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n. 9-2014 - © copyright |
GIANLUCA ROMAGNOLI
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La partecipazione pubblica alle
società come strumento operativo e di investimento e le «preferenze» del
«recente» legislatore (*)
Sommario: 1. Molteplicità delle funzioni delle
società di capitali e la partecipazione degli enti pubblici . – 2.
La “polarizzazione” delle preferenze del legislatore vista
attraverso alcuni recenti documenti normativi. – 3. Preferenza per
la smobilizzazione delle partecipazioni pubbliche. – 4.
Problematiche attinenti all’attività preparatoria alla
smobilizzazione e possibili elementi di condizionamento. - 5. La
smobilizzazione della partecipazione tramite liquidazione legale
delle quote o delle azioni di spettanza delle P.A.
1.
- Le società come organizzazioni sono il prodotto di contratti
complessi a funzione polivalente, in grado di soddisfare i diversi
interessi della più o meno ampia platea dei loro soci. Sono, in
primo luogo, accordi per l’esercizio in comune di attività
economiche; negozi che organizzano i conferimenti di beni e servizi
dei soci ed ordinano – in una prospettiva eminentemente operativa –
la collaborazione di più soggetti alla stessa impresa (art. 2247
cod. civ.)[1]. Sono, poi, strumenti per la raccolta di mezzi per
l’esercizio di imprese – anche grandi – cui alcuni sottoscrittori
non partecipano in modo diretto, limitandosi ad immobilizzare le
loro risorse con finalità d’investimento attendendone una
remunerazione[2].
L’elasticità dell’organizzazione societaria –
che, sia pur in diverso modo, caratterizza tanto il regime delle
s.r.l. che quello delle s.p.a. – può essere considerata una delle
ragioni del risalente largo impiego nel tempo fattone da parte delle
pubbliche amministrazioni[3] nonché la chiave di lettura delle
originarie disposizioni del codice civile (art. 2458 ss. cod.
civ.)[4]. Quelle - pur introducendo alcune limitate deroghe a favore
degli enti pubblici – potevano essere lette come espressione di una
generale considerazione positiva della capacità del contratto e
dell’organizzazione di soddisfare i loro fini[5] tanto che, anche in
assenza di regole abilitative espresse, non si riteneva che le
amministrazioni incontrassero limiti a sottoporsi alle norme pensate
per i privati[6].
In sintonia con quella linea di favore – in
specie, per la specifica separazione patrimoniale garantita dalle
loro regole caratterizzanti – si muoveva anche il legislatore della
fine del secolo scorso; come è noto, infatti, la prima riforma delle
autonomie locali (l. 142/1990) elevava le società di capitali, ed in
particolare le s.p.a., a modulo organizzativo impiegabile per
l’esercizio d’attività economiche qualificate in termini di servizio
pubblico.
L’abuso del ricorso allo strumento societario da parte
di molte amministrazioni, ed in specie di quelli locali, però ha
condotto ad una sorta di sua criminalizzazione, portando ad
attribuire al mezzo le colpe dei suoi disinvolti utilizzatori.
L’indiscriminato ricorso allo strumento societario, ora per evitare
la disciplina della contabilità pubblica[7], ora per l’occupazione
di ambiti d’attività da cui derivavano sistematicamente scarsi
risultati se non perdite, ha innescato un’inversione di “rotta”[8].
Al primo atteggiamento di favore ne è seguito uno di cautela o
diffidenza, affermandosi a livello legislativo una tendenza al
contenimento dell’impiego del modello societario da parte delle
P.A., se non una sua preclusione, giustificata ora dall’esigenza di
riduzione della spesa, ora con quella di ottimizzare le risorse
pubbliche, od, in fine, da un sedicente obbligo di matrice europea
di aprire alle imprese private taluni settori economici[9]. L’ente
pubblico - soprattutto locale - si vede privato della più ampia
possibilità di avvalersi delle società di capitali; infatti, il
legislatore subordina la possibilità di costituzione o il
mantenimento della partecipazione all’esistenza di condizioni
ulteriori rispetto alla valutazione di congruenza della scelta
rispetto al perseguimento degli interessi di cui si fa interprete
l’amministrazione[10]. La direzione della capacità funzionale
dell’ente pubblico, viene dunque, indirizzata da incentivi e
compressa da limitazioni o divieti espliciti, sottoposti a
“manutenzione” legislativa.
