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n. 10-2014 - © copyright |
CARLO DEODATO
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Alcune considerazioni sui poteri del
Presidente del Consiglio dei ministri nell’attività normativa del Governo
L’evoluzione del ruolo del Premier nei Governi degli ultimi
vent’anni (*)
SOMMARIO: 1.- Premessa; 2.- Il
regime costituzionale dei poteri del Presidente del Consiglio; 3.-
La disciplina ordinaria; 4.- La prassi dell’esercizio delle funzioni
di indirizzo e coordinamento nell’attività normativa; 5.-
L’influenza del sistema elettorale e (più in generale) di quello
politico sul ruolo del Presidente del Consiglio; 6.- Prospettive
evolutive, de iure condito e de iure condendo; 7.-
L’evoluzione del ruolo del Presidente del Consiglio nell’esperienza
degli ultimi vent’anni; 8.- Il decisionismo monocratico nel Governo
in carica; 9.- Considerazioni finali.
1.-
Premessa.
La personale esperienza maturata nelle
collaborazioni con gli ultimi Governi ci suggerisce una disamina
delle funzioni di indirizzo e di coordinamento assegnate dalla
Costituzione al Presidente del Consiglio (segnatamente nella
direzione dell’attività normativa) e un’analisi dell’evoluzione del
loro esercizio negli Esecutivi della c.d. Seconda Repubblica.
Senza alcuna pretesa di esaustività o di rigore accademico, ci
limiteremo a rintracciare, nella declinazione operativa dell’art.95
Cost., alcuni spunti di riflessione per una migliore comprensione
del diritto vivente e degli sviluppi, di fatto (più che di diritto),
dell’interpretazione del ruolo del Primo Ministro nell’attuale
sistema politico-istituzionale.
La vistosa mancanza della
revisione della forma di Governo e, in particolare, della disciplina
del ruolo del Presidente del Consiglio (d’ora innanzi Presidente)
nel progetto di riforma costituzionale proposto dal Governo in
carica (che si è tradotto nella recente approvazione in prima
lettura al Senato del relativo disegno di legge) impone, peraltro,
una riflessione sull’esegesi dell’art.95 della Costituzione, sulla
sua applicazione nella prassi degli ultimi Governi e sulle
prospettive della sua modifica (da più parti avvertita come
necessaria, al pari della riforma relativa al superamento del
bicameralismo perfetto), anche al fine di comprendere la persistenza
delle ragioni della sua revisione e di indagare le ragioni della
suddetta lacuna.
Ci occuperemo, in particolare, di descrivere la
genesi dell’art.95 Cost., di analizzare le diverse opzioni
ermeneutiche, di studiare la sua declinazione nella legislazione
ordinaria, di esaminarne le esperienze applicative e di illustrare
le differenti proposte di revisione.
Il perimetro dell’indagine
resterà, quindi, limitato allo scrutinio dei rapporti, interni al
Governo, tra il Presidente, i Ministri e il Consiglio dei ministri,
con particolare riguardo all’attività normativa di competenza
dell’Esecutivo.
Non esamineremo, di conseguenza, le questioni
attinenti alla forma di governo e, in particolare, ai rapporti
dell’Esecutivo con gli altri organi costituzionali né le modalità di
nomina del Presidente (se non nella misura in cui si rivelino
strettamente funzionali allo scrutinio del tema principalmente
esaminato).
Dedicheremo, invece, un’attenzione particolare alla
trasformazione del ruolo del Presidente, a costituzione invariata,
rintracciabile nell’analisi dell’attività degli ultimi Governi e
(segnatamente) di quello attualmente in carica.
Sotto un profilo
più strettamente metodologico giova, ancora, avvertire che la
disamina del problema dei rapporti tra il Presidente e il Consiglio
dei ministri sarà condotta, oltreché alla stregua di parametri
prettamente giuridici, sulla base di canoni più propriamente
politologici, non potendosi trascurare l’influenza dell’assetto
politico-partitico sulla forza del Capo dell’Esecutivo nei riguardi
dei Ministri.
2.- Il regime costituzionale dei poteri del
Presidente del Consiglio.
2.1- La Costituzione descrive
(all’art.95) il ruolo del Presidente con espressioni (volutamente)
generiche e, per certi versi, equivoche, tanto che la disposizione è
stata definita vaga e ambigua[1] e ha impegnato la dottrina in una
complessa opera ermeneutica[2] (di cui daremo conto infra).
Ma, prima di illustrare le diverse tesi
ricostruttive, appare utile una sintetica rassegna dei diversi
modelli organizzativi (del Governo) esaminati dall’Assemblea
Costituente, del dibattito che si è svolto in seno ad essa e degli
esiti decisori, poi cristallizzati nelle formule lessicali
dell’art.95 Cost.
2.2- Le opzioni esaminate possono essere
classificate secondo il seguente catalogo: a) direzione politica
monocratica (Kanzlersprinzip); b) direzione politica collegiale
(Kabinettsprinzip); c) autonomia dei singoli Ministri
(Ressortsprinzip)[3].
Si sono, tuttavia, confrontati, in
concreto, due soli modelli: quello collegiale e quello
monocratico.
La recente (all’epoca della Costituente) esperienza
del regime fascista aveva, in particolare, indotto i comunisti a
preferire il modello collegiale (fino al punto da rifiutare la
stessa previsione in Costituzione della figura del Capo
dell’Esecutivo), mentre i democristiani avevano manifestato una
preferenza per il principio della preminenza del Presidente.
Le
forze di sinistra temevano che la costituzionalizzazione della
responsabilità politica dell’Esecutivo in capo al Primo Ministro
potesse favorire una gestione personalistica e plebiscitaria del
Governo, mentre quelle cattoliche giudicavano indispensabile
affidare al Capo dell’Esecutivo il compito di assicurare unità ed
efficienza all’azione di governo.
Come accadde per diverse altre
previsioni costituzionali che scontavano una significativa distanza
ideologica tra le principali forze politiche e culturali
rappresentate in seno alla Costituente (comunisti e democristiani),
anche la redazione finale dell’art.95 fu il frutto di un compromesso
(implicante la reciproca rinuncia alle tesi di partenza).
La
mediazione raggiunta comporta il riconoscimento in capo al Consiglio
dei ministri della responsabilità collegiale della politica generale
dell’Esecutivo (tanto che, secondo l’opinione più accreditata, là
dove la Costituzione menziona genericamente il Governo, si deve
intendere il Consiglio dei ministri[4]) e l’attribuzione al Primo
Ministro (il cui ruolo risulta, quindi, costituzionalizzato) delle
funzioni di direzione della stessa e di mantenimento dell’unità di
indirizzo politico, nonché di promozione e di coordinamento
dell’attività dei Ministri.
Rimasero, invece, disattese le
istanze intese a rafforzare il ruolo del Presidente, quali quelle
relative alla previsione di un sistema di cancellierato,
all’introduzione della sfiducia costruttiva, all’intestazione del
rapporto fiduciario al solo Primo Ministro, alla
costituzionalizzazione di un consiglio di gabinetto[5].
Resta
così confermato il carattere transattivo della soluzione
votata.
Si tratta, per altro verso, di una scelta determinata
(oltreché dalla segnalata esigenza di sintesi politica) dal rilievo
che le dinamiche dei rapporti tra il Presidente, i Ministri e il
Consiglio dei ministri devono restare affidate alla dialettica
propriamente politica interna all’Esecutivo e possono essere
regolate, in astratto, solo con l’affermazione di principi generali
che esigono una successiva declinazione nella legislazione
ordinaria, oltre che (se non soprattutto) nella prassi (in
conformità al principio di autodeterminazione del sistema
politico).
2.3- La formulazione testuale della disposizione non
appare, tuttavia, idonea a risolvere le questioni che sono state
agitate in seno alla Costituente.
Le difficoltà ermeneutiche si
appuntano, in particolare, sia sull’interpretazione dell’oggetto
dell’attività affidata alla responsabilità del Presidente, sia sui
contenuti dei poteri allo stesso attribuiti.
2.4- Le nozioni di
politica generale e di indirizzo politico e amministrativo sono
apparse, infatti, di difficile decifrazione già ai primi
commentatori della Costituzione.
