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n. 8-2014 - © copyright

 

ILARIA MARTELLA

L’ambito di applicazione dell’art. 37, comma 13 del D.Lgs. n. 163/2006 e “il principio di corrispondenza delle tre quote”: il punto dell’Adunanza Plenaria 7/2014 e le recenti novità legislative.


SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. La vicenda. — 3. L’iter argomentativo e la soluzione della Plenaria. — 3.1. La norma sancita dall’art. 37, comma 13 del Codice non è espressione di un principio generale di derivazione europea né nazionale. — 3.2. L’Adunanza stigmatizza il c.d. “principio di corrispondenza delle tre quote”: una svolta radicale? — 4. La svolta attesa: un breve sguardo alle recenti novità legislative.


1. PREMESSA

L’Adunanza Plenaria, con la sentenza qui annotata, interviene sulla - spesso problematica - questione dei requisiti di ammissione dei raggruppamenti temporanei di imprese (RTI) alle gare pubbliche, ribaltando un orientamento giurisprudenziale che, se non già ampiamente consolidato, risulta ad oggi quanto meno fortemente diffuso. In particolare, dopo aver ricostruito la natura giuridica e l’ambito di applicazione della disposizione contenuta nell’art. 37, comma 13 del Codice dei contratti pubblici, il Collegio stigmatizza l’ampio filone esegetico sviluppatosi intorno alla medesima, il quale impone che, già al momento della presentazione dell’offerta da parte del RTI, debba emergere la corrispondenza non solo tra quota di esecuzione dei lavori e quota di partecipazione al raggruppamento, in linea con quanto richiesto dalla disposizione richiamata ma, nel silenzio della legge, anche l’ulteriore parallelismo tra quota di requisiti posseduti, quota di lavori eseguiti e quota di partecipazione al raggruppamento (c.d. principio di stretta corrispondenza delle tre quote).

2. LA VICENDA

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 15 aprile 2013, n. 2059, ha rimesso all’Adunanza plenaria una questione inerente all’interpretazione dell’art. 37, comma 13, del codice dei contratti pubblici: si chiede se quanto prescritto dall’art. 37, comma 13, del codice, sia espressione di uno dei principi – nella specie quello di trasparenza – applicabili anche ai contratti così detti esclusi, come disposto dall’art. 27, comma 1, del medesimo codice, e se ciò possa far venir meno la certezza del diritto nel relativo settore, a maggior ragione non trattandosi nel caso di specie di prescrizione fissata dalla lex specialis di gara.
Presupposto fattuale l’aver indetto, Roma Capitale, una procedura di gara per la realizzazione di un programma di housing sociale nell'area F del Comprensorio direzionale di Pietralata.
Tale programma, dal contenuto complesso, si sostanziava, tra l’altro, nella progettazione e realizzazione, nell’area assegnata (di proprietà comunale), di un intero quartiere residenziale destinato a soddisfare il fabbisogno abitativo della popolazione comunale appartenente a diverse fasce sociali, nonché la progettazione e realizzazione di edificazioni con destinazione commerciale e di opere di urbanizzazione primaria, prevedendo inoltre che all’aggiudicatario fosse affidata la gestione venticinquennale dell’edilizia residenziale destinata alla locazione a canone sostenibile.
La lex specialis di gara individuava, in modo puntuale, a pena di esclusione, taluni adempimenti (per lo più formali), nonchè i requisiti soggettivi di capacità e qualificazione dei partecipanti, richiamando in modo specifico le disposizioni del Codice dei contratti pubblici ritenute applicabili. Fra queste non vi era la disposizione sancita dal comma 13 dell’art. 37, cit.
Ad esito della valutazione delle offerte presentate, Roma Capitale aggiudicava la gara all’ati Società Stile Costruzioni Edili (in proseguo ati Stile). La seconda classificata, Pe. Costruzioni s.p.a. (in proseguo ditta Pe.), ritenendosi lesa dall’asserita illegittima ammissione in gara dell’impresa aggiudicataria, impugnava gli atti di gara dinanzi al Tar Lazio.
La predicata illegittimità veniva riscontrata laddove le imprese riunite nell’ati stile, secondo quanto risultava dagli atti di gara, avrebbero eseguito i lavori in percentuale differente rispetto alla quota di partecipazione e in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal bando di gara in relazione al possesso dei requisiti tecnici, di qualificazione e di certificazione di qualità; in tal modo, affermava la ricorrente, veniva violato il precetto imperativo posto dall'art. 37, comma 13 del Codice, ossia il c.d. principio di stretta corrispondenza, in modo congiunto, tra quota di partecipazione al raggruppamento, quota di esecuzione dei lavori e requisiti di qualificazione posseduti da ciascuna impresa riunita e, quindi, si integrava una causa di esclusione dalla gara.