2. - Specifici incentivi
di natura fiscale sono introdotti dall’art. 1, comma 568-bis,
l. 147/2013 per le amministrazioni pubbliche locali - indicate
dall’art. 1, comma 3, l 196/2009 - e per le società da esse
controllate direttamente ed indirettamente, tutte ammesse ad un
trattamento tributario agevolato nel caso di proventi conseguiti
tramite la smobilizzazione di quote od azioni, anche quando alla
vendita si accompagna l’assegnazione all’acquirente del servizio
affidato alla stessa società partecipata. Si contempla, infatti, un
beneficio tanto in ipotesi di messa in liquidazione della
partecipata (lett. a), quanto per quella della cessione – con
procedure di evidenza pubblica - della partecipazione diretta o
indiretta, detenuta all’entrata in vigore della finanziaria per il
2014 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a
decorrere dal 2014 (lett. b)[11].
Particolarmente articolati e
significativi sono i mezzi di pressione diretta ed indiretta al
contenimento dell’investimento pubblico in enti commerciali. Il
mantenimento della partecipazione in una società che non realizza,
in principio, “un ritorno del capitale con periodicità annuale”
comporta l’obbligo per il socio d’effettuare una accantonamento in
un apposito fondo d’entità proporzionale alla propria quota o
pacchetto azionario. Dunque gli si impone di vincolare delle somme,
suscettibili di liberazione progressiva in funzione del ripianamento
della perdita od, alternativamente, in ipotesi di cessione della
partecipazione o di messa in liquidazione della società (art. 1,
comma 551, l. 147/2013).
Ancora si dispone che le società diverse
da quelle che erogano servizi pubblici, a decorrere dall’esercizio
2017 – in caso di risultato di bilancio negativo in quattro dei
precedenti cinque anni precedenti – sono poste in liquidazione entro
sei mesi dall’approvazione dell’ultimo prospetto contabile,
sanzionandosi l’omissione con la nullità di tutti gli atti posti in
essere successivamente e con la responsabilità erariale «dei soci»
(art. 1, comma 555, l. 147/2013).
Ulteriormente, consistente è
anche l’integrazione dei divieti, o prescrizioni di gestione. A
partire dal 2014 alle società a partecipazione pubblica diretta od
indiretta si impone di concorrere alla realizzazione degli
obbiettivi di finanza pubblica, attraverso una sana gestione dei
servizi secondo criteri di efficienza ed economicità, organizzando
la loro attività sulla base di «costi standard».
Infine,
il legislatore, compie un’opera di “manutenzione” del vecchio
divieto relativo a società «aventi ad oggetto l’attività di
produzione di beni o servizi» non strettamente necessari, per cui è
esclusa sia la costituzione che l’assunzione od il mantenimento di
partecipazioni anche di minoranza (art. 3, comma 27, l.
244/2008)[12]. Invero, dopo averne confermato l’inapplicabilità alle
società che erogano servizi pubblici, ne ha allungato il termine
concesso per la cessione di azioni o quote con procedura di evidenza
pubblica ed ha disposto che in difetto di alienazione od avvio della
fase di liquidazione, spirato il termine, «la partecipazione cessa
ad ogni effetto e nei dodici mesi successivi la società liquida in
danaro la quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti
dall’art. 2437-ter, secondo comma, cod. civ.» (art. 1, comma
569, l. 147/2013).
3. - La lettura d’insieme degli
eterogenei interventi normativi richiamati sembra indicare una
diversificazione delle preferenze del legislatore.
Nell’ambito
dei servizi pubblici locali[13], sia pur con una serie di cautele,
risulta prevalere l’attenzione per la sua capacità operativa
organizzativa[14]. La società è, dunque, apprezzata per essere
strumento per l’esercizio dell’impresa e cioè attività economica con
metodo economico. Diversamente, in tutti gli altri ambiti in cui si
esclude che la P.A. possa assumere liberamente la veste di socio di
un ente commerciale[15], si evidenzia una svalutazione della
componente operativa ed una marcata attenzione alla valenza
patrimoniale dell’adesione al contratto. Aspetto, si sottolinea,
poi, particolarmente marcato per quanto concerne gli enti locali ed
i soggetti ad essi assimilati, incentivati al realizzo
dell’investimento e di ogni sua possibile forma di remunerazione,
stante la previsione dell’obbligo di distribuzione parziale delle
riserve disponibili ed - a prescindere dall’esistenza di quelle -
con l’imposizione di un “dividendo minimo legale” (art. 20, comma 3,
l. 66/2014).
