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GIUSEPPE LA ROSA

Il dies a quo per l’impugnazione degli atti di gara secondo la Corte di giustizia, Sez. V, 8 maggio 2014: nessun passo in avanti e uno indietro?


Sommario: 1. Premesse. - 2. Lo svolgimento del processo. - 3. I principi espressi dalla sentenza. - 4. Il dies a quo con riferimento ai fatti successivi alla comunicazione di aggiudicazione: nessun passo in avanti. - 5. Il dies a quo con riferimento ai fatti precedenti alla comunicazione di aggiudicazione: un passo indietro? - 6. Spunti per una lettura del principio di diritto espresso dalla Corte di giustizia a garanzia dell’efficacia della tutela. - 7. Brevi considerazioni sui profili applicativi dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia: alla ricerca del comportamento diligente. - 8. Conclusioni.

1. Premesse
Con la sentenza 8 maggio 2014 di cui al procedimento C-161/13, la Corte di giustizia è intervenuta nuovamente[1] sull’annosa questione relativa alla individuazione del dies a quo per il computo del termine decadenziale di impugnazione degli atti di gara. Il tema in parola è al centro di un vivo dibattito dal cui esame sarà necessario prendere le mosse al fine di inquadrare utilmente la sentenza in commento e valutarne risultati e criticità.
Peraltro, la concreta portata della pronuncia in esame nel nostro ordinamento è stata annunciata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, investita della questione circa il computo del termine decadenziale nelle gare di appalto, ha ritenuto di non esprimere alcun principio di diritto, preferendo attendere l’arresto del Giudice europeo[2].

2. Lo svolgimento del processo
La corretta interpretazione dei principi espressi dalla sentenza in commento presuppone di indugiare, seppur brevemente, sul contesto di rilievo e, in particolare, sul procedimento giurisdizionale principale, nonché sulle questioni pregiudiziali poste alla Corte di giustizia dal Giudice di rinvio.
A seguito di una procedura a evidenza pubblica per l’affidamento del servizio di sanificazione delle reti fognarie e dei connessi lavori, la migliore offerente è risultata una costituenda associazione temporanea di imprese.
Quindi, la stazione appaltante, dopo avere aggiudicato in via definitiva l’appalto, ha comunicato gli esiti della selezione agli altri concorrenti.
Nelle more della stipulazione del contratto, il raggruppamento aggiudicatario, ha comunicato all’amministrazione l’avvenuto recesso dall’associazione temporanea di una delle imprese partecipanti, specificando che aveva intenzione di assumere ugualmente l’appalto e che, nonostante la sua composizione ridotta, avrebbe potuto soddisfare le qualificazioni tecnico-economiche richieste dal bando di gara. L’amministrazione ha autorizzato il recesso e stipulato il contratto.
Un concorrente, classificatosi al terzo posto nella graduatoria definitiva, ha proposto ricorso al TAR Puglia, Lecce, contestando:
- l’autorizzazione alla modifica della composizione dell’associazione temporanea di imprese aggiudicataria; e
- la mancata esclusione dalla procedura dell’associazione temporanea classificatasi al secondo posto nella graduatoria definitiva, sebbene il legale rappresentante di un’impresa facente parte di tale associazione avesse falsamente dichiarato di non aver riportato alcuna condanna penale.
Il ricorso è stato proposto oltre il termine di trenta giorni da quando la ricorrente aveva ricevuto la comunicazione dell’aggiudicazione. Il Giudice amministrativo osserva che, conformemente alle norme e alla giurisprudenza nazionali, il ricorso dovrebbe essere dichiarato irricevibile, dal momento che è stato notificato ben oltre la scadenza del termine decadenziale di 30 giorni decorrenti dalla comunicazione della decisione di aggiudicazione. Tuttavia, si chiede se le norme nazionali di cui trattasi siano compatibili con il principio di effettività, atteso che gli elementi contenuti nella comunicazione della decisione di aggiudicazione definitiva dell’appalto possono non essere sufficienti a mettere i candidati e gli offerenti esclusi a conoscenza dei documenti e delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione sulla proposizione del ricorso; in particolare qualora l’asserita violazione di norme procedurali si consumi in un momento successivo alla formale adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In questo contesto, il Giudice del rinvio si chiede se le disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione possono essere interpretate nel senso che il termine di decadenza dei ricorsi previsto dalle norme nazionali inizi a decorrere dal momento in cui l’interessato sia realmente venuto a conoscenza o abbia la possibilità di venire a conoscenza, dando prova di un’ordinaria diligenza, dell’esistenza di una violazione, e non a decorrere dalla data della comunicazione della decisione di aggiudicazione definitiva dell’appalto.