Preliminarmente allo scrutinio della questione, si imponeva in via pregiudiziale la qualificazione della procedura per la scelta del soggetto attuatore del programma di housing sociale: infatti, solo dopo aver definito la fattispecie, il giudice amministrativo avrebbe potuto individuarne la disciplina e, di conseguenza, statuire sull’applicabilità o meno del comma 13 dell’art. 37 del codice (la cui operatività è esplicitata, appunto, solo per il settore degli appalti pubblici) alla fattispecie de qua.
Il g.a. di primo grado, scrutinati i gravami delle parti, accoglieva la censura avanzata dalla ricorrente in quanto, qualificata la procedura nei termini di un contratto misto atipico, ritenendo prevalente l’esigenza di realizzare i lavori rispetto alla erogazione del servizio, statuiva nel senso che la norma sancita dall’art. 37, co. 13, è espressione di un principio generale di trasparenza e, quindi, in virtù del rinvio operato dall’art. 27, co. 1, del codice, in materia di contratti esclusi dal campo di applicazione del Codice dei contratti pubblici, fosse applicabile alla procedura di gara in contestazione.
Contro questa statuizione, la soccombente ha promosso il giudizio di impugnazione nel cui contesto la Sezione V del Consiglio di Stato, con l’ordinanza 15 aprile 2013, n. 2059, ha deferito all’Adunanza Plenaria la questione inerente all’interpretazione dell’art. 37, comma 13, del codice dei contratti pubblici: si chiede se la suddetta disposizione sia espressione di uno dei principi – nella specie quello di trasparenza – applicabili anche ai contratti così detti esclusi, come disposto dall’art. 27, comma 1, del medesimo codice, e se ciò possa far venir meno la certezza del diritto nel relativo settore, a maggior ragione non trattandosi nel caso di specie di prescrizione fissata dalla lex specialis di gara. Inoltre - si paventa nell’ordinanza di rimessione – avvalendosi di una interpretazione estensiva della norma o, ritenendola applicativa di principi generali, come fatto dal primo giudice, potrebbe ritenersi violato il principio di tassatività delle ipotesi di esclusione.
L’Adunanza plenaria, prendendo le distanze dalla sentenza del giudice di primo grado, ha innanzitutto analizzato il contenuto degli elementi essenziali del programma di housing sociale intrapreso da Roma Capitale.
Rinvenendo, con un percorso argomentativo difficilmente scalfibile, tutti gli indici che nel tempo sono stati ritenuti come qualificanti una concessione di servizi[1], di rilievo economico e a domanda individuale, il Collegio ne ha linearmente fatto conseguire che, in quanto tale, da un lato, è esclusa ex art. 30, comma 1, del codice, l’applicabilità diretta delle disposizioni del codice dei contratti pubblici e, dall’altro, è prescritto l’obbligo di rispettare, nella scelta del concessionario, i principi desumibili dal Trattato TFUE e i principi generali relativi ai contratti pubblici (trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, gara informale, predeterminazione dei criteri selettivi).
A tal proposito, anticipando le conclusioni tratte dagli argomenti che saranno esposti di seguito, l’Adunanza plenaria ha sciolto la questione di diritto sottopostale dall'ordinanza di rimessione e ha pronunciato il seguente principio di diritto: "l’art. 37, comma 13, pur integrando un precetto imperativo capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara come requisito di ammissione dell’offerta a pena di esclusione, non esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e come tale, a mente dell’art. 30, comma 3, del medesimo codice, non può trovare applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio". Inoltre, ricostruendo il panorama normativo e i principi costitutivi del micro ordinamento di settore, l'Adunanza ha anche respinto l'ampio filone esegetico, sommariamente sopra citato, che ha fatto discendere dall'art. 37, comma 13, del codice, il c.d. principio di stretta corrispondenza tra quota di partecipazione al raggruppamento, quota di lavori da eseguire e quota di requisiti posseduti.

