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MARIA GIULIA PUTATURO DONATI

Competenza legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e vincoli alle politiche di bilancio anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale: ultime pronunce in tema della Corte costituzionale e prospettive di riforma

 

 


 

 

 

Sommario: § 1. Sulla nozione di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sulla competenza del legislatore statale a prevedere nei confronti delle Regioni (anche a statuto speciale) vincoli di riequilibrio della finanza pubblica; § 2.- Sulla “naturale” incidenza di norme costituenti «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» sull’autonomia finanziaria e sulle altre competenze legislative delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome; § 3. – Sulla tecnica dell’accordo nel regime dei rapporti finanziari tra Stato- Regioni a statuto speciale e Province autonome. § 4. – La materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»: da competenza legislativa concorrente a competenza legislativa esclusiva dello Stato?.


§ 1. – Sulla nozione di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sulla competenza del legislatore statale a prevedere nei confronti delle Regioni (anche a statuto speciale) vincoli di riequilibrio della finanza pubblica:
Ai sensi dell’art. 117, terzo comma[1], Cost. tra le materie oggetto di competenza legislativa concorrente Stato- Regioni rientra quella del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ».
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Da qui la ripartizione, in materia, della c.d. legislazione di principio allo Stato e di quella c.d. di dettaglio alle Regioni.
Per giurisprudenza costante della Corte costituzionale, possono essere ritenute “principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica”, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenze n. 193 e n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010; n. 297 del 2009; n. 237 del 2009) in modo che rimanga uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale (sentenza n. 182 del 2011)[2].
Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa corrente».[3] In altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 44 del 2014; 236 del 2013; n. 182 del 2011; n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005) e non può fissare vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli enti locali, tali da ledere l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. (sentenze n. 120 del 2008; n. 169 del 2007; n. 417 del 2005; n. 36 del 2004).
Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la previsione, da parte della legge statale, di un limite all'entità di una singola voce di spesa della Regione non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., perché pone un precetto specifico e puntuale sull'entità della spesa e si risolve, di conseguenza, in un'indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. all'autonomia finanziaria delle Regioni. Ad esse la legge statale può solo prescrivere obiettivi (ad esempio, il contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio le modalità e gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (ex multis, sentenze n. 95 del 2007; n. 88 del 2006, nn. 449 e 417 del 2005 e nn. 390 e 36 del 2004).
In altre pronunce, la Corte costituzionale ha precisato che lo Stato può agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti delle Regioni «a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenza n. 182 del 2011). Quindi anche allorquando le disposizioni in esame (come per la disciplina dettata dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 – come la Corte ha chiarito con la richiamata sentenza n. 182 del 2011 -) prevedono puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa, ciò non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (sentenza n. 139 del 2012[4]). In caso contrario, la norma statale non può essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), a prescindere dall’auto-qualificazione operata dal legislatore (sentenza n. 237 del 2009).
Può essere, in altri termini, imposto alle Regioni un «limite globale, complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale» (sentenze n. 229 del 2013; n. 36 del 2013; sentenza n. 211 del 2012).
Il carattere della «transitorietà» o temporaneità dell’intervento legislativo di contenimento della spesa corrente sembrerebbe essere evidenziato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale allorquando l’incidenza sulla spesa corrente sia immediata (da ultimo, sentenza n. 44 del 2014) , non già quando si tratti di intervento con incidenza indiretta sulla spesa corrente (si veda, a tal proposito, la sentenza n. 236 del 2013 nella quale la Corte, nel valutare la legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 - che impone alle Regioni la soppressione o la limitazione degli enti, agenzie ed organismi strumentali all’esercizio di funzioni fondamentali o di funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane – ha posto in rilievo, al fine di qualificare la norma impugnata effettivamente come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, solo il requisito dell’intervento di “limite complessivo e globale ” alla spesa pubblica).
Inoltre, la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato (sentenza n. 236 del 2012).
Nella giurisprudenza della Corte costituzionale è ormai consolidato l’orientamento secondo cui il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali (ex plurimis, sentenze n. 236 del 2013; n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).
