestazione del pensiero)
riveste oramai per la dialettica politica, si veda G. Azzariti, Internet e Costituzione, in Costituzionalismo.it,
fascicolo 2/2011, 2: «è opportuno anche rilevare che internet non è
tanto o solo uno strumento a difesa della libertà individuale (di
conoscere, di sapere, di manifestare la propria idea) contro il
potere dispotico, ma anche sempre più uno strumento di
partecipazione alla vita democratica di un paese. È tramite internet
che si organizza la società civile: dai No Tav, ai girotondi, alle
grandi manifestazioni di massa. Se prima erano i partiti gli
intermediari e i collettori tra i singoli e la politica, ora è la
rete che permette il dialogo politico necessario per poter
concorrere a determinare la politica nazionale. la crisi dei partiti
– si sostiene con qualche ragione – ha lasciato un vuoto e ha
indebolito la capacità partecipativa dei cittadini, io credo che
internet non possa o debba sostituirsi a essi, però è vero che nel
vuoto della politica a rete permette almeno una possibilità di vita
sociale e di connessione tra le persone. Non molto, non poco».
[12] Che la garanzia costituzionale non conceda un diritto
soggettivo, ad accedere a qualunque mezzo di diffusione del proprio
pensiero, è statuizione ferma tanto in dottrina che in
giurisprudenza; sul punto, con l'usuale chiarezza A. Pace, Problematica delle libertà costituzionale. Parte speciale, II
ed., 429 sg. dove si legge: «La circostanza che la Corte
costituzionale abbia più volte stabilito che la Costituzione
garantisce la "divulgazione" non meno della "manifestazione" del
pensiero (sentenze n. 1/1956, 121/1967) significa soltanto che tutti
noi abbiamo il diritto di "esternare" pubblicamente i nostri
pensieri e che la "divulgazione" non deve essere disciplinata
diversamente dalla "manifestazione e dalla "diffusione" del pensiero
... La formula costituzionale correttamente interpretata
significa perciò che è garantito soltanto il diritto di libera
manifestazione del pensiero con i mezzi di cui si abbia giuridica
disponibilità», corsivi nostri (si v. anche le ampie indicazioni
di dottrina e giurisprudenza ivi riportate). Tale situazione non
sarebbe mutata con la nascita delle nuove tecnologie informatiche;
la dottrina più attenta a questi temi sottolinea come anche la
maggior accessibilità di internet per i singoli non può essere
interpretata nel senso della nascita di un diritto al mezzo
telematico. In tal senso P. Costanzo, Miti e realtà dell'accesso
ad internet (una prospettiva costituzionalistica), in Consultaonline, 4: «È, dunque, di siffatte coordinate,
correlate ai principi costituzionali ed enucleate dall'attività
ermeneutica della Corte costituzionale, che sembra necessario non
prescindere in questa riflessione. Sarebbe, infatti, incongruo,
rovesciando il percorso logico-argomentativo, attribuire alle pur
straordinarie caratteristiche di internet capacità nomopoietiche
tali da accreditare senz'altro la comparsa nell'ordinamento di un
nuovo, autonomo e, secondo taluni, fondamentale diritto individuale,
identificabile con quello di accedere al mezzo».
[13] V.
Crisafulli, Problematica della “libertà d’informazione”, in Il politico, 1964, 297.
[14] Corte Cost., 14
giugno 1956, n. 1, in Giur. cost., 1956, 1.
[15] Corte
Cost., 16 giugno 1964, n. 48, in Giur. cost., 1964, 605.
[16] Rubricata Nuove norme sull’editoria e sui prodotti
editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416.
[17] Anche alla luce della Direttiva 2000/31/CE.
[18] L’art.
16 l. 62/2001 dispone, così, che “i soggetti tenuti all’iscrizione
al registro degli operatori di comunicazione, ai sensi dell’art. 1
co. VI lett. a) n. 5 della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono
esentati dall’osservanza degli obblighi previsti dall’art. 5 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47. L’iscrizione è condizione per l’inizio
delle pubblicazioni”: poiché i soggetti che operano in rete sono
titolari di autorizzazioni ovvero imprese fornitrici di servizi
telematici, obbligate all’iscrizione nel registro tenuto
dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’assolvimento di
tale onere comporta l’esenzione dagli obblighi di iscrizione nel
registro della stampa. L’obbligo di registrazione è invece imposto
al “prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare
e contraddistinto da una testata, costituente elemento
identificativo del prodotto”.