La liquidazione della partecipazione – anche tramite
l’estinzione della società – è la direttrice su cui si muove il
legislatore che però non giunge a comprimere del tutto l’autonomia
di scelta dell’ente socio. A questo, infatti, è rimessa la ponderata
valutazione sulla sorte dell’investimento in imprese “in attivo”,
pur stimolato dall’incentivo fiscale alla monetizzazione delle
proprie immobilizzazioni (art. 1, comma 568-bis, l.
147/2013).
Come si vede, con esclusione delle società strumentali
non strettamente necessarie, il legislatore non opera una
compressione della “capacità” funzionale delle amministrazioni, né
fissa linee operative assolutamente rigide, diversamente da quanto
previsto per le altre immobilizzazioni finanziarie. La rilevanza e
valenza operativa dell’organizzazione societaria, in altri termini,
non conduce all’estreme conseguenze la ricerca del più ampio
reperimento di risorse; non si giunge, infatti, ad imporre
l’alienazione di quote ed azioni come, invece, era stato previsto
per tutti gli investimenti finanziari a carattere fungibile presenti
nel portafoglio degli enti pubblici e da questi effettuati per
aumentare la redditività delle loro disponibilità (art. 35, comma 9,
d.l. 1/2012)[16].
4. - L’emersione d’una marcata
preferenza legislativa per il realizzo degli investimenti effettuati
in capitale di rischio porta a chiedersi in che termini quella possa
trovare concreta soddisfazione ed in che tempi. Sia la
smobilizzazione spontanea (incentivata) che quella obbligata,
infatti, richiedono l’individuazione d’un parametro di riferimento
per misurare le condizioni d’un possibile congruo realizzo o, se si
vuole, una quantificazione minima del valore delle quote od azioni.
I particolari vincoli posti all’attività negoziali delle pubbliche
amministrazioni - e le connesse responsabilità a carico di chi per
loro agisce[17] - rende indispensabile isolare una base d’estimo su
cui costruire, prima, la competizione tra i potenziali acquirenti e,
poi, valutare la convenienza alla accettazione della proposta
migliore e dunque la sua astratta “congruenza”. Infatti, anche se si
procede alla selezione dell’acquirente con il metodo dell’offerta
economica più vantaggiosa – praticabile ragionevolmente solo per le
gare a doppio oggetto (partecipazione e servizio) – un’operazione
preliminare d’estimo risulta imprescindibile.
Quell’attività
preparatoria però si rivela particolarmente complessa per riguardare
la partecipazione ad un contratto associativo; per riguardare, cioè,
un bene che è mezzo per l’esercizio in comune d’un’iniziativa
imprenditoriale aleatoria, duratura e imputabile ad un’autonoma
organizzazione. Nel corso dell’attività preparatoria, perciò, si
dovrà porre attenzione a diverse variabili e non ci si potrà
limitare alla considerazione del valore di carico della
partecipazione nel bilancio dell’ente od alla consistenza
patrimoniale dell’organizzazione societaria. L’esame del primo dato
si rivela inattendibile ai nostri fini, trattandosi di un elemento
di “natura contingente ed a carattere soggettivo” mentre una
considerazione del secondo risulta, addirittura, impraticabile
attesa l’alterità tra patrimonio del socio e quello della
società[18], per essere la quota o l’azione bene c.d. di secondo
grado rispetto al patrimonio dell’organizzazione lucrativa.
La
complessità dell’istruttoria d’interesse e l’opinabilità dei
risultati cui potrebbe condurre, ancorché orientati da indagini di
mercato e sondaggi svolti tramite sollecitazioni alla manifestazione
di interesse, sembrerebbero, però, contrastare con una recente
scelta legislativa. Infatti, per individuare il valore della
partecipazione del socio uscente di società strumentali non
essenziali sembra contemplarsi una modalità operativa apparentemente
rigida. L’art. 1, comma 569, l. 147/2013, prevede che la
liquidazione della partecipazione vietata, e non tempestivamente
alienata, debba avvenire riconoscendosi una somma determinata sulla
base dell’art. 2437-ter, comma 2, cod. civ. e cioè con il
metodo misto “redittual-patrimoniale”. L’obbiettivo, dunque,
dovrebbe essere raggiunto seguendo un percorso cui il codice civile
assegna una valenza residuale nell’attuazione del diritto di recesso
dell’azionista (art. 2437-ter, comma 4, cod. civ.)
[19].