La Corte ha avuto modo di affermare che non è contestabile «il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti», e che, «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza n. 82 del 2007; n. 36 del 2004).
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, «la stessa nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia» (sentenze n. 23 del 2014; n. 16 del 2010).
Inoltre, la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il carattere “di principio” di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenze n. 23 del 2014; n. 16 del 2010 ; n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007).
La Corte ha sottolineato la legittimità di disposizioni di dettaglio in "rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione" con le norme di principio e, pertanto, inderogabili (sentenza n. 355 del 1993).
In quest’ottica, sono state ricondotte «nell’ambito dei principi di coordinamento della finanza pubblica “norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali” (sentenza n. 237 del 2009 e già sentenza n. 417 del 2005)» (sentenze n. 44 e n. 23 del 2014; n. 52 del 2010).
La Corte ha affermato che, sebbene sia norma a contenuto specifico e dettagliato, «è da considerare per la finalità perseguita, in “rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione” con le norme-principio [che connotano il settore dell’organizzazione sanitaria locale, così da vincolare l’autonomia finanziaria regionale in ordine alla disciplina prevista per i “debiti” e i “crediti” delle soppresse unità sanitarie locali]». (sentenza n. 108 del 2010; n. 89 del 2000).
La Corte ha messo pure in rilievo il carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento e, quindi, l’esigenza che «a livello centrale» si possano collocare anche «i poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento» venga «concretamente realizzata» (sentenza n. 229 del 2011; n. 376 del 2003, già citata).
La giurisprudenza della Corte costituzionale ha elaborato una nozione ampia di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ed ha, altresì, precisato come la piena attuazione del coordinamento della finanza pubblica possa far sì che la competenza statale non si esaurisca con l’esercizio del potere legislativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo» (sentenza n. 229 del 2011; n. 376 del 2003; in senso conforme, sentenze n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008).
Le norme che pongono un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica attinente alla spesa, come più volte affermato dalla Corte costituzionale, devono ritenersi applicabili «anche alle autonomie speciali, in considerazione dell'obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica» (sentenze n. 120 del 2008; 169 e n. 82 del 2007). La giurisprudenza della Corte è, infatti, costante nell’affermare che anche gli enti ad autonomia differenziata sono soggetti ai vincoli legislativi derivanti dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica (da ultimo, sentenze n. 72 del 2014; n. 139 del 2012; n. 30 del 2012 e n. 229 del 2011).
Il concorso agli obiettivi di finanza pubblica è un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico attraverso un accollo proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010).
La finanza delle Regioni a statuto speciale è, infatti, parte della " finanza pubblica allargata" nei cui riguardi lo Stato aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento, nell'esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2014; n. 60 del 2013; n. 219 del 2013, n. 198 del 2012, n. 179 del 2007; n. 425 del 2004; n. 416 del 1995; n. 421 del 1998), come quelli relativi al cosiddetto patto di stabilità interno (cfr. sentenza n. 36 del 2004).
La Corte costituzionale, perciò, ha già ritenuto che «nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potestà legislative (art. 117, primo comma) e dal riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento stesso (art. 120, secondo comma). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto, lo Stato appunto, avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento» (sentenza n. 274 del 2003). (sentenza n. 219 del 2013).
Il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo, con «disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari» (sentenza n. 417 del 2005; n. 36 del 2004; v. anche le sentenze n. 376 del 2003 e n.n. 4 e 390 del 2004).
La Corte ha posto in rilievo che limiti finanziari per le Regioni e gli enti locali, volti al perseguimento degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa, sono in linea con la più recente interpretazione della nozione di «coordinamento della finanza pubblica» fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, ormai «costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario», per cui il legislatore statale può «legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari» (così, sentenze n. 326 del 2010; n. 52 del 2010, nonché sentenze n. 237 e n. 139 del 2009). Tali vincoli, riconducibili ai "princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica", si impongono alle autonomie speciali solo in ragione dell'imprescindibile esigenza di assicurare l'unitarietà delle politiche complessive di spesa che lo Stato deve realizzare - sul versante sia interno che comunitario e internazionale - attraverso la «partecipazione di tutte le Regioni [...] all'azione di risanamento della finanza pubblica» e al rispetto del cosiddetto "patto di stabilità". (sentenza n. 102 del 2008).