[19] Legge comunitaria per il
2001.
[20] Principio direttivo recepito dal Governo, in sede di
attuazione della delega, con il decreto legislativo 9 aprile
2003, n. 70, all’art. 7, comma 3.
[21] Infatti l’Agenzia delle
Entrate con la risoluzione 30 settembre 2003, n. 186, ha escluso le
pubblicazioni via Internet dal diritto alla riduzione
dell’aliquota IVA. Per l’Agenzia, la L. 62/2001 ha dettato nuove
norme sull’editoria, estendendo con l’art. 1 la nozione di prodotto
editoriale anche a quelli destinati alla pubblicazione o alla
diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche
elettronico, ma non consente di estendere ai periodici telematici i
benefici IVA previsti per la carta stampata: a differenza di
quest’ultimi la fruizione materiale rappresenta l’atto finale di un
lungo canale di distribuzione (redazione, tipografia, agenzia di
spedizione, distributore, edicolante e, infine, il lettore), i
periodici on-line consentono all’utente di visionare il
contenuto in formato digitale sul monitor e di stampare
l’intero documento o una sua parte. La registrazione, poi, non vale
a qualificare la fattispecie, agli effetti dell’IVA, come rientrante ex se nel regime speciale per l’editoria, nonché nell’ambito
applicativo della norma che stabilisce l’aliquota ridotta per tale
settore: se l’adempimento in parola non basta, da solo, a far
supporre la nascita di un’impresa editoriale e, quindi, a ritenere
come editoriali i suoi prodotti (Cass. Civ., SS.UU., 9 novembre
1994, n. 9288), le cessioni on-line di detti prodotti
manifestano una diversa natura rispetto ai prodotti editoriali
agevolati dal decreto sull’IVA ed, in quanto afferenti generiche
prestazioni di servizi, sono da assoggettare alle regole ordinarie
di tale imposta. Sullo stesso tema, si è, recentemente, espressa la
Corte di Giustizia UE nella sentenza relativa alla causa C-219/13
dell' 11 settembre 2014, affermando che la limitazione dell'aliquota
IVA ridotta ai soli libri stampati (e non a quelli registrati su
supporti diversi, come CD, CD-ROM o chiavette USB) è compatibile con
il diritto comunitario, nella misura in cui sia rispettato il
principio di neutralità fiscale.
[22] A. Pace, Problematica
cit., 427 rammenta «l'esistenza, negli ordinamenti
liberaldemocratici, di un "valore" di fondo: "la libertà di
informazione" (rectius la "libertà della informazione") comprensiva tanto della "libertà attiva di
informare" (avente precisi connotati giuridici e immediata
tutelabilità giudiziaria), quanto della più generica, ma non meno
importante "libertà di informarsi"» (ivi per ampi riferimenti alla
dottrina ed alla giurisprudenza, anche di altri ordinamenti).
[23] Müller et al. c. Svizzera, 24 maggio 1988. D’altra
parte, è pure vero che il potenziale lesivo di tale forma di
comunicazione risulta certo superiore rispetto a quello posto dalla
stampa, così che le regole nazionali disciplinanti la riproduzione
di dati dalla carta stampata su Internet possono essere diverse, ma
avvertendo che non è compito delle autorità giudiziarie incidere sul
contenuto delle informazioni, ordinando la rimozione dai siti delle
informazioni e delle tracce delle pubblicazioni effettuate in
passato (cd. “diritto all’oblio”) ancorché giudicate diffamatorie
con sentenze definitive, rilevando in questa circostanza la
considerazione del legittimo interesse del pubblico a ricevere
informazioni con accesso agli archivi su Internet, interesse
tutelato, al pari dell’art. 8 sul diritto al rispetto della vita
privata e familiare, ai sensi dell’art. 10 della Convenzione Europea
dei diritti dell’uomo. In tal senso vedi Wegrzynowski and
Smolczewski c. Polonia, 16 luglio 2013.
