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n. 10-2014 - © copyright |
LUIGI D'ANGELO
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Società partecipate da pubbliche
amministrazioni, azione sociale di responsabilità e «legittimazione
surrogatoria» del P.M. contabile
1. Premessa; 2. Giurisdizione contabile e
società partecipate (non c.d. “in house”); 3. Mala gestio societaria
e azione del P.M. contabile a tutela del capitale pubblicistico di
partecipazione nella prospettiva offerta dalle Sezioni Unite; 4.
Socio pubblico e danno erariale da omesso esercizio delle azioni
societarie: spunti per una “legittimazione surrogatoria” delle
procure regionali della Corte dei Conti.
***
1. Premessa.
All’indomani della
recentissima decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
con la quale si è conclamata la giurisdizione della Corte dei Conti
sull'azione di responsabilità esercitata dalla procura contabile nei
confronti di amministratori/dipendenti di una società in house per i pregiudizi “erariali” da essi cagionati al patrimonio
societario[1], rimane aperto il problema della giurisdizione
contabile con riferimento a tutte le altre e numerose società
pubbliche ovvero quelle partecipate (anche non interamente) da
pubbliche amministrazioni e comunque non configurabili quali società
c.d. in house[2].
L’interrogativo cui si intende
rispondere con le presenti riflessioni può così essere formulato:
sussistono spazi per un “recupero altrimenti” della giurisdizione
contabile al di fuori dell’in house providing?
2.
Giurisdizione contabile e società partecipate (non c.d. in
house).
Indubbiamente costituisce un punto fermo in
materia la sentenza delle Sezioni Unite 19 dicembre 2009, n.
26806[3] che, con riguardo ad una fattispecie di danno cagionato ad
un società di capitali partecipata dalla p.a. (non c.d. in house) ha
escluso la giurisdizione della Corte dei Conti riguardo la
proposizione di un’azione di responsabilità erariale nei confronti
degli amministratori della compagine societaria per atti illeciti
dai medesimi posti in essere.
La tesi della spettanza della
giurisdizione al giudice ordinario appare fondata sulla scorta di
plurime nonché pregevoli motivazioni[4] ma, in particolare, quelle
maggiormente incisive, ripetutamente ribadite sino all’attualità[5],
argomentano in punto di distinta personalità giuridica e correlata
piena autonomia patrimoniale della società di diritto privato
rispetto al diverso soggetto pubblicistico quale socio-partecipante.
Nel dettaglio, detta distinta personalità giuridica consente ai
giudici della giurisdizione di affermare da un lato l’esistenza di
un rapporto di servizio “unicamente” tra la p.a. e la società di
diritto privato e non anche, pertanto, tra p.a. e gli organi
sociali/amministratori invero “protetti” dallo schermo societario
quanto alla configurazione di un rapporto di servizio diretto tra
essi e l’amministrazione partecipante (con conseguente non
assoggettabilità degli stessi all’azione di responsabilità
erariale); dall’altro, l’alterità soggettiva in discorso (socio
pubblico e società) consente di configurare come “danno
privatistico” ovvero non pubblicistico/erariale il pregiudizio
sofferto dalla società per atti di mala gestio o atti
illeciti, dunque con esclusione della giurisdizione del giudice
contabile stante l’assenza di qualsivoglia lesione dell’erario
(lesione configurabile come soltanto “indiretta” rispetto alla
partecipazione pubblica).
Se questo è lo stato dell’arte quanto
alla impossibilità di affermare la giurisdizione della Corte dei
Conti in presenza di mala gestio/atti illeciti di
amministratori e dipendenti di società in mano pubblica (società non in house), sembra tuttavia possibile offrire una opzione
esegetica tale da consentire di rispondere positivamente
all’interrogativo di partenza circa un “recupero altrimenti” della
giurisdizione erariale e - anche al fine di meglio esplicitare il
senso del titolo assegnato alle presenti riflessioni - occorre
prendere le mosse proprio dalla richiamata sentenza delle Sezioni
Unite 19 dicembre 2009 n. 26806.
3. Mala gestio societaria e azione del P.M. contabile a tutela del capitale
pubblicistico di partecipazione nella prospettiva offerta dalle
Sezioni Unite.
Nell’arresto pretorio da ultimo richiamato (in
particolare, punto 3.7.) la Corte di Cassazione, dopo aver escluso
la sussistenza della giurisdizione contabile riguardo le società in
mano pubblica (nei termini anzidetti), afferma che l’approdo
interpretativo non priva di tutela il socio pubblico in quanto
l’azione sociale di responsabilità per mala gestio degli
amministratori ex art. 2393 c.c., alla luce della riforma del
diritto societario, “non risulta più essere monopolio
dell’assemblea”: anche una minoranza qualificata dei
partecipanti alla società azionaria (art. 2393-bis c.c.) ed
addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità
limitata (art. 2476, comma 3, c.c.) sono infatti legittimati ad
esercitare tale azione eventualmente sopperendo all'inerzia della
maggioranza[6].
Tant’è che, osserva il giudice della
giurisdizione, qualora il socio pubblico non attivi tale meccanismo
di tutela “ed in conseguenza di tale omissione l'ente pubblico
abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore
della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione
del procuratore contabile nei confronti (non già dell'amministratore
della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio
sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente
partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso,
abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di
socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione.