Al di là della stentorietà ed enfasi della previsione,
ragionevolmente si tratta di una limitazione apparente. Conclusione
che sembra tanto più vera se si considera che il legislatore imbocca
una strada non semplice, insuscettibile di applicazioni meccaniche
anche a prescindere dalle perplessità che suscita un richiamo ad una
disposizione specifica delle società per azioni, oggetto di
decontestualizzazione[20] e generalizzazione[21], da cui potrebbe
trarsi - in via interpretativa - il superamento delle eventuali
diverse regole fissate dallo statuto per la liquidazione della quota
del socio uscente.
A prescindere dal tipo di gara che l’ente
pubblico intende osservare per la selezione dell’acquirente, sembra
che dal criterio legale possano ricavarsi solo indicazioni
procedurali di massima cioè non assolutamente vincolanti per il
valutatore. La conclusione qui sostenuta pare essere necessitata se
si considera che l’opinabilità e delicatezza dell’operazione
preliminare di determinazione del valore di liquidazione delle
azioni è postulata dalla disciplina codicistica; questa, infatti,
opera un rinvio sintetico ai metodi aziendalistici, cioè a regole e
principi elaborati nell’ambito delle scienze economiche che per le
loro caratteristiche sono definite “inesatte” per non portare ad un
risultato univoco ed indiscutibile[22]. Ed è proprio per
quell’opinabilità che la prima valutazione compiuta dagli
amministratori (art. 2437-ter, comma 2, cod. civ.) - soggetti
che meglio dovrebbero disporre d’una visione a “tutto campo” dello
stato dell’impresa - non ha natura vincolante per il socio
recedente. All’azionista, invero, è data la possibilità di
rimetterla in discussione ed ottenerne una rideterminazione tramite
perizia giurata d’un esperto nominato dal Tribunale (art.
2437-ter, comma 6, cod. civ.), che a sua volta, per un
ulteriore rinvio interno al codice civile, dovrà procedere con equo
apprezzamento (art. 1349, comma 1, cod. civ.)[23].
A prescindere
dagli interrogativi segnalati, è ragionevole immaginare che
l’aspirazione alla sollecita smobilizzazione della partecipazione
pubblica risulti condizionata anche dalla “variabile” della presenza
nella compagine sociale di investitori diversi dalle P.A.
L’operazione, verosimilmente, si presta ad essere avviata solo nel
caso di una precedente assenso del partner privato di
minoranza. In difetto d’una sua preventiva approvazione non è dato,
in assoluto, escludere che l’investitore privato paventi d’avvalersi
di quella particolare causa di recesso individuata nella cessazione
della attività di direzione e coordinamento (art.
2497-quater, comma 1, lett. (c), cod. civ.)[24]. E’
ragionevole ritenere, infatti, che la variazione della compagine
associativa non sia indifferente alla conduzione dell’impresa,
integrando una di quelle variazioni delle condizioni di rischio
dell’investimento che abilitano chi ne è passivo spettatore alla
risoluzione individuale del rapporto sociale.
Ancora minore
potrebbe rivelarsi la praticabilità ed economicità – in assenza
d’accordo con il partner privato - della possibilità
riconosciuta al socio pubblico di cedere la partecipazione di
maggioranza di una società mista, compensando il primo, già
affidatario del servizio e detentore di più del 30% del capitale di
rischio, con un “semplice” diritto di prelazione. È dubbio, infatti,
che la preferenza legislativa per la monetizzazione
dell’investimento permetta alla P.A. socia diretta od indiretta di
sciogliersi da qualunque impegno a “costo zero” per sostituire ad
altri chi – magari tramite gara – previa assunzione di impegni
operativi e finanziari, s’era aggiudicato in precedenza l’esercizio
del servizio contestualmente all’acquisto della partecipazione.
La praticabilità della soluzione non pare conciliabile né con il
principio della libera circolazione dei capitali e dell’affidamento
degli investitori né con l’art. 1, del protocollo addizionale Cedu
che tutela la proprietà in tutte le sue forme. Principio e regola da
cui – ragionevolmente – deriva una protezione da interventi
unilaterali “ablativi” anche per quella situazione giuridica
soggettiva “complessa” conseguita con l’acquisizione della
partecipazione; protezione che dovrebbe essere tanto più intensa
quanto più l’acquisto della quota o del pacchetto azionario sia
stato funzionale od abbia condizionato l’assunzione del servizio o
la possibilità di poter svolgere direttamente alcune attività ad
esso necessarie[25].