[24] Il
riconoscimento dell’importanza della funzione dell’archivio viene
evidenziata dalla scelta della Corte Europea dei diritti dell’uomo –
a differenza delle legislazioni nazionali o delle prassi
giurisprudenziali delle corti che optano, piuttosto, per la sanzione
della cancellazione dell’intero testo – di non imporre l’obbligo
della rimozione della notizia dal sito web, ribadendo l’importanza
di escludere sanzioni e censure sproporzionate, ritenendo idoneo
l’inserimento nell’articolo conservato nell’archivio telematico di
una annotazione dell’accertamento del carattere diffamatorio con
sentenza o dello svolgimento di un procedimento volto a tale
accertamento; cfr. L. De Grazia, La libertà di stampa e il
diritto all’oblio nei casi di diffusione di articoli attraverso
Internet: argomenti comparativi, in Rivista Aic, 4/2013.
[25] V. Editorial Board of Pravoye Delo and Shtekel c.
Ucraina, 5 maggio 2011.
[26] Sul punto si veda la sentenza
della Corte di Giustizia Europea nel famoso caso Google Spain (Grande Sezione,13 maggio 2014 n. C-131/12), con la quale si è
affermato il diritto ad ottenere la cancellazione di dati da un
motore di ricerca sul presupposto che «[…] 3) gli articoli
12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46
devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i
diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da
queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un
motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati
che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di
una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e
contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in
cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o
simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò
eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web
sia di per sé lecita. 4) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo
comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati
nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali
disposizioni, si deve verificare in particolare se l’interessato
abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua
persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da
un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca
effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la
constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione
dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio
a detto interessato. Dato che l’interessato può, sulla scorta dei
suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della
Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa
a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in
un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra
prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse
economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse
di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione
di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così
non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il
ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza
nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse
preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù
dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi».
[27] Il legislatore, in materia penale, ha mostrato – anche in
virtù e sotto la spinta della normazione comunitaria – di aver preso
in considerazione l’esistenza e le problematiche connesse ai nuovi
strumenti di comunicazione, telematici ed informatici, con la
novella di cui alla legge 23 dicembre 1993, n. 547 – che ha
introdotto una serie di fattispecie che possono dirsi anche “crimini
informatici patrimoniali” – ma non ha ritenuto di dover intervenire
in tema di reati contro l’onore, la cui condotta consiste nella (o
presuppone la) comunicazione dell’agente con terze persone; e,
tuttavia, che i reati previsti dagli artt. 594 e 595 c.p. possano
essere commessi anche per via telematica è finanche intuitivo: è
sufficiente, difatti, pensare alla trasmissione via e-mail per rendersi conto che è certamente possibile che un agente,
inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto,
realizzi la condotta tipica dei delitti di ingiuria o diffamazione.
[28] Cass. Pen., Sez. V, n. 46504/2011.
[29] In tema di
inapplicabilità della previsione di cui all’art. 57 c.p. al
direttore dell’organo di informazione telematico o al titolare
gestore dello stesso, ex multis: G.I.P. Roma, 23 novembre
2007; Corte d’Appello di Torino, 22 luglio 2010; Cass. Pen, Sez. V,
n. 44216/2011; Cass. Pen., Sez. V, n. 35511/2010 che, con
motivazioni similari, affermano che le pubblicazioni on-line non sono considerate e qualificate come “stampa” in quanto non
consistono in molteplici riproduzioni su più supporti fisici di uno
stesso testo redatto in originale, al fine della distribuzione
presso il pubblico poiché il testo pubblicato su Internet esiste –
quale luogo di divulgazione della notizia – solamente nella pagina
di pubblicazione, anche se può essere visualizzato sugli schermi di
un numero indefinito dl dispositivi hardware. Vengono
evidenziate le differenze nelle modalità tecniche di trasmissione
del messaggio a seconda del mezzo utilizzato: nel caso della stampa
vi è la consegna materiale dello stampato e la sua lettura diretta
ed immediata da parte del destinatario; nelle trasmissioni
radiotelevisive classiche vi è la irradiazione nell’etere e la
percezione audiovisiva da parte di chi si sintonizza sulla frequenza
di trasmissione; nel caso di pubblicazione in Internet la
trasmissione avviene telematicamente tramite un internet
provider, sfruttando la rete telefonica fissa o cellulare.