Ed è ovvio che, con riguardo ad un'azione siffatta, vi sia piena
competenza giurisdizionale della Corte dei conti”.
Detto
principio è stato peraltro ribadito anche in successive pronunzie
delle Sezioni Unite ove si afferma: “la circostanza che l'ente
pubblico partecipante possa tuttavia risentire del danno inferto al
patrimonio della società partecipata, quando esso sia tale da
incidere sul valore o sulla redditività della partecipazione, può
eventualmente legittimare un'azione di responsabilità della procura
contabile nei confronti di chi, essendo incaricato di gestire tale
partecipazione, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali
spettanti al socio pubblico al fine d'indirizzare correttamente
l'azione degli organi sociali o di reagire opportunamente agli
illeciti da questi ultimi”[7].
In sintesi, a fronte di atti
illeciti e/o di mala gestio degli amministratori il P.M.
contabile, secondo detta ricostruzione, ben potrebbe tutelare
l’erario citando in giudizio il soggetto appartenente alla p.a. che
rappresentata il socio pubblico o comunque il titolare del potere di
decidere per esso, ciò in ragione del mancato esercizio dei diritti
spettanti al socio (pubblico) tra i quali, in particolare, quello
concernente l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ex
art. 2393-bis oppure ex art. 2476, comma 3, c.c.[8].
Anche di
recente le Sezioni Unite hanno affermato che se è vero che l’azione
sociale di responsabilità nei confronti degli organi sociali
appartiene alla giurisdizione ordinaria è vero anche che rimane
salva “…la responsabilità amministrativa di costoro (n.d.r.,
i rappresentanti dei soci pubblici) se non esercitano
colpevolmente l'azione di responsabilità con pregiudizio al valore
della partecipazione dell'ente che rappresentano, come conseguenza
del danno al patrimonio sociale…”[9].
Ebbene, da detta
impostazione esegetica, come si vedrà dopo una sua breve analisi,
scaturiscono rilevanti conseguenze in punto di un recupero
“altrimenti” della giurisdizione contabile anche con riguardo alle
società non “in house”.
4. Socio pubblico e danno
erariale da omesso esercizio delle azioni societarie: spunti per una
“legittimazione surrogatoria” delle procure regionali della Corte
dei Conti.
Preliminarmente occorre prendere le mosse dal
danno erariale che le Sezioni Unite ipotizzano nelle fattispecie in
discorso.
Postulare un’azione del procuratore contabile a seguito
del mancato esercizio - da parte del socio pubblico - dell’azione di
responsabilità sociale contemplata dal codice civile avverso gli
amministratori colpevoli (come si legge chiaramente negli arresti di
cui sopra), significa presupporre, a monte, la previa
configurabilità di una fattispecie illecita erariale.
Nella
misura in cui si indica il P.M. contabile quale soggetto legittimato
ad esercitare un’azione di responsabilità, infatti, le Sezioni Unite
non possono non rappresentarsi la sussistenza di un danno erariale:
ma quale?
Il pregiudizio erariale che si concretizzerebbe, alla
luce della esegesi della Corte di Cassazione, risulta riconducibile,
quanto al suo “sorgere”, a due consequenziali circostanze: 1) la mala gestio societaria che, come visto, produce un danno
diretto (privatistico) al patrimonio della società nonché un
pregiudizio indiretto alla partecipazione pubblica; 2) l’omesso
esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte del socio
pubblico che, questo è il punto, si pone quale fattore causale che
“trasforma” il danno indiretto alla partecipazione pubblicistica in
un danno diretto sub specie di pregiudizio all’erario.
Si
ribadisce: soltanto il configurarsi di una ipotesi di responsabilità
amministrativo-contabile - ovviamente comprensiva di un danno
erariale - potrebbe legittimare (sussistendo anche tutti gli altri
presupposti) l’azione di responsabilità del P.M. contabile paventata
dalle SS.UU..
In breve: l’atto illecito e/o di mala gestio societaria (danno privatistico) ed aventi effetti pregiudizievoli
indiretti su patrimonio pubblico di partecipazione, qualora non
“perseguito” con le tutele civilistiche da parte del socio pubblico,
rende possibile, ad avviso delle Sezioni Unite, la configurabilità
di un danno erariale alla redditività della partecipazione pubblica
con tanto di legittimazione ad agire della procura regionale presso
la Corte dei Conti.
Meglio ancora: l’atto di mala gestio degli organi sociali produce in prima battuta un danno (diretto) al
patrimonio societario e un danno (indiretto) al valore della
partecipazione del socio. Se però il danno (diretto) al patrimonio
sociale non viene stigmatizzato attraverso l’azione sociale di
responsabilità (spettante anche al socio pubblico), tale
trascuranza, in seconda battuta, “trasforma” il danno (indiretto) al
valore/redditività della partecipazione in un danno all’erario da
azionare, necessariamente, nel processo contabile.
Quindi, per
quanto interessa, occorre tener fermo l’assunto delle Sezioni Unite
per cui con riferimento alle società partecipate da pubbliche
amministrazioni l’omesso esercizio degli istituti rimediali
codicistici intestati al socio pubblico ovvero la loro colpevole
“trascuranza” appare circostanza idonea a “trasformare” il danno
privatistico/societario da mala gestio, in un danno
(erariale) sub specie di perdita di valore della
partecipazione del socio[10].
