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n. 10-2014 - © copyright

 

LUIGI D'ANGELO

Società partecipate da pubbliche amministrazioni, azione sociale di responsabilità e «legittimazione surrogatoria» del P.M. contabile

 

 


 

 

1. Premessa; 2. Giurisdizione contabile e società partecipate (non c.d. “in house”); 3. Mala gestio societaria e azione del P.M. contabile a tutela del capitale pubblicistico di partecipazione nella prospettiva offerta dalle Sezioni Unite; 4. Socio pubblico e danno erariale da omesso esercizio delle azioni societarie: spunti per una “legittimazione surrogatoria” delle procure regionali della Corte dei Conti.

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1. Premessa.
All’indomani della recentissima decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la quale si è conclamata la giurisdizione della Corte dei Conti sull'azione di responsabilità esercitata dalla procura contabile nei confronti di amministratori/dipendenti di una società in house per i pregiudizi “erariali” da essi cagionati al patrimonio societario[1], rimane aperto il problema della giurisdizione contabile con riferimento a tutte le altre e numerose società pubbliche ovvero quelle partecipate (anche non interamente) da pubbliche amministrazioni e comunque non configurabili quali società c.d. in house[2].
L’interrogativo cui si intende rispondere con le presenti riflessioni può così essere formulato: sussistono spazi per un “recupero altrimenti” della giurisdizione contabile al di fuori dell’in house providing?

2. Giurisdizione contabile e società partecipate (non c.d. in house).
Indubbiamente costituisce un punto fermo in materia la sentenza delle Sezioni Unite 19 dicembre 2009, n. 26806[3] che, con riguardo ad una fattispecie di danno cagionato ad un società di capitali partecipata dalla p.a. (non c.d. in house) ha escluso la giurisdizione della Corte dei Conti riguardo la proposizione di un’azione di responsabilità erariale nei confronti degli amministratori della compagine societaria per atti illeciti dai medesimi posti in essere.
La tesi della spettanza della giurisdizione al giudice ordinario appare fondata sulla scorta di plurime nonché pregevoli motivazioni[4] ma, in particolare, quelle maggiormente incisive, ripetutamente ribadite sino all’attualità[5], argomentano in punto di distinta personalità giuridica e correlata piena autonomia patrimoniale della società di diritto privato rispetto al diverso soggetto pubblicistico quale socio-partecipante.
Nel dettaglio, detta distinta personalità giuridica consente ai giudici della giurisdizione di affermare da un lato l’esistenza di un rapporto di servizio “unicamente” tra la p.a. e la società di diritto privato e non anche, pertanto, tra p.a. e gli organi sociali/amministratori invero “protetti” dallo schermo societario quanto alla configurazione di un rapporto di servizio diretto tra essi e l’amministrazione partecipante (con conseguente non assoggettabilità degli stessi all’azione di responsabilità erariale); dall’altro, l’alterità soggettiva in discorso (socio pubblico e società) consente di configurare come “danno privatistico” ovvero non pubblicistico/erariale il pregiudizio sofferto dalla società per atti di mala gestio o atti illeciti, dunque con esclusione della giurisdizione del giudice contabile stante l’assenza di qualsivoglia lesione dell’erario (lesione configurabile come soltanto “indiretta” rispetto alla partecipazione pubblica).
Se questo è lo stato dell’arte quanto alla impossibilità di affermare la giurisdizione della Corte dei Conti in presenza di mala gestio/atti illeciti di amministratori e dipendenti di società in mano pubblica (società non in house), sembra tuttavia possibile offrire una opzione esegetica tale da consentire di rispondere positivamente all’interrogativo di partenza circa un “recupero altrimenti” della giurisdizione erariale e - anche al fine di meglio esplicitare il senso del titolo assegnato alle presenti riflessioni - occorre prendere le mosse proprio dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite 19 dicembre 2009 n. 26806.