§ 2. Sulla “naturale” incidenza di norme costituenti «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» sull’autonomia finanziaria e sulle altre competenze legislative delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome:
Nell’ambito di una competenza concorrente quale è il coordinamento della finanza pubblica, ripetutamente la Corte costituzionale ha stimato recessiva la dimensione dell’autonomia finanziaria[5] ed organizzativa della Regione, a fronte di misure necessariamente uniformi sull’intero territorio nazionale e costituenti principi fondamentali della materia (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2013; n. 169 del 2007; n. 417 del 2005; n. 36 del 2004).
La Corte ha sottolineato che «dinanzi ad un intervento legislativo statale di coordinamento della finanza pubblica riferito alle Regioni, e cioè nell'àmbito di una materia di tipo concorrente, è naturale che ne derivi una, per quanto parziale, compressione degli spazi entro cui possano esercitarsi le competenze legislative ed amministrative di Regioni e Province autonome (specie in tema di organizzazione amministrativa o di disciplina del personale), nonché della stessa autonomia di spesa loro spettante» (fra le molte, si vedano le sentenze n. 159 del 2008; n. 169 e n. 162 del 2007; n. 353 e n. 36 del 2004).
La giurisprudenza costituzionale ha espressamente riconosciuto che disposizioni statali di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica, ove costituzionalmente legittime, possono «incidere su una materia di competenza della Regione e delle Province autonome (sentenze n. 229 del 2013; 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274 del 2003) [come l’organizzazione ed il funzionamento dell’amministrazione regionale e provinciale» (sentenza n. 159 del 2008)].
Dall’accertata natura di principio fondamentale [in materia «coordinamento della finanza pubblica] discende, in base alla giurisprudenza della Corte, la legittimità dell’incidenza della censurata disposizione sia sull’autonomia di spesa delle Regioni (si vedano, ex plurimis, sentenze n. 151 del 2012; n. 91 del 2011, n. 27 del 2010, n. 456 e n. 244 del 2005), sia su ogni tipo di potestà legislativa regionale, compresa quella residuale in materia di comunità montane (sentenze n. 326 del 2010 e n. 237 del 2009).
La Corte ha precisato che il legittimo esercizio della competenza statale di coordinamento della finanza pubblica è limite all'autonomia finanziaria delle medesime Province autonome (sentenza n. 190 del 2008; n. 82 del 2007).
Soltanto se il limite posto dalla legge statale non costituisce un principio di coordinamento esso si configura come “un illegittimo vincolo all’autonomia di spesa e finanziaria garantita dallo statuto speciale e con disposizioni non unilateralmente derogabili dalle norme di attuazione”. Ma se si tratta di principi statali di coordinamento della finanza pubblica essi si impongono nell’esercizio dell’autonomia finanziaria di cui allo statuto speciale (sentenza n. 190 del 2008) .
La Corte ha, altresì, affermato che l’eventuale impatto di una norma, costituente principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma terzo, Cost.), [pertanto ascrivibile a tale titolo alla competenza legislativa concorrente dello Stato] sull’autonomia finanziaria (119 Cost.) ed organizzativa (117, comma quarto, e 118 Cost.) delle Regioni si traduce in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale» (sentenza n.236 del 2013; 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).
Pertanto, la ormai consolidata giurisprudenza della Corte in materia di coordinamento della finanza pubblica, consente di fare arretrare i confini delle competenze statutarie (anche delle regioni speciali) ovvero di incidere anche su materie riconducibili a tali competenze.
Pertanto, nessuna “dispensa” per le autonomie speciali: i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (di cui all’art. 119 Cost.) costituiscono un limite inderogabile anche per le regioni ad autonomia differenziata.