Ebbene, seguire fino in fondo tale
autorevole ricostruzione interpretativa porta tuttavia a conseguenze
diverse rispetto a quelle indicate dai giudici della giurisdizione
in punto di legittimazione passiva rispetto all’azione di
responsabilità intestata al P.M. contabile[11].
Deve essere
preliminarmente osservato che l’esercizio dell’azione sociale di
responsabilità da parte del socio di una società di capitali - ai
sensi delle sopra richiamate disposizioni codicistiche - configura
una ipotesi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.
(sostituzione del socio di minoranza all’organo assembleare)[12]: le
azioni sociali ex art. 2393-bis ed art. 2476, comma 3, c.c.,
spettanti ai soci delle società di capitali, sono esercitate in nome
proprio (dai soci) ma sempre nell’interesse della società al pari,
appunto, dell’azione sociale di responsabilità spettante
all’assemblea ex art. 2393 c.c..[13].
Come si è ben evidenziato
da parte di attenta dottrina, infatti, “l'azione promossa dalla
minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio della società, non a
risarcire il danno eventualmente subito dai soggetti
agenti”[14].
Non rappresentano, dunque, dette azioni dei
“diritti personali” del socio (pubblico) operando, invece, un
meccanismo di sostituzione processuale.
Se così è, allora, non
si comprende come la procura regionale della Corte dei Conti possa
esercitare un’azione di responsabilità erariale a fronte della
condotta omissiva della persona fisica rappresentante la p.a./socio
pubblico - condotta corrispondente al mancato esercizio delle azioni
ex art. 2393-bis o ex art. 2476, comma 3, c.c. -, ciò considerando
che dette azioni sono contemplate pur sempre nell’interesse della
compagine societaria, non costituendo pertanto “diritti personali”
del socio pubblico.
Ciò con l’ulteriore rilevante conseguenza,
per quanto di interesse, che in capo al rappresentante istituzionale
di esso socio pubblico risulta non configurabile, in caso di
trascuranza del rimedio civilistico (a tutela della società e non
del socio), la violazione di un obbligo di servizio di natura
pubblicistica.
In sostanza, il soggetto appartenente alla p.a.
che non si attiva - a fronte di atti dannosi di mala gestio degli amministratori - per l’esercizio dell’azione sociale di
responsabilità spettante al socio pubblico, consuma una omissione
esterna ed estranea al rispettivo rapporto di servizio con la p.a.
partecipante nella società di capitali; ciò in quanto le azioni
codicistiche in parola, si ribadisce, sono intestate pur sempre alla
società, seppure proponibili dai soci in via sostitutiva.
In
sintesi, il soggetto che rappresenta il socio pubblico - o comunque
quello titolare del potere di decidere per esso - non potrebbe
essere convenuto in un giudizio di responsabilità contabile per aver
trascurato di esercitare le azioni ex art. 2393-bis c.c. ed ex art.
2476, comma 3,c.c., ciò poiché detti rimedi non costituiscono
istituti a tutela diretta del socio ma, invero, sono previsti a
tutela della società avverso gli atti pregiudizievoli degli organi
sociali. Costituendo, allora, la mancata attivazione dei rimedi
codicistici una violazione aliena al rapporto di servizio
(necessario per radicare la giurisdizione contabile), intendendosi
quest’ultimo come quello sussistente tra la p.a. partecipante la
società e la persona fisica titolata a decidere per essa p.a. in
qualità di socio pubblico.
A rigore (e paradossalmente) - e qui
si viene al nodo centrale della problematica - proprio perchè le
azioni sociali di responsabilità esercitabili dai soci rappresentano
- come si è visto - rimedi nell’interesse della società ma
proponibili in via sostitutiva dai soci medesimi, è la società
partecipata, in rapporto di servizio con la p.a./socio pubblico, che
dovrebbe invero rispondere in sede erariale per l’omesso esercizio
dell’azione di reintegra del patrimonio sociale ex artt. 2393,
2393-bis ed art. 2476, comma 3, c.c.; ciò in quanto, seguendo il
ragionamento delle Sezioni Unite, l’omesso esercizio di dette azioni
da parte del socio pubblico “trasforma” il danno societario da mala gestio in un corrispondente danno erariale da
svalutazione del capitale di partecipazione.
In breve: deve
ribadirsi che il giudice della giurisdizione, apertis verbis,
ha affermato che “il socio pubblico è di regola in grado di
tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l'esercizio
delle suindicate azioni civili (n.d.r, azioni ex art. 2393-bis
c.c. ed ex art. 2476, comma 3, c.c.[15]) . Se ciò non faccia e
se, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire
un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della
partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore
contabile….”.
Ma a ben vedere la persona fisica preposta alla
gestione della pubblica partecipazione non potrebbe rispondere dal
punto di vista erariale con il rispettivo patrimonio - nei confronti
della p.a. di appartenenza/socio pubblico - per non aver esercitato
l’azione di responsabilità sociale ex artt. 2393-bis o ex art. 2476,
comma 3, c.c.; siffatte azioni giurisdizionali, come acclarato, sono
configurate ex lege a tutela della società e non del socio -
cui è soltanto attribuita una legittimazione processuale sostitutiva
- e dunque, se così è, l’omessa attivazione della tutela civilistica
non integra un “fatto dannoso” correlabile all’inadempimento
gravemente colpevole di un “obbligo d’ufficio” nell’ambito del
rapporto di servizio sussistente tra la p.a./socio pubblico e detta
persona fisica.
