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n. 7-2014 - © copyright |
MARIA GIULIA PUTATURO DONATI
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Competenza legislativa concorrente in
materia di coordinamento della finanza pubblica e vincoli alle politiche
di bilancio anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale: ultime
pronunce in tema della Corte costituzionale e prospettive di
riforma
Sommario: § 1. – Sulla nozione di principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sulla
competenza del legislatore statale a prevedere nei confronti delle
Regioni (anche a statuto speciale) vincoli di riequilibrio della
finanza pubblica; § 2.- Sulla “naturale” incidenza di norme
costituenti «principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica» sull’autonomia finanziaria e sulle altre competenze
legislative delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome; § 3. – Sulla tecnica dell’accordo nel regime dei rapporti
finanziari tra Stato- Regioni a statuto speciale e Province
autonome. § 4. – La materia del «coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario»: da competenza legislativa
concorrente a competenza legislativa esclusiva dello
Stato?.
§ 1. – Sulla nozione di principi fondamentali
di coordinamento della finanza pubblica e sulla competenza del
legislatore statale a prevedere nei confronti delle Regioni (anche a
statuto speciale) vincoli di riequilibrio della finanza
pubblica:
Ai sensi dell’art. 117, terzo comma[1], Cost. tra
le materie oggetto di competenza legislativa concorrente Stato-
Regioni rientra quella del «coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario ».
Nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che
per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Da qui la ripartizione, in materia,
della c.d. legislazione di principio allo Stato e di quella c.d. di
dettaglio alle Regioni.
Per giurisprudenza costante della Corte
costituzionale, possono essere ritenute “principi fondamentali in
materia di coordinamento della finanza pubblica”, ai sensi del terzo
comma dell’art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso
di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale,
della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o
modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenze n.
193 e n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232
del 2011 e n. 326 del 2010; n. 297 del 2009; n. 237 del 2009) in
modo che rimanga uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia
regionale (sentenza n. 182 del 2011)[2].
Questi vincoli, perché
possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli
enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte
corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli
specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica
perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa
corrente».[3] In altri termini, la legge statale può stabilire solo
un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»
(sentenze n. 44 del 2014; 236 del 2013; n. 182 del 2011; n. 417 del
2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e
n. 449 del 2005) e non può fissare vincoli puntuali relativi a
singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli enti locali,
tali da ledere l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art.
119 Cost. (sentenze n. 120 del 2008; n. 169 del 2007; n. 417 del
2005; n. 36 del 2004).
Secondo quanto costantemente affermato
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la previsione, da
parte della legge statale, di un limite all'entità di una singola
voce di spesa della Regione non può essere considerata un principio
fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., perché pone un precetto specifico e puntuale
sull'entità della spesa e si risolve, di conseguenza, in un'indebita
invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. all'autonomia
finanziaria delle Regioni. Ad esse la legge statale può solo
prescrivere obiettivi (ad esempio, il contenimento della spesa
pubblica), ma non imporre nel dettaglio le modalità e gli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (ex
multis, sentenze n. 95 del 2007; n. 88 del 2006, nn. 449 e 417
del 2005 e nn. 390 e 36 del 2004).
In altre pronunce, la Corte
costituzionale ha precisato che lo Stato può agire direttamente
sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, al
contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti
delle Regioni «a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle
singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio
aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenza n. 182 del
2011). Quindi anche allorquando le disposizioni in esame (come per
la disciplina dettata dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 – come la
Corte ha chiarito con la richiamata sentenza n. 182 del 2011 -)
prevedono puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole
voci di spesa, ciò non esclude che da esse possa desumersi un limite
complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di
allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa
(sentenza n. 139 del 2012[4]). In caso contrario, la norma statale
non può essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), a
prescindere dall’auto-qualificazione operata dal legislatore
(sentenza n. 237 del 2009).
Può essere, in altri termini, imposto
alle Regioni un «limite globale, complessivo, al punto che ciascuna
Regione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie leggi
di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e
differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello
indicato nella legge statale» (sentenze n. 229 del 2013; n. 36 del
2013; sentenza n. 211 del 2012).
