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n. 10-2014 - © copyright

 

FRANCESCO TESTI

«La cessione dei crediti vantati nei confronti della P.A.»

Resoconto del Convegno svoltosi presso il T.A.R. Lazio (Roma) il 14 ottobre 2014 organizzato dall’A.G.Amm. – Associazione Giovani Amministrativisti

 

 


 

 

Un argomento squisitamente privatistico, che dispiega però rilevanti effetti anche nell’ambito del diritto pubblico e dell’economia: si tratta della cessione dei crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione, tema al centro del convegno organizzato dall’A.G.Amm.– Associazione Giovani Amministrativisti presso la sede romana del T.A.R Lazio, lo scorso 14 ottobre 2014.
Il convegno ha visto la partecipazione tra i relatori di eminenti studiosi e giovani avvocati, con l’obiettivo di approfondire, sotto differenti angoli visuali, le criticità e le prospettive dell’attività di cessione, nonché di sciogliere i numerosissimi profili scientifici ed applicativi ancora controversi.

Ha condotto i lavori il Presidente dell’A.G.Amm., Avv. Paolo Clarizia, il quale in apertura ha posto in luce la stretta attualità della tematica: sono numerose le aziende che operano con la p.a. e che si ritrovano a dover fronteggiare esigenze di liquidità, in un momento congiunturale particolarmente difficile come quello attuale.
Peraltro, è stato rilevato come la questione sia strettamente legata ad altri profili problematici. In primo luogo, la cessione dei crediti presuppone l’avvenuta certificazione della certezza, liquidità ed esigibilità delle somme, ad opera delle amministrazioni debitrici, attraverso la piattaforma elettronica statale (cfr. art. 7, D.L. n. 35/2013; art. 37, D.L. n. 66/2014), con tutte le difficoltà che possono scaturirne: si pensi esemplificativamente alla lunga tempistica procedimentale, necessaria ai fini dell’attestazione delle somme dovute. In secondo luogo, occorre considerare che ai sensi dell’art. 117, ult. co., D.Lgs. n. 163/2006, le Stazioni Appaltanti possono sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, in forza del contratto di lavori, servizi, forniture o progettazione, stipulato con quest’ultimo. Di qui il rifiuto da parte di alcune amministrazioni, di procedere alla liquidazione in favore del soggetto cessionario, opponendovi rapporti sorti successivamente con il cedente. Infine, un ulteriore fattore di complicazione è dato dalla molteplicità di fonti normative che regolano la materia, rendendosi così più che auspicabile un intervento di semplificazione da parte del Legislatore.