Ma allora, per coerenza, dovrebbe essere la
stessa società partecipata (in rapporto di servizio con la
p.a./socio pubblico) a dover rispondere - con il proprio patrimonio
societario - per l’omesso esercizio di siffatte azioni codicistiche
ed in ragione del rapporto di servizio predetto[16].
Emerge in
pratica una doppia “anima” della società in mano pubblica ovvero
quella di “soggetto danneggiato” dalla mala gestio degli
amministratori (ma qui, secondo i dettami delle Sezioni Unite, c’è
un danno privatistico) e, al tempo stesso, quale “soggetto
danneggiante” il pubblico erario nella ipotesi di mancato esercizio
delle azioni di responsabilità sopra indicate a tutela della società
(sia quella intestata all’assemblea ex art. 2393 c.c., sia quella
spettante ai soci, in sostituzione della società, ex artt. 2393 bis
ed art. 2476, comma 3, c.c); inerzia che, appunto, come ritenuto
dalle stesse Sezioni Unite, produce un danno erariale conseguente al
danno societario cagionato dagli amministratori e sub specie di perdita di valore della partecipazione sociale per effetto,
appunto, della trascurata attivazione della tutela
civilistica.
In breve: se è vero che il rapporto di servizio
idoneo a radicare la giurisdizione contabile sussiste “in prima
battuta” tra la p.a. e la società di diritto privato da essa
partecipata, in caso di mala gestio degli amministratori -
affermano le Sezioni Unite - il danno da essi cagionato al
patrimonio sociale e di riflesso alla partecipazione pubblica
rischia di consolidarsi/trasformarsi in danno erariale (sub
specie di vulnus alla pubblica partecipazione) proprio in
ragione del mancato esercizio da parte della società medesima - e
per essa, da parte dei singoli soci - dell’azione di responsabilità
sociale.
Ma allora proprio perché sussiste un rapporto di
servizio tra p.a. e società di diritto privato - stante l’alterità
soggettiva esistente - e proprio perché esiste una correlata
distinta autonomia patrimoniale, il danno da mala gestio “trasformatosi” in un danno erariale per il fatto del mancato
esercizio dell’azione di sociale responsabilità (azione che, nelle
varie configurazioni codicistiche, risulta sempre intestata alla
società pur se esercitabile in alcuni casi dai soci in via
sostitutiva ) dovrebbe essere imputato proprio alla società
medesima: questa appare, dunque, da un lato il soggetto danneggiato
dalla condotta illecita degli amministratori (danno privatistico),
dall’altro quale soggetto danneggiante l’erario/la partecipazione
pubblica in virtù di un mancato esercizio delle azioni societarie
previste contro gli amministratori (l’azione sociale di
responsabilità, nelle sue varie configurazioni e per come spettante
anche ai soci).
Insomma, il patrimonio societario, quale
patrimonio appartenente ad un soggetto di diritto privato avente un
rapporto di servizio con la p.a., è quello che dovrebbe in
definitiva, e paradossalmente, rispondere per i pregiudizi sofferti
dall’erario in caso di perdita di valore della partecipazione
pubblica, ciò in conseguenza del pregiudizio scaturente dal mancato
esercizio - da parte della società (e per essa, da parte dei singoli
soci) - dell’azione sociale di responsabilità contro gli
amministratori colpevoli.
Ma se così è, allora, ben sarà
possibile per il procuratore regionale, prima ancora che agire
contro l’ente societario di diritto privato in rapporto di servizio
con la p.a. (per far valere appunto detto danno erariale da condotta
omissiva) - e prima ancora ovviamente dello spirare del termine di
prescrizione dell’azione sociale - espletare forme di tutela
“conservativa” dell’erario ammesse dall’ordinamento esercitando, nel
caso di inerzia societaria, un’azione surrogatoria dell’azione
sociale di responsabilità (incluse quelle di cui all’art. 2393-bis
c.c. e art. 2476, comma 3, c.c.).
Se, come si è tentato di
evidenziare, il soggetto danneggiante il pubblico
erario/partecipazione societaria della p.a. appare la società di
diritto privato che trascura di proporre le azioni contro gli
amministratori colpevoli di una pregiudizievole mala gestio; e se dunque è detta società, in rapporto di servizio con la
p.a./socio pubblico, il “soggetto debitore” del (consequenziale)
danno erariale da vulnus alla quota pubblicistica, la procura
regionale potrà esercitare quelle azioni che spettano al “soggetto
debitore” contro i terzi e il cui esercizio risulta trascurato -
cioè l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori -
al fine di conservare le ragioni creditorie
dell’amministrazione/socio pubblico.
In breve: una legittimazione
surrogatoria del P.M. contabile con riferimento all’azione sociale
di responsabilità (inclusa quella spettante al socio pubblico) e sul
presupposto che il soggetto danneggiante l’erario - in conseguenza
di un mancato esercizio dell’azione sociale di responsabilità a
fronte di atti di mala gestio (inerzia che secondo le Sezioni
Unite “trasforma” in un danno erariale, il pregiudizio privatistico
societario) - è pur sempre la società partecipata in rapporto di
servizio con la p.a. partecipante.