Pertanto, il TAR Puglia, Lecce, con ord. 19 dicembre 2012, ha sospeso il procedimento e ha posto alla Corte di giustizia le seguenti questioni:
«1) se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva [92/13] vadano interpretati nel senso che il termine per proporre un ricorso, diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, decorra dalla data in cui il ricorrente ha conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza, l’esistenza della violazione stessa;
2) se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva [92/13] ostano a disposizioni processuali nazionali ovvero a prassi interpretative, quali quelle enunciate nella causa principale, che consentono al giudice di dichiarare irricevibile un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, quando il ricorrente è venuto a conoscenza della violazione dopo la formale comunicazione degli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva, per la condotta tenuta dall’Amministrazione aggiudicatrice».

3. I principi espressi dalla sentenza
Il Giudice europeo ha espresso i seguenti principi:
- «il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione dell’amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla legittimità di detta decisione di attribuzione. Tale termine inizia a decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o, in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno avuto conoscenza»;
- «nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un’irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell’Unione».
La concreta portata dei richiamati principi si coglie solo laddove si considerino puntualmente le motivazioni che ne sono alla base. E’, quindi, necessario riprendere il percorso argomentativo seguito dal Giudice europeo.
Sull’assunto che il principio di certezza del diritto impone che le informazioni ottenute a seguito della comunicazione dell’aggiudicazione ovvero che si sarebbero comunque potute ottenere con l’ordinaria diligenza non possano più servire come fondamento per la proposizione di un ricorso dopo la scadenza del termine previsto dal diritto nazionale (punto 35), il Giudice indugia sul momento di verificazione dei fatti asseritamente illegittimi.
Da un lato, per i fatti che si sono verificati dopo l’aggiudicazione dell’appalto e, quindi, dopo lo spirare del termine decadenziale di trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, «non si può considerare che il principio della certezza del diritto osti a che il termine di ricorso di 30 giorni venga riaperto» (punto 38); e ciò perché «né la comunicazione della decisione di aggiudicazione dell’appalto e dei motivi relativi a tale decisione, né la risposta fornita a una eventuale domanda di ulteriori informazioni rivolta dall’offerente all’amministrazione aggiudicatrice potevano consentire di conoscere tali fatti» (punto 36). In questo caso, infatti, la rideterminazione del dies a quo per spiegare azione giurisdizionale è imposto dal principio di efficacia (punto 37).
Dall’altro lato, per i fatti che si sono verificati prima dell’aggiudicazione dell’appalto, «in applicazione del principio della certezza del diritto, in caso di irregolarità asseritamente commesse prima della decisione di aggiudicazione dell’appalto, un offerente è legittimato a proporre un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione soltanto entro il termine specifico previsto a tal fine dal diritto nazionale» (punto 45). Infatti, il concorrente in base alle informazioni che gli sono state comunicate era in grado di proporre un ricorso tempestivo e, dunque, «non è necessario riaprire il termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale».
Tale applicazione del principio di certezza del diritto, secondo il Giudice europeo, non imporrebbe alcun significativo sacrificio per il concorrente, atteso che questi sarebbe comunque «legittimato a proporre un ricorso per risarcimento danni entro il termine generale di prescrizione previsto a tal fine dal diritto nazionale» (punto 46). Per altro verso, con precipuo riferimento al caso sottoposto alla decisione pregiudiziale, viene osservato che «in caso di annullamento della decisione di aggiudicazione dell’appalto al raggruppamento primo classificato in occasione della procedura di aggiudicazione, una nuova decisione di aggiudicazione dell’appalto a un altro offerente può essere oggetto di un nuovo ricorso di annullamento nel termine previsto dalla normativa nazionale» (punto 44).