3. L’ITER ARGOMENTATIVO E LA SOLUZIONE DELLA PLENARIA.

3.1.
La norma sancita dall'art. 37, comma 13, del Codice, non è espressione di un principio generale di derivazione europea né nazionale.

L’Adunanza, con un excursus ampio e ben argomentato, ha ricostruito la natura giuridica e l’ambito di applicazione della norma sancita dall’art. 37, comma 13, del Codice, al fine di individuare se sia espressiva di principi generali (di derivazione europea ovvero solo nazionale) e, perciò, capace di integrare, ex art. 30 del Codice, la disciplina della procedura di gara in contestazione per la selezione del concessionario affidatario del contratto di social housing.
Non a caso, il punto centrale della sentenza commentata, perno dell’indagine sulla quale si regge la statuizione in commento, è che costituiscono principi generali in senso proprio, non solo i c.d. super principi o valori di sistema, usualmente indicati nelle parti iniziali dei codici di settore (nella specie, art. 2 codice dei contratti pubblici), ma anche quelli che si traggono da talune specifiche norme, qualora superino uno scrutinio rigoroso di indagine basato sull’accertamento della natura dell’interesse presidiato dal precetto e della sua ampiezza applicativa; in altri termini, questi caratteri si rinvengono quando la norma de qua trova la propria ratio immediata e diretta nella tutela di valori immanenti nel sistema (nella specie dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture), in funzione normo genetica rispetto alle singole norme costitutive delle codificazioni di settore.
L’art. 37, comma 13, del Codice, nel testo vigente alla data del bando, disponeva che «I concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento».
Dalla legge emerge, quindi, un precetto in modo chiaro: la necessaria corrispondenza tra la quota di partecipazione al raggruppamento e la quota di prestazioni che la singola impresa intende eseguire.
La ratio sembra risiedere nella garanzia che, mediante la suddetta equazione, ogni impresa sia individuata in relazione alla quota di prestazioni che intende assumere e ne risponda in modo proporzionale (ai sensi dell’art. 37, comma 16 del Codice, ove è previsto che la stazione appaltante può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti) così da evitare, nel contempo, che siano totalmente diversi i ruoli assunti come membri del raggruppamento da quelli assunti nell’ambito della suddivisione in concreto delle prestazioni per la realizzazione dell'oggetto dell'appalto.
A tal riguardo, occorre precisare che un vivace dibattito giurisprudenziale ha da sempre sollevato la questione dell’ammissibilità o meno degli accordi interni ai raggruppamenti temporanei di imprese aventi ad oggetto le modalità di ripartizione delle prestazioni tra i singoli operatori membri del raggruppamento. Ci si è chiesti, in particolare, se siano legittime le intese negoziali con le quali le imprese riunite, alterando la distribuzione dei compiti operativi che discenderebbe in astratto dai requisiti di qualificazione di ognuna, riducano, se non annullino del tutto, quanto meno ad una quota fittizia o simbolica, la concreta partecipazione di uno o più componenti, annientando di fatto il relativo apporto collaborativo.
Su questa scia, proprio al fine di cercare un punto di saldatura tra l’accertamento dell’idoneità dei partecipanti al raggruppamento e i loro accordi interni diretti alla ripartizione delle attività, la giurisprudenza amministrativa è andata oltre il precetto stabilito dal comma 13 dell’art. 37, superando i confini segnati dal legislatore.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta di una lettura unitaria della norma sancita dal comma 13 con quella contenuta nel comma 4 del medesimo art. 37, secondo cui: “4. Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”, ha ritenuto di poter ricavare l’esistenza di un’implicita regola in forza della quale i raggruppamenti partecipanti a gare pubbliche, per tutte le tipologie di RTI (verticali, orizzontali e misti) e per tutte le tipologie di appalti (servizi, lavori e forniture)[2], sono tenuti ad indicare già in sede di offerta le suddette percentuali in quanto, dovendoci essere una perfetta corrispondenza tra quota di prestazioni eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, solo in questo modo la stazione appaltante può concretamente verificare che ciascuna impresa abbia un determinato ruolo operativo, che abbia i requisiti corrispondenti e che tale indicazione venga concretamente rispettata nella fase di attuazione del programma contrattuale.[3]
In altre parole, l’imposizione di un tale obbligo è ritenuta funzionale:
a) ad assicurare una conoscenza preventiva, da parte della stazione appaltante, del soggetto incaricato di eseguire le prestazioni e della relativa misura percentuale, responsabilizzando il medesimo;
b) ad agevolare la verifica della competenza dell’esecutore in relazione alla documentazione di gara;
c) a prevenire la partecipazione di imprese non qualificate e/o partecipazioni meramente fittizie, in funzione anticoncorrenziale.
Sulla base di questi presupposti, il precetto imperativo di cui trattasi è divenuto a tutti gli effetti un requisito di ammissione alla gara, quand’anche non esplicitato dalla lex specialis, nel qual caso eterointegrata ai sensi dell’art. 1339 c.c.
Alla luce di quanto esposto, il Collegio ha ritenuto di confermare il su riportato orientamento giurisprudenziale, proprio per le predicate finalità perseguite. Insomma, seppur non esplicitato nella lettera della norma in esame, ma ricavabile attraverso una lettura unitaria della stessa con il comma 4 dell'art. 37, l'obbligo di esplicitare già in sede di offerta la corrispondenza tra quota di esecuzione e quota di partecipazione, avrebbe il pregio di aggiungere ulteriore garanzia alla serietà dell'offerta contrattuale, impedendo che la partecipazione ad un raggruppamento, ed il conseguimento dei relativi utili, non venga rapportata alla quota di impegno assunta nell'esecuzione dell'appalto[4].
Tuttavia, il quadro normativo vigente alla data del bando è mutato a seguito della novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, che ha meglio specificato l’operatività del comma 13 dell’art. 37, circoscrivendolo ai soli appalti di lavori: "Nel caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento". In altre parole, per effetto della suddetta novella, soltanto negli appalti di servizi e forniture è imposto esplicitamente alle imprese raggruppate l’obbligo di indicare già in sede di offerta le parti di servizio o fornitura facenti capo a ciascuna di esse, senza pretendere anche il più oneroso obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione, richiesto invece solo negli appalti di lavori[5].
Orbene, pur nel mutato quadro normativo, la Plenaria ha ritenuto, per un verso, di confermare la sua posizione, statuendo che: "le norme in questione continuano ad esprimere un precetto imperativo da rispettarsi a pena di esclusione e sono dunque capaci di eterointegrare i bandi silenti". Dunque, l'obbligo de quo, espressione di un precetto imperativo, rimane vigente a tutti gli effetti e si impone quale requisito di ammissione, anche se limitato alle sole gare di appalti di lavori.