Il carattere della
«transitorietà» o temporaneità dell’intervento legislativo di
contenimento della spesa corrente sembrerebbe essere evidenziato
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale allorquando
l’incidenza sulla spesa corrente sia immediata (da ultimo, sentenza
n. 44 del 2014) , non già quando si tratti di intervento con
incidenza indiretta sulla spesa corrente (si veda, a tal proposito,
la sentenza n. 236 del 2013 nella quale la Corte, nel valutare la
legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2, 3 e 4, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 - che impone alle Regioni la
soppressione o la limitazione degli enti, agenzie ed organismi
strumentali all’esercizio di funzioni fondamentali o di funzioni
amministrative spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane –
ha posto in rilievo, al fine di qualificare la norma impugnata
effettivamente come principio fondamentale di coordinamento della
finanza pubblica, solo il requisito dell’intervento di “limite
complessivo e globale ” alla spesa pubblica).
Inoltre, la
disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone
generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento
normativo rispetto all’obiettivo prefissato (sentenza n. 236 del
2012).
Nella giurisprudenza della Corte costituzionale è ormai
consolidato l’orientamento secondo cui il legislatore statale può,
con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni
e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi
comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si
traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia
di spesa degli enti territoriali (ex plurimis, sentenze n.
236 del 2013; n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).
La
Corte ha avuto modo di affermare che non è contestabile «il potere
del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni
di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche
di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti», e che, «in
via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio
della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono
anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente
degli enti autonomi (sentenza n. 82 del 2007; n. 36 del
2004).
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, «la
stessa nozione di principio fondamentale non può essere
cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve
tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai
quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia»
(sentenze n. 23 del 2014; n. 16 del 2010).
Inoltre, la
specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il
carattere “di principio” di una norma, qualora essa risulti legata
al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di
necessaria integrazione (sentenze n. 23 del 2014; n. 16 del 2010 ;
n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007).
La Corte ha sottolineato la
legittimità di disposizioni di dettaglio in "rapporto di
coessenzialità e di necessaria integrazione" con le norme di
principio e, pertanto, inderogabili (sentenza n. 355 del 1993).
In quest’ottica, sono state ricondotte «nell’ambito dei principi
di coordinamento della finanza pubblica “norme puntuali adottate dal
legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento
finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento
dei livelli territoriali sub-statali” (sentenza n. 237 del 2009 e
già sentenza n. 417 del 2005)» (sentenze n. 44 e n. 23 del 2014; n.
52 del 2010).
La Corte ha affermato che, sebbene sia norma a
contenuto specifico e dettagliato, «è da considerare per la finalità
perseguita, in “rapporto di coessenzialità e di necessaria
integrazione” con le norme-principio [che connotano il settore
dell’organizzazione sanitaria locale, così da vincolare l’autonomia
finanziaria regionale in ordine alla disciplina prevista per i
“debiti” e i “crediti” delle soppresse unità sanitarie locali]».
(sentenza n. 108 del 2010; n. 89 del 2000).
La Corte ha messo
pure in rilievo il carattere “finalistico” dell’azione di
coordinamento e, quindi, l’esigenza che «a livello centrale» si
possano collocare anche «i poteri puntuali eventualmente necessari
perché la finalità di coordinamento» venga «concretamente
realizzata» (sentenza n. 229 del 2011; n. 376 del 2003, già citata).
La giurisprudenza della Corte costituzionale ha elaborato una
nozione ampia di principi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica, ed ha, altresì, precisato come la piena attuazione
del coordinamento della finanza pubblica possa far sì che la
competenza statale non si esaurisca con l’esercizio del potere
legislativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordine
amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di
controllo» (sentenza n. 229 del 2011; n. 376 del 2003; in senso
conforme, sentenze n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159
del 2008).
Le norme che pongono un principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica attinente alla spesa, come più
volte affermato dalla Corte costituzionale, devono ritenersi
applicabili «anche alle autonomie speciali, in considerazione
dell'obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi
comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della
finanza pubblica» (sentenze n. 120 del 2008; 169 e n. 82 del 2007).
La giurisprudenza della Corte è, infatti, costante nell’affermare
che anche gli enti ad autonomia differenziata sono soggetti ai
vincoli legislativi derivanti dal rispetto dei principi di
coordinamento della finanza pubblica (da ultimo, sentenze n. 72 del
2014; n. 139 del 2012; n. 30 del 2012 e n. 229 del 2011).