In sostanza, il Giudice ad quem sembra avere individuato nell’aggiudicazione definitiva uno spartiacque rilevante ai fini del computo del termine decadenziale: mentre le illegittimità verificatesi prima dell’aggiudicazione definitiva possono essere fatte valere unicamente entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione, diversa sorte è prevista nell’ipotesi in cui l’asserita illegittimità si sia determinata successivamente al provvedimento di aggiudicazione; in questo caso, infatti, il principio di certezza del diritto deve cedere dinnanzi a quello di efficacia della tutela, con la conseguenza che il termine decadenziale deve ridecorrere dal momento in cui l’offerente ha avuto contezza della asserita illegittimità.
Occorre ora analizzare partitamente i principi espressi dalla sentenza in commento, al fine di apprezzarne la utilità e la concretezza e metterne a fuoco il contenuto.

4. Il dies a quo con riferimento ai fatti successivi alla comunicazione di aggiudicazione: nessun passo in avanti
Come detto, per i fatti asseritamente illegittimi verificatisi successivamente all’aggiudicazione dell’appalto (ma comunque relativi alla procedura di affidamento)[3], il termine per ricorrere decorre dalla conoscenza degli stessi e non già dalla precedente comunicazione ex art. 79, comma 5, d.lgs. 163/2006. Diversamente opinando, infatti, il concorrente sarebbe sempre tenuto a coltivare aprioristicamente un giudizio avverso l’aggiudicazione definitiva, sebbene questa non fosse affetta da nessuna illegittimità originaria, salvo poi, nel caso di illegittimità sopravvenute prima della conclusione del contratto, ampliare l’oggetto della domanda principale mediante i motivi aggiunti.
Invero, la questione affrontata dalla Corte di giustizia, da un lato, sembra esulare dall’interpretazione delle rilevanti disposizioni europee e, dall’altro, giunge a conclusioni cui era possibile pervenire facendo applicazione dei canoni che informano il processo amministrativo. Infatti, a ben vedere, le asserite illegittimità e, quindi, la lesione della situazione giuridica soggettiva del concorrente sono connesse non già al provvedimento di aggiudicazione definitiva, bensì alla modifica della composizione dell’aggiudicatario. Tale modifica, autorizzata dall’amministrazione, ha dato origine a un nuovo, distinto, e autonomo provvedimento amministrativo (l’autorizzazione alla modifica della composizione, appunto) dal quale soltanto derivano le illegittimità di cui il concorrente si duole. In questo contesto, dunque, è di palmare evidenza come l’oggetto principale del gravame non sarà l’aggiudicazione originaria, ma la nuova decisione amministrativa che, adottata successivamente al provvedimento di aggiudicazione, ha consentito - in modo ritenuto illegittimo - la modifica della composizione del soggetto aggiudicatario.
Alla luce di quanto precede, pertanto, il primo principio di diritto formulato dalla sentenza in commento non consente di apprezzare significativi elementi di novità non solo rispetto al contesto europeo[4], ma anche con precipuo riferimento al nostro sistema di giustizia amministrativa.

5. Il dies a quo con riferimento ai fatti precedenti alla comunicazione di aggiudicazione: un passo indietro?
Decisamente più problematica è l’interpretazione e l’applicazione del secondo principio di diritto espresso dalla Corte.
In ordine al dies a quo per i fatti verificatisi precedentemente all’aggiudicazione definitiva, la Corte di giustizia sembrerebbe, a tutta prima, invertire l’orientamento espresso dalla sua precedente pronuncia del 28 gennaio 2010, secondo cui «l’obiettivo stabilito dall’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 di garantire la possibilità di esperire ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici può essere conseguito soltanto se i termini per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni».
Infatti, il Giudice europeo effettua un bilanciamento tra i principi di effettività della tutela e di certezza del diritto, ritenendo che a quest’ultimo deve sempre essere data prevalenza con riferimento ai fatti che si sono verificati prima dell’aggiudicazione dell’appalto. In sostanza, laddove l’asserita illegittimità sia stata commessa prima della decisione di aggiudicazione dell’appalto, il concorrente può spiegare azione giurisdizionale sempre e solo entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione. E ciò perché in base alle informazioni ricevute sarebbe in grado di proporre un ricorso tempestivo.