3. Mala gestio societaria e azione del P.M. contabile a tutela del capitale pubblicistico di partecipazione nella prospettiva offerta dalle Sezioni Unite.
Nell’arresto pretorio da ultimo richiamato (in particolare, punto 3.7.) la Corte di Cassazione, dopo aver escluso la sussistenza della giurisdizione contabile riguardo le società in mano pubblica (nei termini anzidetti), afferma che l’approdo interpretativo non priva di tutela il socio pubblico in quanto l’azione sociale di responsabilità per mala gestio degli amministratori ex art. 2393 c.c., alla luce della riforma del diritto societario, “non risulta più essere monopolio dell’assemblea”: anche una minoranza qualificata dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393-bis c.c.) ed addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità limitata (art. 2476, comma 3, c.c.) sono infatti legittimati ad esercitare tale azione eventualmente sopperendo all'inerzia della maggioranza[6].
Tant’è che, osserva il giudice della giurisdizione, qualora il socio pubblico non attivi tale meccanismo di tutela “ed in conseguenza di tale omissione l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile nei confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione. Ed è ovvio che, con riguardo ad un'azione siffatta, vi sia piena competenza giurisdizionale della Corte dei conti”.
Detto principio è stato peraltro ribadito anche in successive pronunzie delle Sezioni Unite ove si afferma: “la circostanza che l'ente pubblico partecipante possa tuttavia risentire del danno inferto al patrimonio della società partecipata, quando esso sia tale da incidere sul valore o sulla redditività della partecipazione, può eventualmente legittimare un'azione di responsabilità della procura contabile nei confronti di chi, essendo incaricato di gestire tale partecipazione, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali spettanti al socio pubblico al fine d'indirizzare correttamente l'azione degli organi sociali o di reagire opportunamente agli illeciti da questi ultimi”[7].
In sintesi, a fronte di atti illeciti e/o di mala gestio degli amministratori il P.M. contabile, secondo detta ricostruzione, ben potrebbe tutelare l’erario citando in giudizio il soggetto appartenente alla p.a. che rappresentata il socio pubblico o comunque il titolare del potere di decidere per esso, ciò in ragione del mancato esercizio dei diritti spettanti al socio (pubblico) tra i quali, in particolare, quello concernente l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393-bis oppure ex art. 2476, comma 3, c.c.[8].
Anche di recente le Sezioni Unite hanno affermato che se è vero che l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli organi sociali appartiene alla giurisdizione ordinaria è vero anche che rimane salva “…la responsabilità amministrativa di costoro (n.d.r., i rappresentanti dei soci pubblici) se non esercitano colpevolmente l'azione di responsabilità con pregiudizio al valore della partecipazione dell'ente che rappresentano, come conseguenza del danno al patrimonio sociale…”[9].
Ebbene, da detta impostazione esegetica, come si vedrà dopo una sua breve analisi, scaturiscono rilevanti conseguenze in punto di un recupero “altrimenti” della giurisdizione contabile anche con riguardo alle società non “in house”.