Un primo problema è quello che
attiene ai rapporti tra i due concetti, non essendo chiaro se
politica generale e indirizzo politico coincidono[6], se la prima
costituisce attuazione del secondo[7] o se, al contrario, il secondo
costituisce attuazione della prima[8].
Attesa l’impossibilità
(prima che la difficoltà) di stabilire un ordine tra le due attività
(risultando plausibili tutte e tre le interpretazioni sopra
riportate) appare, invece, utile ribadire che la responsabilità
della determinazione dei contenuti di entrambe resta pacificamente
affidata al Consiglio dei ministri.
Ma rimangono da chiarire i
caratteri delle due funzioni, potendosi ritenere, ai fini che qui
rilevano, quella di politica generale assorbita da quella di
indirizzo politico (e, quindi, esaminabile congiuntamente a
quest’ultima).
L’interpretazione della nozione di indirizzo
politico ha risentito, più di altre, dell’evoluzione
dell’organizzazione interna dello Stato e dei suoi rapporti con le
istituzioni sovranazionali, nella misura in cui dall’originaria
lettura di Mortati[9] (a sua volta influenzata dall’organicismo
tedesco di Carl Schmitt[10]) quale funzione preordinata
all’individuazione, con valenza normativa e cogente, dei fini
generali dello Stato, passando per le esegesi di Crisafulli[11] e di
Lavagna[12], che ne offrono una lettura riduttiva (là dove intendono
tutelare l’autonomia degli altri organi costituzionali e la
posizione sovraordinata della Costituzione nella determinazione
delle finalità dello Stato), si giunge fino alle interpretazioni più
moderne[13] che imputano la titolarità della funzione in questione
alle regioni, al Parlamento o all’Unione Europea, relativamente alle
loro rispettive competenze istituzionali e politiche, e che
riservano al Governo la sola individuazione degli obiettivi generali
attinenti alla sua azione (e nei limiti delle sue attribuzioni
costituzionali).
2.5- Anche le nozioni di direzione e di
coordinamento hanno impegnato i costituzionalisti in una ardua opera
ermeneutica.
L’ambiguità semantica dell’uso del verbo dirigere ha
imposto agli interpreti una difficile esegesi di una previsione che
può essere letta sia come significativa di un mero compito di
indirizzo di decisioni affidate alla responsabilità collegiale del
Consiglio dei ministri, sia come significativa di un più incisivo
compito di determinazione dei contenuti dell’azione di
governo.
La preferenza che dev’essere accordata alla prima
opzione ermeneutica (come meglio chiarito infra) comporta il
rilievo dell’assenza, in capo al Presidente, di efficaci strumenti
di esigibilità delle direttive, la cui effettività resta confinata
al circuito politico dei rapporti di forza interni all’Esecutivo (ma
anche al Parlamento) e, in definitiva, all’uso dell’unica vera arma
di cui dispone il Primo Ministro: la minaccia della crisi.
In
alternativa, l’inadempimento del Ministro può sempre essere
sanzionato con la mozione di sfiducia individuale (secondo i canoni
e le regole chiariti dalla Corte Costituzionale a proposito del caso
Mancuso[14]), ma nell’ambito di una iniziativa politico-parlamentare
(rispetto alla quale il Primo Ministro resta giuridicamente e
formalmente estraneo).
Pure l’attività di coordinamento, di per
sé, non appare di agevole interpretazione.
La struttura
policentrica del Governo (tendente al ministerialismo[15]), infatti,
impedisce una qualificazione esatta della funzione di coordinamento,
che, tuttavia, può essere definita come quella competenza mediante
la quale il Presidente sintetizza le diverse iniziative dei Ministri
e armonizza le loro differenti o contrastanti posizioni, assicurando
la coerenza delle decisioni con il programma di Governo, dovendosi,
invece, rifiutare le letture che ne evidenziano il carattere
meramente circolare o equiordinato[16].
2.6- Ne risulta una
oggettiva difficoltà nella definizione del ruolo del Presidente e
del nucleo dei poteri a esso affidati dalla
Costituzione.
Tuttavia, a fronte delle opinioni minoritarie, che
intestano, per un verso, al Presidente la responsabilità
dell’indirizzo politico del Governo[17] e, per un altro, al
Consiglio dei ministri l’imputazione esclusiva della determinazione
della politica generale dell’Esecutivo[18], la lettura
prevalente[19] è quella che, invece, rifiutando sia il principio
monocratico sia quello collegiale (intesi in senso assoluto),
preferisce il riconoscimento di una posizione differenziata del
Presidente (di primus inter pares), sebbene non di
preminenza, che si sostanzia nelle funzioni di impulso, indirizzo,
direzione e coordinamento nei processi decisionali che impegnano
l’indirizzo politico del Governo e che restano affidati alla
responsabilità collegiale del Consiglio dei ministri.
Si tratta,
quindi, di un’interpretazione che sintetizza, armonizzandoli, i
principi di direzione monocratica del Governo e di imputazione
collegiale della determinazione dei contenuti della sua politica
generale, che dovranno essere coniugati secondo le dinamiche proprie
dei rapporti politici e in coerenza con il sistema istituzionale di
riferimento[20].
In definitiva, secondo la comune lettura
dell’art.95 Cost., per come declinata nella legislazione ordinaria
(secondo le regole descritte nel paragrafo che segue), l’assunzione
delle decisioni che impegnano la politica generale del Governo (e,
segnatamente, l’approvazione dei provvedimenti normativi) compete al
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per
materia, mentre residuano in capo al Presidente (che, tuttavia,
viene classificato come “autonomo centro di potere”[21] e “organo
costituzionale”[22]) le sole funzioni di indirizzo e di
coordinamento.
2.7- Si tratta, in ogni caso, di una disposizione
dai confini (volutamente) elastici e flessibili, nella misura in cui
il discrimine delle funzioni del Presidente, rispetto a quelle dei
Ministri e del Consiglio dei ministri, resta, in definitiva,
affidato alla dialettica politica delle relazioni di potere interne
all’Esecutivo.
3.- La disciplina
ordinaria.
3.1- Il riparto delle competenze tra
Presidente e Consiglio dei ministri, sanzionato dalla Costituzione
con la sola affermazione dei principi generali appena esaminati, è
rimasto, quindi, affidato alla legislazione ordinaria.
L’attuazione dell’art.95 Cost. è stata consacrata (solo) con
l’approvazione della legge 23 agosto 1988, n. 400, e, poi,
ulteriormente precisata con l’emanazione del d.lgs. 30 luglio 1999,
n. 303. del 1999, che si sono preoccupati (la legge) di definire, in
coerenza con la lettura più accreditata della suddetta previsione
costituzionale, gli ambiti funzionali rispettivamente riservati al
Presidente e al Consiglio dei ministri e (il decreto legislativo) di
assicurare al Presidente un’organizzazione amministrativa funzionale
all’esercizio delle sue funzioni di impulso, indirizzo e
coordinamento.
3.2- La legge n.400 ha individuato, all’art.2, le
funzioni spettanti al Consiglio dei ministri e all’art.5 quelle
attribuite al Presidente.
Dalla disamina del catalogo delle
attribuzioni dettagliate in tali due disposizioni resta confermata
la distinzione tra i compiti afferenti alla determinazione della
politica generale del Governo, che rimangono affidati al Consiglio
dei ministri, e quelli pertinenti alla promozione e al coordinamento
dell’azione dell’Esecutivo, che restano intestati al
Presidente.
Per quanto concerne, in particolare, l’assunzione
delle decisioni normative (che, si ricorda, costituisce l’oggetto
principale del presente studio), competono al Consiglio dei ministri
le deliberazioni relative all’approvazione dei disegni di legge, dei
decreti legge, dei decreti legislativi e dei regolamenti aventi la
forma del d.P.R. (art. 2, comma 3, lett. b e c, l. cit.), mentre
residuano in capo al Presidente le mere funzioni attinenti agli
adempimenti relativi alle deliberazioni normative del Consiglio dei
ministri (art.5, comma 1, lett. c), d), e), l. cit.) e quelle, più
politiche, dettagliate all’art.5, comma 2, l. cit.