Il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica è un obbligo
indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico allargato di
cui anche le Regioni devono farsi carico attraverso un accollo
proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle manovre di
finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del
2010).
La finanza delle Regioni a statuto speciale è, infatti,
parte della " finanza pubblica allargata" nei cui riguardi lo Stato
aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento,
nell'esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie
speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi
di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei (ex
plurimis, sentenze n. 39 del 2014; n. 60 del 2013; n. 219 del
2013, n. 198 del 2012, n. 179 del 2007; n. 425 del 2004; n. 416 del
1995; n. 421 del 1998), come quelli relativi al cosiddetto patto di
stabilità interno (cfr. sentenza n. 36 del 2004).
La Corte
costituzionale, perciò, ha già ritenuto che «nel nuovo assetto
costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre
riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, una posizione
peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di
cui all’art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta
evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come
limiti di tutte le potestà legislative (art. 117, primo comma) e dal
riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed
economica dell’ordinamento stesso (art. 120, secondo comma). E tale
istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto,
lo Stato appunto, avente il compito di assicurarne il pieno
soddisfacimento» (sentenza n. 274 del 2003). (sentenza n. 219 del
2013).
Il legislatore statale può legittimamente imporre agli
enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si
traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia
di spesa degli enti), ma solo, con «disciplina di principio», «per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi
nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari» (sentenza
n. 417 del 2005; n. 36 del 2004; v. anche le sentenze n. 376 del
2003 e n.n. 4 e 390 del 2004).
La Corte ha posto in rilievo che
limiti finanziari per le Regioni e gli enti locali, volti al
perseguimento degli obiettivi della finanza pubblica e del
contenimento della spesa, sono in linea con la più recente
interpretazione della nozione di «coordinamento della finanza
pubblica» fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, ormai
«costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla
spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di
coordinamento finanziario», per cui il legislatore statale può
«legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per
assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva,
in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali,
condizionati anche da obblighi comunitari» (così, sentenze n. 326
del 2010; n. 52 del 2010, nonché sentenze n. 237 e n. 139 del 2009).
Tali vincoli, riconducibili ai "princípi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica", si impongono alle autonomie
speciali solo in ragione dell'imprescindibile esigenza di assicurare
l'unitarietà delle politiche complessive di spesa che lo Stato deve
realizzare - sul versante sia interno che comunitario e
internazionale - attraverso la «partecipazione di tutte le Regioni
[...] all'azione di risanamento della finanza pubblica» e al
rispetto del cosiddetto "patto di stabilità". (sentenza n. 102 del
2008).
§ 2. Sulla “naturale” incidenza di norme
costituenti «principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica» sull’autonomia finanziaria e sulle altre competenze
legislative delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome:
Nell’ambito di una competenza concorrente quale è
il coordinamento della finanza pubblica, ripetutamente la Corte
costituzionale ha stimato recessiva la dimensione dell’autonomia
finanziaria[5] ed organizzativa della Regione, a fronte di misure
necessariamente uniformi sull’intero territorio nazionale e
costituenti principi fondamentali della materia (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2013; n. 169 del 2007; n. 417 del 2005; n. 36
del 2004).
La Corte ha sottolineato che «dinanzi ad un
intervento legislativo statale di coordinamento della finanza
pubblica riferito alle Regioni, e cioè nell'àmbito di una materia di
tipo concorrente, è naturale che ne derivi una, per quanto parziale,
compressione degli spazi entro cui possano esercitarsi le competenze
legislative ed amministrative di Regioni e Province autonome (specie
in tema di organizzazione amministrativa o di disciplina del
personale), nonché della stessa autonomia di spesa loro spettante»
(fra le molte, si vedano le sentenze n. 159 del 2008; n. 169 e n.
162 del 2007; n. 353 e n. 36 del 2004).
La giurisprudenza
costituzionale ha espressamente riconosciuto che disposizioni
statali di principio in tema di coordinamento della finanza
pubblica, ove costituzionalmente legittime, possono «incidere su una
materia di competenza della Regione e delle Province autonome
(sentenze n. 229 del 2013; 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274 del
2003) [come l’organizzazione ed il funzionamento
dell’amministrazione regionale e provinciale» (sentenza n. 159 del
2008)].