Affinché possa parlarsi di stampa in senso giuridico (appunto ai
sensi del ricordato art. 1 della legge n. 47/48), occorrono due
condizioni che certamente il nuovo medium non realizza: a)
che vi sia una riproduzione tipografica (prius), b) che il
prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla
pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra
il pubblico (posterius). Il fatto che il messaggio internet
(e, dunque, anche la pagina del giornale telematico) si possa
stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera
eventualità, sia oggettiva, che soggettiva. Sotto il primo aspetto,
non tutti i messaggi trasmessi via internet sono suscettibili di
essere stampati (come i video corredati di audio); sotto il secondo,
è il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide
di riprodurre a stampa lo schermata. In caso di comunicazioni
telematiche stampabili, esse certamente non riproducono stampati,
bensì è la stampa che – eventualmente – riproduce la comunicazione.
Per quanto attiene alla responsabilità del direttore, l’omissione di
cui all’art. 57 c.p. non è realizzabile da chi non sia direttore di
un giornale cartaceo. La interattività, ovverosia la possibilità di
interferire sui testi che si leggono e si utilizzano, renderebbe,
probabilmente, vano – o comunque estremamente gravoso – il compito
di controllo del direttore di un giornale on-line, chiamato
in astratto ad una valutazione ex post dei commenti lasciati
dagli utenti, incompatibile sia con la ratio della previsione
penale in parola, sia con il generale principio di libertà di
manifestazione ed espressione del pensiero che permea e fonda la
realtà della rete internet. È stato anche affermato in
giurisprudenza che «il concetto di riproduzione, che costituisce il
fulcro della definizione di stampato ex art. 1 legge 47/1948,
presuppone – da un punto di vista logico – una distinzione
fisicamente percepibile tra l'oggetto da riprodurre e le sue
riproduzioni, essendo poi indifferente il procedimento
fisico-chimico mediante il quale la riproduzione viene posta in
essere. Il testo pubblicato su sito internet non può invece
essere considerato una riproduzione. Il relativo file, invero, si
trova in unico originale sul sito stesso, e può essere consultato
dall'utente mediante l'accesso al sito. La riproduzione del file,
del tutto eventuale, viene posta in essere solo in seguito dallo
stesso utente il quale, se lo desidera, può provvedere a stampare il
file scaricato. Non può quindi ritenersi che il titolare del sito
internet sia responsabile di tali riproduzioni, in quanto del tutto
eventuali e poste in essere dagli stessi utenti. Come è già stato
sopra argomentato, i files pubblicati su internet non sono
riproduzioni, ma documenti informatici originali» (G.I.P. Aosta, 15
febbraio 2002), corsivi nostri. A sostegno, invece, della piena
applicabilità alle nuove forme di comunicazione telematiche della
disciplina della stampa, ex multis: Tribunale di Firenze, 14
maggio 2009, n. 982/2009; Tribunale di Modica, 6 agosto 2008, n.
194/2008; Corte d’Appello di Catania, 2 maggio 2011, n. 961/2011 che
insistono sul dettato normativo di cui all’art. 1 L. n. 62/2001 che
estende anche alle pubblicazioni con il mezzo elettronico le
previsioni dettate per “le riproduzioni tipografiche o comunque
ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo
destinate alla pubblicazione”. Tale orientamento viene motivato
tramite una lettura del titolo della L. n. 62/2001 “Nuove norme
sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5
agosto 1981, n. 416”, ad avviso del giudice di merito
teleologicamente incompatibile con la ratio legis di dettare
regole sulle provvidenze e non anche introdurre modifiche attinenti
all’intero settore dell’editoria.
[30] Cass. Pen., Sez. V, n.
7155/2011, corsivi nostri.
[31] Come avviene per le versioni
telematiche degli organi di informazione, regolarmente registrate e
dotate di un proprio direttore responsabile.
[32] Cass. Pen.,
Sez. III, n. 10535/2009.
[33] Sul punto per tutti N. Bobbio, L’analogia nel diritto, Torino, 1938, diffusamente.
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(pubblicato il
22.10.2014)
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