Applicando il principio in parola al sistema normativo attuale, ne deriverebbe che il termine di decadenza ex art. 120, comma 5, c.p.a. con riguardo alle censure avverso atti e fatti verificatisi precedentemente all’aggiudicazione decorre sempre dalla comunicazione dell’aggiudicazione ex art. 79, comma 5, d.lgs. 163/2006. E ciò non soltanto laddove il concorrente abbia appreso l’asserita illegittimità dalle informazioni e dai documenti direttamente trasmessi con la stessa comunicazione, ma anche laddove a tale conoscenza questi sarebbe giunto successivamente.
La soluzione ora prospettata, imponendo al concorrente di censurare i fatti verificatisi precedentemente all’aggiudicazione entro trenta giorni dalla comunicazione di questa, determina una grave compromissione del principio di effettività della tutela. Infatti, questi potrebbe non essere in grado di conoscere ogni elemento rilevante in tempo utile per spiegare azione giurisdizionale. Peraltro, la regola ex art. 79, comma 5-quater, d.lgs. 163/2006, secondo cui l’accesso agli atti del procedimento ad evidenza pubblica «è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione» e che «non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione», potrebbe non essere sufficiente per consentire al concorrente di acquisire ogni utile informazione in tempo per proporre il ricorso giurisdizionale. E ciò perché, posto che la richiesta di accesso non ha effetto sospensivo sul termine di decadenza, è evidente come una eventuale (illegittima) inerzia o, comunque, ritardo (si v. i casi di cui all’art. 13, comma 5, d.lgs. 163/2006) dell’amministrazione nell’ostensione dei documenti, costringerebbe l’interessato a esperire l’actio ad exhibendum i tempi per il cui esito non consentirebbero certamente il rispetto del termine decadenziale.
Seguendo il principio espresso dal Giudice europeo, senza i correttivi cui si dirà infra, il concorrente dovrebbe comunque impugnare l’aggiudicazione definitiva, entro il termine di trenta giorni dalla sua comunicazione, al fine di evitare la declaratoria di inammissibilità, salvo poi proporre motivi aggiunti.
Questa impostazione, tuttavia, presta il fianco a una serie di critiche difficilmente superabili. Innanzitutto, il ricorrente si troverebbe a dovere impugnare l’aggiudicazione definitiva, senza, però, potere essere in grado di indicare i motivi specifici su cui si fonda il gravame, con il conseguente rischio di una pronuncia di inammissibilità[5]. Inoltre, la decisione di esperire l’azione giurisdizionale, assunta senza avere la completa conoscenza di tutti gli atti e i fatti rilevanti, potrebbe altresì esporre il concorrente a coltivare un’azione giurisdizionale manifestamente infondata, con il rischio di essere condannato per lite temeraria[6]. Ancora, la conoscenza di atti o fatti successivamente alla impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, potrebbe indurre il ricorrente a introdurre con motivi aggiunti non soltanto nuove ragioni, ma anche nuove domande ovvero l’impugnazione di atti diversi rispetto a quelli di cui al ricorso introduttivo, con la conseguenza di dovere corrispondere un nuovo contributo unificato[7]. Tale circostanza acuirebbe il, già delicato, problema circa la compatibilità degli artt. 13 e 14 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa) con il principio di effettività della tutela di cui alla direttiva 89/665/CE[8].
Ma v’è di più. Il Giudice europeo, con il dichiarato obiettivo di dimostrare che l’enunciato principio di diritto non determinerebbe alcun significativo sacrificio per il concorrente, afferma che questi, da un lato, sarebbe comunque «legittimato a proporre un ricorso per risarcimento danni entro il termine generale di prescrizione previsto a tal fine dal diritto nazionale» e, dall’altro, «in caso di annullamento della decisione di aggiudicazione dell’appalto al raggruppamento primo classificato in occasione della procedura di aggiudicazione, una nuova decisione di aggiudicazione dell’appalto a un altro offerente può essere oggetto di un nuovo ricorso di annullamento nel termine previsto dalla normativa nazionale».
Tali considerazioni, oltre a non essere completamente persuasive, sembrano trovare fondamento in una aberrante ricostruzione dei rilevanti strumenti e istituti del processo amministrativo, ponendosi finanche in contrasto con il dettato costituzionale.