Dunque, in assenza d’un’apposita intesa tra
soci pubblici e privati diretta a regolare partitamente le
conseguenze inter partes della cessione, da quella deriverà,
a carico dei primi, un obbligo di riconoscimento d’un indennizzo a
favore dei soggetti che si vedono privare della situazione di
favore. L’attuazione della “monetizzazione” della partecipazione,
infatti, richiede una preventiva revoca di un provvedimento ad
efficacia durevole motivato da una nuova valutazione legislativa
dell’interesse pubblico che, come tale, non sembra sottratta al
principio generale della compensazione economica previsto dalla
legge sulla trasparenza amministrativa (art. 21-quinquies,
comma 1, l. 241/1990)[26].
5. – In fine, un’ultima
riflessione deve essere dedicata alla previsione relativa alla
risoluzione legale del rapporto individuale del socio pubblico di
società non strettamente strumentali (art. 1, comma 569, l.
147/2013).
Anche in questo caso si pone un problema di verifica
della capacità della disposizione di conseguire il risultato della
più agile monetizzazione della partecipazione e ciò, si ribadisce,
tacendo i numerosi problemi interpretativi che solleva il richiamo
selettivo al secondo comma dell’art. 2437-ter, cod. civ. Chi
vuole applicare la disposizione si deve, quanto meno, chiedere a chi
spetti il dovere d’effettuare la valutazione[27], a quali criteri si
debba attenere l’estimatore e quali eventuali rimedi – speculari a
quelli previsti, in generale, a favore del socio recedente - possano
riconoscersi agli investitori privati per contestare la
determinazione del valore di liquidazione della partecipazione del
socio pubblico.
Fermi tutti gli interrogativi prospettati, poi,
non pare assolutamente scontato che della previsione della
cessazione della partecipazione “ad ogni effetto” e della
liquidazione nei successivi dodici mesi della somma determinabile
derivi in una sollecita iniezione di risorse nella casse del socio
pubblico “uscente”[28]. Non può, infatti, dimenticarsi che la
disposizione della legge di stabilità deve essere coordinata con
quelle proprie delle società di capitali, che comunque non possono
essere considerate irrilevanti in quanto disciplinano contratti
particolari, aventi come effetto quello di generare organizzazioni a
rilievo reale che si relazionano con i soggetti terzi la cui
posizione è perciò oggetto di considerazione da parte
dell’ordinamento[29].
La lettura complessiva dei documenti
normativi porta ad escludere la possibilità di riconoscere un
trattamento privilegiato alle P.A. L’aspettativa di credito del
socio pubblico, dunque, è suscettibile di soddisfazione nella misura
in cui sussistono le risorse necessarie per il relativo pagamento,
sempre che questo non possa risultare, od essere ritenuto, atto
pregiudizievole delle ragioni di chi ha negoziato con
l’impresa.
In virtù del richiamo espresso alla disposizione del
codice civile ed al necessario rinvio implicito al contesto che
ordina la liquidazione delle azioni nelle s.p.a., le risorse
necessarie per il pagamento saranno reperite seguendo il tracciato
dell’art. 2437-ter, comma 2, cod. civ.[30]. Dunque, come
prima opzione si indirizzerà una proposta d’acquisto agli altri
soci; in un secondo momento, in caso di insuccesso, la stessa
società dovrà procedere all’acquisto delle azioni proprie[31],
impiegando le riserve disponibili esistenti; in fine, nel caso di
impraticabilità della soluzione da ultimo prospettata si passerà
alla riduzione del capitale sociale a meno che non si deliberi lo
scioglimento della società, che è determinazione comunque obbligata
qualora la riduzione del capitale sociale necessaria per soddisfare
l’aspettativa del socio uscente porti la posta contabile fissa ad
attestarsi al di sotto del minimo legale (art. 2484, comma 1, n. 4,
cod. civ.).
Lo scioglimento della società nell’ipotesi da ultimo
segnalata non è, però, l’unica eventualità in cui si può verificare
una ritardata monetizzazione, per il riallineamento delle posizioni
di soci pubblici e privati, tutti tenuti ad attendere la conclusione
della fase di liquidazione ed, in particolare, la preventiva ed
integrale soddisfazione dei creditori sociali (art. 2491, comma 2,
cod. civ.)[32]. Infatti, la riduzione del capitale sociale – da
eseguire in assenza di riserve disponibili – è regolata tramite il
rinvio alla disciplina dell’abbattimento facoltativo della posta
contabile fissa. La disposizione d’interesse richiama i commi 3 e 4
dell’art. 2445 cod. civ. i quali prevedono l’ineseguibilità della
delibera modificativa in caso di opposizione dei creditori, il cui
esito non è indifferente ai fini della continuità dell’impresa.