Tra queste
ultime, rivestono una peculiare rilevanza, siccome espressive dei
poteri di direzione cristallizzati in Costituzione, le attribuzioni
che contemplano il potere di indirizzare direttive ai Ministri, di
coordinare e promuovere la loro attività (là dove incida sulla
politica generale del Governo), di sospendere l’adozione di atti da
parte dei Ministri competenti, sottoponendoli alla riunione
successiva del Consiglio dei ministri, di deferire a quest’ultimo le
decisioni sulle quali siano emersi contrasti tra amministrazioni e
di concordare con i Ministri interessati le dichiarazioni pubbliche
che impegnano la politica generale dell’Esecutivo.
Merita,
peraltro, un’attenzione particolare l’attribuzione al Consiglio dei
ministri (anziché al Presidente) del potere di porre la questione di
fiducia (art. 2, comma 2, lett.a), l. cit.).
Nonostante alcune
precedenti iniziative legislative avessero proposto la diversa
soluzione di intestare direttamente al Presidente tale competenza,
il legislatore del 1988 ha optato per la sua attribuzione al
Consiglio dei ministri, sancendo, in tal modo, la titolarità
collegiale della gestione del circuito fiduciario
Governo-Parlamento.
Si tratta, come è evidente, di una scelta
dirimente in ordine ai rapporti tra il principio monocratico e
quello collegiale, atteso che la decisione sull’apposizione della
questione di fiducia implica la scelta di una strategia (tutta
politica) di governo dei rapporti tra l’Esecutivo, la maggioranza e
l’opposizione[23].
3.3- Si tratta, come si vede, di un nucleo di
poteri che conferma la qualificazione del Presidente come primus
inter pares, nella misura in cui configura un ruolo di
preminenza nella direzione dell’azione di Governo, ma non di
supremazia sui singoli Ministri, che si declina nell’imputazione al
Primo Ministro delle (sole) responsabilità di impulso, di indirizzo
e di sintesi dell’attività dell’Esecutivo.
3.4- Peraltro, le
predette funzioni, che servono ad assicurare l’esercizio del ruolo
direttivo affidato dalla Costituzione al Presidente, restano,
perlopiù, sprovviste di sanzione e scontano, quindi, un deficit di
effettività, nel senso che l’inosservanza delle direttive o della
promozione di specifiche iniziative normative genera, al più,
conseguenze politiche, ma non produce alcun effetto
giuridico[24].
In particolare, l’impossibilità (giuridica), per
il Primo Ministro, di sostituirsi al Ministro inadempiente, di
revocargli l’incarico[25] o di disporre l’annullamento degli atti
adottati in violazione delle direttive impone, per un verso, di
ricondurre a dinamiche puramente politiche eventuali conflitti
interni al Governo e impedisce, per un altro verso, di riconoscere
al Presidente un’effettiva posizione di preminenza nella
determinazione dell’indirizzo politico dell’Esecutivo, in coerenza,
in ogni caso, con l’esegesi prevalente della previsione
costituzionale di riferimento.
3.5- Le lacune appena segnalate
nella configurazione dei poteri del Primo Ministro hanno, peraltro,
fondato le tesi, largamente accreditate e condivise, relative alla
necessità di un rafforzamento del suo ruolo, mediante una revisione
costituzionale che gli assegni responsabilità dirette di
determinazione della politica generale dell’Esecutivo e una
posizione di effettiva supremazia sui Ministri (che si esprima, ad
esempio, mediante la potestà di revoca dell’incarico a questi
ultimi).
3.6- Si deve, in ogni caso, avvertire che, come in ogni
organismo collegiale, il peso del Presidente sulle decisioni del
collegio continuerà a dipendere da fattori esterni alle regole di
funzionamento di quest’ultimo.
Ancorchè, infatti, l’assunzione
delle decisioni venga attribuita alla responsabilità del Consiglio
dei ministri, l’influenza del Presidente resta condizionata dalla
sua autorevolezza personale, dal peso politico della maggioranza
parlamentare di riferimento, dalla forza (politica e personale) dei
singoli Ministri, dall’intensità della legittimazione popolare del
Premier, dalla natura composita o meno dell’Esecutivo.
Dunque,
benché la Costituzione e il legislatore ordinario si siano sforzati
di disciplinare i ruoli del Presidente e del Consiglio dei ministri
nell’esercizio delle funzioni del Governo, la regolazione che ne è
derivata rimane necessariamente elastica e flessibile, in modo da
adattarsi alle diverse condizioni del contesto politico e partitico
e consentire così un’oscillazione dal modello propriamente
collegiale (tipico di governi di coalizione generati da un sistema
parlamentare a rappresentanza proporzionale) a un modello di
preminenza del Primo Ministro (più coerente con governi monocolore
derivati da sistemi elettorali a forte impronta maggioritaria).
3.7- In passato si è tentato di risolvere le difficoltà di
gestione dei rapporti interni al Governo ricorrendo a moduli
organizzativi diversi quali i Comitati interministeriali o il
Consiglio di gabinetto (istituito nel 1983 con il primo Governo
Craxi), ma tali soluzioni si sono rivelate fallaci, nella misura in
cui sono risultate fattori di complicazione, più che di
semplificazione, dei processi decisionali[26].
3.8- Quanto,
invece, alla disciplina legislativa ordinaria dell’organizzazione
delle strutture serventi[27], si deve rilevare che gli obiettivi
fissati nella legge delega 15 marzo 1997, n.59, in attuazione della
quale è stato emanato il d.lgs. n.303 del 1999, riassumibili nella
dismissione delle funzioni gestionali da parte della Presidenza del
Consiglio e nel potenziamento dell’organizzazione strettamente
funzionale all’esercizio, da parte del Presidente, dei compiti
attribuitigli dall’art.95 Cost., sono stati, in parte,
disattesi.
A fronte, infatti, dell’opportuna trasformazione
dell’Ufficio centrale per il coordinamento dell’iniziativa
legislativa e dell’attività normativa del Governo, originariamente
previsto dall’art.23, comma 7, della legge n.400 del 1988, nel
Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (d’ora innanzi:
DAGL) e, quindi, in una struttura più articolata, non si può non
osservare che quest’ultimo non è stato (amministrativamente) dotato
di adeguate risorse umane e, soprattutto, che la Presidenza del
Consiglio dei ministri è rimasta un’amministrazione pletorica e
(ancora) titolare di compiti operativi e gestionali (di quelli di
cui, cioè, la legge delega voleva l’eliminazione o il trasferimento
presso altre amministrazioni), con la conseguente dispersione,
nell’esercizio di funzioni di amministrazione attiva (che avrebbero
dovuto essere allocate presso i Ministeri competenti), di risorse
che, al contrario, dovrebbero essere impiegate per supportare il
Presidente nell’esercizio dei suoi compiti costituzionali di
indirizzo e di coordinamento.
4.- La prassi
dell’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento
nell’attività normativa.
4.1- Oltreché per effetto della
legislazione ordinaria, l’art.95 Cost. è stato riempito di contenuti
dalla normativa secondaria e, segnatamente, dai provvedimenti
regolamentari intesi a disciplinare l’organizzazione della
Presidenza del Consiglio e il funzionamento del Consiglio dei
ministri, da circolari o istruzioni operative sull’istruttoria dei
provvedimenti normativi e dalla prassi governativa.
Tale
complesso di norme, nel limitarsi a dettagliare gli adempimenti
spettanti al Presidente e alle sue strutture amministrative
serventi, nella organizzazione, direzione e attuazione delle
decisioni spettanti al Consiglio dei ministri, conferma la
ripartizione delle competenze tracciata dalla legislazione ordinaria
appena esaminata.
4.2- In particolare, dall’analisi del d.P.C.M.
10 novembre 1993 (recante il Regolamento interno del Consiglio dei
ministri), della Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri
14 gennaio 2003 (che disciplina l’attività di concertazione dei
disegni di legge di ratifica degli atti internazionali), della
Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 26 febbraio 2009
(che regola l’istruttoria degli atti normativi del Governo), della
Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 2008
(che disciplina i tempi e le modalità di effettuazione dell’analisi
tecnico-normativa), del d.P.C.M. 11 settembre 2008, n.170 (recante
la disciplina dell’analisi dell’impatto della regolamentazione) e
del d.P.C.M. 19 novembre 2009, n.246 (recante la disciplina della
verifica dell’impatto della regolamentazione) emerge il ruolo di
coordinamento che il Presidente svolge, tramite le strutture
amministrative che dipendono da lui, e, in particolare, per mezzo
del DAGL, nell’istruttoria, nella preparazione, nell’esame e
nell’attuazione delle deliberazioni normative assunte dal Consiglio
dei ministri.