§ 3. – Sulla tecnica dell’accordo nel regime dei rapporti finanziari tra Stato - Regioni a statuto speciale e Province autonome:
L’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica (sentenza n. 416 del 1995 e successivamente, anche se non con specifico riferimento alle Regioni a statuto speciale, le sentenze n. 417 del 2005 e nn. 353, 345 e 36 del 2004) deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti (sentenza n. 82 del 2007). In tale prospettiva, la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermare, che la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto "patto di stabilità" (sentenza n. 353 del 2004).
La Corte nella sentenza n. 82 del 2007 ha affermato che il «metodo dell'accordo», introdotto per la prima volta dall’ [art. 48, comma 2[6]] legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), seguito dall'art. 28, comma 15, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate [ dalla legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000), fino alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007)], deve essere tendenzialmente preferito ad altri, dato che «la necessità di un accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi».
L’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42[7] (Delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione) prevede, in particolare, che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno ed all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario «nel rispetto degli statuti speciali» e «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi».(comma 1); b) alle norme di attuazione statutaria è affidata la disciplina delle « specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale» (comma 2, secondo periodo). La Corte costituzionale ha ritenuto che tale norma riportata possiede una portata generale ed esclude – ove non sia espressamente disposto in senso contrario per casi specifici da una norma successiva – che le previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica possano essere ritenute applicabili alle Regioni a statuto speciale al di fuori delle particolari procedure previste dai rispettivi statuti. Tale principio è stato successivamente ribadito dalla normativa richiamata dalle parti ed, in particolare, dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 216 del 2010, e dall’art. 1, commi 128 e 129, della legge n. 220 del 2010. L’estensione alle Regioni speciali delle disposizioni in materia di finanza deve essere espressamente dichiarata e circoscritta dal legislatore, salva naturalmente ogni valutazione sulla legittimità costituzionale di tale estensione, nei singoli casi in cui essa sia prevista. In caso di silenzio, resta valido il principio generale di cui al citato art. 27 della legge n. 42 del 2009. (sentenza n. 193 del 2012).
L’art. 27, infatti, pone una vera e propria «riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti» speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale autentico presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti.( in tal senso, si veda la sentenza n. 241 del 2012).
Il punto di raccordo tra autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome e coordinamento della finanza pubblica è dato dallo strumento dell’accordo ovvero dal principio bilaterale che caratterizza in maniera pregnante il rapporto tra regioni speciali e Stato.
Pertanto, l’applicazione del metodo dell’accordo bilaterale [8] in riferimento al patto di stabilità interno, deve considerarsi un’espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti di spesa imposti dal cosiddetto patto di stabilità interno (“i limiti del coordinamento devono essere contemperati con la speciale autonomia in materia finanziaria”)[9].
A differenza delle regioni ordinarie, nel caso delle Regioni speciali l’adeguamento dell’ordinamento finanziario ai principi di coordinamento della finanza pubblica passa non solo per la via delle norme di attuazione, ma anche attraverso la modifica statutaria da attuarsi anche essa nel rispetto del metodo dell’accordo e secondo i procedimenti di collaborazione previsti dagli statuti.[10]
In particolare, ai sensi dell’art. 104 dello Statuto del Trentino- Alto Adige, « Fermo quanto disposto dall’art. 103 le norme del Titolo VI (Finanza della Regione e delle Province) e quelle dell’art. 13 possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province».
L’art. 63, quinto comma, dello Statuto del Friuli- Venezia Giulia recita: «Le disposizioni contenute nel titolo IV ( Finanze, Demanio e patrimonio della Regione) possono essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del governo e della regione e in ogni caso, sentita la regione».
L’art. 50, quinto comma, dello Statuto Valle d’Aosta «Entro due anni dall’elezione del Consiglio della Valle, con legge dello Stato, in accordo con la Giunta regionale, sarà stabilito, a modifica degli artt. 12 e 13 (disposizioni in materia di ordinamento finanziario) un ordinamento finanziario della regione».
L’art. 54, quinto comma, dello Statuto Sardegna:«Le disposizioni del Titolo III (Finanze, Demanio e patrimonio) del presente statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del governo o della regione; in ogni caso sentita la regione».
Analoga disposizione non è contenuta nello statuto della Regione Sicilia.