E’ dunque ad esso ente
societario imputabile il pregiudizio da perdita di
valore/reddittività del capitale pubblico di partecipazione, essendo
l’azione sociale di responsabilità, anche quella spettante ai soci
in via sostitutiva, intestata alla società partecipata che dunque
dovrà rispondere, in sede erariale, per il fatto dannoso del suo
mancato esercizio.
Occorre rammentare, sul punto, che l’art. 1,
comma 174, legge 23 dicembre 2005 n. 266 (finanziaria per il 2006)
ha sancito che “al fine di realizzare una più efficace tutela dei
crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui
al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso
che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte
le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla
procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della
garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del
codice civile”. E tra le azioni, contemplate al libro VI, titolo
III, capo V del codice civile, è ricompresa appunto quella ex art.
2900 c.c.[17].
Dunque, la giurisdizione della Corte dei Conti si
radicherebbe necessariamente nel caso di specie poiché l’azione
surrogatoria dell’azione sociale di responsabilità intestata alla
società partecipata (e per essa, ai soci) - nel caso di mala
gestio societaria - risulta essere ex lege attribuita al
procuratore regionale.
Le stesse Sezioni Unite della
Cassazione[18], del resto, hanno chiarito, con riferimento
all’azione revocatoria esperibile dalla procura regionale (sempre in
virtù del richiamato art. 1, comma 174, legge 23 dicembre 2005 n.
266) che la giurisdizione spetta al giudice contabile.
Secondo
l’avviso della Cassazione, infatti, la conclusione della devoluzione
alla giurisdizione del giudice contabile delle controversie in
argomento, oltre che imposta dalla lettera dell’articolo 1, comma
174 citato, è anche coerente con il suo scopo, esplicitato nel
“fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti
erariali”: tutela che indubitabilmente compete alla Corte dei
Conti apprestare, per le azioni di accertamento e di condanna, e che
ugualmente deve ritenersi esserle stata affidata, soggiunge la Corte
di Cassazione, per quelle “a tutela delle ragioni del
creditore” e per “i mezzi di conservazione della garanzia
patrimoniale”, in quanto rispetto alle prime hanno carattere
accessorio e strumentale[19].
Il precetto legislativo da ultimo
citato, inoltre, ben si presta ad operare anche in chiave
“derogatoria” rispetto ai presupposti dell’azione sociale di
responsabilità, nelle varie configurazioni codicistiche, quanto alla
previsione di “maggioranze societarie”[20] (ad eccezione dell’azione
sociale di responsabilità ex art. 2476, c.c. ove è invece prevista
la legittimazione di ciascun socio).
Non sfugge che nella misura
in cui si sono a attribuite ex lege al procuratore regionale
“tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste
dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della
garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del
codice civile” e ciò al fine di “realizzare una più efficace
tutela dei crediti erariali”, si concentrano in capo a
quest’ultimo prerogative di tutela poziori all’evidenza esercitabili
d’ufficio[21].
L’azione surrogatoria, dunque, si
caratterizzerebbe nella specie per un effetto conservativo/di
reintegra del patrimonio societario - dovendo gli amministratori
soccombenti risarcire la società partecipata - con tutela della
stessa partecipazione pubblica. Di qui, in definitiva, un “recupero”
della giurisdizione della Corte dei Conti, non con riferimento
all’azione erariale proponibile direttamente contro gli
amministratori, ma riguardo l’azione sociale di responsabilità nei
confronti degli stessi essendo appunto legittimato il procuratore
regionale ad agire in surrogatoria, sussistendo i presupposti, con
riferimento alle azioni societarie intestate alla
società.
Conclusivamente, se la società partecipata si configura
quale soggetto avente un rapporto di servizio con la p.a./socio
pubblico e se detta società partecipata cagiona un danno erariale da
perdita di valore della partecipazione societaria pubblica -
pregiudizio patrimoniale pubblicistico scaturente dalla sequenza
“atto di mala gestio degli amministratori-omesso esercizio
dell’azione sociale di responsabilità intestata nelle sue varie
configurazioni pur sempre alla società partecipata” -, la procura
regionale ben potrà surrogarsi al “proprio” debitore per la tutela
del credito dell’erario.
Il vittorioso esercizio dell’azione
surrogatoria in argomento (ottemperata la sentenza di condanna nei
confronti degli amministratori) comporterebbe quindi una
reintegrazione del patrimonio sociale[22] e, per l’effetto, la
tutela “conservativa” della partecipazione pubblica, il tutto, a ben
vedere, nel rispetto delle regole di diritto comune ritenute come
inderogabili dal giudice della giurisdizione in merito alle c.d.
società in mano pubblica, con l’unica eccezione, ad oggi, delle
società c.d. in house.
Come d’altronde affermato dalle
stesse Sezioni Unite proprio in sede di composizione del contrasto
in punto di legittimazione del socio ad agire per i danni sofferti
alla rispettiva partecipazione in ragione di un pregiudizio al
patrimonio della società cagionato da fatti illeciti di terzi
(legittimazione negata sulla scorta, appunto, dell’esistenza per il
socio di un pregiudizio soltanto indiretto al capitale di
partecipazione e considerato quale “conseguenza di fatto non
rilevante sul piano giuridico”) “il risarcimento ottenuto (n.d.r., da terzi danneggianti) dalla società elimina
automaticamente il danno al socio”[23].