Il sistema configurato dalla normazione secondaria
sopra indicata (nonché dalla relativa prassi applicativa) definisce
una procedura che può essere sintetizzata nei seguenti termini: il
Ministero che propone l’approvazione di un provvedimento da parte
del Consiglio dei ministri lo trasmette al DAGL, che ne controlla
l’istruttoria con le Amministrazioni concertanti, verificando anche
le relazioni di accompagnamento; il provvedimento, non appena
ritenuto sufficientemente istruito, viene iscritto all’ordine del
giorno della riunione preparatoria del Consiglio dei ministri (c.d.
preconsiglio), dove si acquisisce il parere delle amministrazioni
interessate, e viene diramato agli uffici legislativi di tutti i
Ministri; esaurita l’istruttoria, il provvedimento viene iscritto
all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri, convocato dal
Presidente; il provvedimento viene, poi, nuovamente diramato in
vista della riunione del Consiglio dei ministri e può essere
approvato senza modifiche, con modifiche o salvo intese; al
coordinamento delle modifiche deliberate dal Consiglio dei ministri
e alla formalizzazione delle intese alle quali è stata eventualmente
subordinata l’approvazione provvede il DAGL; una volta definito il
testo approvato, lo stesso viene trasmesso, dalle strutture della
Presidenza competenti, prima al Ministero dell’economia e delle
finanze per la c.d. bollinatura, poi al Presidente della Repubblica
per la firma e, infine, in Parlamento (nei casi di disegni di legge
o di decreti legge) per il successivo esame.
Questa
apparentemente inutile rassegna degli adempimenti che precedono e
che seguono le deliberazioni normative del Consiglio dei ministri
serve a documentare la declinazione operativa del ruolo assegnato
dalla normativa di riferimento (costituzionale e ordinaria) al
Presidente.
4.3- Dall’esame della procedura sopra descritta
risulta che l’unica funzione effettivamente incisiva del Presidente
è quella che si esprime nel potere di convocazione del Consiglio dei
ministri e di iscrizione dei provvedimenti proposti dai Ministri
all’ordine del giorno (prima) del preconsiglio e (dopo) del
Consiglio dei ministri.
Si tratta, a ben vedere, di un potere che
assume implicazioni sia tecniche sia politiche, nel senso che il
Presidente valuterà, ai fini dell’assunzione della relativa
decisione, non solo il grado di istruttoria tecnica del
provvedimento (valutazione affidata perlopiù al DAGL), ma anche la
coerenza dello stesso con l’indirizzo politico dell’Esecutivo, per
come enunciato nel programma e interpretato dallo stesso
Presidente.
Resta inteso, ovviamente, che il grado di intensità
di tale potere dipende dal contesto politico di riferimento, con la
conseguenza che l’effettività della sua stessa possibilità di
esercizio resta condizionata dalla forza del Primo Ministro
all’interno della compagine governativa[28].
Ne discende che un
Presidente “forte” potrà decidere concretamente i tempi delle
deliberazioni del Consiglio dei ministri, a prescindere dalle
iniziative assunte dai Ministri competenti per materia, mentre un
Presidente “debole” si limiterà a registrare in maniera notarile le
proposte dei Ministri e a dargli corso secondo le esigenze dettate
dalla sola istruttoria tecnica (e, a volte, neanche da
quelle)[29].
4.4- La sequenza procedurale sopra descritta ci
consegna un’altra preziosa informazione: la diramazione dei
provvedimenti in funzione dell’esame del Consiglio dei ministri
serve a garantire il rispetto del principio di collegialità
cristallizzato nella Costituzione (secondo la sua più accreditata
esegesi). L’imputazione collegiale delle decisioni normative,
infatti, postula logicamente, prima che giuridicamente, che i testi
dei provvedimenti siano conosciuti in tempo utile da tutti i
Ministri.
In difetto della preliminare e tempestiva diffusione
dei testi, le deliberazioni del Consiglio dei ministri potranno
essere imputate allo stesso solo formalmente, ma non
sostanzialmente, con un evidente vulnus del principio di
collegialità voluto dalla Costituzione.
4.5- Il
regolamento interno del Consiglio dei ministri (che omette
volutamente una disciplina dettagliata delle deliberazioni del
Governo, non prevedendo quorum strutturali, maggioranze o sistemi di
voto) sembra, peraltro, assegnare una posizione di preminenza al
Presidente nelle decisioni relative alla presentazione degli
emendamenti del Governo, che, appunto, devono essere autorizzati
dallo stesso Presidente o, per sua delega, dal Ministro per i
rapporti con il Parlamento (art.17, comma 1, del
regolamento).
Sennonchè, per un verso, la medesima disposizione
prescrive che gli emendamenti particolarmente rilevanti o che
incidono sulla politica generale del Governo devono essere approvati
dal Consiglio dei ministri e, per un altro, la prassi dimostra che
spesso gli emendamenti governativi vengono firmati dal Ministro
competente per materia o vengono, comunque, veicolati per via
parlamentare (eludendo la regola dell’autorizzazione del Presidente
o del Ministro per i rapporti con il Parlamento).
Anche sotto
tale rilevante profilo, quindi, la preminenza del Presidente risulta
ridimensionata da un sistema di regole che continua a privilegiare
la competenza collegiale per l’assunzione delle decisioni di maggior
rilievo politico e da una consuetudine che lo priva del controllo
delle iniziative emendative sostanzialmente ascrivibili ai Ministri
di settore.
5.- L’influenza del sistema elettorale e (più
in generale) di quello politico sul ruolo del Presidente del
Consiglio.
5.1- Nella ricostruzione del ruolo del
Presidente del Consiglio, nelle relazioni con il Consiglio dei
ministri e con gli stessi Ministri, non può trascurarsi l’influenza
esercitata dal sistema elettorale e, quindi, dalle modalità di
selezione e di nomina del Primo Ministro, nella misura in cui si
rivelano idonee a introdurre (di fatto) una diversa forma di
governo[30] (anche in assenza di coerenti modifiche
costituzionali).
Trattandosi di un tema che esula dall’oggetto
principale della presente analisi, ci limiteremo a segnalare le
implicazioni del sistema elettorale e (più in generale) di quello
politico-istituzionale di riferimento sulle dinamiche di potere
interne all’Esecutivo.
5.2- Premesso che (come già rilevato supra) l’influenza concreta del Presidente sulla
determinazione della politica generale del Governo dipende anche
dalla sua forza politica, appare chiaro che, in un contesto
ordinamentale nel quale la scelta del Primo Ministro risulta
vincolata dagli esiti della consultazione elettorale (nel senso che
la scelta del Presidente dev’essere coerente con l’indicazione,
propria dei sistemi con significativi fattori maggioritari, emersa
dai risultati delle elezioni politiche), il suo ruolo assumerà i
contorni di un’autentica leadership di Governo, mentre, al
contrario, in un assetto ordinamentale nel quale l’individuazione
del Premier risulta il frutto della mediazione parlamentare
all’interno di una coalizione di partiti (tipica di sistemi
parlamentari con sistemi elettorali proporzionali), la sua posizione
si rivelerà più debole e sostanzialmente condizionata dai
compromessi politici raggiunti al di fuori di Palazzo
Chigi.
Senza addentrarci nelle tecnicalità dei diversi possibili
modelli elettorali e delle coerenti modalità di selezione o di
nomina del Primo Ministro, ai fini del presente studio è sufficiente
rilevare come un sistema che prevede l’investitura elettorale
diretta (mediante l’indicazione del candidato Premier nella scheda
elettorale, meccanismi maggioritari di assegnazione dei seggi e la
natura pressochè vincolata della nomina da parte del Capo dello
Stato) produce l’effetto di assegnare una legittimazione popolare e,
quindi, una forza politica al Presidente, il quale, anche a
costituzione invariata, finisce per assumere un ruolo di effettiva
supremazia, rispetto ai Ministri, nelle decisioni di politica
generale del Governo.