Dall'altro verso, però, le inevitabili conseguenze di sistema apportate dal mutato assetto normativo non sono sfuggite al Collegio, che le rileva in questi termini: “Il quadro unitario così faticosamente ricostruito dalla giurisprudenza, ha subito, successivamente alla novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, una frattura che conduce ad una lettura atomistica delle norme sancite dai più volte richiamati commi 4 e 13 dell’art. 37 codice dei contratti pubblici”. Frattura, dunque, che impedisce di continuare a considerare in un'ottica unitaria - appalti di lavori e appalti di servizi e forniture - l’obbligo di corrispondenza tra quote di partecipazione e quote di prestazioni.
Così ricostruito il compendio delle norme, anche nella loro evoluzione diacronica, il supremo Consesso prosegue nel suo iter argomentativo: "E' agevole riscontrare che il dovere di corrispondenza tra quote di partecipazione e quote di esecuzione in capo alle imprese raggruppate sancito dall'art. 37, co. 13, cit., non esprime un principio generale del Trattato e della disciplina dei contratti, segnatamente a tutela del valore della trasparenza, poiché l'esigenza che soddisfa, pur meritevole di apprezzamento per scelta della legge, si esaurisce completamente all'interno della sfera di interessi della stazione appaltante, in funzione di esigenze di semplice celerità dell’azione amministrativa, rendendo più agevoli i compiti di accertamento e controllo da parte del seggio di gara".
Premesso ciò, viene enunciato il seguente principio di diritto: "la norma sancita dall'art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici, - pur integrando un precetto imperativo capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara come requisito di ammissione dell'offerta a pena di esclusione - non esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e, come tale, a mente dell'art. 30, co. 3, del medesimo codice, non può trovare applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio".
In altre parole ed esplicitando meglio le ragioni poste alla base del principio di diritto affermato:
1) l’obbligo di simmetria, già in sede di offerta, tra quota di lavori e quota di effettiva partecipazione ha il precipuo fine di rendere più agevoli i compiti di accertamento e controllo da parte del seggio di gara. Esso difatti consente non solo la conoscenza preventiva del soggetto esecutore, una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto e nelle sue eventuali fasi patologiche, ma anche, e soprattutto, facilita l’effettuazione di ogni previa verifica da parte della stazione appaltante circa la competenza tecnica dell’esecutore così da impedire l’elusione delle norme di ammissione alle gare;
2) è quindi agevole riscontrare che l’obbligo di specificazione in esame miri unicamente ad agevolare l’azione amministrativa che, altrimenti, dovrebbe effettuare maggiori e più impegnativi controlli in sede di gara o posticipare gli stessi in fase di esecuzione del contratto; invece, l’imposizione di un onere dichiarativo in capo al raggruppamento, libera la stessa da questi incombenti, traslandoli appunto sul concorrente, e garantisce nel contempo di raggiungere l’effetto utile della norma.
L’Adunanza Plenaria, quindi, nella sentenza che si annota, ha confermato l’imperatività, per i raggruppamenti, del dovere di corrispondenza tra quote di esecuzione e quote di partecipazione quale requisito di ammissione alle gare di appalti di lavori, in piana applicazione del comma 13 dell’art. 37, cit., per le apprezzabili esigenze che esso mira a soddisfare; tuttavia, considerata anche la ristretta portata applicativa della norma ai soli appalti di lavori, ha concluso che la ratio essendi della medesima non sia affatto incentrata, in via immediata e diretta, nella tutela di valori immanenti al sistema dei contratti pubblici; in quanto tale, non è in grado di integrare, ex art. 30, comma 1, codice dei contratti pubblici, la disciplina delle gare per la selezione di concessionari di servizi pubblici, per i quali quindi non vige l’obbligo della suddetta corrispondenza tra quote.
Chi scrive sente di condividere il principio di diritto enucleato dalla Plenaria qui annotata. L'indagine ricognitiva, coerente e razionale, del supremo Consesso coglie appieno il reale versante di interessi che la norma in esame mira a soddisfare, traendone le dovute conclusioni.
Tuttavia, due critiche - che esulano da quanto enunciato nel principio di diritto - possono essere mosse.
In primo luogo, l'art. 37, comma 13 del Codice, certo non specifica che la coincidenza tra la quota di esecuzione e la quota di esecuzione debba emergere già in sede di offerta. In quest'ottica, e alla luce della novella intervenuta, suscita qualche interrogativo il rigore della soluzione prospettata dalla giurisprudenza amministrativa, avallata dalla sentenza qui annotata, sull’obbligo preventivo di indicazione delle quote di partecipazione e di lavori indipendentemente dalla espressa previsione di gara.
Se la cogenza di un tale obbligo si poteva desumere da una lettura unitaria dei commi 4 e 13 dell’art. 37, oggi questa strada non è più percorribile a seguito della novella che ha nettamente distinto l'ambito di operatività delle due disposizioni (così come riconosciuto dalla Plenaria). Sembra quindi che, da un lato, sia stato introdotto di fatto un requisito di ammissione non esplicitato dalla normativa di riferimento e, dall'altro, una causa di esclusione – enucleata solo in via pretoria - potenzialmente in contrasto con i principi di trasparenza, proporzionalità dell’attività amministrativa e tassatività delle cause di esclusione ex art. 46, comma 1-bis del Codice. Infatti, è vero, come ricordato dal Collegio, che non è necessario che la sanzione dell'esclusione sia espressamente prevista dalla norma di legge allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una gara, ma è anche vero che la norma in questione impone, come precetto, soltanto la corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione, e non anche l'obbligo che tale corrispondenza debba essere dichiarata già in sede di offerta, introdotto in via pretoria.
In secondo luogo, non convince appieno l’affermazione della Plenaria, secondo cui l’obbligo di specificazione delle quote di partecipazione al raggruppamento e la corrispondenza delle medesime alle rispettive quote di esecuzioni miri a soddisfare esigenze della p.a. meritevoli di apprezzamento.
L’obbligo de quo appare, invero, del tutto sprovvisto di utilità.
Ciò che realmente garantisce l’interesse della p.a. è che ogni membro del RTI abbia in concreto i requisiti necessari per la quota parte di lavori assunti: ciò è di per sè sufficiente a garantire la stazione appaltante circa la capacità tecnica di ciascuna impresa esecutrice, nel contempo assicurando che le medesime rivestano un effettivo ruolo operativo all’interno del raggruppamento e che, quindi, la partecipazione in forma aggregata non sia un modo per eludere le regole di partecipazione alla gara, in funzione anticoncorrenziale.
L’obbligo di corrispondenza, e di dichiarazione in sede di gara, dovrebbe allora essere imposto, direttamente, tra quota di lavori assunti dal singolo operatore economico e quota di requisiti spesi dal medesimo in quella specifica gara. La conoscenza, da parte della stazione appaltante, della quota di partecipazione al raggruppamento dei singoli membri nonché l’obbligo di corrispondenza della stessa con la quota di lavori assunta, sembra non apportare alcuna utilità all’esercizio dell’azione amministrativa. Al contrario, l’imposizione di una siffatta corrispondenza è suscettibile di incidere negativamente sulle esigenze organizzative, economiche e imprenditoriali dei concorrenti alle gare pubbliche connaturate al dinamismo imprenditoriale, alterando la libertà di autodeterminazione dei medesimi e quindi, in ultima analisi, il libero gioco della concorrenza.