Ha preso poi la parola l’Avv. Massimo Nunziata, componente del Consiglio Direttivo dell’A.G.Amm. nonché assegnista di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università di “Tor Vergata”, che ha formulato un’attenta ricostruzione della natura dell’istituto, con riguardo all’impianto privatistico e alle successive connotazioni pubblicistiche.
Com’è noto, nel diritto comune vige il generale principio della libera cedibilità dei crediti (art. 1260 e ss. c.c.): la cessione si configura quale contratto bilaterale ad efficacia reale, privo di forme particolari, che determina la modificazione del lato attivo del rapporto obbligatorio tra cedente (creditore originario) e cessionario. In tale rapporto la volontà del debitore ceduto non assume rilievo – salvo specifiche eccezioni – in quanto nei confronti di quest’ultimo nulla cambia, tranne il soggetto al quale va effettuato l’adempimento; e la cessione dispiegherà i propri effetti nei confronti del debitore ceduto quando questi l’abbia accettata o quando gli sia stata notificata. Peraltro, l’istituto può riguardare anche i crediti futuri, purché determinati o determinabili alla conclusione del contratto di cessione, ed in tal caso l’effetto traslativo si realizzerà allorché il credito verrà ad esistenza nella sfera giuridica del cedente: tale ipotesi si sostanzia nel fenomeno del factoring, disciplinato dalla L. n. 52/1991.
Per contro, la disciplina speciale relativa ai crediti vantanti nei confronti della pubblica amministrazione presenta notevoli peculiarità rispetto a quanto accade nel diritto comune: in particolare, occorre considerare l’art. 9, all. E, L. n. 2248/1865 (Legge sul contenzioso amministrativo); gli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440/1923 (Nuove disposizioni sulla contabilità dello Stato); da ultimo, il già citato art. 117 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici). Da tale quadro normativo emerge che qualora la cessione afferisca ad un contratto di appalto in corso, essa è opponibile alla p.a. solo se avvenuta con atto pubblico o scrittura privata autenticata, risultando comunque necessarie la notifica all’Ente e l’adesione di quest’ultimo. Qualora invece l’appalto sia terminato, non occorre l’adesione dell’amministrazione, sussistendo però il duplice l’obbligo di perfezionare la cessione con atto pubblico o scrittura privata autenticata, e di notificarla alla stazione appaltante. Quanto ai contratti diversi dall’appalto, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (si veda, ad esempio, Cass. civ. Sez. III, 28/1/2002, n. 981 in tema di compravendita), dovranno essere rispettate le formalità previste dalla legge sulla contabilità dello Stato, senza la necessità di un’adesione da parte dell’amministrazione. In ogni caso, la libera circolazione del credito è ulteriormente temperata dall’art. 117 del Codice dei contratti, che – pur introducendo il meccanismo del silenzio assenso quanto all’acquisizione del consenso da parte della stazione appaltante – ammette quali cessionari solo quei soggetti qualificati (banche ovvero intermediari finanziari) il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti di impresa.
In conclusione, soprattutto nel settore degli appalti il tema del convegno lascia aperte svariate questioni, foriere di nuove riflessioni: si pensi al rapporto fra cessione del credito e procedura concorsuale che interessi medio tempore l’impresa; ovvero al rapporto fra la cessione del credito e le nuove disposizioni che, ad esempio in tema di subappalto, sono state introdotte a tutela delle piccole e medie imprese; come noto, nell’art. 118 del Codice dei contratti pubblici, sono state inserite alcune norme secondo cui, in particolari ipotesi, la stazione appaltante può provvedere – anche in deroga a quanto previsto nel bando – al pagamento diretto delle mandanti o dei subappaltatori. Ecco, cosa succede se, nel frattempo, l’appaltatore aveva ceduto ad una banca il credito derivante dal prezzo dell’appalto, in cui ovviamente sono ricomprese anche le somme relative alle prestazioni eseguite dalle mandanti o dai subappaltatori? Tale cessione potrebbe precludere l’applicazione di una normativa dettata in favore di alcuni soggetti che non sono stati neanche coinvolti nell’operazione di cessione. Infine, ulteriori spunti di analisi potrebbero trarsi dal rapporto tra cessione del credito e rilascio del D.U.R.C., sotto un duplice profilo: in primo luogo, quanto al regime di circolazione di un credito che è stato portato in compensazione ai fini del rilascio del DURC; a questo interrogativo, una risposta positiva pare essere fornita dal D.M. 13.3.2013 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo cui “il credito indicato nella certificazione esibita per il rilascio del DURC può validamente essere ceduto solo previa estinzione del debito contributivo”; in secondo luogo se, con riferimento ad altre voci di credito, la cessione possa essere disposta da parte di un soggetto che, a sua volta, versi in una situazione debitoria nei confronti della p.a. intesa nel suo complesso.