4. Socio pubblico e danno erariale da omesso esercizio delle azioni societarie: spunti per una “legittimazione surrogatoria” delle procure regionali della Corte dei Conti.
Preliminarmente occorre prendere le mosse dal danno erariale che le Sezioni Unite ipotizzano nelle fattispecie in discorso.
Postulare un’azione del procuratore contabile a seguito del mancato esercizio - da parte del socio pubblico - dell’azione di responsabilità sociale contemplata dal codice civile avverso gli amministratori colpevoli (come si legge chiaramente negli arresti di cui sopra), significa presupporre, a monte, la previa configurabilità di una fattispecie illecita erariale.
Nella misura in cui si indica il P.M. contabile quale soggetto legittimato ad esercitare un’azione di responsabilità, infatti, le Sezioni Unite non possono non rappresentarsi la sussistenza di un danno erariale: ma quale?
Il pregiudizio erariale che si concretizzerebbe, alla luce della esegesi della Corte di Cassazione, risulta riconducibile, quanto al suo “sorgere”, a due consequenziali circostanze: 1) la mala gestio societaria che, come visto, produce un danno diretto (privatistico) al patrimonio della società nonché un pregiudizio indiretto alla partecipazione pubblica; 2) l’omesso esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte del socio pubblico che, questo è il punto, si pone quale fattore causale che “trasforma” il danno indiretto alla partecipazione pubblicistica in un danno diretto sub specie di pregiudizio all’erario.
Si ribadisce: soltanto il configurarsi di una ipotesi di responsabilità amministrativo-contabile - ovviamente comprensiva di un danno erariale - potrebbe legittimare (sussistendo anche tutti gli altri presupposti) l’azione di responsabilità del P.M. contabile paventata dalle SS.UU..
In breve: l’atto illecito e/o di mala gestio societaria (danno privatistico) ed aventi effetti pregiudizievoli indiretti su patrimonio pubblico di partecipazione, qualora non “perseguito” con le tutele civilistiche da parte del socio pubblico, rende possibile, ad avviso delle Sezioni Unite, la configurabilità di un danno erariale alla redditività della partecipazione pubblica con tanto di legittimazione ad agire della procura regionale presso la Corte dei Conti.
Meglio ancora: l’atto di mala gestio degli organi sociali produce in prima battuta un danno (diretto) al patrimonio societario e un danno (indiretto) al valore della partecipazione del socio. Se però il danno (diretto) al patrimonio sociale non viene stigmatizzato attraverso l’azione sociale di responsabilità (spettante anche al socio pubblico), tale trascuranza, in seconda battuta, “trasforma” il danno (indiretto) al valore/redditività della partecipazione in un danno all’erario da azionare, necessariamente, nel processo contabile.
Quindi, per quanto interessa, occorre tener fermo l’assunto delle Sezioni Unite per cui con riferimento alle società partecipate da pubbliche amministrazioni l’omesso esercizio degli istituti rimediali codicistici intestati al socio pubblico ovvero la loro colpevole “trascuranza” appare circostanza idonea a “trasformare” il danno privatistico/societario da mala gestio, in un danno (erariale) sub specie di perdita di valore della partecipazione del socio[10].
Ebbene, seguire fino in fondo tale autorevole ricostruzione interpretativa porta tuttavia a conseguenze diverse rispetto a quelle indicate dai giudici della giurisdizione in punto di legittimazione passiva rispetto all’azione di responsabilità intestata al P.M. contabile[11].
Deve essere preliminarmente osservato che l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte del socio di una società di capitali - ai sensi delle sopra richiamate disposizioni codicistiche - configura una ipotesi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. (sostituzione del socio di minoranza all’organo assembleare)[12]: le azioni sociali ex art. 2393-bis ed art. 2476, comma 3, c.c., spettanti ai soci delle società di capitali, sono esercitate in nome proprio (dai soci) ma sempre nell’interesse della società al pari, appunto, dell’azione sociale di responsabilità spettante all’assemblea ex art. 2393 c.c..[13].
Come si è ben evidenziato da parte di attenta dottrina, infatti, “l'azione promossa dalla minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio della società, non a risarcire il danno eventualmente subito dai soggetti agenti”[14].
Non rappresentano, dunque, dette azioni dei “diritti personali” del socio (pubblico) operando, invece, un meccanismo di sostituzione processuale.