In questo quadro si collocano gli Accordi siglati tra tre delle Regioni speciali e lo Stato tra il 2009 e il 2010. Nello specifico, il primo ad essere siglato è stato il c.d. «Accordo di Milano» stipulato il 30 novembre 2009 tra il Governo e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, il 29 ottobre 2010, è stato siglato il protocollo d’intesa tra Governo e Regione Friuli - Venezia Giulia ed, infine, l’11 novembre dello stesso anno, quello con la Valle d’Aosta.
Al di là dei contenuti (specifici per ciascuna regione), tali Accordi dal punto di vista procedurale seguono lo stesso percorso. I contenuti sono, infatti, confluiti , il primo (siglato dal Trentino- Alto Adige) nella legge n. 191 del 2009 (art. 2, commi 107 e 125) (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2010); gli altri due, nella legge n. 220 del 2010 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2011), art. 1, commi 151-159 (Accordo siglato dal Friuli- Venezia Giulia) e commi 160-164 (il testo siglato dalla Valle d’Aosta).
Dunque, prima ancora che tradursi nelle norme di attuazione, la definizione bilaterale delle misure da assumere per gli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica ha trovato sanzione legislativa, attraverso leggi ordinarie (rinforzate) volte a modificare le disposizioni statutarie in materia di ordinamento finanziario.
In particolare, in attuazione del processo di riforma in senso federalista contenuto nella legge delega n. 42 del 2009, con legge ordinaria “rinforzata” (ovvero adottata ai sensi dell’art. 104 dello Statuto del Trentino- Alto Adige su concorde richiesta dello Stato e della Regione e delle Province) del 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, commi 106 -126, si è proceduto a sostituire il Titolo VI (Finanza della regione e delle province) dello Statuto speciale della Regione Trentino- Alto Adige, delineando un nuovo sistema di relazioni finanziarie tra lo Stato, la Regione e le Province autonome. L’autonomia finanziaria della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è disciplinata dal Titolo VI dello statuto speciale e, con disposizioni non unilateralmente derogabili dal legislatore statale, dalle relative norme di attuazione introdotte dai decreti legislativi n. 266 del 16 marzo 1992 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) e n. 268 del 16 marzo 1992 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) nonché dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria). (sentenza n.190 del 2008). Negli articoli che vanno da 69 a 86 dello statuto speciale sono regolati i rapporti finanziari tra lo Stato, la Regione e le Province autonome, comprese le quote di compartecipazione ai tributi erariali. Inoltre, il primo comma dell’art. 104 dello stesso statuto stabilisce che « Fermo quanto disposto dall’articolo 103 le norme del titolo VI e quelle dell’art. 13 possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province». Il richiamato art. 103 prevede, a sua volta, che le modifiche statutarie debbano avvenire con il procedimento previsto per le leggi costituzionali. Dalle disposizioni citate si deduce che l’art. 104 dello statuto speciale, consentendo una modifica delle norme relative all’autonomia finanziaria su concorde richiesta del Governo, della Regione o delle Province, introduce una deroga alla regola prevista dall’art. 103, che impone il procedimento di revisione costituzionale per le modifiche statutarie, abilitando la legge ordinaria a conseguire tale scopo, purché sia rispettato il principio consensuale. (sentenza n. 133 del 2010).
Nei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni speciali e le Province autonome, la giurisprudenza costituzionale sembra essere orientata a ritenere il metodo dell’accordo non già come prima lo strumento tendenzialmente preferito ad altri (sentenza n. 82 del 2007) ma «ormai lo strumento consolidato (in quanto già presente nella legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica» e poi confermato da tutte le disposizioni che si sono occupate successivamente della materia) per conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata (ex plurimis, sentenza n. 353 del 2004)» (sentenza n. 118 del 2012). In tal senso, si vedano anche le sentenze n. 241 del 2012; 215 del 2012 e n. 193 del 2012, n. 178 del 2012.
Da ultimo, si è però precisato che la procedura concertata non è costituzionalmente necessitata e che può essere derogata in particolari contesti di grave crisi economica.
In particolare, nella sentenza n. 23 del 2014, la Corte ha affermato che l’invocato art. 27 della legge n. 42 del 2009, di attuazione del federalismo fiscale previsto dall’art. 119 Cost., pur ponendo «una vera e propria “riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti” speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale autentico presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti» (sentenza n. 241 del 2012), ha il rango di legge ordinaria, in quanto tale derogabile da atto successivo avente la medesima forza normativa. Ne consegue che, specie in un contesto di grave crisi economica [quale quello in cui si è trovato ad operare il legislatore] esso possa discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012).