Successivamente è intervenuto il Prof. Alessandro Sterpa, che nella qualità di Capo dell’Ufficio Legislativo della Regione Lazio e di Commissario Straordinario dell’Istituto regionale di Studi Giuridici A.C. Jemolo, ha avuto modo di illustrare le misure volte a risolvere la questione dei debiti della p.a., correlata al tema dell’incontro. Va infatti osservato come l’istituto della cessione rappresenti la spia di una situazione anomala, alla quale l’originario creditore ricorre allorché non riesca ad ottenere la tempestiva liquidazione delle proprie debenze: si pensi ad esempio al settore sanitario, ove fino al 2013 la Regione Lazio per procedere al pagamento impiegava in media 190 giorni, scesi ora a 60 – 80 giorni. A ciò aggiungasi che dalla cessione possono derivare contenziosi in merito sia all’an che al quantum debeatur, il che rende ancor più complesso il procedimento di liquidazione.
Le situazioni più critiche, comunque, sono state affrontate grazie agli strumenti approntati dal Governo con il citato D.L. n. 35/2013, che ha fornito alla Regione quella liquidità necessaria al pagamento dei debiti, maturati soprattutto in ambito sanitario: proprio quest’ultimo costituisce una delle voci di maggiore rilievo nel bilancio regionale.
Sotto altro profilo, è stata illustrata la scelta compiuta dalla Regione Lazio di procedere alla certificazione centralizzata dei crediti, allo scopo di avere un quadro completo della situazione debitoria, da condividere con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e segnatamente con la Ragioneria Generale dello Stato.
Più in generale, la questione dei debiti della p.a. pone in luce due questioni sulle quali è bene riflettere. Anzitutto, il Legislatore e l’Amministrazione sembrano procedere soltanto adottando norme frammentarie, senza voler costruire un sistema organico idoneo a funzionare costantemente. Un regime ordinario di liquidazione delle somme, all’interno della finanza pubblica, sembrerebbe dunque al di là da venire. In secondo luogo, potrebbe presto sostanziarsi un “cortocircuito” tra patto di stabilità e pagamento dei debiti alle imprese, argomento questo ripreso anche da altri relatori: laddove infatti la Regione Lazio prosegua ad erogare le somme già dovute, arriverebbe a sforare i parametri di spesa vincolanti a livello nazionale ed europeo.

A questo punto è toccato all’Avv. Leopoldo Conforti, Condirettore Generale di ANAS S.p.A., che si è soffermato sulla dialettica tra norme di stampo pubblicistico e privatistico nell’ambito in oggetto.
Proprio l’inquadramento all’interno della disciplina generale dei contratti, a detta del relatore, va rapportato alle citate norme di contabilità pubblica, ossia – come già detto – art. 9, all. E, L. n. 2248/1865, ed artt. 69-70 R.D. n. 2440/1923. Emerge evidente che la posizione della pubblica amministrazione, ampiamente derogatoria rispetto al normale debitore ceduto in ambito civilistico, ha prodotto una mole elevata e costante di contenzioso, a detrimento del tessuto imprenditoriale del Paese e delle correlate esigenze di liquidità dei soggetti economici.
A fronte di tale complesso normativo, di particolare rilievo risulta il ruolo del Notariato, che ha svolto una preziosa opera di carattere ermeneutico. In particolare, è stato rammentato quell’arresto della Suprema Corte che, tra gli obblighi accessori del notaio stipulante, pone l’accento sull’attività di consulenza rispetto allo scopo tipico dell’atto: ne deriva che qualora la prestazione abbia ad oggetto la cessione di un credito da appalto che il cedente vanta nei confronti di un ente pubblico (con conseguente, indispensabile adesione dell’amministrazione interessata ai fini del perfezionamento della fattispecie), “il notaio non può limitarsi a trattare solo i rapporti interni tra le parti, ma deve indicare loro le peculiare disciplina del negozio” (cfr. Cass. civ. Sez. III, 22/6/2006, n. 14450). Nella fattispecie sottoposta all’attenzione del Giudice di legittimità, all’atto di cessione era stata allegata una certificazione del debitore ceduto attestante l’esistenza del credito, ma successivamente l’ente aveva comunicato di non aderire alla cessione e pagato il debito all’originario creditore, che aveva trattenuto l’importo; pertanto in applicazione del anzidetto, è stata cassata la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del notaio.
In aggiunta, la pratica notarile ha chiarito che l’espressione “Stato” implica un’interpretazione estensiva delle predette norme, dovendosi fare riferimento a tutti gli enti pubblici; ed inoltre, è stato acclarato come la notificazione all’Ente pubblico non presupponga una specifica forma. Infine, vale la pena di segnalare che il mancato rispetto della forma solenne – atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ex art. 69, co. 3, R.D. cit. – impone non già la nullità della cessione del credito, ma solo l’inefficacia nei confronti della Pubblica Amministrazione.
In ultima analisi, il labirintico edificio normativo che si è venuto a costituire ha reso via via più difficile le operazioni di cessione, nonostante i proclami in senso opposto da parte del Legislatore, e tale difficoltà va correlata all’insorgenza di fenomeni corruttivi in seno alla pubblica amministrazione. La soluzione proposta è una drastica abolizione: l’impostazione pubblicistica non ha ragion d’essere.