Dall’accertata natura di principio fondamentale [in
materia «coordinamento della finanza pubblica] discende, in base
alla giurisprudenza della Corte, la legittimità dell’incidenza della
censurata disposizione sia sull’autonomia di spesa delle Regioni (si
vedano, ex plurimis, sentenze n. 151 del 2012; n. 91 del
2011, n. 27 del 2010, n. 456 e n. 244 del 2005), sia su ogni tipo di
potestà legislativa regionale, compresa quella residuale in materia
di comunità montane (sentenze n. 326 del 2010 e n. 237 del
2009).
La Corte ha precisato che il legittimo esercizio della
competenza statale di coordinamento della finanza pubblica è limite
all'autonomia finanziaria delle medesime Province autonome (sentenza
n. 190 del 2008; n. 82 del 2007).
Soltanto se il limite posto
dalla legge statale non costituisce un principio di coordinamento
esso si configura come “un illegittimo vincolo all’autonomia di
spesa e finanziaria garantita dallo statuto speciale e con
disposizioni non unilateralmente derogabili dalle norme di
attuazione”. Ma se si tratta di principi statali di coordinamento
della finanza pubblica essi si impongono nell’esercizio
dell’autonomia finanziaria di cui allo statuto speciale (sentenza n.
190 del 2008) .
La Corte ha, altresì, affermato che l’eventuale
impatto di una norma, costituente principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma terzo, Cost.),
[pertanto ascrivibile a tale titolo alla competenza legislativa
concorrente dello Stato] sull’autonomia finanziaria (119 Cost.) ed
organizzativa (117, comma quarto, e 118 Cost.) delle Regioni si
traduce in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul
piano della legittimità costituzionale» (sentenza n.236 del 2013; 40
del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).
Pertanto, la ormai
consolidata giurisprudenza della Corte in materia di coordinamento
della finanza pubblica, consente di fare arretrare i confini delle
competenze statutarie (anche delle regioni speciali) ovvero di
incidere anche su materie riconducibili a tali
competenze.
Pertanto, nessuna “dispensa” per le autonomie
speciali: i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario (di cui all’art. 119 Cost.) costituiscono un
limite inderogabile anche per le regioni ad autonomia
differenziata.
§ 3. – Sulla tecnica dell’accordo nel
regime dei rapporti finanziari tra Stato - Regioni a statuto
speciale e Province autonome:
L’obbligo generale di
partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto
speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica (sentenza
n. 416 del 1995 e successivamente, anche se non con specifico
riferimento alle Regioni a statuto speciale, le sentenze n. 417 del
2005 e nn. 353, 345 e 36 del 2004) deve essere contemperato e
coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui
godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti (sentenza n.
82 del 2007). In tale prospettiva, la Corte costituzionale ha avuto
occasione di affermare, che la previsione normativa del metodo
dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero
dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese
correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, deve
considerarsi un'espressione della descritta autonomia finanziaria e
del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei
limiti alla spesa imposti dal cosiddetto "patto di stabilità"
(sentenza n. 353 del 2004).
La Corte nella sentenza n. 82 del
2007 ha affermato che il «metodo dell'accordo», introdotto per la
prima volta dall’ [art. 48, comma 2[6]] legge 27 dicembre 1997, n.
449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), seguito
dall'art. 28, comma 15, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure
di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), e
riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate [
dalla legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2000), fino alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2007)], deve essere tendenzialmente preferito ad altri,
dato che «la necessità di un accordo tra lo Stato e gli enti ad
autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia
finanziaria di questi ultimi».
L’art. 27 della legge 5 maggio
2009, n. 42[7] (Delega al governo in materia di federalismo fiscale,
in attuazione dell’art. 119 della Costituzione) prevede, in
particolare, che le Regioni a statuto speciale e le Province
autonome concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione
e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi
derivanti, nonché al patto di stabilità interno ed all’assolvimento
degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario «nel rispetto
degli statuti speciali» e «secondo criteri e modalità stabiliti da
norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le
procedure previste dagli statuti medesimi».(comma 1); b) alle norme
di attuazione statutaria è affidata la disciplina delle « specifiche
modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento
degli obiettivi costituzionali di perequazione e solidarietà per le
regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano
inferiori alla media nazionale» (comma 2, secondo periodo). La Corte
costituzionale ha ritenuto che tale norma riportata possiede una
portata generale ed esclude – ove non sia espressamente disposto in
senso contrario per casi specifici da una norma successiva – che le
previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica possano
essere ritenute applicabili alle Regioni a statuto speciale al di
fuori delle particolari procedure previste dai rispettivi statuti.