A tacere della difficile equipollenza tra l’ottenimento del “bene della vita”, cui è preposta l’azione di annullamento, e il risarcimento per equivalente[9], non si può certo trascurare come la soluzione prospettata rischi di porsi in contrasto con un fondamentale principio sancito dalla nostra Carta costituzionale. Il riferimento è all’art. 113 Cost. che, dopo avere chiarito che «contro gli atti della Pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa» (comma 1), stabilisce che «tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate materie» (comma 2)[10]. Infatti, a ben vedere, la Corte di giustizia, pur rilevando che la soluzione prospettata potrebbe incidere sulla possibilità di azionare la tutela impugnatoria, ritiene che sia sufficiente, per tutelare le posizioni soggettive degli interessati, la esperibilità della domanda risarcitoria. Tuttavia, non può che notarsi come siffatta soluzione determini una limitazione/esclusione dei mezzi di impugnazione (viene esclusa la tutela impugnatoria di cui quella risarcitoria è solo un completamento e non già una sostituzione) manifestando, in tutta evidenza, l’inconciliabile contrasto con il richiamato principio costituzionale[11]. Infatti, pur volendo accedere alla tesi secondo cui l’articolo in parola non escluda la facoltà del legislatore di modulare il tipo di tutela previsto[12], le richiamate conseguenze si manifesterebbero prive di ragionevolezza e adeguatezza[13], alterando il richiamato quadro costituzionale[14].
Le considerazioni che precedono, dunque, consentono di mettere in luce come la soluzione indicata dal Giudice europeo, se calata nel nostro ordinamento, risulti assolutamente insufficiente a garantire adeguata tutela agli interessi del concorrente leso dall’adozione di un provvedimento di aggiudicazione illegittimo.
Per altro verso, l’ulteriore “contrappeso” addotto dalla Corte di giustizia al fine di giustificare la rigida applicazione del principio di certezza del diritto si manifesta addirittura inattuabile. In particolare, la pronuncia in commento rileva come il concorrente, terzo in graduatoria, possa contestare le illegittimità riguardanti le modifiche soggettive dell’aggiudicatario, essendo intervenute dopo l’aggiudicazione definitiva; mentre, le asserite illegittimità che hanno interessato il concorrente, secondo in graduatoria, non possono essere contestualmente introdotte, posto che, riguardando fatti accaduti prima dell’aggiudicazione definitiva, sarebbe decorso il termine di decadenza. Tuttavia, il Giudice europeo giunge a rilevare che, nel caso di specie, il terzo in graduatoria, una volta ottenuto l’accoglimento del ricorso avverso il primo e una volta ricevuta dalla stazione appaltante la comunicazione di aggiudicazione al secondo in graduatoria, potrebbe comunque fare valere le asserite illegittimità nei confronti di quest’ultimo entro il termine di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione della (nuova) aggiudicazione.
Siffatta prospettazione, invero, si riduce a una mera petizione di principio, risultando in contrasto con gli strumenti di tutela previsti nel nostro sistema di giustizia amministrativa. Infatti, l’impossibilità per il ricorrente di introdurre contestualmente alle contestazioni relative all’aggiudicatario anche i vizi che riguardano la posizione del concorrente collocatosi al secondo posto in graduatoria avrebbe l’effetto di privare il gravame di una condizione dell’azione, rendendolo inammissibile. In particolare, in questo caso, il ricorrente, non potendo ottenere alcun vantaggio diretto dall’annullamento dell’atto impugnato, sarebbe privo dell’interesse a ricorrere[15]. Come è stato messo in luce[16], l’interesse a ricorrere, che deve avere i caratteri della personalità (nel senso che il risultato di vantaggio deve riguardare immediatamente e direttamente il ricorrente), dell’attualità (consistente nel fatto che l’interesse deve sussistere al momento della proposizione del ricorso) e della concretezza (nel senso che il pregiudizio lamentato deve essere effettivo) non sussiste laddove l’eliminazione del provvedimento amministrativo impugnato non comporti alcun vantaggio concreto ed effettivo in capo al ricorrente[17].