3.2. L'Adunanza stigmatizza il c.d. principio di corrispondenza tra quote di partecipazione, quote di esecuzione e quota di requisiti: una svolta radicale?

La sentenza in commento, con i suoi interessanti spunti, costituisce l'occasione per approfondire il tema della ripartizione dei compiti operativi all'interno dei raggruppamenti temporanei di imprese. Registrando i vizi di legittimità sollevati dalla parte ricorrente, infatti, la Plenaria dà conto in via incidentale del filone esegetico sviluppatosi all’interno del su riferito indirizzo giurisprudenziale, il quale ravvisa un ulteriore necessario parallelismo, in modo congiunto, anche tra quote di partecipazione, requisiti di qualificazione e quote di esecuzione.
Con la decisione in esame, infatti, il Collegio interviene nel vivace dibattito relativo all’ammissibilità o meno degli accordi interni ai raggruppamenti temporanei di imprese[6] aventi ad oggetto le modalità di ripartizione delle competenze spettanti ai singoli operatori membri del raggruppamento.
In assenza di una regolamentazione da parte del legislatore, la giurisprudenza ha fin da subito avversato questa tipologia di accordi, ritenendo quanto meno paradossale che la p.a. si affannasse a verificare i requisiti di idoneità delle singole imprese per poi non riscontrare in concreto detto requisito nella fase di esecuzione del contratto.
Su questa scia, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, proprio in sede di giudizio relativo alla mancata indicazione nell’offerta, ex art. 37, comma 13 del codice, della quota di lavori assunta da ciascuna impresa facente parte il raggruppamento, ha enunciato l’esistenza di un non meglio precisato cd. principio di corrispondenza sostanziale non solo tra «quota di partecipazione al raggruppamento» e «percentuale di lavori» e, come ragionevole, tra «quota di lavori» e «requisiti di qualificazione», ma anche tra «quota di partecipazione» e «requisiti di qualificazione», introducendo, quindi, pur nel silenzio della normativa, un canone di piena corrispondenza tra qualificazione, partecipazione e ripartizione interna dei lavori, in relazione al quale non è mai stata data alcuna concreta spiegazione né un fondamento sistematico.[7] Si tratta, infatti, di un precetto che non si riscontra nel dato normativo e la cui elaborazione risulta del tutto inutile rispetto alla risoluzione in concreto delle controversie, posto che l'esclusione del raggruppamento già si potrebbe disporre per la violazione del precetto fissato nel comma 13 dell’art. 37 cit.[8]
In tal senso è possibile apprezzare il carattere innovativo della pronuncia qui annotata che, si auspica, inauguri l'inizio di un’inversione giurisprudenziale sul tema[9].
Secondo la Plenaria, il principio di corrispondenza delle tre quote, ormai assurto a diritto vivente, deve essere respinto per tre ordini di motivi che chi scrive sente di condividere.
Innanzitutto, come precisato nel punto 7.3 del diritto, dal tenore testuale dei commi 4 e 13 dell’art. 37, certo non è possibile ricavare alcun obbligo di corrispondenza delle quote di esecuzione e di partecipazione al raggruppamento anche con i requisiti di qualificazione delle imprese riunite. In altre parole, non si evince affatto che la quota di requisiti che l’impresa dichiara di spendere in quella specifica gara debba corrispondere alla quota di partecipazione al raggruppamento e di esecuzione dei lavori. In presenza di una norma primaria, quale l’art. 37, 13° comma, chiara nei suoi contorni applicativi e priva di rimandi alle disposizioni regolamentari, la giurisprudenza non può sostituirsi al legislatore introducendo limiti ulteriori alla libertà di autodeterminazione delle imprese.
In secondo luogo, il principio è in contrasto con la sistematica del codice (e del regolamento attuativo), che disciplina in maniera completa e nella sede propria il regime della qualificazione delle imprese anche riunite in RTI per gli appalti di lavori (si pensi al comma 3 dell’art. 37 del Codice e ai commi 2 e 3 dell’art. 92 del Regolamento), mentre affida alla legge di gara ogni determinazione in materia per gli appalti di servizi e forniture, salvi i limiti sanciti dagli artt. 41 – 45 del Codice.
Dalla normativa richiamata emerge, infatti, in tutta evidenza, che il legislatore si sia già preoccupato di dettare una disciplina compiuta per assicurare la necessaria titolarità in capo alle imprese raggruppate dei requisiti di qualificazione per l’esecuzione delle rispettive prestazioni e, quindi, di evitare l’elusione delle regole di ammissione alla gara. Ora, se da un lato appare evidente che un’impresa in possesso di una determinata quota di requisiti non possa poi eseguire i lavori in misura percentuale superiore alle proprie capacità, non si vede però quale sia l’ostacolo ad ammettere che essa possa partecipare ed eseguire i lavori in misura percentuale differente. La garanzia di efficacia e sicurezza nell’esecuzione della commessa deve ritenersi, quindi, già pienamente soddisfatta dalla mera verifica del possesso dei requisiti minimi richiesti alle singole imprese facenti parte del raggruppamento.
Occorre allora chiedersi se, con il principio in parola, si sia voluta assicurare un’ulteriore garanzia a tutela dell’interesse pubblico oppure sia stato introdotto un ingiustificato elemento di rigidità a carico delle imprese e a discapito del generale favor partecipationis alle gare pubbliche.
L’enunciazione del principio si appunta su motivazioni che si sono trasmesse in modo quasi incontrollabile da sentenza a sentenza e si atteggiano pressoché in tal senso: “il principio di buon andamento e di trasparenza impone che le imprese partecipanti ad un raggruppamento (sia costituito che costituendo) indichino le quote di lavori che ciascuna di loro eseguirà in modo da permettere subito la verifica dei requisiti in parola, atteso che la normativa vigente si impernia su un principio di corrispondenza sostanziale, già nella fase dell’offerta, tra quote di qualificazione e quote di partecipazione all’ATI e tra quote di partecipazione e quote di esecuzione”; “ai fini dell'ammissione alla gara di un raggruppamento occorre che già nella fase di offerta sia evidenziata la corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione, nonché tra quote di partecipazione e quote di esecuzione, trattandosi di obbligo costituente espressione di un principio generale che prescinde dall'assoggettamento o meno della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie”[10].