Tale principio è stato successivamente ribadito dalla normativa
richiamata dalle parti ed, in particolare, dall’art. 8, comma 4, del
d.lgs. n. 216 del 2010, e dall’art. 1, commi 128 e 129, della legge
n. 220 del 2010. L’estensione alle Regioni speciali delle
disposizioni in materia di finanza deve essere espressamente
dichiarata e circoscritta dal legislatore, salva naturalmente ogni
valutazione sulla legittimità costituzionale di tale estensione, nei
singoli casi in cui essa sia prevista. In caso di silenzio, resta
valido il principio generale di cui al citato art. 27 della legge n.
42 del 2009. (sentenza n. 193 del 2012).
L’art. 27, infatti, pone
una vera e propria «riserva di competenza alle norme di attuazione
degli statuti» speciali per la modifica della disciplina finanziaria
degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012),
così da configurarsi quale autentico presidio procedurale della
specialità finanziaria di tali enti.( in tal senso, si veda la
sentenza n. 241 del 2012).
Il punto di raccordo tra autonomia
finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome e coordinamento della finanza pubblica è dato dallo
strumento dell’accordo ovvero dal principio bilaterale che
caratterizza in maniera pregnante il rapporto tra regioni speciali e
Stato.
Pertanto, l’applicazione del metodo dell’accordo
bilaterale [8] in riferimento al patto di stabilità interno, deve
considerarsi un’espressione della descritta autonomia finanziaria e
del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei
limiti di spesa imposti dal cosiddetto patto di stabilità interno
(“i limiti del coordinamento devono essere contemperati con la
speciale autonomia in materia finanziaria”)[9].
A differenza
delle regioni ordinarie, nel caso delle Regioni speciali
l’adeguamento dell’ordinamento finanziario ai principi di
coordinamento della finanza pubblica passa non solo per la via delle
norme di attuazione, ma anche attraverso la modifica statutaria da
attuarsi anche essa nel rispetto del metodo dell’accordo e secondo i
procedimenti di collaborazione previsti dagli statuti.[10]
In
particolare, ai sensi dell’art. 104 dello Statuto del Trentino- Alto
Adige, « Fermo quanto disposto dall’art. 103 le norme del Titolo VI
(Finanza della Regione e delle Province) e quelle dell’art. 13
possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su
concorde richiesta del governo e, per quanto di rispettiva
competenza, della regione o delle due province».
L’art. 63,
quinto comma, dello Statuto del Friuli- Venezia Giulia recita: «Le
disposizioni contenute nel titolo IV ( Finanze, Demanio e patrimonio
della Regione) possono essere modificate con leggi ordinarie, su
proposta di ciascun membro delle Camere, del governo e della regione
e in ogni caso, sentita la regione».
L’art. 50, quinto comma,
dello Statuto Valle d’Aosta «Entro due anni dall’elezione del
Consiglio della Valle, con legge dello Stato, in accordo con la
Giunta regionale, sarà stabilito, a modifica degli artt. 12 e 13
(disposizioni in materia di ordinamento finanziario) un ordinamento
finanziario della regione».
L’art. 54, quinto comma, dello
Statuto Sardegna:«Le disposizioni del Titolo III (Finanze, Demanio e
patrimonio) del presente statuto possono essere modificate con leggi
ordinarie della Repubblica su proposta del governo o della regione;
in ogni caso sentita la regione».
Analoga disposizione non è
contenuta nello statuto della Regione Sicilia.
In questo quadro
si collocano gli Accordi siglati tra tre delle Regioni speciali e lo
Stato tra il 2009 e il 2010. Nello specifico, il primo ad essere
siglato è stato il c.d. «Accordo di Milano» stipulato il 30 novembre
2009 tra il Governo e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Successivamente, il 29 ottobre 2010, è stato siglato il protocollo
d’intesa tra Governo e Regione Friuli - Venezia Giulia ed, infine,
l’11 novembre dello stesso anno, quello con la Valle d’Aosta.