Se così è, allora, non si comprende come la procura regionale della Corte dei Conti possa esercitare un’azione di responsabilità erariale a fronte della condotta omissiva della persona fisica rappresentante la p.a./socio pubblico - condotta corrispondente al mancato esercizio delle azioni ex art. 2393-bis o ex art. 2476, comma 3, c.c. -, ciò considerando che dette azioni sono contemplate pur sempre nell’interesse della compagine societaria, non costituendo pertanto “diritti personali” del socio pubblico.
Ciò con l’ulteriore rilevante conseguenza, per quanto di interesse, che in capo al rappresentante istituzionale di esso socio pubblico risulta non configurabile, in caso di trascuranza del rimedio civilistico (a tutela della società e non del socio), la violazione di un obbligo di servizio di natura pubblicistica.
In sostanza, il soggetto appartenente alla p.a. che non si attiva - a fronte di atti dannosi di mala gestio degli amministratori - per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità spettante al socio pubblico, consuma una omissione esterna ed estranea al rispettivo rapporto di servizio con la p.a. partecipante nella società di capitali; ciò in quanto le azioni codicistiche in parola, si ribadisce, sono intestate pur sempre alla società, seppure proponibili dai soci in via sostitutiva.
In sintesi, il soggetto che rappresenta il socio pubblico - o comunque quello titolare del potere di decidere per esso - non potrebbe essere convenuto in un giudizio di responsabilità contabile per aver trascurato di esercitare le azioni ex art. 2393-bis c.c. ed ex art. 2476, comma 3,c.c., ciò poiché detti rimedi non costituiscono istituti a tutela diretta del socio ma, invero, sono previsti a tutela della società avverso gli atti pregiudizievoli degli organi sociali. Costituendo, allora, la mancata attivazione dei rimedi codicistici una violazione aliena al rapporto di servizio (necessario per radicare la giurisdizione contabile), intendendosi quest’ultimo come quello sussistente tra la p.a. partecipante la società e la persona fisica titolata a decidere per essa p.a. in qualità di socio pubblico.
A rigore (e paradossalmente) - e qui si viene al nodo centrale della problematica - proprio perchè le azioni sociali di responsabilità esercitabili dai soci rappresentano - come si è visto - rimedi nell’interesse della società ma proponibili in via sostitutiva dai soci medesimi, è la società partecipata, in rapporto di servizio con la p.a./socio pubblico, che dovrebbe invero rispondere in sede erariale per l’omesso esercizio dell’azione di reintegra del patrimonio sociale ex artt. 2393, 2393-bis ed art. 2476, comma 3, c.c.; ciò in quanto, seguendo il ragionamento delle Sezioni Unite, l’omesso esercizio di dette azioni da parte del socio pubblico “trasforma” il danno societario da mala gestio in un corrispondente danno erariale da svalutazione del capitale di partecipazione.
In breve: deve ribadirsi che il giudice della giurisdizione, apertis verbis, ha affermato che “il socio pubblico è di regola in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l'esercizio delle suindicate azioni civili (n.d.r, azioni ex art. 2393-bis c.c. ed ex art. 2476, comma 3, c.c.[15]) . Se ciò non faccia e se, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile….”.
Ma a ben vedere la persona fisica preposta alla gestione della pubblica partecipazione non potrebbe rispondere dal punto di vista erariale con il rispettivo patrimonio - nei confronti della p.a. di appartenenza/socio pubblico - per non aver esercitato l’azione di responsabilità sociale ex artt. 2393-bis o ex art. 2476, comma 3, c.c.; siffatte azioni giurisdizionali, come acclarato, sono configurate ex lege a tutela della società e non del socio - cui è soltanto attribuita una legittimazione processuale sostitutiva - e dunque, se così è, l’omessa attivazione della tutela civilistica non integra un “fatto dannoso” correlabile all’inadempimento gravemente colpevole di un “obbligo d’ufficio” nell’ambito del rapporto di servizio sussistente tra la p.a./socio pubblico e detta persona fisica.
Ma allora, per coerenza, dovrebbe essere la stessa società partecipata (in rapporto di servizio con la p.a./socio pubblico) a dover rispondere - con il proprio patrimonio societario - per l’omesso esercizio di siffatte azioni codicistiche ed in ragione del rapporto di servizio predetto[16].
Emerge in pratica una doppia “anima” della società in mano pubblica ovvero quella di “soggetto danneggiato” dalla mala gestio degli amministratori (ma qui, secondo i dettami delle Sezioni Unite, c’è un danno privatistico) e, al tempo stesso, quale “soggetto danneggiante” il pubblico erario nella ipotesi di mancato esercizio delle azioni di responsabilità sopra indicate a tutela della società (sia quella intestata all’assemblea ex art. 2393 c.c., sia quella spettante ai soci, in sostituzione della società, ex artt. 2393 bis ed art. 2476, comma 3, c.c); inerzia che, appunto, come ritenuto dalle stesse Sezioni Unite, produce un danno erariale conseguente al danno societario cagionato dagli amministratori e sub specie di perdita di valore della partecipazione sociale per effetto, appunto, della trascurata attivazione della tutela civilistica.