Più in particolare, si è affermato[11] che "l'obbligo di specificazione in esame trova la sua ratio... nella necessità di assicurare alle Amministrazioni aggiudicatrici la conoscenza preventiva del soggetto, che in concreto eseguirà il servizio. E ciò non solo per consentire una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto, ma anche per l'effettuazione di ogni previa verifica sulla competenza tecnica dell'esecutore; oltre che per evitare che le imprese si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme d'ammissione alle gare”.
Il principio di corrispondenza tra requisiti, quote di partecipazione e lavori impone, quindi, che le percentuali di requisiti posseduti dalle singole imprese raggruppate, una volta verificate dall’amministrazione, debbano poi essere mantenute all’interno del raggruppamento e coincidere con la quota di partecipazione e realizzazione dei lavori. L’effetto pratico di una siffatta imposizione è quello di impedire alle imprese di individuare, al momento della presentazione dell’offerta, la migliore e più conveniente ripartizione delle prestazioni da svolgere, ovviamente nei limiti dei requisiti in concreto posseduti.
L’interesse sostanziale addotto, da quanto si può dedurre dalla disamina giurisprudenziale, ancora una volta sembra esaurirsi completamente all’interno della sfera di interessi della stazione appaltante, in funzione di agevolare la fase di verifica dei requisiti degli offerenti riuniti in raggruppamento e la successiva fase di esecuzione del contratto. Tutto ciò con non poche conseguenze.
Implicazioni, critiche e per certi versi paradossali, che sono state opportunamente colte dal Collegio, il quale, nella critica al principio, in maniera incisiva ed efficace, ha rilevato che: “… una siffatta opzione (volta a superare e, di fatto, integrare l’espressa previsione di legge – comma 13 dell’articolo 37 – la quale si limita ad imporre il parallelismo fra le quote di partecipazione e quelle di esecuzione), determinerebbe in molti casi l’effetto di escludere dalle pubbliche gare raggruppamenti ai cui partecipanti sarebbe ascritto null’altro se non una sorta di eccesso di qualificazione; l’approccio in questione si porrebbe in contrasto con i principi del favor partecipationis e della libertà giuridica di impresa, negando in radice la possibilità per taluni operatori economici (in particolare quelli maggiormente qualificati), di individuare in modo autonomo la configurazione organizzativa ottimale per partecipare alle pubbliche gare”. Un argomento, quest’ultimo, che, saldandosi con i due precedenti (contrasto con il tenore testuale delle disposizioni e con la sistematica del Codice e del regolamento attuativo) blinda in modo difficilmente scalfibile il giudizio di condanna della Plenaria.
Si legge in filigrana nella sentenza che il principio di corrispondenza delle tre quote depotenzia, innanzitutto, le finalità pro-concorrenziali dell’istituto del RTI. Seppure la lettura pro-concorrenziale dell’istituto sia storicamente legata alla possibilità di sommare i requisiti delle singole imprese riunite, vi è però un’altra funzione che non attiene alla fase di partecipazione alle procedure di selezione, bensì a quella di esecuzione della prestazione affidata. E’ infatti possibile che il concorrente abbia, ad esempio, il 60% dei requisiti richiesti dal bando ma non voglia spenderli in toto in quella gara in quanto intende diversificarli per poter assumere più contratti al fine di maturare requisiti di esperienza in vista di future gare e differenziare il rischio tra più commesse. Se ciò avvenisse, ovviamente egli avrebbe requisiti in misura sovrabbondante rispetto alla quota di partecipazione e realizzazione dei lavori che assume, per cui si avrà che il principio di corrispondenza delle tre quote risulterebbe violato, eppure, tutte le ragioni di interesse pubblico sono maggiormente assicurate.[12]
Anzi. Per un verso, quanto meno è vincolata una prestazione, maggiore sarà la possibilità per le imprese di organizzare nel modo più efficiente le prestazioni, con un’ovvia ricaduta in positivo sui prezzi offerti. Dall’altro, le imprese potrebbero in sede di costituzione del raggruppamento ed esecuzione, assumere i lavori in percentuale minore rispetto ai propri requisiti e quindi ampliare il numero di imprese raggruppate che così (stante l’obbligo che ciascuna abbia i requisiti nella misura richiesta per ogni singola impresa) nel complesso avrebbero una capacità di realizzazione anche superiore rispetto a quella necessaria per l’esecuzione dell’opera. Va da sé che, in questo modo, l’amministrazione potrebbe disporre di capacità e garanzie molto più ampie, soddisfacendo maggiormente l’interesse pubblico ad una corretta e tempestiva esecuzione dell’opera.
D’altra parte, non è un caso se, a livello comunitario, i profili di interesse pubblico - nel nostro ordinamento rigidamente collegati all’affidabilità del contraente – spesso retrocedono rispetto ai principi di non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e massima partecipazione alle gare, in quanto estrinsecazione di quella libera concorrenza posta come principio fondamentale dell’ordinamento europeo.
Se questi sono i principi guida comunitari, le norme nazionali in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture nonché la loro interpretazione non può che conformarsi ad essi. Sembra invece discostarsene l'interpretazione (se non l'integrazione) che i giudici amministrativi danno del comma 13, dell'art. 37 del Codice, nel momento in cui antepongono la tutela dell'interesse della stazione appaltante ad assicurarsi la competenza tecnica dell'esecutore - imponendo vincoli organizzativi ulteriori a quelli già stabiliti dal legislatore - al necessario rispetto delle finalità insite nella disciplina sugli appalti pubblici, ovvero il rispetto dei principi di libera circolazione e libera concorrenza, per di più con rilevanti ripercussioni sull'interesse alla migliore offerta.
In conclusione, il principio di stretta corrispondenza delle tre quote, non solo appare in contrasto con la sistematica del Codice che, invece, scevro dalle rigide interpretazioni giurisprudenziali, consentirebbe alle imprese riunite in RTI di disporre di requisiti maggiori rispetto alle quote di partecipazione e di esecuzione, ma, soprattutto, appare in aperto contrasto con le esigenze di concorrenza che le norme comunitarie prescrivono. Se mai la questione venisse posta all'attenzione della Corte di Giustizia europea, un'inversione giurisprudenziale in merito si imporrebbe improcrastinabilmente.