Il contributo dell’Avvocato dello Stato Ettore Figliolia si è basato sulla sua lunga esperienza all’interno di strutture ministeriali di primaria importanza: la p.a., ha osservato, spesso non riesce ad effettuare in tempo l’attività solutoria di propria competenza, sicché l’istituto della cessione costituisce un’àncora di salvezza per le imprese che altrimenti si vedrebbero costrette a dichiarare fallimento, pur vantando crediti consistenti.
Il relatore, in accordo con le precedenti relazioni, ha chiarito come la segmentazione delle normative via via stratificatesi abbia notevolmente complicato il quadro normativo, smentendo nella sostanza i numerosi proclami: il Legislatore appare prigioniero del proprio ritardo culturale, ostinatamente chiuso in una visione decisamente antiquata dei rapporti economici. Oltretutto, da un’angolazione pratica, la situazione è aggravata sia dai citati limiti di spesa in capo agli Enti pubblici derivanti dal patto di stabilità, sia dai ritardi temporali dovuti al procedimento di certificazione on line.
A conferma dell’involuzione delle norme, si è illustrato il passaggio tra la legge quadro in materia di lavori pubblici, il D.P.R. attuativo ed il D.Lgs. n. 163/2006: l’art. 26 della legge del 1994 costituiva una sferzata per l’amministrazione, dal momento che eliminava il consenso in ordine alla cessione del contratto; per contro il Decreto attuativo reintroduceva il silenzio assenso a favore della p.a. (art. 115, D.P.R. n. 554/1999) già previsto dalla legge abolitrice e dal R.D. di contabilità. Da ultimo, l’attuale art. 117 del Codice dei contratti risulta estremamente limitativo, sulla scorta dell’esposizione compiutane dall’Avv. Nunziata.
Il vero nocciolo del problema, a questo punto, è se risulti davvero utile e legittimo il diritto potestativo dell’Amministrazione di rifiutare la cessione: e la risposta non può che essere negativa, atteso in tale fattispecie i pubblici poteri agiscono alla stregua di un qualsiasi operatore privato. Per giunta, non può tacersi che ai sensi dell’art. 117, co. 4 del Codice Appalti, nel contratto stipulato o in atto separato contestuale le amministrazioni pubbliche possono preventivamente accettare la cessione da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione, il che si verifica frequentemente dietro richiesta dell’appaltatore.
Davanti alla necessità di opere pubbliche, che favoriscano il rilancio della nostra economia, è dunque indispensabile riconoscere alle imprese una serie di strumenti di finanziamento elastici; ma è ancora più urgente un cambiamento nella mentalità con la quale i pubblici poteri si relazionano alle imprese stesse.