Ciò, in definitiva, a
riprova dell’effettività della tutela di cui si avvantaggerebbe il
pubblico erario in conseguenza dell’esercizio di un’azione
surrogatoria del P.M. contabile secondo l’opzione esegetica sopra
divisata.
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[1] Cass., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283 la
quale ha affermato che “La Corte dei conti ha giurisdizione
sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della
Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta a far
valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi
cagionati al patrimonio di una società "in house", così dovendosi
intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi
enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria
attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui
gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a
quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”; per
dei primi commenti cfr. D’URGOLO, Società in house e
giurisdizione della Corte dei Conti, in www.giustamm.it n.,
12/2013; CAPALBO, Giurisdizione della Corte dei conti in tema di
responsabilità per danno erariale di amministratori e dipendenti
delle società partecipate da enti pubblici: limiti dell’orientamento
di cui alla recente sentenza Sez. Un. n. 26283/13 alla luce delle
novità di cui alla legge di stabilità per il 2014 n. 147/13, in
www.lexitalia.it, n. 2/2014. Per una attenta analisi critica della
problematica, CERIONI, La Cassazione procede alla
riqualificazione soggettiva delle “società pubbliche” iniziando da
quelle “in house”, in Soc., n. 8-9/21014, p. 953 e ss..
[2]
Peraltro se per le società in house le Sezioni Unite hanno
riconosciuto che la Corte dei Conti ha giurisdizione sull’azione di
responsabilità erariale nei confronti degli organi sociali, riguardo
le società partecipate non riconducibili a tale ultima categoria
sembra consolidarsi l’orientamento che nega la giurisdizione
contabile in ragione del loro essere, a tutti gli effetti, soggetti
di diritto privato; tanto che, recenti arresti, hanno finanche
affermato il loro assoggettamento alla legge fallimentare (da
ultimo, Cass., Sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209, in Foro it. n.
1/2014, I, 113 e ss.).
[3] Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n.
26806, oggetto di numerosi commenti ed alla quale hanno fatto
seguito una serie di altre numerose pronunzie di pari contenuto.
Sulla tematica e sui successivi interventi giurisprudenziali, senza
pretese di completezza, in dottrina cfr. PETTINARI, Gli 'incerti
confini' della giurisdizione contabile in tema di responsabilità:
note a margine della giurisprudenza più recente in tema di società
cc.dd. 'in mano pubblica, in Dir. Proc. Amm., n. 4/2013, p. 1232
e ss.; FIORANI, Le azioni di responsabilità nelle società a
partecipazione pubblica, in Giur. comm. 2011, 2, p. 315 e ss.;
SALVAGO, La giurisdizione della Corte dei conti in relazione alla
posizione dei soggetti responsabili ed a quella degli enti
danneggiati, in Giust. Civ. 2010, 11, 2505 e ss.; CARTEI-CRETA, La cassazione, le società partecipate e la responsabilità
amministrativa, in Giorn. dir. amm. 2010, 9, p. 9355 e ss.;
PATRITO, Responsabilità degli amministratori di società a
partecipazione pubblica: profili di giurisdizione e diritto
sostanziale, in Giur. it. 7/2010, p. 435 e ss.; SINISI, Responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti di
s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione:
l'intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, in Foro amm. C.d.S., 2010, 1, p. 77 e ss.;
GHIGLIONE-BIALLO, Responsabilità degli amministratori di societa'
a partecipazione pubblica: l'orientamento delle SS.UU., in Le
società, 2010, 7, p. 803 e ss.;. TENORE, La giurisdizione della
Corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, in Foro
amm. C.d.S., 2010, 1, p. 92 e ss.; SCHLITZER, Le più recenti
innovazioni legislative e giurisprudenziali in materia di
responsabilità amministrativa e di processo contabile, in Foro
amm. C.d.S., 2010, 1, p. 219 e ss.; CAGNASSO, Responsabilità
degli amministratori di società a partecipazione pubblica:
l'orientamento delle SS.UU., in Giur. it., 2010, 4; PONTE, Società miste, responsabilità e giurisdizione, in Urb. App.,
2010/5, p. 574 e ss.; ROSSI, La responsabilità degli
amministratori delle società "pubbliche, in Giur. comm., 2009,
2, p. 521 e ss..
[4] Per una efficace sintesi, cfr. TENORE, La giurisdizione della Corte dei conti sulle s.p.a. a
partecipazione pubblica, op. cit..
[5] Da ultimo, Cass.,
Sez. Un., 11 luglio 2014 n. 15492.
[6] Cfr. Cass., Sez. Un., 19
dicembre 2009, n. 26806, dove si legge al punto 3.7.: “Giova
ancora aggiungere che l'esclusione dell'ipotizzata giurisdizione del
giudice contabile per l'azione di risarcimento di danni cagionati al
patrimonio della società partecipata da un ente pubblico neppure
provoca, a ben vedere, il rischio di una lacuna nella tutela
dell'interresse pubblico coinvolto nella descritta situazione.