Al contrario, un modello elettorale
proporzionale, che implica la formazione di composite maggioranze
parlamentari, mediazioni politiche sul programma di Governo, accordi
di coalizione e, in definitiva, ampia libertà (rispetto agli esiti
delle elezioni politiche) nella scelta del Primo Ministro, finisce
per indebolire il ruolo di quest’ultimo, che si troverà a svolgere
un ruolo fiacco di direzione e di coordinamento di decisioni
politiche assunte (perlopiù) in altre sedi o, comunque, con una sua
partecipazione paritaria (e non preminente).
5.3- Sotto un altro,
ma connesso, profilo, si rivela decisiva, sulla “forza” del Primo
Ministro, anche la composizione della maggioranza di Governo, nel
senso che in un Esecutivo di coalizione il Presidente dovrà
garantire le istanze politiche di tutti i partiti che compongono la
compagine governativa, con il conseguente ridimensionamento del suo
ruolo decisionale, mentre in Governi monocolore (che postulano un
sistema elettorale maggioritario) la sua leadership ne
risulterà rafforzata.
5.4- Ovviamente modifiche costituzionali
quali l’assegnazione al Presidente del potere di nominare e di
revocare i Ministri e l’intestazione a esso solo del rapporto
fiduciario con il Parlamento, implicherebbero la revisione della
forma di governo e l’introduzione di un modello di premierato forte,
da molti auspicato quale soluzione al problema della debolezza
dell’Esecutivo e del suo Capo, che comporterebbe, a sua volta,
l’effetto della costituzionalizzazione del principio monocratico
(mediante l’attribuzione al Premier di una posizione, anche
giuridica e formale, di supremazia sui Ministri).
6.-
Prospettive evolutive, de iure condito e de iure
condendo.
6.1- La consapevolezza dei rischi insiti
nella forma di governo parlamentare era ben presente già ai
Costituenti e risulta ben sintetizzata nell’ordine del giorno
Perassi che mirava proprio a scongiurare le “degenerazioni del
parlamentarismo” e a rafforzare la stabilità dell’azione di
governo.
Anche l’assetto dei poteri del Presidente, come
disegnato nella Costituzione e declinato poi nella legislazione
ordinaria, è stato giudicato, da più parti, inadeguato rispetto alle
esigenze di leadership dell’Esecutivo, avvertite ormai come
ineludibili nel contesto politico ed economico degli ultimi
anni.
Il già riscontrato deficit di effettività dei poteri di
direzione assegnati dalla Costituzione al Premier, infatti, comporta
significative difficoltà (se non una vera e propria impotenza) nella
guida dell’Esecutivo[31].
In particolare, l’assenza di poteri di
determinazione dell’indirizzo politico, l’impossibilità di
sostituirsi a Ministri inadempienti (alle direttive) o semplicemente
inerti (nell’attuazione del programma di Governo), l’impraticabilità
dell’avocazione di dossier strategici per l’azione
dell’Esecutivo finiscono per disegnare una figura di chairman, ma non di chief[32].
A fronte di tali
lacune, risulta ormai condivisa la necessità di trasformare il
Presidente da mero coordinatore di Ministri a leader dell’Esecutivo.
L’esigenza di rafforzamento del ruolo del
Presidente può essere declinata sia de iure condito sia de
iure condendo.
6.2- Secondo la prima prospettiva, de iure
condito appaiono indispensabili e praticabili, a legislazione
vigente, due iniziative: il rafforzamento della struttura di
supporto del Presidente in materia economica e il potenziamento del
DAGL.
6.2.1- Quanto alla prima, giova ricordare che uno dei
fattori di debolezza del Presidente riscontrabile nelle esperienze
degli ultimi Esecutivi è senz’altro la sua dipendenza dalle (se non
la sua subordinazione alle) strutture del Ministero dell’economia e
delle finanze, nella misura in cui l’approvazione di pressochè tutti
i provvedimenti normativi resta condizionata dagli esiti favorevoli
delle verifiche tecniche della Ragioneria generale dello
Stato.
Sennonchè, il monopolio amministrativo, in capo al MEF,
delle informazioni relative ai costi dei provvedimenti e alle
relative coperture finanziarie, unitamente alla indisponibilità
delle stesse da parte della Presidenza del Consiglio, finisce per
assegnare alla Ragioneria generale dello Stato un improprio ruolo di
decisore di ultima istanza e per impedire al Presidente qualsivoglia
controllo dell’attendibilità delle relative stime (che restano
confinate nell’impenetrabile ed esoterica liturgia di Via XX
Settembre).
Non solo, ma l’inaccessibilità (diretta) di dati
economici e di informazioni finanziarie da parte del Presidente e
delle sue strutture impedisce, a prescindere dalla lealtà della
collaborazione istituzionale del Ministro dell’economia e delle
finanze, un’effettiva partecipazione del Primo Ministro, che resta
così relegato in un’inaccettabile posizione di dipendenza
informativa, alla progettazione della politica
economica.
Risulta, quindi, necessario, al fine di scongiurare
l’estromissione del Presidente dalle informazioni finanziarie che
servono all’assunzione di decisioni stabili e istruite, un
rafforzamento delle strutture della Presidenza del Consiglio
dedicate alla programmazione economica o, comunque, dello staff del
Presidente, preordinato proprio a consentire a quest’ultimo una
partecipazione diretta e (quantomeno) paritaria (rispetto al
Ministro dell’economia e delle finanze) alle deliberazioni che
rivestono carattere finanziario.
Ovviamente le dotazioni
aggiuntive di analisti e di economisti dovranno essere accompagnate
da misure amministrative idonee a consentire agli stessi un accesso
diretto alle informazioni e ai dati detenuti dal Ministero
dell’economia e delle finanze, nella misura in cui si rivelino
indispensabili a fornire al Presidente la base conoscitiva
necessaria ad assumere decisioni autonome e sufficientemente
istruite anche sotto il profilo dell’impatto finanziario.
6.2.2-
In merito alla seconda iniziativa sopra indicata, invece, appare
necessaria un’implementazione delle risorse (umane e finanziarie)
assegnate al DAGL, che serva a consentire un effettivo controllo dei
testi dei provvedimenti normativi e del loro impatto, di guisa da
evitare una legislazione troppo spesso disordinata, incoerente e
inefficace (rispetto agli obiettivi dell’azione di
governo).
L’attuale organizzazione amministrativa del
Dipartimento, infatti, non permette un soddisfacente svolgimento
delle predette funzioni (che si rivelano indispensabili per
assicurare qualità ed efficacia alla produzione normativa
dell’Esecutivo) ed esige, quindi, un suo significativo
rafforzamento.
La restituzione al DAGL di un’effettiva capacità
operativa di gestione dell’istruttoria dei provvedimenti normativi
da sottoporre all’esame del Consiglio dei ministri servirebbe, in
particolare, al Presidente per esercitare le funzioni costituzionali
di indirizzo e di coordinamento in maniera più incisiva ed efficace
di quanto riesca a fare con l’attuale organizzazione della sua
struttura servente.
6.3- Quanto, invece, alla prospettive
evolutive de iure condendo (che si possono riassumere nelle
modifiche idonee a restituire al Presidente una posizione di
preminenza all’interno dell’Esecutivo) ci limiteremo a esaminare i
progetti di riforma costituzionale più significativi degli ultimi
anni, concentrando la nostra analisi sui rapporti interni al
Governo, più che sulle innovazioni (per quanto rilevanti) relative
ai rapporti con gli altri organi costituzionali.
6.3.1- Nella
proposta elaborata dalla Commissione bicamerale D’Alema nella XIII
Legislatura, si prevede una forma di governo di tipo
sempiresidenziale, dove la posizione del Presidente viene rafforzata
mediante la sua nuova denominazione di Primo Ministro, la previsione
della sua nomina tenendo conto dei risultati elettorali, il
riferimento del potere di direzione all’azione (anziché alla
politica generale) del Governo e la sanzione dell’ossequio che i
Ministri devono prestare alle direttive del Primo
Ministro[33].
6.3.2- Nel testo approvato nella XIV Legislatura
(A.S. 2544-D c.d. “Devolution”) e poi bocciato dal referendum, che
costituisce il progetto più avanzato di introduzione del c.d.
“Premierato forte”, il Primo Ministro risulta sostanzialmente
designato dall’elettorato (attraverso un meccanismo che dovrebbe
collegare in maniera diretta i risultati delle elezioni politiche
con la selezione del candidato alla carica di Primo Ministro),
nomina e revoca (egli stesso) i Ministri, determina (in luogo di
dirige) la politica generale del Governo e garantisce (anziché
mantiene) l’unità di indirizzo politico e amministrativo.