In breve: se è vero che il rapporto di servizio idoneo a radicare la giurisdizione contabile sussiste “in prima battuta” tra la p.a. e la società di diritto privato da essa partecipata, in caso di mala gestio degli amministratori - affermano le Sezioni Unite - il danno da essi cagionato al patrimonio sociale e di riflesso alla partecipazione pubblica rischia di consolidarsi/trasformarsi in danno erariale (sub specie di vulnus alla pubblica partecipazione) proprio in ragione del mancato esercizio da parte della società medesima - e per essa, da parte dei singoli soci - dell’azione di responsabilità sociale.
Ma allora proprio perché sussiste un rapporto di servizio tra p.a. e società di diritto privato - stante l’alterità soggettiva esistente - e proprio perché esiste una correlata distinta autonomia patrimoniale, il danno da mala gestio “trasformatosi” in un danno erariale per il fatto del mancato esercizio dell’azione di sociale responsabilità (azione che, nelle varie configurazioni codicistiche, risulta sempre intestata alla società pur se esercitabile in alcuni casi dai soci in via sostitutiva ) dovrebbe essere imputato proprio alla società medesima: questa appare, dunque, da un lato il soggetto danneggiato dalla condotta illecita degli amministratori (danno privatistico), dall’altro quale soggetto danneggiante l’erario/la partecipazione pubblica in virtù di un mancato esercizio delle azioni societarie previste contro gli amministratori (l’azione sociale di responsabilità, nelle sue varie configurazioni e per come spettante anche ai soci).
Insomma, il patrimonio societario, quale patrimonio appartenente ad un soggetto di diritto privato avente un rapporto di servizio con la p.a., è quello che dovrebbe in definitiva, e paradossalmente, rispondere per i pregiudizi sofferti dall’erario in caso di perdita di valore della partecipazione pubblica, ciò in conseguenza del pregiudizio scaturente dal mancato esercizio - da parte della società (e per essa, da parte dei singoli soci) - dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori colpevoli.
Ma se così è, allora, ben sarà possibile per il procuratore regionale, prima ancora che agire contro l’ente societario di diritto privato in rapporto di servizio con la p.a. (per far valere appunto detto danno erariale da condotta omissiva) - e prima ancora ovviamente dello spirare del termine di prescrizione dell’azione sociale - espletare forme di tutela “conservativa” dell’erario ammesse dall’ordinamento esercitando, nel caso di inerzia societaria, un’azione surrogatoria dell’azione sociale di responsabilità (incluse quelle di cui all’art. 2393-bis c.c. e art. 2476, comma 3, c.c.).
Se, come si è tentato di evidenziare, il soggetto danneggiante il pubblico erario/partecipazione societaria della p.a. appare la società di diritto privato che trascura di proporre le azioni contro gli amministratori colpevoli di una pregiudizievole mala gestio; e se dunque è detta società, in rapporto di servizio con la p.a./socio pubblico, il “soggetto debitore” del (consequenziale) danno erariale da vulnus alla quota pubblicistica, la procura regionale potrà esercitare quelle azioni che spettano al “soggetto debitore” contro i terzi e il cui esercizio risulta trascurato - cioè l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori - al fine di conservare le ragioni creditorie dell’amministrazione/socio pubblico.
In breve: una legittimazione surrogatoria del P.M. contabile con riferimento all’azione sociale di responsabilità (inclusa quella spettante al socio pubblico) e sul presupposto che il soggetto danneggiante l’erario - in conseguenza di un mancato esercizio dell’azione sociale di responsabilità a fronte di atti di mala gestio (inerzia che secondo le Sezioni Unite “trasforma” in un danno erariale, il pregiudizio privatistico societario) - è pur sempre la società partecipata in rapporto di servizio con la p.a. partecipante.
E’ dunque ad esso ente societario imputabile il pregiudizio da perdita di valore/reddittività del capitale pubblico di partecipazione, essendo l’azione sociale di responsabilità, anche quella spettante ai soci in via sostitutiva, intestata alla società partecipata che dunque dovrà rispondere, in sede erariale, per il fatto dannoso del suo mancato esercizio.
Occorre rammentare, sul punto, che l’art. 1, comma 174, legge 23 dicembre 2005 n. 266 (finanziaria per il 2006) ha sancito che “al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile”. E tra le azioni, contemplate al libro VI, titolo III, capo V del codice civile, è ricompresa appunto quella ex art. 2900 c.c.[17].