Infatti, una regola speciale, dettata in sede di disciplina del
recesso del socio, prevede che l’accoglimento dell’opposizione
proposta dai creditori costituisca autonoma causa di scioglimento
della società (art- 2437-quater, comma 7, cod. civ.).
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(*) Il presente scritto è il risultato d’una
parziale integrazione del testo della relazione presentata al
convegno “La partecipazione degli enti locali alle società di
capitali. Scelte di mantenimento, cessione e valutazione” svoltosi a Vicenza il 4 luglio 2014 per iniziativa dalla Fondazione
Centro Studi amministrativi della Provincia di Vicenza.
[1] M.
Cian, La società come struttura organizzativa, in Aa. Vv., Diritto commerciale, 2, a cura di M. Cian, Torino, 2013, p. 4
ss.
[2] E. Ginevra, La società per azioni: fattispecie
economica e rilevanza giuridica, in Aa. Vv., Diritto
commerciale, 2, cit., p. 165 ss.
[3] Cfr M.T. Cirenei, Le
società per azioni a partecipazione pubblica, in Aa. Vv,, Società di diritto speciale, in Tratt. soc. per az.,
diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, VIII, 1982, p. 10, p. 10.
[4] Sulle quali, per tutti, si veda, relativamente alla nomina
degli organi di gestione e controllo, G. Frè, Società per
azioni (art. 2325-2461), in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna – Roma, 1982, p. 912 ss.
[5] A. Massera, Le società pubbliche, in Giornale dir.
amm., 2009, p. 892.
[6] Cfr R. Rordorf, Le società
«pubbliche» nel codice civile, in Società, 2005, p. 423
ss. e, ulteriormente mi, mi si permetta il rinvio al mio Il socio
pubblico, le società di capitali e l’impresa: prospettive ed
interferenze, in Nuova giur. civ., 2008, II, p. 79 ss.
[7] Tendenza, affermatasi già, con il regime fascista, come,
evidenzia G. Melis, La lunga storia dei controlli: i conti
separati del’amministrazione, in Riv. dir. pubbl., 2014,
p. 397 ss.
[8] Cfr C. Ibba, Dall’ascesa al declino delle
partecipazioni pubbliche, (2011), in www.giustamm.it.
[9]
Per alcune riflessioni critiche sulle relative scelte normative, tra
i tanti, si veda, M. Libertini, Le società di autoproduzione in
mano pubblica: controllo analogo, destinazione prevalente
dell’attività ed autonomia statutaria - Un aggiornamento a seguito
dell’art. 4 d.l. n. 138/2011, (2011), in www.federalismi.it; Id, Le società di autoproduzione in mano pubblica: controllo analogo,
destinazione prevalente dell’attività ed autonomia statutaria - Un
aggiornamento, a seguito dell’art. 4 d.l. 13 agosto 2011 n. 138,
conv. con l. 14 settembre 2011 n. 148, in Riv. dir. soc., 2012, p. 199 ss.
[10] Per una panoramica dei quali, si rinvia a,
F. Cintioli, Società in mano pubblica, interesse sociale e nuove
qualificazioni della giurisprudenza, (2014), in
www.giustamm.it; A.M. Sandulli, Il paternariato pubblico privato
istituzionalizzato nell’evoluzione normativa, (2012), in
www.federalismi.it.
[11] Soluzione questa che il legislatore
ammette anche nel caso in cui l’ente pubblico partecipi alla società
con altri soggetti privati. In tale ipotesi si prevede che il socio
privato detentore di almeno il 30% del capitale venga “compensato”
con il riconoscimento di una prelazione nell’acquisto della
partecipazione messa in gara. L’ampia previsione dell’art. 1, comma
568-bis, lett. b, l. 147/2013 - non contenendo limitazioni di
alcun genere – dunque consente, per rendere possibile la cessione
onerosa, lo scioglimento della parte pubblica da qualunque accordo
od impegno eventualmente assunto con i soci privati e quindi si
presta anche ad essere letta come causa di “risoluzione” degli
eventuali obblighi derivanti da sindacati di blocco relativi ad
azioni negoziate in mercati regolamentati. Dunque, la P.A. una volta
che sia stata formalizzata la determinazione a vendere, risulta
libera dall’impegno mantenimento di quelle partecipazioni già
conferite ad un sindacato ancora vigente, indipendentemente dalla
circostanza che questo permetta l’esercizio di un controllo
congiunto diretto od indiretto su una multiutility c.d.
“quotata in borsa”.