Nell'attuale disciplina della società azionaria - ed in misura ancor
maggiore in quella della società a responsabilità limitata -
l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, in caso di mala
gestio imputabile agli organi della società, non è più monopolio
dell'assemblea e non è più, quindi, unicamente rimessa alla
discrezionalità della maggioranza dei soci. Una minoranza
qualificata dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393 - bis
c.c.) ed addirittura ciascun singolo socio della società a
responsabilità limitata (art. 2476 c.c., comma 3) sono infatti
legittimati ad esercitare tale azione….Ne consegue che, trattandosi
di società a partecipazione pubblica, il socio pubblico è di regola
in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante
l'esercizio delle suindicate azioni civili. Se ciò non faccia e se,
in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire un
pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione,
è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile nei
confronti (non già dell'amministratore della società partecipata,
per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di
chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare
del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di
esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il
valore della partecipazione. Ed è ovvio che, con riguardo ad
un'azione siffatta, vi sia piena competenza giurisdizionale della
Corte dei conti”.
[7] Conformi, Cass., SS.UU., 5 luglio
2011, n. 14655 (ord.): Cass., SS.UU., 12 ottobre 2011, n. 20941
(ord.); Cass., SS.UU., 9 marzo 2012, n. 3692 ove si afferma che
sussiste la giurisdizione contabile “quando l'azione di
responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale
rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere
di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i
propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della
partecipazione, ovvero in comportamenti tali da compromettere la
ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico,
strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante
l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente
pregiudizio al suo patrimonio”.
[8] Secondo le SS.UU., il
P.M. contabile, se si è ben compreso, potrebbe agire contro il
dipendente pubblico quale titolare della potestà decisoria del socio
pubblico ed al fine di ottenere una condanna risarcitoria in favore,
non della società partecipata (non potendo la procura regionale
agire “per conto” di un soggetto privato), ma, all’evidenza, della
p.a. partecipante/socio pubblico.
[9] Cass., SS.UU., 5 luglio
2011, n. 14655 (ord.), punto 5.4..
[10] Cass., Sez. Un., 19
dicembre 2009, n. 26806, dove si legge al punto 3.7 “il socio
pubblico è di regola in grado di tutelare egli stesso i propri
interessi sociali mediante l'esercizio delle suindicate azioni
civili (n.d.r, azioni ex art. 2393-bis c.c. ed ex art. 2476,
comma 3, c.c.) . Se ciò non faccia e se, in conseguenza di tale
omissione, l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante
dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente
prospettabile l'azione del procuratore contabile….”.
[11]
Diversa poi dalla azione sociale di responsabilità proponibile dal
socio è l’azione individuale ex art. 2395 c.c. (ed ex art. 2476,
comma 6, c.c. riguardo le s.r.l.) secondo cui “Le disposizioni
dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento
del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati
direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli
amministratori”; al riguardo le Sezioni Unite, nella pronunzia
in analisi, hanno rapportato a tale diversa azione diretta del socio
(contro gli amministratori) l’azione per danno all’immagine. Si
legge nel punto 3.6. della sentenza, infatti, che “...la
configurabilità dell’azione del procuratore contabile, tesa a far
valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di
organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico
quando questo sia stato direttamente danneggiato dall’azione
illegittima, non incontra particolari ostacoli (né si pongono
difficoltà derivanti dalla possibile concorrenza di siffatta azione
con quella ipotizzata in sede civile dai citati artt. 2395 e 2476,
sesto comma, poiché l’una e l’altra mirerebbero in definitiva al
medesimo risultato)…Tipico esempio di questa situazione è il danno
all’immagine dell’ente pubblico…”
[12] In dottrina si è
precisato (ALPA-MARICONDA, Codice civile commentato, IPSOA, p. 1247
e ss.) che le azioni in argomento non configurano “nuove azioni
di responsabilità, ma la stessa azione di responsabilità di cui
all’art. 2393 c.c., la cui legittimazione è attribuita o è estesa a
soggetti diversi dalla società: si è, insomma, nell’ambito dell’art.
81 c.p.c., il quale prevede eccezionalmente che un soggetto possa
essere legittimato ad agire o contraddire relativamente ad un
rapporto giuridico altrui”. In giurisprudenza, Tribunale Napoli,
20 ottobre 2005 in Foro it. 2006, 4, 1222, secondo cui “In tema
di azione sociale di responsabilità, introdotta dall'art. 2476, co.
3, c.c., la legittimazione attiva del socio configura un'ipotesi di
sostituzione processuale dello stesso alla società, la quale non è
un litisconsorte necessario”.
[13] Cfr. CAMPOBASSO, La
riforma delle società di capitali e delle società cooperative,
Torino, 2003.
[14] CAMPOBASSO, La riforma delle società di
capitali e delle società cooperative, op. cit.; la dottrina ha
anche osservato come rispetto all’azione de qua gli attori
sono i soci di minoranza, ma il risultato dell'azione va a favore
della società (in termini, GALGANO, Diritto civile e
commerciale, III, 2, Padova, 2004, 286).
[15] Cfr. Cass.,
Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806, punto 3.7 cit..
[16]
Problematica ulteriore, che meriterebbe una trattazione a parte,
sarebbe quella di verificare se la partecipazione di un ente
pubblico in una società di diritto privato sia sempre idonea, di per
sé, ad instaurare un “rapporto di servizio”: al riguardo sembra che
la legge presuma detto rapporto di servizio quanto meno con
riferimento allo svolgimento di attività pubblicistiche ovvero di
cura di pubblici interessi di dette società (cfr. art. 29, L 7
agosto 1990, n. 241 e s.m. secondo cui “.. Le disposizioni della
presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o
prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle
funzioni amministrative”).