Dunque, la giurisdizione della Corte dei Conti si radicherebbe necessariamente nel caso di specie poiché l’azione surrogatoria dell’azione sociale di responsabilità intestata alla società partecipata (e per essa, ai soci) - nel caso di mala gestio societaria - risulta essere ex lege attribuita al procuratore regionale.
Le stesse Sezioni Unite della Cassazione[18], del resto, hanno chiarito, con riferimento all’azione revocatoria esperibile dalla procura regionale (sempre in virtù del richiamato art. 1, comma 174, legge 23 dicembre 2005 n. 266) che la giurisdizione spetta al giudice contabile.
Secondo l’avviso della Cassazione, infatti, la conclusione della devoluzione alla giurisdizione del giudice contabile delle controversie in argomento, oltre che imposta dalla lettera dell’articolo 1, comma 174 citato, è anche coerente con il suo scopo, esplicitato nel “fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali”: tutela che indubitabilmente compete alla Corte dei Conti apprestare, per le azioni di accertamento e di condanna, e che ugualmente deve ritenersi esserle stata affidata, soggiunge la Corte di Cassazione, per quelle “a tutela delle ragioni del creditore” e per “i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale”, in quanto rispetto alle prime hanno carattere accessorio e strumentale[19].
Il precetto legislativo da ultimo citato, inoltre, ben si presta ad operare anche in chiave “derogatoria” rispetto ai presupposti dell’azione sociale di responsabilità, nelle varie configurazioni codicistiche, quanto alla previsione di “maggioranze societarie”[20] (ad eccezione dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2476, c.c. ove è invece prevista la legittimazione di ciascun socio).
Non sfugge che nella misura in cui si sono a attribuite ex lege al procuratore regionale “tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile” e ciò al fine di “realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali”, si concentrano in capo a quest’ultimo prerogative di tutela poziori all’evidenza esercitabili d’ufficio[21].
L’azione surrogatoria, dunque, si caratterizzerebbe nella specie per un effetto conservativo/di reintegra del patrimonio societario - dovendo gli amministratori soccombenti risarcire la società partecipata - con tutela della stessa partecipazione pubblica. Di qui, in definitiva, un “recupero” della giurisdizione della Corte dei Conti, non con riferimento all’azione erariale proponibile direttamente contro gli amministratori, ma riguardo l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli stessi essendo appunto legittimato il procuratore regionale ad agire in surrogatoria, sussistendo i presupposti, con riferimento alle azioni societarie intestate alla società.
Conclusivamente, se la società partecipata si configura quale soggetto avente un rapporto di servizio con la p.a./socio pubblico e se detta società partecipata cagiona un danno erariale da perdita di valore della partecipazione societaria pubblica - pregiudizio patrimoniale pubblicistico scaturente dalla sequenza “atto di mala gestio degli amministratori-omesso esercizio dell’azione sociale di responsabilità intestata nelle sue varie configurazioni pur sempre alla società partecipata” -, la procura regionale ben potrà surrogarsi al “proprio” debitore per la tutela del credito dell’erario.
Il vittorioso esercizio dell’azione surrogatoria in argomento (ottemperata la sentenza di condanna nei confronti degli amministratori) comporterebbe quindi una reintegrazione del patrimonio sociale[22] e, per l’effetto, la tutela “conservativa” della partecipazione pubblica, il tutto, a ben vedere, nel rispetto delle regole di diritto comune ritenute come inderogabili dal giudice della giurisdizione in merito alle c.d. società in mano pubblica, con l’unica eccezione, ad oggi, delle società c.d. in house.
Come d’altronde affermato dalle stesse Sezioni Unite proprio in sede di composizione del contrasto in punto di legittimazione del socio ad agire per i danni sofferti alla rispettiva partecipazione in ragione di un pregiudizio al patrimonio della società cagionato da fatti illeciti di terzi (legittimazione negata sulla scorta, appunto, dell’esistenza per il socio di un pregiudizio soltanto indiretto al capitale di partecipazione e considerato quale “conseguenza di fatto non rilevante sul piano giuridico”) “il risarcimento ottenuto (n.d.r., da terzi danneggianti) dalla società elimina automaticamente il danno al socio”[23].
Ciò, in definitiva, a riprova dell’effettività della tutela di cui si avvantaggerebbe il pubblico erario in conseguenza dell’esercizio di un’azione surrogatoria del P.M. contabile secondo l’opzione esegetica sopra divisata.