Al
di là dei contenuti (specifici per ciascuna regione), tali Accordi
dal punto di vista procedurale seguono lo stesso percorso. I
contenuti sono, infatti, confluiti , il primo (siglato dal Trentino-
Alto Adige) nella legge n. 191 del 2009 (art. 2, commi 107 e 125)
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2010); gli altri due, nella legge n.
220 del 2010 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2011), art. 1, commi
151-159 (Accordo siglato dal Friuli- Venezia Giulia) e commi 160-164
(il testo siglato dalla Valle d’Aosta).
Dunque, prima ancora che
tradursi nelle norme di attuazione, la definizione bilaterale delle
misure da assumere per gli obiettivi di coordinamento della finanza
pubblica ha trovato sanzione legislativa, attraverso leggi ordinarie
(rinforzate) volte a modificare le disposizioni statutarie in
materia di ordinamento finanziario.
In particolare, in attuazione
del processo di riforma in senso federalista contenuto nella legge
delega n. 42 del 2009, con legge ordinaria “rinforzata” (ovvero
adottata ai sensi dell’art. 104 dello Statuto del Trentino- Alto
Adige su concorde richiesta dello Stato e della Regione e delle
Province) del 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, commi 106 -126, si è
proceduto a sostituire il Titolo VI (Finanza della regione e delle
province) dello Statuto speciale della Regione Trentino- Alto Adige,
delineando un nuovo sistema di relazioni finanziarie tra lo Stato,
la Regione e le Province autonome. L’autonomia finanziaria della
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è disciplinata dal Titolo VI
dello statuto speciale e, con disposizioni non unilateralmente
derogabili dal legislatore statale, dalle relative norme di
attuazione introdotte dai decreti legislativi n. 266 del 16 marzo
1992 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale
di indirizzo e coordinamento) e n. 268 del 16 marzo 1992 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in
materia di finanza regionale e provinciale) nonché dalla legge 30
novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza
della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di
Trento e di Bolzano con la riforma tributaria). (sentenza n.190 del
2008). Negli articoli che vanno da 69 a 86 dello statuto speciale
sono regolati i rapporti finanziari tra lo Stato, la Regione e le
Province autonome, comprese le quote di compartecipazione ai tributi
erariali. Inoltre, il primo comma dell’art. 104 dello stesso statuto
stabilisce che « Fermo quanto disposto dall’articolo 103 le norme
del titolo VI e quelle dell’art. 13 possono essere modificate con
legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per
quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due
province». Il richiamato art. 103 prevede, a sua volta, che le
modifiche statutarie debbano avvenire con il procedimento previsto
per le leggi costituzionali. Dalle disposizioni citate si deduce che
l’art. 104 dello statuto speciale, consentendo una modifica delle
norme relative all’autonomia finanziaria su concorde richiesta del
Governo, della Regione o delle Province, introduce una deroga alla
regola prevista dall’art. 103, che impone il procedimento di
revisione costituzionale per le modifiche statutarie, abilitando la
legge ordinaria a conseguire tale scopo, purché sia rispettato il
principio consensuale. (sentenza n. 133 del 2010).
Nei rapporti
finanziari tra lo Stato, le Regioni speciali e le Province autonome,
la giurisprudenza costituzionale sembra essere orientata a ritenere
il metodo dell’accordo non già come prima lo strumento
tendenzialmente preferito ad altri (sentenza n. 82 del 2007) ma
«ormai lo strumento consolidato (in quanto già presente nella legge
27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione
della finanza pubblica» e poi confermato da tutte le disposizioni
che si sono occupate successivamente della materia) per conciliare e
regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a
statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della
loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata (ex
plurimis, sentenza n. 353 del 2004)» (sentenza n. 118 del 2012).
In tal senso, si vedano anche le sentenze n. 241 del 2012; 215 del
2012 e n. 193 del 2012, n. 178 del 2012.
Da ultimo, si è però
precisato che la procedura concertata non è costituzionalmente
necessitata e che può essere derogata in particolari contesti di
grave crisi economica.
In particolare, nella sentenza n. 23 del
2014, la Corte ha affermato che l’invocato art. 27 della legge n. 42
del 2009, di attuazione del federalismo fiscale previsto dall’art.