È giunto poi il turno dell’Avv. Gianni Fischione della Direzione Legale B.N.L. S.p.A., che si è incentrato sugli aspetti che interessano la posizione del cessionario, quali appunto un Istituto di credito, che si vede costretto ad affrontare alcuni aspetti complessi, non sempre adeguatamente considerati dal Legislatore. Ad esempio, se si assume che l’art. 117 del Codice dei contratti concerne i crediti derivanti da un appalto che deve ancora sorgere, è lecito chiedersi se il credito derivante da uno stato avanzamento lavori (c.d. S.A.L.) sia esigibile o meno, ai fini dell’ammissibilità della cessione.
In ogni caso, sulla scorta dei rilievi già formulati dagli altri relatori, lo stesso art. 117 citato appare difficilmente ammissibile nella parte in cui riconosce all’Amministrazione il diritto potestativo di rifiuto, che appare tanto più illogico allorché il credito sottostante sia stato certificato dalla stessa Amministrazione: risulta infatti contraddittorio l’atteggiamento di un Ente che da un canto certifichi il credito, e dall’altro smentisca sé stesso rifiutandone la circolazione.
In un quadro del genere, gli Istituti di credito si ritrovano ad essere il terminale sul quale si scaricano le criticità sin qui evidenziate, con tutte le conseguenze del caso: nessuna banca procederà mai alla liquidazione di un credito, finché la p.a. competente non comunichi di accettare la cessione, ovvero finché non spiri il termine di silenzio-assenso.
In aggiunta, si pongono ulteriori interrogativi in merito ai crediti derivanti da contratti con le società a partecipazione pubblica, in quanto eventualmente assoggettabili ai vincoli derivanti dall’art. 9 della Legge abolitrice del contenzioso.

Le conclusioni sono state affidate al Prof. Avv. Marco D’Alberti, ordinario di Diritto Amministrativo dell’Università di Roma “Sapienza”, il quale ha tirato le fila delle diverse opinioni emerse, offrendo al contempo una prospettiva di diritto comparato sul tema della cessione.
Le potestà riconosciute in capo all’Amministrazione debitrice ceduta si sostanziano in una posizione di privilegium fisci, che ammette la superiorità della p.a. anche nell’ambito di rapporti puramente interprivatistici, come comprovano tutte le bardature pubblicistiche segnalate in precedenza, che ingiustificatamente appesantiscono l’art. 117 citato. Agli occhi dello studioso di diritto pubblico dell’economia, la stessa certificazione on line da un canto costituisce motivo di soddisfazione, perché consente all’impresa di riscuotere le somme dovute, ma dall’altra produce più di un disappunto: è onere aggiuntivo dell’impresa creditrice procedere all’istanza di certificazione, e per di più gli stessi pubblici poteri non hanno le idee sufficientemente chiare sull’ammontare dei propri debiti.
L’ostilità della Pubblica Amministrazione nei confronti della cessione del credito trae origine da un’affermazione costantemente ribadita dalla giurisprudenza, ossia “la finalità di evitare che, durante l'esecuzione del contratto, possano venire meno i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione a favore della pubblica amministrazione” (cfr. ad esempio Cass. civ. Sez. I Sent., 8/5/2008, n. 11475; precedentemente, Cass. civ. nn. 18610/2005, 13075/2000, 8525/96, 9789/94, 3887/75, etc.). Eppure nel sistema economico odierno la realtà è tutt’altra, in quanto la cessione del credito serve proprio ad assicurare all’impresa quei mezzi finanziari necessari all’esecuzione dell’opera. Tutto il costrutto attuale dell’art. 117 del Codice dei Contratti dunque andrebbe riformulato, abolendo – o quantomeno attenuando – i privilegi pubblicistici che coprono l’inadeguatezza dell’Amministrazione, a favore delle norme del Codice Civile.
Anche una lettura di diritto comparato può risultare utile a pervenire alle medesime conclusioni: nel Regno Unito la gestione del contratto è sottoposta alle norme della common law, risultando priva di deroghe pubblicistiche; negli Stati Uniti sussiste l’obbligo di rivolgersi ad un cessionario qualificato e di produrre una written notice all’Amministrazione, ma quest’ultima è priva di diritti potestativi in ordine all’accettazione; analoga disciplina vige in Canada.
Un’ultima riflessione appare particolarmente importante: il sistema dei controlli e dei vincoli pubblicistici impediscono all’impresa creditrice di alienare liberamente il credito, trovando una giustificazione anche nell’intento di prevenire eventi corruttivi; ma proprio quei controlli possono arrivare a determinare un paradossale fenomeno di “cattura dei controllori”, incoraggiando di fatto la corruzione. Un motivo in più, insomma, per andare decisamente incontro al diritto privato.

 

(pubblicato il 20.10.2014)

 

 

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