 

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[1] Cass., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283 la quale ha affermato che “La Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società "in house", così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”; per dei primi commenti cfr. D’URGOLO, Società in house e giurisdizione della Corte dei Conti, in www.giustamm.it n., 12/2013; CAPALBO, Giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti delle società partecipate da enti pubblici: limiti dell’orientamento di cui alla recente sentenza Sez. Un. n. 26283/13 alla luce delle novità di cui alla legge di stabilità per il 2014 n. 147/13, in www.lexitalia.it, n. 2/2014. Per una attenta analisi critica della problematica, CERIONI, La Cassazione procede alla riqualificazione soggettiva delle “società pubbliche” iniziando da quelle “in house”, in Soc., n. 8-9/21014, p. 953 e ss..
[2] Peraltro se per le società in house le Sezioni Unite hanno riconosciuto che la Corte dei Conti ha giurisdizione sull’azione di responsabilità erariale nei confronti degli organi sociali, riguardo le società partecipate non riconducibili a tale ultima categoria sembra consolidarsi l’orientamento che nega la giurisdizione contabile in ragione del loro essere, a tutti gli effetti, soggetti di diritto privato; tanto che, recenti arresti, hanno finanche affermato il loro assoggettamento alla legge fallimentare (da ultimo, Cass., Sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209, in Foro it. n. 1/2014, I, 113 e ss.).
[3] Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806, oggetto di numerosi commenti ed alla quale hanno fatto seguito una serie di altre numerose pronunzie di pari contenuto. Sulla tematica e sui successivi interventi giurisprudenziali, senza pretese di completezza, in dottrina cfr. PETTINARI, Gli 'incerti confini' della giurisdizione contabile in tema di responsabilità: note a margine della giurisprudenza più recente in tema di società cc.dd. 'in mano pubblica, in Dir. Proc. Amm., n. 4/2013, p. 1232 e ss.; FIORANI, Le azioni di responsabilità nelle società a partecipazione pubblica, in Giur. comm. 2011, 2, p. 315 e ss.; SALVAGO, La giurisdizione della Corte dei conti in relazione alla posizione dei soggetti responsabili ed a quella degli enti danneggiati, in Giust. Civ. 2010, 11, 2505 e ss.; CARTEI-CRETA, La cassazione, le società partecipate e la responsabilità amministrativa, in Giorn. dir. amm. 2010, 9, p. 9355 e ss.; PATRITO, Responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica: profili di giurisdizione e diritto sostanziale, in Giur. it. 7/2010, p. 435 e ss.; SINISI, Responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione: l'intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in Foro amm. C.d.S., 2010, 1, p. 77 e ss.; GHIGLIONE-BIALLO, Responsabilità degli amministratori di societa' a partecipazione pubblica: l'orientamento delle SS.UU., in Le società, 2010, 7, p. 803 e ss.;. TENORE, La giurisdizione della Corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, in Foro amm. C.d.S., 2010, 1, p. 92 e ss.; SCHLITZER, Le più recenti innovazioni legislative e giurisprudenziali in materia di responsabilità amministrativa e di processo contabile, in Foro amm. C.d.S., 2010, 1, p. 219 e ss.; CAGNASSO, Responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica: l'orientamento delle SS.UU., in Giur. it., 2010, 4; PONTE, Società miste, responsabilità e giurisdizione, in Urb. App., 2010/5, p. 574 e ss.; ROSSI, La responsabilità degli amministratori delle società "pubbliche, in Giur. comm., 2009, 2, p. 521 e ss..
[4] Per una efficace sintesi, cfr. TENORE, La giurisdizione della Corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, op. cit..
[5] Da ultimo, Cass., Sez. Un., 11 luglio 2014 n. 15492.
[6] Cfr. Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806, dove si legge al punto 3.7.: “Giova ancora aggiungere che l'esclusione dell'ipotizzata giurisdizione del giudice contabile per l'azione di risarcimento di danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico neppure provoca, a ben vedere, il rischio di una lacuna nella tutela dell'interresse pubblico coinvolto nella descritta situazione. Nell'attuale disciplina della società azionaria - ed in misura ancor maggiore in quella della società a responsabilità limitata - l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società, non è più monopolio dell'assemblea e non è più, quindi, unicamente rimessa alla discrezionalità della maggioranza dei soci. Una minoranza qualificata dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393 - bis c.c.) ed addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità limitata (art. 2476 c.c., comma 3) sono infatti legittimati ad esercitare tale azione….Ne consegue che, trattandosi di società a partecipazione pubblica, il socio pubblico è di regola in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l'esercizio delle suindicate azioni civili. Se ciò non faccia e se, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile nei confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione. Ed è ovvio che, con riguardo ad un'azione siffatta, vi sia piena competenza giurisdizionale della Corte dei conti”.
[7] Conformi, Cass., SS.UU., 5 luglio 2011, n. 14655 (ord.): Cass., SS.UU., 12 ottobre 2011, n. 20941 (ord.); Cass., SS.UU., 9 marzo 2012, n. 3692 ove si afferma che sussiste la giurisdizione contabile “quando l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio”.
[8] Secondo le SS.UU., il P.M. contabile, se si è ben compreso, potrebbe agire contro il dipendente pubblico quale titolare della potestà decisoria del socio pubblico ed al fine di ottenere una condanna risarcitoria in favore, non della società partecipata (non potendo la procura regionale agire “per conto” di un soggetto privato), ma, all’evidenza, della p.a. partecipante/socio pubblico.
[9] Cass., SS.UU., 5 luglio 2011, n. 14655 (ord.), punto 5.4..
[10] Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806, dove si legge al punto 3.7 “il socio pubblico è di regola in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l'esercizio delle suindicate azioni civili (n.d.r, azioni ex art. 2393-bis c.c. ed ex art. 2476, comma 3, c.c.) . Se ciò non faccia e se, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile….”.
[11] Diversa poi dalla azione sociale di responsabilità proponibile dal socio è l’azione individuale ex art. 2395 c.c. (ed ex art. 2476, comma 6, c.c. riguardo le s.r.l.) secondo cui “Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori”; al riguardo le Sezioni Unite, nella pronunzia in analisi, hanno rapportato a tale diversa azione diretta del socio (contro gli amministratori) l’azione per danno all’immagine. Si legge nel punto 3.6. della sentenza, infatti, che “...la configurabilità dell’azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima, non incontra particolari ostacoli (né si pongono difficoltà derivanti dalla possibile concorrenza di siffatta azione con quella ipotizzata in sede civile dai citati artt. 2395 e 2476, sesto comma, poiché l’una e l’altra mirerebbero in definitiva al medesimo risultato)…Tipico esempio di questa situazione è il danno all’immagine dell’ente pubblico…”