§ 4. La materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»: da competenza legislativa concorrente a competenza legislativa esclusiva dello Stato?
Il disegno di legge di revisione costituzionale n. 1429 (“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione”) - nel testo approvato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, nella seduta del 10 luglio 2014 - reca- tra l’altro- disposizioni concernenti la revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
Il progetto di revisione del Titolo V - finalizzato a garantire un effettivo bilanciamento tra interessi nazionali, regionali e locali nonché politiche di programmazione territoriale coordinate con le più ampie scelte strategiche a livello nazionale - prevede: 1) il superamento dell’attuale frammentazione delle competenze legislative tra Stato e Regioni; 2) l’introduzione di una “clausola di supremazia”, in base alla quale la legge statale, su proposta del Governo, può intervenire su materie che non sono di competenza legislativa esclusiva dello Stato, se lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale; 3) il riordino dei criteri di riparto della potestà regolamentare tra Stato e Regioni secondo le rispettive competenze legislative; 4) l’introduzione della possibilità per lo Stato di delegare alle Regioni l’esercizio della potestà regolamentare nelle materie e funzioni di propria competenza legislativa esclusiva.
Il disegno di legge come approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato, contempla - tra l’altro- l’eliminazione delle competenze legislative “concorrenti” nonché la conseguente ridefinizione delle competenze “esclusive” dello Stato e di quelle “residuali” delle Regioni.
Con particolare riferimento alla materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», la stessa andrebbe ad integrare l’elenco delle materie di competenza statale “esclusiva”.
Da qui, in prospettiva, la possibile fine di tutto l’attuale contenzioso costituzionale volto a stabilire, in materia, i difficili margini tra legislazione c.d. di principio e legislazione c.d. di dettaglio.
Non è però da escludere che la riformulazione delle materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e a quella residuale delle Regioni possa alimentare un nuovo contenzioso per delimitare i margini delle nuove competenze dello Stato e delle Regioni (per esempio, per distinguere la materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» riservata, nel disegno di legge, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, dalle materie riservate, sempre nello stesso testo, alla competenza legislativa delle Regioni, quali quelle «di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese» e «di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica») forse di più facile soluzione, proprio avuto riguardo ai diversi interessi e livelli di governo- nazionale, regionale e locale- di volta in volta in rilievo.