[12] Nei limiti in cui, come ha affermato il
giudice delle leggi – Cort. cost., 18 giugno 2013, n. 229, in
www.cortecostituzionale.it – la disposizione non si traduca in una
limitazione alle prerogative legislative concorrenti, cui compete la
definizione delle possibili modalità di svolgimento dei servizi
strumentali alle finalità istituzionali degli enti locali compresi
nel territorio di ciascuna regione.
[13] Insuscettibili di una
definizione preventiva, atteso il c.d. carattere evolutivo della
nozione di servizio pubblico, come, ormai costantemente ricordato
dalla massima giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, sez. V, 23
ottobre 2012, n. 5409, in www.giustizia-amministrativa.it.
[14]
Caratteristica, peraltro, che porta ad ammetterne l’impiego anche
per la produzione di beni e servizi strettamente necessari per il
perseguimento delle attività istituzionali del socio, cfr, F.
Trimarchi Banfi, Lezioni di diritto pubblico dell’economia3,
Torino, 2012, p. 33.
[15] F. Trimarchi Banfi, op. loc. cit.
[16] L’art. 35, comma 9, d.l. 1/2012, non indicava le
immobilizzazioni oggetto di cessione rinviandone l’individuazione ad
un successivo provvedimento ministeriale. Il decreto attuativo del
Ministro dell’economia del 27 aprile 2012, nel dar seguito alla
delega, ha previsto, l’alienazione di tutti i prodotti finanziari
come definiti dal d. legis. 58/1998 - esclusi i titoli di stato ed i
buoni postali fruttiferi e i libretti di risparmio postale - sempre
che il loro valore di al 30 aprile 2012 non fosse inferiore al loro
prezzo d’acquisto.
[17] Per un caso di affermazione della
responsabilità contabile per errata valutazione delle partecipazioni
oggetto di cessione si vedano, Cort. conti, sez. Veneto, 31 ottobre
2005, n. 13755 e Cort. conti, sez. centrale app., 2 settembre 2009,
n. 518/A, in www.corteconti.it.
[18] Evidenza indiscussa e
valorizzata dalla recente giurisprudenza della corte regolatrice per
escludere la responsabilità erariale degli amministratori delle
società a partecipazione pubblica, Cass., sez. un., 19 dicembre
2009, n. 26806, in Foro it., 2010, I, c. 1473. Sul problema e
per un ulteriori riferimenti mi si consenta rinviare al mio, La
responsabilità amministrativa dei componenti degli organi di
gestione delle società a partecipazione pubblica. Tra “brusche
frenate” e “annunciate accelerazioni”, in www.giustamm.it ed in Riv. dir. soc., 2011, (1), p. 187 ss.
[19] L’art.
2437-ter, comma 4, cod. civ., aprendo anche l’istituto del
recesso all’autonomia privata, consente ai soci di regolare tale
aspetto, prevedendo che «lo statuto può stabilire criteri diversi di
determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi
dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere
rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente
ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di
valutazione patrimoniale da tenere in considerazione».
[20] Il
diritto di recesso, il cui esercizio avvia il procedimento di
liquidazione della partecipazione dell’azionista, si pone quale
strumento di compensazione del principio maggioritario; tanto nelle
s.p.a. quanto nelle s.r.l. (art. 2473, comma 1, cod. civ.) è ,cioè,
concepito come rimedio per compensare, la posizione dell’investitore
di minoranza che non condivide talune scelte degli altri soci (art.
2437, comma 1, cod. civ.), E. Ginevra, op. cit., p. 284. Il
meccanismo, che ha il suo presupposto nel mutamento volontario di
alcune situazioni rilevanti non sembra perfettamente trasponibile
per regolare “l’uscita” del socio pubblico, se non altro perché si
risolve in una penalizzazione dei privati, cui non è in alcun modo
imputabile un mutamento delle condizioni organizzative o materiali
dell’impresa comune.
[21] La disciplina del recesso delle s.r.l.
e le modalità di valutazione della partecipazione del socio uscente
sono regolate, partitamente, dall’art. 2437 cod. civ. Il legislatore
in questa disposizione offre delle indicazioni d’estimo diverse da
quelle poste per le s.p.a. incentrate sul valore di mercato del
patrimonio sociale, F. Annunziata, Sub Art. 2437, in Aa. Vv., Società a responsabilità limitata, in Commentario della
riforma delle società, a cura di L.A. Bianchi, P.G. Marchetti e M.