4. LA SVOLTA ATTESA: UN BREVE SGUARDO ALLE RECENTI NOVITÀ LEGISLATIVE

Alla luce della Plenaria qui commentata e degli spunti critici avanzati da chi scrive, si registrano positivamente le novità, in materia di requisiti di partecipazione dei raggruppamenti temporanei, introdotte in media res dall’art. 12, commi 8 e 9, del D.L. 47/2014 convertito con modificazioni dalla L. 23 maggio 2014, n. 80, in vigore dal 28 maggio 2014[13].
Il comma 8 del D.L. 47/2014 abroga il comma 13 dell’art. 37 del Codice. Il successivo comma 9 modifica il comma 2 dell’art. 92 del Regolamento, ammettendo che le quote di partecipazione al raggruppamento, indicate in sede di offerta, possano essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall'associato o dal consorziato; è altresì stabilito che i lavori siano eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate. Dunque, è ora espressamente previsto dal Regolamento che le imprese riunite debbano indicare in sede di offerta sia la quota di partecipazione al raggruppamento che la quota di lavori assunta. Tuttavia, come logica conseguenza dell'abrogazione del comma 13 dell'articolo 37 del Codice, non è imposto alcun parallelismo tra le suddette quote. Ma c’è di più: da una parte, le imprese riunite possono ora determinarsi liberamente nella ripartizione delle quote sia di partecipazione che di lavori, purchè l’ammontare delle medesime sia fissata entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti. Dall’altra parte, è altresì possibile che le imprese possano modificare le quote di lavori indicate in sede di offerta, previa autorizzazione della stazione appaltante che verifica il possesso dei necessari requisiti di qualificazione in capo alle imprese interessate.
In altre parole, proprio sulla scia della Plenaria qui commentata, il legislatore respinge il principio di stretta corrispondenza tra le tre quote e pone un freno ai vincoli alla libertà d’impresa, realizzando l’auspicato bilanciamento tra tutela dell’interesse della stazione appaltante ad un’agevole verifica dei requisiti dei concorrenti e il pieno rispetto del principio di libera concorrenza.

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[1] Per un dettagliato riscontro dell'analisi condotta dalla Plenaria in merito alla connotazione giuridica del Social Housing, si rinvia a G. Balocco, Il principio di corrispondenza delle quote per lavori nell'ambito dei PPP: il nuovo corso inaugurato dalla Plenaria, in Urb. e App., 2014, n. 6, 665.

[2] Lo esprime chiaramente Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 8 ottobre 2009, n. 5196, secondo cui “dall’art 37, 13° co., risulta chiaramente che deve sussistere una perfetta simmetria tra quota di lavori e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento e, ancor prima, che la quota di partecipazione (proprio perché si parla di quota di " partecipazione") deve essere stabilita e manifestata dai componenti del raggruppamento in uno alla partecipazione alla gara. La definizione delle quote di partecipazione ad un'ATI non riguarda infatti la fase esecutiva del rapporto sebbene il suo momento genetico; cosicché è nella proposta contrattuale della parte che deve risultare esplicitata l'identità del soggetto contraente ossia, nel caso appunto di partecipazione in associazione temporanea, le quote attribuite a ciascun componente”. Cfr. C.G.A.R.S., 31 marzo 2006, n. 116, ravvisa nella disposizione la funzione di escludere (fin dalla fase di celebrazione della gara e non nel solo momento esecutivo) partecipazioni fittizie o di comodo, come spesso avveniva nella comune esperienza prima dell'entrata in vigore dell'art. 13 della L. n. 109/94. Cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2008, n. 2079; Cons. Stato, sez. III, 10 agosto 2001, n. 4760; Cons. Stato, sez. III, 11 maggio 2011, n. 2805; Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2011, n. 5892; Cons. Stato, Sez. IV, 1 agosto 2012, n. 4406.

[3] Si noti che la problematica qui affrontata non investe minimamente l’altra forma di collaborazione imprenditoriale, ossia il consorzio stabile. Innanzitutto, ricordiamo che una volta che sia stato adempiuto l’obbligo imposto dall’art. 36, 5° co., Codice, di indicare in sede di offerta per quali consorziati il consorzio concorre, quest’ultimo non è in alcuna guisa obbligato a rispettare l’assegnazione originaria, essendo la prestazione ricadente direttamente sul medesimo che potrà provvedervi direttamente o per il tramite di altra impresa consorziata secondo le regole contrattuali che sono a fondamento della sua costituzione e del suo funzionamento. Inoltre, dopo l'attuazione di un autonomo sistema di qualificazione in proprio dei consorzi stabili, non può più imporsi una prescrizione di qualificazione minima in capo alla consorziata che rispetto al consorzio stabile costituisce una sorta di interna corporis.

Vale la pena di leggere Tar Piemonte, sez. I, 21 dicembre 2009, n. 3704 secondo cui: “Basti considerare che, se l'avvalimento presuppone la prova della disponibilità dei mezzi dell'avvalso, ciò pare potersi ritenere superato da un punto di vista sistematico dalla struttura del consorzio stabile e dal complessivo meccanismo di certificazione instaurato, che fa confluire direttamente nella certificazione SOA del consorzio i requisiti dei consorziati ed impone, in ogni caso, che nella certificazione del singolo consorziato si segnali la partecipazione al consorzio. Ne deriva un’evidente compenetrazione dei requisiti così come delle strutture del tutto conforme alla circostanza che l'unica controparte contrattuale, formale e sostanziale, della stazione appaltante sarà il consorzio stabile, che questo dispone di propri mezzi patrimoniali e propri organi idonei ad esprimere all'esterno la sua volontà. Ne discende quindi che la possibilità della consorziata di operare sulla scorta della qualificazione del consorzio è interpretazione della legge che si presenta in armonia con il più generale principio dell'avvalimento”.

[4] V. TAR Firenze, Toscana, sez. I, 9 maggio 2013, n. 739 specifica che “l'indicazione relativa alle quote deve essere fornita in sede di domanda di partecipazione alla procedura concorsuale (nel caso in esame, dopo il ricevimento della lettera di invito) e tale elemento costituisce "requisito di ammissione alla procedura di gara, indipendentemente dalla specificazione puntuale al riguardo negli atti di gara, trattandosi di obbligo costituente espressione di un principio generale, che prescinde peraltro dall'assoggettamento o meno della gara alla disciplina comunitaria". Così anche TAR Lazio, sez. II, 7 gennaio 2013 n. 66, che richiama TAR Bari, sez. I, 19 settembre 2012 n. 1681; nel medesimo senso cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 settembre 2012 n. 4895. AVCP determinazione 4 del 2012 afferma che il principio discende da norme imperative (senza, peraltro, alcuna indicazione al riguardo) e prescinde dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria.