6.3.3-
Nella c.d. “Bozza Violante” (elaborata nella XV Legislatura),
invece, l’art.95 non viene toccato, ma vengono introdotte misure che
rafforzano i poteri del Governo in Parlamento (relativamente alla
determinazione dei tempi di esame dei disegni di legge) e,
soprattutto, il rapporto fiduciario viene intestato al Presidente
del Consiglio (anziché all’Esecutivo).
6.3.4- Nella proposta A.C.
5386 (approvata al Senato nella XVI Legislatura), che propone una
revisione della forma di governo in senso semipresidenziale (con
l’elezione diretta del Presidente della Repubblica), vengono
rafforzati i poteri del Governo in Parlamento, ma non viene
modificato il ruolo del Primo Ministro (se non nella limitata
innovazione di tale nuova denominazione)
6.4- Come si vede, si
tratta di iniziative dichiaratamente finalizzate, per quello che
riguarda l’oggetto del presente studio, a rafforzare il ruolo del
Governo (in generale e in tutte le proposte) e del Primo Ministro
(in particolare e in alcune di esse), seppur con modalità e
strumenti diversi e nell’ambito di differenti schemi di revisione
della forma di governo.
Non ci resta, tuttavia, che constatare
amaramente il fallimento di tutti i progetti di revisione
dell’architettura costituzionale (con l’unica eccezione della
riforma del Titolo V del 2001), nonostante la larghissima
condivisione politica della sua necessità.
Per quanto concerne
l’oggetto della presente indagine, dobbiamo continuare a registrare
l’insufficienza del regime, costituzionale e ordinario, del ruolo
del Presidente e la necessità di un suo adeguamento alle esigenze
del suo rafforzamento, imposte dalla presente congiuntura
storico-economico (nella misura in cui esigono rapidità e
tempestività nell’assunzione e nell’attuazione delle decisioni
governative).
7.- L’evoluzione del ruolo del Presidente
del Consiglio nell’esperienza degli ultimi
vent’anni.
7.1- Così ricostruite le prospettive di
riforma dell’organizzazione del Governo, ci resta da esaminare
l’esperienza degli ultimi vent’anni, al fine di scrutinare la
declinazione operativa delle funzioni del Presidente nel mutato
contesto politico-istituzionale della c.d. Seconda
Repubblica.
Possono registrarsi, al riguardo, due differenti
tipologie di Esecutivi, che, tuttavia, rivelano (entrambe) il
medesimo fenomeno del rafforzamento, a Costituzione invariata, del
ruolo del Primo Ministro.
7.2- L’introduzione di formule
elettorali maggioritarie (rintracciabili, anche se con diverse
modalità, sia nel c.d. Mattarellum sia nel c.d. Porcellum), unitamente all’indicazione nella scheda
elettorale del candidato Premier (prima di fatto e, poi, di
diritto), ha prodotto, in primo luogo, l’effetto di “vincolare” la
scelta del Primo Ministro agli esiti della consultazione elettorale
e, poi, quello di assegnare allo stesso una investitura
diretta.
Tale configurazione del sistema elettorale consente di
ritenere (seppur impropriamente su un piano strettamente giuridico)
il Premier “eletto” dai cittadini e, quindi, legittimato dal
consenso popolare, con la conseguente attribuzione allo stesso di
una “forza” nei rapporti con i Ministri non rinvenibile nei Governi
della c.d. Prima Repubblica (nei quali non era infrequente la scelta
di Presidenti appartenenti a partiti politici minori).
Ovviamente
la storia degli ultimi vent’anni ci consegna anche esperienze di
sostituzione, nella medesima legislatura, del Presidente “eletto”
con Presidenti sprovvisti della medesima legittimazione popolare,
come anche prassi di preminenza, all’interno del Consiglio dei
ministri, del Ministro dell’economia e delle finanze, anche rispetto
allo stesso Primo Ministro.
Ma tali anomalie non valgono ad
inficiare la considerazione di fondo che le formule maggioritarie
implicano un rafforzamento della posizione del Presidente scelto in
coerenza con gli esiti elettorali.
7.3- Nel periodo considerato
sono, nondimeno, riscontrabili anche esperienze di Governi tecnici o
del Presidente (della Repubblica), perlopiù originati da situazioni
di acuta crisi economica o di stallo politico-istituzionale nella
formazione dell’Esecutivo, nei quali la preminenza del Presidente
(del Consiglio) trova la sua giustificazione nella sua competenza
tecnica o nella fiducia accordatagli dal Capo dello Stato, dal quale
riceve legittimazione e al quale va, in definitiva, riferita la
guida dell’Esecutivo[34].
7.4- Si tratta, in ogni caso, di
esperienze di governo che, seppur con modalità molto diverse e,
forse, opposte, ci consegnano gli effetti di un rafforzamento del
ruolo del Premier (soprattutto se confrontato con quello proprio dei
Presidenti della Prima Repubblica) che appare, ormai, acquisito
nella storia politica e istituzionale del Paese (anche se il
peculiare caso del Governo attualmente in carica, esaminato nel
paragrafo che segue, sembra forzare ulteriormente tale linea
evolutiva).
8.- Il decisionismo monocratico nel Governo
in carica.
8.1- L’assenza, nel disegno di legge di
revisione costituzionale deliberato dall’Esecutivo in carica (e
approvato in prima lettura dal Senato), di ogni intervento di
modifica dell’art.95 Cost., già segnalata all’inizio del presente
studio, appare particolarmente vistosa (se confrontata con le
modalità decisionali finora registrate), ma potrebbe trovare una
spiegazione attendibile nelle considerazioni che
seguono.
L’analisi di questi primi mesi di lavoro dell’attuale
Governo ci consegna, infatti, un’inedita trasformazione del ruolo
del Presidente del Consiglio, a Costituzione invariata e in
(parziale) discontinuità con le esperienze degli Esecutivi
precedenti e con le relative prassi costituzionali.
Si tratta di
un processo di rafforzamento del ruolo del Premier, nell’ottica del
progressivo consolidamento della preminenza della sua figura, che si
sviluppa sotto il doppio binario di modifiche della legislazione
ordinaria, intese proprio all’imputazione di alcune funzioni (prima
allocate presso il Consiglio dei ministri o presso i Ministri) in
capo al Presidente, e di coerente implementazione delle consuetudini
e delle convenzioni costituzionali.
Esamineremo nell’ordine i
due fattori di mutamento del ruolo del Primo Ministro.
8.2-
Principiando dalla disamina delle iniziative normative preordinate
all’accentramento di alcune funzioni in capo al Presidente, ci
limiteremo ad una sintetica rassegna delle relative norme.
L’art. 7, comma 1, lett.b), del c.d. d.d.l. Madia (A.S. 1577)
contiene una delega legislativa finalizzata a definire gli strumenti
normativi e amministrativi funzionali alla direzione della politica
generale del Governo e al mantenimento dell’unità di indirizzo
politico e amministrativo nonché a rafforzare il ruolo di
coordinamento e promozione dell’attività dei Ministri da parte del
Presidente.
Altre disposizioni, contenute sia nel predetto d.d.l.
sia nel d.l. n.133 del 2014 (c.d. Sblocca Italia), attribuiscono,
invece, al Presidente il potere di emanare, in via sostitutiva,
provvedimenti (sia normativi sia amministrativi) di competenza di
altre amministrazioni, nelle ipotesi di ritardi o inerzie di queste
ultime nell’adozione dei relativi atti o nella formulazione di
concerti o nulla osta entro i termini prescritti.
Come si vede,
si tratta di due diverse tipologie di disposizioni: con la delega
contenuta nel d.d.l. Madia si mira, infatti, ad implementare il
ruolo di direzione e di coordinamento del Presidente, secondo
l’auspicio più volte formulato e in ossequio al dettato testuale
dell’art.95 Cost., anche se la genericità dei criteri impedisce di
prefigurare le soluzioni regolative che il Governo immagina di
inserire nei decreti legislativi attuativi e, quindi, di formulare
qualsivoglia giudizio sulla loro utilità ed efficacia; con l’altro
gruppo di norme, invece, si intende devolvere al Presidente
l’emanazione di provvedimenti, di competenza, per materia, di
Ministri, nei casi di ritardi, inadempienze o inerzie degli
stessi.