119 Cost., pur ponendo «una vera e propria “riserva di competenza
alle norme di attuazione degli statuti” speciali per la modifica
della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata
(sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale autentico
presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti»
(sentenza n. 241 del 2012), ha il rango di legge ordinaria, in
quanto tale derogabile da atto successivo avente la medesima forza
normativa. Ne consegue che, specie in un contesto di grave crisi
economica [quale quello in cui si è trovato ad operare il
legislatore] esso possa discostarsi dal modello consensualistico
nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie
speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del
2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata
fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012).
§ 4. La
materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario»: da competenza legislativa concorrente a competenza
legislativa esclusiva dello Stato?
Il disegno di legge
di revisione costituzionale n. 1429 (“Disposizioni per il
superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei
parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle
istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V
della parte seconda della Costituzione”) - nel testo approvato dalla
Commissione Affari costituzionali del Senato, nella seduta del 10
luglio 2014 - reca- tra l’altro- disposizioni concernenti la
revisione del Titolo V della Parte seconda della
Costituzione.
Il progetto di revisione del Titolo V -
finalizzato a garantire un effettivo bilanciamento tra interessi
nazionali, regionali e locali nonché politiche di programmazione
territoriale coordinate con le più ampie scelte strategiche a
livello nazionale - prevede: 1) il superamento dell’attuale
frammentazione delle competenze legislative tra Stato e Regioni; 2)
l’introduzione di una “clausola di supremazia”, in base alla quale
la legge statale, su proposta del Governo, può intervenire su
materie che non sono di competenza legislativa esclusiva dello
Stato, se lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica
della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale; 3) il
riordino dei criteri di riparto della potestà regolamentare tra
Stato e Regioni secondo le rispettive competenze legislative; 4)
l’introduzione della possibilità per lo Stato di delegare alle
Regioni l’esercizio della potestà regolamentare nelle materie e
funzioni di propria competenza legislativa esclusiva.
Il disegno
di legge come approvato dalla Commissione affari costituzionali del
Senato, contempla - tra l’altro- l’eliminazione delle competenze
legislative “concorrenti” nonché la conseguente ridefinizione delle
competenze “esclusive” dello Stato e di quelle “residuali” delle
Regioni.
Con particolare riferimento alla materia del
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», la
stessa andrebbe ad integrare l’elenco delle materie di competenza
statale “esclusiva”.
Da qui, in prospettiva, la possibile fine di
tutto l’attuale contenzioso costituzionale volto a stabilire, in
materia, i difficili margini tra legislazione c.d. di principio e
legislazione c.d. di dettaglio.
Non è però da escludere che la
riformulazione delle materie riservate alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato e a quella residuale delle Regioni possa
alimentare un nuovo contenzioso per delimitare i margini delle nuove
competenze dello Stato e delle Regioni (per esempio, per distinguere
la materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario» riservata, nel disegno di legge, alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato, dalle materie riservate, sempre
nello stesso testo, alla competenza legislativa delle Regioni, quali
quelle «di promozione dello sviluppo economico locale e
organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese» e «di
regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito
regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali
della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici
regionali e locali di finanza pubblica») forse di più facile
soluzione, proprio avuto riguardo ai diversi interessi e livelli di
governo- nazionale, regionale e locale- di volta in volta in
rilievo.
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[1] Comma così modificato dalla lettera b) del
comma 1 dell’art. 3, L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni
di cui alla citata L.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi di
quanto disposto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere
dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014; in dottrina, da
ultimo, G.L. TOSATO, La riforma Costituzionale sull’equilibrio di
bilancio alla luce della normativa dell’unione: l’interazione fra i
livelli europeo e interno, Rivista di Diritto Internazionale,
fasc.1, 2014, pag. 5.
[2] In dottrina, sul tema, M.
BELLETTI, Forme di coordinamento della finanza pubblica e
incidenza sulle competenze regionali. Il coordinamento per principi,
di dettaglio e "virtuoso” ovvero nuove declinazioni dell'unità
economica e dell'unità giuridica , in www.issirfa.cnr.it., 2013;
M. BARBERO, Rassegna della giurisprudenza costituzionale in
materia di diritto tributario, diritto pubblico dell’economia e
finanza pubblica (gennaio- giugno 2013), Rivista di Diritto
Finanziario e Scienza delle Finanze, fasc.2, 2013, pag. 212; G.