 

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[1] Comma così modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 3, L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citata L.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014; in dottrina, da ultimo, G.L. TOSATO, La riforma Costituzionale sull’equilibrio di bilancio alla luce della normativa dell’unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno, Rivista di Diritto Internazionale, fasc.1, 2014, pag. 5.
[2] In dottrina, sul tema, M. BELLETTI, Forme di coordinamento della finanza pubblica e incidenza sulle competenze regionali. Il coordinamento per principi, di dettaglio e "virtuoso” ovvero nuove declinazioni dell'unità economica e dell'unità giuridica , in www.issirfa.cnr.it., 2013; M. BARBERO, Rassegna della giurisprudenza costituzionale in materia di diritto tributario, diritto pubblico dell’economia e finanza pubblica (gennaio- giugno 2013), Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, fasc.2, 2013, pag. 212; G. AMOROSO, Rassegna delle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale dell’anno 2012- con particolare riguardo al paragrafo 22. Principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), Giust. civ., fasc.1, 2013, pag. 3.
[3] Nella sentenza n. 36 del 2004, la Corte ha affermato che « È ben vero che, stabilito il vincolo alla entità del disavanzo di parte corrente, potrebbe apparire superfluo un ulteriore vincolo alla crescita della spesa corrente, potendo il primo obiettivo conseguirsi sia riducendo le spese, sia accrescendo le entrate. Tuttavia il contenimento del tasso di crescita della spesa corrente rispetto agli anni precedenti costituisce pur sempre uno degli strumenti principali per la realizzazione degli obiettivi di riequilibrio finanziario, ed infatti esso è indicato fin dall'inizio fra le azioni attraverso le quali deve perseguirsi la riduzione del disavanzo annuo (cfr. art. 28, comma 2, lettera b, della legge n. 448 del 1998, nonché art. 28, comma 2-bis, della stessa legge, aggiunto dall'art. 30, comma 8, della legge n. 488 del 1999). Non può dunque negarsi che, in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale, quest'ultimo possa, nell'esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, introdurre per un anno anche un limite alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi, tenendo conto che si tratta di un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. ».
[4] Nella sentenza n. 139 del 2012, la Corte costituzionale, nel valutare la legittimità della disciplina dettata dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, ha affermato: «L’art. 6 citato «consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce all’isolamento di un principio comune» (sentenza n. 182 del 2011). In base a tale principio, le Regioni devono ridurre le spese di funzionamento amministrativo di un ammontare complessivo non inferiore a quello disposto dall’art. 6 per lo Stato. Ne deriva che il medesimo articolo « non intende imporre alle Regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica» (sentenza n. 182 del 2011) ».
[5] In dottrina, F. STRADINI, Autonomia impositiva delle Regioni a statuto speciale: il riconoscimento costituzionale e l’erosione del primato tra Corte costituzionale e diritto comunitario, Rivista di Diritto Tributario, fasc.12, 2013, pag. 1201.
[6] L’art. 48, comma 2, della legge n. 449 del 1997 ha previsto che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome concorressero agli obiettivi di stabilizzazione finanziaria secondo criteri e procedure stabilite d’intesa tra il Governo e i presidenti delle giunte regionali e provinciali nell’ambito delle procedure previste negli statuti e nelle relative norme di attuazione.
[7] Sul tema, C. TUCCIARELLI, La legge n. 42/ 2009: oltre l’attuazione del federalismo fiscale, Riv. dir. trib., fasc.1, 2010, pag. 61; A. GIOVANARDI, Il riparto delle competenze tributarie tra giurisprudenza costituzionale e legge delega in materia di federalismo fiscale, Riv. dir. trib., fasc.1, 2010, pag. 29.
[8] Si veda, la sentenza n. 353 del 2004, nella quale si afferma che il coinvolgimento delle Regioni speciali nel patto di stabilità interno avviene tenendo conto delle particolari modalità individuate dalle relative disposizioni legislative ovvero d’intesa tra il Governo e i presidenti delle Giunte.
[9] In tal senso, L. CAVALLINI CADEDDU, “Indicazioni giurisprudenziali per il coordinamento dinamico della finanza pubblica”, in www. federalismi.it, 1; Corte costituzionale e coordinamento dinamico della finanza pubblica, in L. CAVALLINI CADEDDU (a cura di), Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, 2012, Jovene, Napoli.
[10] G. PERNICIARO, Le fonti dell’autonomia finanziaria delle regioni speciali. “Prima” dei decreti legislativi di attuazione: gli accordi bilaterali, in Gli atti normativi del Governo, tra Corte costituzionale e giudici, a cura di M.Cartabia, E. Lamarque, P. Tanzarella, Giappichelli, Torino, 2011, p. 427-436.

 

 

(pubblicato il 24.7.2014)

 

 

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