[5] Erano già state sollevate critiche da una parte di giurisprudenza sulla estendibilità dell'obbligo di corrispondenza tra quote di esecuzione e quote di partecipazione anche agli appalti di servizi. Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, 14.12. 2012, n. 6435.

[6] Sull’eccessiva attenzione apprestata dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla questione della ripartizione interna dell’esecuzione delle prestazioni M. Mazzamuto, I raggruppamenti, cit., 210. In particolare si sostiene non sia rilevante che alcune imprese riunite non abbiano effettivamente alcun ruolo operativo in quanto la fattispecie sarebbe regolata dal solo principio del “limite singolare interno” al raggruppamento, e cioè sulla rilevanza sostanziale dell’idoneità delle imprese effettivamente esecutrici. La tesi, che fonda sulla necessità di un pieno ed efficace riconoscimento dell’autonomia privata, non convince appieno, in quanto trascura che la p.a. abbia positivamente valutato i requisiti di tutte le imprese riunite e sulla base di ciò abbia poi affidato ad esse la commessa. Sarebbe singolare che poi ammettesse che soltanto alcune di esse svolgessero le attività dedotte in contratto, per tacere poi delle conseguenze sul piano della concorrenza. In senso contrario F. Cardarelli, I raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti, cit., 1188, ritiene che proprio sul piano dell’autonomia negoziale, si trascura la circostanza che l’offerta di gara, che presuppone una scomposizione delle attività singolarmente imputate o imputabili ai singoli operatori raggruppati, viene accettata dall’amministrazione (in caso di aggiudicazione), ed un riparto alternativo dell’esecuzione costituirebbe una vera e propria nuova proposta, ovvero un’indebita e non consentita modificazione dell’offerta.

[7] V. in particolare Cons. Stato, sez. VI, n. 1001 del 2007; Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2008 n. 3973, ma già conforme a C.G.A.R.S., n. 116/2006, e Cons. St., sez. V, n. 6586 del 2004; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 416; Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2008, n. 3973; Cons. St., sez. VI, 1 marzo 2007, n. 1001, Torino, sez. II, 8 aprile 2008, n. 603, Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2009, n. 5817; Tar Calabria, Reggio Calabria, 22 marzo 2007, n. 249; Tar Lazio, Roma, sez. III, 27 febbraio 2010; Tar Molise, Campobasso, sez. I, 28 gennaio 2010, n. 121; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8253; Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 472; Tar Cagliari, Sardegna, sez. I, 19 aprile 2012, n.385; Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5156.

[8] V. Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8253, nel quale si afferma che “Se la previsione di cui al comma 13 dell'art. 37 del Codice dei contratti pubblici ha stabilito l'esigenza di un parallelismo tra quote di partecipazione vantate da ciascuna associata nell'ambito del raggruppamento e quote di esecuzione dei lavori che ciascuna di esse è tenuta obbligatoriamente ad eseguire, deve ritenersi "implicito" (su tale aggettivo si appuntano insistentemente molte delle censure sollevate con gli atti d'appello) il principio secondo cui soltanto se l'impresa ha già indicato nell'offerta quale sia la quota di partecipazione ai lavori la stazione appaltante potrà verificare poi che tale indicazione venga concretamente rispettata nella fase di attuazione del programma contrattuale. La stessa normativa primaria e secondaria enuclea due distinti, ma convergenti, profili di corrispondenza che, nel caso di offerta presentata da un raggruppamento costituito o costituendo, devono caratterizzare l'individuabilità della composizione delle attività esecutrici dell'opera rimesse ai soggetti di esso facenti parte: un primo principio, di corrispondenza fra quota di partecipazione all'ATI e quota dei lavori assunti dalla mandataria e da ciascuna mandante; secondariamente, quello fra quota dei lavori e qualificazione quale risultante dalle attestazioni SOA”. L’aggettivo “implicito” viene qualche riga più tardi giustificata nel senso che la preventiva indicazione delle quote di partecipazione si impone a livello sistematico. E’ evidente la completa mancanza di logicità e giuridicità nel ragionamento seguito.

[9] Si accoglie con disappunto Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 744. Recepisce la valenza innovativa della sentenza G. Balocco, Il principio di corrispondenza, cit., 677.

[10] Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 472; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8253.

[11] Cons. Stato, sez. III, n. 2805 del 2011.

[12] In modo conforme L. R. Perfetti, Sulla necessità di distinguere tra principes sans texte e sans fondement. Considerazioni in merito a requisiti di qualificazione, quote di partecipazione in associazioni o raggruppamenti e di esecuzione di lavori pubblici, in Foro Amm., C.d.S., III, 2011, 6, 2142.

Analogamente, seppur nel settore dei servizi, Cons. Stato, sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676, in cui si ritiene che il principio di necessario parallelismo tra le tre quote (volta a superare e, di fatto, integrare l'espressa previsione di legge - comma 13 dell'articolo 37 - la quale si limita ad imporre il parallelismo fra le quote di partecipazione ed esecuzione) non risulti in alcun modo condivisibile in specie laddove (come nel caso di specie) essa determinerebbe l'effetto di escludere dalle pubbliche gare raggruppamenti ai cui partecipanti sarebbe ascritto null'altro, se non una sorta di “eccesso di qualificazione”.

[13] Il comma 10 dell’art. 12 del D.L. 47/2014 stabilisce che: “Le disposizioni di cui ai commi 8 e 9 si applicano anche alle procedure ed ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara risultino già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure ed ai contratti in cui, alla suddetta data, siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.




 

(pubblicato il 6.8.2014)

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