[17] Né sussisterebbe una
preclusione all’esercizio in surrogatoria, da parte del procuratore
contabile, dell’azione sociale di responsabilità alla luce
dell’inciso di cui all’art. 2900 c.c. secondo il quale l’azione
surrogatoria non è proponibile quando “si tratti di diritti o di
azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono
essere esercitati se non dal loro titolare”. In giurisprudenza,
ad esempio, si è ritenuto (seppure l’orientamento non appare
pacifico) che l’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2394
c.c. appare configurabile proprio quale azione surrogatoria -
esercitata dai creditori della società - dell’azione di
responsabilità sociale ex art. 2393 c.c.; cfr. Cass., Sez. I, 27
novembre 1982 n. 6431 dove si afferma che “L'azione di
responsabilità esercitata ai sensi dell'art. 2394 c.c. nei confronti
dell'amministratore di una società dai creditori sociali o dal
curatore del fallimento della società medesima (a differenza
dell'azione ex art. 2395 successivo, avente natura aquiliana) è
un'azione surrogatoria tendente alla reintegrazione del patrimonio
sociale, diminuito dall'inosservanza degli obblighi facenti carico
agli amministratori, e che, come tale, presuppone, non già una
responsabilità diretta di detto amministratore verso i creditori
sociali, bensì una responsabilità dello stesso verso la società
(quale quella nascente dalla violazione del divieto di nuove
operazioni posto dall'art. 2449 c.c.), nonché l'inerzia di
quest'ultima nel senso considerato dalla legge ai fini della
proposizione di un'azione surrogatoria”. In ogni caso, la
dottrina ritiene che l’art. 2900 c.c., nella parte in cui fa
riferimento ai diritti e le azioni che “non possono essere
esercitati se non dal loro titolare”, intende riferirsi ai c.d.
diritti della personalità o comunque quelli a contenuto non
patrimoniale (v. BIANCA, Diritto civile, 5, Milano, 428 e
ss.).
[18] Cass., Sez. Un., 22 ottobre 2007 n. 22059 (ord.)
secondo cui “L'azione revocatoria promossa dal Procuratore
regionale della Corte dei conti davanti alla relativa Sezione
giurisdizionale per la declaratoria di inefficacia, ai sensi
dell'art. 2901 cod. civ., dell'atto di donazione compiuto da un
pubblico dipendente nei confronti del quale sono stati eseguiti
accertamenti sfociati nell'esercizio dell'azione di responsabilità
amministrativo-contabile, spetta - ai sensi dell'art. 1, comma 174,
della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che in tal senso ha
interpretato l'art. 26 del regolamento di procedura di cui al r.d.
13 agosto 1933, n. 1038 - alla giurisdizione esclusiva della Corte
dei conti. La natura strumentale ed accessoria dell'azione
revocatoria consente, del resto, di non ritenerla estranea alla
materia della contabilità pubblica che l'art. 103, secondo comma,
Cost. riserva, come giudice naturale, alla cognizione della Corte
dei conti”.
[19] Cass., Sez. Un., 22 ottobre 2007 n. 22059
(ord.).
[20] Ad esempio ai sensi dell’art 2393-bis c.c.
“L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche
dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o
la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al
terzo”.
[21] Può essere rammentato che la legge fallimentare
(v. art. 146) contempla espressamente la possibilità per il curatore
di esercitare, tra l’altro, l’azione di responsabilità contro gli
amministratori.
[22] L’azione surrogatoria è diretta ad
acquisire un risultato utile al patrimonio del debitore surrogato e
non del creditore surrogante; quando esercita un credito verso il
terzo, il surrogante non può pertanto esigere per sé la prestazione
ma può pretendere che la prestazione sia eseguita in favore del
debitore surrogato (v. NATOLI, L’attuazione del rapporto
obbligatorio, II, Milano, 1967, 169). Occorre tuttavia dare atto
che certa giurisprudenza (Cass., 12 gennaio 1972, n. 72) e una parte
della dottrina (NICOLO’, Azione surrogatoria e azione
revocatoria, in Raccolta di scritti (già Comm. Scialoja e
Branca), I, Milano, 1980, 836) sono giunte a ritenere che il
creditore surrogante sarebbe legittimato a ricevere la prestazione
quale adiectus solutionis causa.
[23] Cass., Sez. Un., 22
dicembre 2009, n. 27346: “Qualora una società di capitali
subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno,
ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al
socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di
questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non
anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce
direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il
responsabile al relativo risarcimento, mentre l'incidenza negativa
sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale,
costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non
conseguenza immediata e diretta dell'illecito. (Nella specie, le
S.U., nell'enunciare l'anzidetto principio, hanno confermato la
sentenza di merito che aveva respinto la domanda con cui una società
per azioni, socia di una compagnia di assicurazioni s.p.a., aveva
dedotto la responsabilità della società di revisione, incaricata
della certificazione del bilancio della società partecipata, per il
danno patito dalla quota di partecipazione, a seguito delle condotte
illecite ascritte alla società di revisione)”.
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(pubblicato il
1.10.2014)
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