Notari, Milano 2008, p. 519 ss. Il sicuro rilievo del riferimento
legislativo alla liquidazione in proporzione del valore reale del
patrimonio sociale – G. Cian, L’uscita del socio dalla
società, in Aa. Vv, Diritto commerciale, cit., pp. 600 –
601 – però non vale ad alleviare la problematicità ed opinabilità
dell’operazione, tant’è che il legislatore, similmente a quanto
previsto per le s.p.a., non rende vincolante per il socio il
risultato cui giungono gli amministratori, ammettendone una
revisione attraverso una perizia arbitrale.
[22] È, invero,
pacifico che in ambito economico possano individuarsi una pluralità
di soluzioni parimenti accettabili per essere il risultato
dell’applicazione di diversi metodi elaborati ed accettati dalla
comunità scientifica per spiegare uno stesso fenomeno. Sul tema e le
complessità dell’istituto del recesso e dell’operazione si veda, M.
Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso
del socio, in Riv. soc., spec. p. 311 ss,; Id, Recesso e
valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano,
2012, passim.
[23] Dunque, formulando un apprezzamento
che non ha carattere necessariamente univoco ma che conserva margini
di opinabilità ed è suscettibile di revisione giudiziale solo in
ipotesi di manifesta erroneità od iniquità (art. 1349, comma 1, cod.
civ.).
[24] Per quanto il recesso conseguente all’inizio o fine
della situazione di direzione e coordinamento non sia una causa di
piana applicazione, presupponendo la verifica dell’incidenza del
mutamento proprietario sulle condizioni di rischio dell’impresa,
comunque, sembra ragionevole ritenere che la sola possibilità
d’esercizio sia tale da attribuire al socio di minoranza una non
trascurabile forza di condizionamento delle scelte di cessione della
partecipazione di controllo, M. Ventoruzzo, Brevi note sul
diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società
(art. 2497 quater, c.c.), in Riv. soc., 2008, p. 35.
[25] Il socio privato, sembra, infatti, poter godere della
protezione riconosciuta dalla disposizione convenzionale alla
proprietà che il giudice di Strasburgo – Cort. Edu, 19 giugno 2008,
C. 1204/06, in www.echr.coe.int - ritiene comprendere ogni valore
patrimoniale o credito anche potenziale.
[26] Cfr F. Trimarchi
Banfi, op. cit., p. 52.
[27] Se si ritiene che il richiamo della
disposizione della legge di stabilità implichi un rinvio alla
disciplina delle società per azioni si dove concludere che i
soggetti obbligati sono gli amministratori della società
partecipata. Amministratori che, peraltro, dovrebbero essere
consultati e collaborare anche ai fini dell’attività estimatoria
della partecipazione, indispensabile sia per la procedura d’evidenza
pubblica che per la valutazione delle offerte presentate dai
candidati acquirenti.
[28] Diversamente, un primo commentatore –
M. Rossi, Società partecipate, legge di stabilità rafforza
l’obbligo di dismissione di cui alla l. 244/2007 tra luci ed ombre, p. 2, (2014), in www.lexitalia.it - pur dando atto dei problemi
applicativi che potrebbe sollevare la disposizione, sembra
propendere per la configurazione di un istituto diverso dal recesso,
motivando tale soluzione esclusivamente sul dato testuale del
richiamo selettivo al solo art. 2437-ter, comma 2, cod. civ.
[29] Aspetto assolutamente trascurato non solo da M. Rossi, op.
cit., spec. p. 2 -3 ma anche dallo stesso legislatore che si è
occupato di società strumentali. Come è stato evidenziato da un
attento studioso – C. Ibba, Forma societaria e diritto
pubblico, in Riv. dir. civ., 2010, I. p. 370 – il
legislatore nel dichiarato intento del perseguimento di talune
finalità pubbliche, ha dimenticato risalenti prescrizioni del
diritto comunitario poste a tutela dell’affidamento di chi negozia
con gli enti commerciali; quindi, per rinforzare alcune prescrizioni
ha introdotto delle nullità negoziali conseguenti a vizi derivanti
da fatti che per il diritto dell’Unione, in principio, non sono in
opponibili ai terzi.
[30] In senso contrario, senza alcuna
motivazione di respiro sistematico, si esprime – M. Rossi, op. loc.
cit.
[31] Anche in deroga ai limiti quantitativi previsti
dall’art. 2357, comma 3, cod. civ.
[32] Ed il relativo credito
sarà determinato in quello individuato nel bilancio che chiude la
liquidazione (art. 2492, comma 1, cod. civ.).
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(pubblicato il
12.9.2014)
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