[12] In dottrina si è precisato (ALPA-MARICONDA, Codice civile commentato, IPSOA, p. 1247 e ss.) che le azioni in argomento non configurano “nuove azioni di responsabilità, ma la stessa azione di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c., la cui legittimazione è attribuita o è estesa a soggetti diversi dalla società: si è, insomma, nell’ambito dell’art. 81 c.p.c., il quale prevede eccezionalmente che un soggetto possa essere legittimato ad agire o contraddire relativamente ad un rapporto giuridico altrui”. In giurisprudenza, Tribunale Napoli, 20 ottobre 2005 in Foro it. 2006, 4, 1222, secondo cui “In tema di azione sociale di responsabilità, introdotta dall'art. 2476, co. 3, c.c., la legittimazione attiva del socio configura un'ipotesi di sostituzione processuale dello stesso alla società, la quale non è un litisconsorte necessario”.
[13] Cfr. CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle società cooperative, Torino, 2003.
[14] CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle società cooperative, op. cit.; la dottrina ha anche osservato come rispetto all’azione de qua gli attori sono i soci di minoranza, ma il risultato dell'azione va a favore della società (in termini, GALGANO, Diritto civile e commerciale, III, 2, Padova, 2004, 286).
[15] Cfr. Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806, punto 3.7 cit..
[16] Problematica ulteriore, che meriterebbe una trattazione a parte, sarebbe quella di verificare se la partecipazione di un ente pubblico in una società di diritto privato sia sempre idonea, di per sé, ad instaurare un “rapporto di servizio”: al riguardo sembra che la legge presuma detto rapporto di servizio quanto meno con riferimento allo svolgimento di attività pubblicistiche ovvero di cura di pubblici interessi di dette società (cfr. art. 29, L 7 agosto 1990, n. 241 e s.m. secondo cui “.. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative”).
[17] Né sussisterebbe una preclusione all’esercizio in surrogatoria, da parte del procuratore contabile, dell’azione sociale di responsabilità alla luce dell’inciso di cui all’art. 2900 c.c. secondo il quale l’azione surrogatoria non è proponibile quando “si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare”. In giurisprudenza, ad esempio, si è ritenuto (seppure l’orientamento non appare pacifico) che l’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2394 c.c. appare configurabile proprio quale azione surrogatoria - esercitata dai creditori della società - dell’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c.; cfr. Cass., Sez. I, 27 novembre 1982 n. 6431 dove si afferma che “L'azione di responsabilità esercitata ai sensi dell'art. 2394 c.c. nei confronti dell'amministratore di una società dai creditori sociali o dal curatore del fallimento della società medesima (a differenza dell'azione ex art. 2395 successivo, avente natura aquiliana) è un'azione surrogatoria tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale, diminuito dall'inosservanza degli obblighi facenti carico agli amministratori, e che, come tale, presuppone, non già una responsabilità diretta di detto amministratore verso i creditori sociali, bensì una responsabilità dello stesso verso la società (quale quella nascente dalla violazione del divieto di nuove operazioni posto dall'art. 2449 c.c.), nonché l'inerzia di quest'ultima nel senso considerato dalla legge ai fini della proposizione di un'azione surrogatoria”. In ogni caso, la dottrina ritiene che l’art. 2900 c.c., nella parte in cui fa riferimento ai diritti e le azioni che “non possono essere esercitati se non dal loro titolare”, intende riferirsi ai c.d. diritti della personalità o comunque quelli a contenuto non patrimoniale (v. BIANCA, Diritto civile, 5, Milano, 428 e ss.).
[18] Cass., Sez. Un., 22 ottobre 2007 n. 22059 (ord.) secondo cui “L'azione revocatoria promossa dal Procuratore regionale della Corte dei conti davanti alla relativa Sezione giurisdizionale per la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ., dell'atto di donazione compiuto da un pubblico dipendente nei confronti del quale sono stati eseguiti accertamenti sfociati nell'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile, spetta - ai sensi dell'art. 1, comma 174, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che in tal senso ha interpretato l'art. 26 del regolamento di procedura di cui al r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 - alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. La natura strumentale ed accessoria dell'azione revocatoria consente, del resto, di non ritenerla estranea alla materia della contabilità pubblica che l'art. 103, secondo comma, Cost. riserva, come giudice naturale, alla cognizione della Corte dei conti”.
[19] Cass., Sez. Un., 22 ottobre 2007 n. 22059 (ord.).
[20] Ad esempio ai sensi dell’art 2393-bis c.c. “L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo”.
[21] Può essere rammentato che la legge fallimentare (v. art. 146) contempla espressamente la possibilità per il curatore di esercitare, tra l’altro, l’azione di responsabilità contro gli amministratori.
[22] L’azione surrogatoria è diretta ad acquisire un risultato utile al patrimonio del debitore surrogato e non del creditore surrogante; quando esercita un credito verso il terzo, il surrogante non può pertanto esigere per sé la prestazione ma può pretendere che la prestazione sia eseguita in favore del debitore surrogato (v. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Milano, 1967, 169). Occorre tuttavia dare atto che certa giurisprudenza (Cass., 12 gennaio 1972, n. 72) e una parte della dottrina (NICOLO’, Azione surrogatoria e azione revocatoria, in Raccolta di scritti (già Comm. Scialoja e Branca), I, Milano, 1980, 836) sono giunte a ritenere che il creditore surrogante sarebbe legittimato a ricevere la prestazione quale adiectus solutionis causa.
[23] Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2009, n. 27346: “Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l'incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito. (Nella specie, le S.U., nell'enunciare l'anzidetto principio, hanno confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda con cui una società per azioni, socia di una compagnia di assicurazioni s.p.a., aveva dedotto la responsabilità della società di revisione, incaricata della certificazione del bilancio della società partecipata, per il danno patito dalla quota di partecipazione, a seguito delle condotte illecite ascritte alla società di revisione)”.

 

(pubblicato il 1.10.2014)

 

 

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