Pur condividendo la finalità di tali ultime disposizioni
e astenendoci da qualsivoglia apprezzamento sulla loro compatibilità
costituzionale, ci limitiamo ad osservare che la loro concreta
attuazione postula una capacità amministrativa che le attuali
strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri non sembrano
possedere, con la conseguenza che, qualora non si provveda a un
coerente rafforzamento delle esistenti dotazioni organizzative, le
norme in questione rischiano di restare lettera morta.
8.3- Più
complessa si rivela l’analisi del secondo fattore di cambiamento del
ruolo del Presidente nei processi decisionali normativi
dell’Esecutivo.
Benché formalmente ascrivibili al Consiglio dei
ministri, le deliberazioni approvative di provvedimenti normativi
appaiono, per molti versi, imputabili sostanzialmente al Presidente,
quantomeno relativamente alle presupposte scelte di strategia
politica.
Sono diversi gli indici sintomatici dai quali è
possibile ricavare questo convincimento.
Per intuibili ragioni,
ci limitiamo ad accennare a tali indizi, evitando di trarre, da
essi, conclusioni definitive.
Appare, innanzitutto,
significativo un dato temporale: la durata esigua (in relazione ai
relativi ordini del giorno) di alcune riunioni del Consiglio dei
ministri[35].
Anche le comunicazioni dell’azione di governo, sia
nella forma istituzionale che in quella più innovativa inaugurata
dal Presidente in carica, indicano la sua sostanziale ascrivibilità
più al Presidente che alla collegialità dell’Esecutivo.
Il
decisionismo del Presidente pare, inoltre, estendersi fino alla
determinazione dei tempi di esame parlamentare dei disegni di legge
governativi, mediante un’anticipazione (di fatto) degli effetti di
diverse ipotesi di modifica costituzionale (che assegnano
all’Esecutivo il potere di esigere la votazione delle sue proposte
entro una certa data).
L’impressione che se ne ricava è quella
di un’interpretazione estensiva del ruolo del Primo Ministro, che ci
consegna un’inedita esperienza di premierato di fatto o di Governo
del Presidente (questa volta va precisato: del Presidente del
Consiglio, non del Presidente della Repubblica), nel quale le
decisioni vengono sostanzialmente e prevalentemente assunte dal (o,
comunque, imputate al) Primo Ministro (con una netta prevalenza del
principio monocratico su quello collegiale).
Ci troviamo, in
altri termini, di fronte ad un’espansione del ruolo del Presidente -
che pare determinare, più che dirigere, la politica generale del
Governo - fino agli estremi confini degli spazi applicativi
consentiti dall’art.95 Cost.
Ne consegue un significativo e
corrispondente sacrificio della dimensione collegiale del Governo
(ricavabile anche dall’analisi dei tempi medi delle riunioni del
Consiglio dei ministri[36]), che ne risulta diminuita e
ridimensionata, nonostante la natura politicamente composita
dell’Esecutivo (che resta, in ogni caso, di coalizione).
8.4- Ci
limitiamo a registrare la mutazione del ruolo del Presidente,
astenendoci da qualsiasi giudizio politico su di essa, che
atterrebbe più alla valutazione degli effetti di tale trasformazione
sull’efficacia dell’azione di governo, che al rafforzamento, in sé,
del ruolo del Presidente, che si rivela, di per sé, neutro, se non,
addirittura, positivo.
Ma tale apprezzamento esula dai confini
della presente indagine.
9.- Considerazioni
finali.
Resta, in conclusione, confermata l’esigenza di
un rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, per come
definiti in Costituzione, al fine di consentire la configurazione
istituzionale di un’autentica leadership, che serva ad
assegnare al Primo Ministro un efficace e riconosciuto ruolo di
guida dell’Esecutivo.
In attesa di una coerente riforma
costituzionale, occorre, tuttavia, verificare se la trasformazione
del ruolo del Presidente, avviata (o, comunque, proseguita)
dall’attuale capo dell’Esecutivo, comporti una modifica stabile
della Costituzione materiale, di per sé sufficiente a consolidare la
preminenza del principio monocratico su quello collegiale, ovvero se
sia necessario un conseguente adeguamento delle regole
costituzionali di riferimento.
Si deve, quindi, valutare se la
vigente cornice regolatoria (costituzionale e ordinaria)
dell’organizzazione del Governo sia idonea a legittimare
l’evoluzione sopra segnalata, oppure se quest’ultima necessiti di
una nuova disciplina che la giustifichi e (soprattutto) la
regoli.
Mortati ammoniva che ”una volta ammesso che diritto non è
l’insieme delle statuizioni consacrate in un testo di legge ed
operanti pel solo fatto di tale consacrazione, ma quel complesso
ordinato di situazioni e di rapporti che si raccoglie in un centro
di autorità, e costituisce il diritto “vivente”, valevole come tale
anche se contrastante con quello legale, allorché l’osservazione
documenti l’avvenuta sua stabilizzazione, non si rende possibile
escluderne l’autonomo rilievo”[37].
In conformità alle
indicazioni metodologiche appena ricordate, occorre, in altri
termini, giudicare se esista uno iato tra il “diritto vivente” e le
formule testuali dell’art.95 Cost., ovvero se la declinazione del
ruolo del Presidente, per come ricavabile dall’analisi degli ultimi
Governi (e segnatamente di quello attualmente in carica), sia
consentita dall’elasticità della predetta formulazione letterale.
E, ancora, se si ritiene plausibile la prima ipotesi, si devono
identificare le modifiche più appropriate per eliminare la segnalata
divergenza tra la Costituzione materiale e quella formale.
Spetterà, poi, ai politologi valutare se siamo o meno in
presenza di una trasformazione, di fatto, del sistema
politico-istituzionale e, in particolare, di una modificazione
profonda della fisionomia dei rapporti reciproci tra gli elettori, i
partiti, il Parlamento e il Primo Ministro.
Senza avventurarci
nella complessa analisi delle questioni sopra indicate, ci limitiamo
a osservare che, se si dovesse consolidare nel tempo il ruolo
politico-istituzionale del Presidente (per come sopra descritto),
occorrerebbe provvedere a una revisione dell’art.95 Cost., che
cristallizzi il “diritto vivente” in coerenti formule
costituzionali.
Per il resto, basti aver sollevato il
problema.
In ogni caso, a prescindere dal regime giuridico
(costituzionale o ordinario) delle funzioni del Premier, la forza e
la stabilità della sua leadership devono essere ricondotte a
fattori estranei alla (e indipendenti dalla) definizione legislativa
del suo ruolo: la competenza, la credibilità, la serietà, ma,
soprattutto, la capacità di vedere, interpretare e realizzare il
bene della comunità affidata al suo governo.
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(*) per gentile concessione di www.confronticostituzionali.it
[1] E. CATELANI, Art.
95, in Commentario alla Costituzione, a cura di P. Bifulco, A.
Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006, vol. II, 1842; E. CHELI - V.
SPAZIANTE, Il Consiglio dei Ministri e la sua presidenza: dal
disegno alla prassi, in L’istituzione Gov., pag.43.
[2] A. AMBROSI, voce Art. 95, in Commentario breve alla
Costituzione, a cura di S. Bartole e R. Bin, Cedam, Padova, 2008,
pp. 863 ss.; L. BARRA CARACCIOLO, Evoluzione del potere di
coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
disponibile sul sito www.centrostudiparlamentari.it.; P. BONETTI, L’ultimo tentativo di potenziare il ruolo costituzionale del
Presidente del Consiglio dei Ministri: il riordino della
Presidenza, in Rassegna parlamentare, 2000, fasc. 4, pp.
863 ss.; P. Bonetti, Il coordinamento della progettazione degli
atti normativi del Governo: problemi e prospettive, in
www.astrid.eu.; P.A. CAPOTOSTI, voce Presidente del
Consiglio, in Enc. Dir., XXXV, Milano, 1986; E.
CASTORINA, Direzione e coordinamento del Presidente del Consiglio
dei Ministri nel sistema della protezione civile, in
www.forumcostituzionale.it; E. CATELANI, Art. 95, in
Commentario alla Costituzione, a cura di P. Bifulco, A. Celotto, M.