AMOROSO, Rassegna delle sentenze dichiarative di illegittimità
costituzionale dell’anno 2012- con particolare riguardo al
paragrafo 22. Principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), Giust. civ., fasc.1,
2013, pag. 3.
[3] Nella sentenza n. 36 del 2004, la Corte ha
affermato che « È ben vero che, stabilito il vincolo alla entità del
disavanzo di parte corrente, potrebbe apparire superfluo un
ulteriore vincolo alla crescita della spesa corrente, potendo il
primo obiettivo conseguirsi sia riducendo le spese, sia accrescendo
le entrate. Tuttavia il contenimento del tasso di crescita della
spesa corrente rispetto agli anni precedenti costituisce pur sempre
uno degli strumenti principali per la realizzazione degli obiettivi
di riequilibrio finanziario, ed infatti esso è indicato fin
dall'inizio fra le azioni attraverso le quali deve perseguirsi la
riduzione del disavanzo annuo (cfr. art. 28, comma 2, lettera b, della legge n. 448 del 1998, nonché art. 28, comma
2-bis, della stessa legge, aggiunto dall'art. 30, comma 8,
della legge n. 488 del 1999). Non può dunque negarsi che, in via
transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio
della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale,
quest'ultimo possa, nell'esercizio non irragionevole della sua
discrezionalità, introdurre per un anno anche un limite alla
crescita della spesa corrente degli enti autonomi, tenendo conto che
si tratta di un limite complessivo, che lascia agli enti stessi
ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa. ».
[4] Nella sentenza n. 139 del 2012, la
Corte costituzionale, nel valutare la legittimità della disciplina
dettata dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, ha affermato: «L’art. 6
citato «consente un processo di induzione che, partendo da un
apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco,
conduce all’isolamento di un principio comune» (sentenza n. 182 del
2011). In base a tale principio, le Regioni devono ridurre le spese
di funzionamento amministrativo di un ammontare complessivo non
inferiore a quello disposto dall’art. 6 per lo Stato. Ne deriva che
il medesimo articolo « non intende imporre alle Regioni l’osservanza
puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e
può considerarsi espressione di un principio fondamentale della
finanza pubblica» (sentenza n. 182 del 2011) ».
[5] In dottrina,
F. STRADINI, Autonomia impositiva delle Regioni a statuto
speciale: il riconoscimento costituzionale e l’erosione del primato
tra Corte costituzionale e diritto comunitario, Rivista di
Diritto Tributario, fasc.12, 2013, pag. 1201.
[6]
L’art. 48, comma 2, della legge n. 449 del 1997 ha previsto che le
Regioni a statuto speciale e le Province autonome concorressero agli
obiettivi di stabilizzazione finanziaria secondo criteri e procedure
stabilite d’intesa tra il Governo e i presidenti delle giunte
regionali e provinciali nell’ambito delle procedure previste negli
statuti e nelle relative norme di attuazione.
[7] Sul tema, C.
TUCCIARELLI, La legge n. 42/ 2009: oltre l’attuazione del
federalismo fiscale, Riv. dir. trib., fasc.1, 2010, pag. 61; A.
GIOVANARDI, Il riparto delle competenze tributarie tra
giurisprudenza costituzionale e legge delega in materia di
federalismo fiscale, Riv. dir. trib., fasc.1, 2010, pag. 29.
[8] Si veda, la sentenza n. 353 del 2004, nella quale si afferma
che il coinvolgimento delle Regioni speciali nel patto di stabilità
interno avviene tenendo conto delle particolari modalità individuate
dalle relative disposizioni legislative ovvero d’intesa tra il
Governo e i presidenti delle Giunte.
[9] In tal senso, L.
CAVALLINI CADEDDU, “Indicazioni giurisprudenziali per il
coordinamento dinamico della finanza pubblica”, in www.
federalismi.it, 1; Corte costituzionale e coordinamento dinamico
della finanza pubblica, in L. CAVALLINI CADEDDU (a cura di), Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, 2012, Jovene, Napoli.
[10] G. PERNICIARO, Le fonti
dell’autonomia finanziaria delle regioni speciali. “Prima” dei
decreti legislativi di attuazione: gli accordi bilaterali, in
Gli atti normativi del Governo, tra Corte costituzionale e giudici,
a cura di M.Cartabia, E. Lamarque, P. Tanzarella, Giappichelli,
Torino, 2011, p. 427-436.
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(pubblicato il
24.7.2014)
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