Olivetti, Torino, 2006, vol. II, pp. 1836 ss.; E. CATELANI, voce Presidente del Consiglio dei Ministri, in Dizionario di
diritto pubblico, a cura di S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006,
pp. 4431-4440; P. Ciarlo, Commento all’art. 95, in
Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Zanichelli,
Bologna, 1994, pp. 321 ss.; G.P. CIRILLO, Il potere di
coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, in www.giustizia-amministrativa.it; F. COCOZZA, L’ufficio centrale per il coordinamento dell’iniziativa
legislativa, le “procedure di governo” e “il governo in
Parlamento”, in Il Foro italiano, 1989, fasc. 6, pp.
366-371; M. D’UBALDI, L’attuazione della riforma. I nuovi poteri
del Presidente del Consiglio, in Parlamento, 1988, fasc.
11-12, pp. 53-54; E. LONGO, La mutazione del potere di direttiva
del Presidente del Consiglio nella prassi più recente, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2009; C. MANCINO – G. SAVINI, Le strutture di coordinamento della presidenza del Consiglio: il
Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL) e il
Dipartimento per il coordinamento amministrativo (DICA), in
amministrazioneincammino.luiss.it; S. MERLINI, Presidente del
Consiglio e collegialità del Governo, in Quaderni
costituzionali, 1982, fasc. 1, pp. 7 ss.; M. MEZZANOTTE, La
figura del Presidente del Consiglio tra norme scritte e prassi,
in Politica del diritto, 2001, fasc. 2, pp. 325 ss.; A.
PAJNO, La presidenza del consiglio dei ministri dal vecchio al
nuovo ordinamento, in Commento ai decreti legislativi n. 300
e 303 del 1999 sulla riorganizzazione della presidenza del consiglio
e dei ministeri, a cura di A. Pajno e L. Torchia, Il mulino,
Bologna, 2000, pp. 35 ss.; G.G. PALEOLOGO, L’attività normativa
del governo nella legge sull’ordinamento della presidenza del
consiglio dei ministri, in Il Foro italiano, 1989, fasc.
6, pp. 344-354; F. PIGA, Ordinamento della Presidenza del
Consiglio e rapporto organi ausiliari-Governo, in Quaderni
costituzionali, 1982, fasc. 1, pp. 81 ss.; G. PITRUZZELLA, Il
Governo del Premier, in La Costituzione promessa. Governo del
Premier e federalismo alla prova della riforma, a cura di P.
Calderisi, F. Cintioli, G. Pitruzzella, Soveria Mannelli, Rubettino,
2004; A. PREDIERI, voce Presidente del Consiglio dei
Ministri, in Enc. giur. Treccani, 1991; A. RUGGERI, Il
Governo tra vecchie e nuove regole e regolarità (spunti
problematici), in Atti del Convegno annuale dell’Associazione
Italiana dei Costituzionalisti, Palermo, 2001; D. TRABUCCO, Il
rapporto tra il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri:
un difficile punto di equilibrio, in www.forumcostituzionale.it.
[3] Per una compiuta rassegna del dibattito in senso
all’Assemblea Costituente si vedano M. MEZZANOTTE e P. CIARLO, opere
citate.
[4] L. PALADIN, Governo, Enc. Dir., 706; A. RUGGERI, op.
cit.
[5] P. CIARLO, op. cit., 352.
[6] L. PRETI, IL
Governo nella Costituzione italiana, pag.11 e ss.
[7] T.
MARTINES, in Enc. Dir., Indirizzo politico, pag.155; G.
FERRARA, Il Governo di coalizione, pag.144 e ss.
[8] A.
MANNINO, Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e
Parlamento, pag.52 e ss.
[9] C. MORTATI, L’ordinamento
del governo nel nuovo diritto pubblico italiano.
[10] C.
SCHMITT, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della
sovranità.
[11] V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica
dell’indirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939.
[12] C. LAVAGNA, Contributo alla determinazione dei rapporti
giuridici tra Capo del Governo e ministri.
[13] R. BIN – G.
PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, 166; G. CUOMO, Unità
e omogeneità nel governo parlamentare, 1957, 165; V. CRISAFULLI
– D. NOCILLA, Nazione, Enc. Dir., 810.
[14] Corte Cost.,
sentenza 18 gennaio 1996, n.7.
[15] L. PALADIN, Diritto
Costituzionale, 411.
[16] V. BACHELET, Profili giuridici
dell’organizzazione amministrativa, pag.16 e ss.; V. COCOZZA, Autonomia finanziaria regionale e coordinamento, pag., 31; P. CIARLO, op. cit., 377.
[17] C. MORTATI, Istituzioni
di diritto pubblico, I, 1975, 553; A. PREDIERI, Lineamenti della posizione costituzionale del Presidente del
Consiglio, 1951; G. PITRUZZELLA, Il Presidente del Consiglio
dei ministri e l’organizzazione del Governo, 1986, 202.
[18] F. CUOCOLO, Il Governo nel vigente ordinamento
italiano, 1959, 117; A. RUGGERI, Il Consiglio dei Ministri
nella Costituzione italiana, 1981.
[19] P. CIARLO, op. cit.;
E. CHELI – V. SPAZIANTE, op. cit.
[20] S. BARTOLE, Governo, 638; R. BIN - G. PITRUZZELLA, op. cit., 169.
[21] G.
PITRUZZELLA, Il Presidente del Consiglio e l’organizzazione del
Governo, 197.
[22] C. MEZZANOTTE, op. cit., 346.
[23]
Come ben rilevato da P. CIARLO, op. cit., 412.
[24] L. PALADIN, Governo, 695.
[25] La dottrina prevalente nega la
possibilità della revoca di un Ministro (L. PALADIN, op.cit., G.
PITRUZZELLA, op.cit., M. VILLONE, Art. 94, Comm. Branca, G.
AZZARITI, G. Cost., 1995, S. NICCOLAI, Il Governo),
anche se sono registrabili opinioni favorevoli (V. GALIZIA, Studi
sui rapporti tra Parlamento e Governo, A. PREDIERI, Lineamenti, C. MORTATI, Istituzioni).
[26] P.
CIARLO, op. cit., 382 e ss.
[27] Per una compiuta analisi
dell’organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si
veda A. PAJNO, op. cit.
[28] G. RIZZA, Il Presidente del
Consiglio dei ministri, 102.
[29] A. RUGGERI, op. cit. e
P.A. CAPOTOSTI rilevano come l’esercizio del potere in questione
resta condizionato dal carattere politicamente composito del
Governo.
[30] Sui rapporti tra sistemi elettorali e forme di
governo si veda, G. SARTORI, Ingegneria costituzionale comparata, 2005.
[31] C. MEZZANOTTE, op. cit., 329.
[32] S.
FABBRINI - S. VASSALLO, Il Governo, Gli esecutivi nelle
democrazie contemporanee, 154.
[33] Nella relazione di
maggioranza si legge che “la figura del Primo Ministro emerge
nettamente non più come primo fra eguali, ma come primo sopra
ineguali, conformemente ai sistemi di premiership”.
[34]
G. PITRUZZELLA, La lunga transizione: la forma di governo nell’XI
e nella XII legislatura, in Diritto Pubblico, 1996, 409.
[35] Il tempo occorso per la conclusione di alcuni Consigli dei
ministri potrebbe, infatti, sembrare difficilmente compatibile con
un compiuto esame collegiale dei provvedimenti iscritti all’ordine
del giorno e appare, peraltro, inferiore a quella registrabile nelle
paragonabili riunioni degli ultimi Esecutivi. E’ vero che sono
riscontrabili vistose eccezioni all’osservazione relativa al
confronto con i Governi precedenti, ma è anche vero che in quei casi
la collegialità veniva sacrificata in favore del ruolo preminente
del Ministro dell’economia e delle finanze, e non del Presidente del
Consiglio (non che sia meglio, ma è una situazione diversa, anche se
maggiormente anomala).
[36] Anche il tempo anomalo intercorso
tra le riunioni in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti e
la loro trasmissione al Capo dello Stato sembra confermare lo scarso
rilievo della collegialità in talune decisioni.
[37] C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, IX ed., Padova 1975, Tomo I,
p. 34.
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(pubblicato il
13.10.2014)
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