Pertanto, a differenza di quanto sostiene il Giudice europeo, il concorrente, collocatosi al terzo posto in graduatoria, che non possa contestare anche i vizi relativi alla posizione del concorrente che lo precede in graduatoria, non potrebbe azionare la tutela giurisdizionale. Per la stessa ragione (i.e. assenza di interessa a ricorrere) il terzo in graduatoria non potrebbe contestare unicamente la posizione del secondo (i cui vizi sarebbero ben evincibili entro i termini di decadenza) senza contestualmente censurare vizi che riguardino l’aggiudicatario.

6. Spunti per una lettura del principio di diritto espresso dalla Corte di giustizia a garanzia dell’efficacia della tutela
Le richiamate critiche cui la soluzione adottata dal Giudice europeo presta il fianco impongono di rintracciare una chiave di lettura che ne garantisca la compatibilità, da un lato, con gli istituti su cui si regge il nostro sistema di giustizia amministrativa e, dall’altro, con il principio di effettività della tutela.
L’individuazione del termine di decadenza non può prescindere dalla sussistenza delle condizioni dell’azione, necessarie per potere azionare la tutela giurisdizionale. In particolare, la conoscenza (o conoscibilità) del vizio non è condizione ex se sufficiente per determinare la decorrenza del termine per la proposizione dell’impugnazione degli atti di gara. E ciò perché la rilevabilità dello stesso vizio in sede giurisdizionale ne costituisce requisito logicamente antecedente. In sostanza, benché un vizio del procedimento a evidenza pubblica sia conosciuto o conoscibile, il termine decadenziale non può decorrere fino a quando non possa essere rilevato attraverso gli strumenti di giustizia, ossia fino a quando l’azione non possa essere esercitata.
Alla luce di quanto precede, dunque, si ritiene che la circostanza che il ricorrente sia terzo classificato - del tutto trascurata dalla Corte - debba essere adeguatamente valorizzata dal giudice nazionale che, nel dare applicazione ai principi espressi dal Giudice europeo, non può prescindere dalle regole che governano il nostro sistema di giustizia. Tale operazione, peraltro, sembrerebbe trovare espressa copertura nella sentenza in commento, laddove, dopo avere sancito che «il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine» si fa comunque salva la «espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto».
Da diverso angolo visuale, la valenza generale del principio di diritto sancito dalla Corte di giustizia induce a rintracciarne la concreta portata con riferimento alle ipotesi non direttamente sussumibili al caso deciso. In altre parole, a prescindere dalle peculiarità del caso concreto (in cui, come visto, la soluzione non può non considerare che il ricorrente è il terzo in graduatoria), è necessario indugiare sulla interpretazione che al principio in parola deve essere fornita al fine di individuare il dies a quo per la impugnazione degli atti di gara.
Si ritiene che il necessario presupposto logico da cui prendere le mosse per l’operazione che si intende svolgere è rappresentato dalla individuazione del corretto rapporto sussistente tra la pronuncia che ora si commenta e il precedente del 28 settembre 2010, in cui la Corte di giustizia ha adottato un approccio sostanzialistico, giungendo a ritenere che il termine per proporre ricorso giurisdizionale decorre dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza dei vizi che intende censurare.
Orbene, a dispetto di quanto potrebbe apparire a tutta prima, la sentenza che si commenta non si pone in antitesi, ma in continuità rispetto alle passate indicazioni giurisprudenziali, di talché le conclusioni cui perviene il Giudice europeo nel 2014 non possono che essere lette alla luce dei principi desumibili dalla sentenza 28 settembre 2010. Del resto, la circostanza che il Giudice europeo abbia inteso prendere le mosse dai principi già elaborati nel 2010, piuttosto che sovvertirne il significato, è palesato nelle premesse del ragionamento condotto, ove si legge che «conformemente alla giurisprudenza della Corte, ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni [v., in tal senso, sentenza Uniplex (UK), EU:C:2010:45, punto 32 e giurisprudenza ivi citata]»[18].
Chiarito il rapporto tra le richiamate pronunce, è ora possibile fornire una adeguata interpretazione al principio, secondo cui «nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un’irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell’Unione». La chiave di lettura del principio in parola deve essere rintracciata proprio valorizzando gli spunti ermeneutici contenuti nella sentenza del 28 settembre 2010 che, facendo riferimento alla data in cui il ricorrente «avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa» dimostra di attribuire carattere dirimente al comportamento diligente di questi[19]. In questo senso, assume particolare rilievo il paragrafo 43 della decisione in commento ove si fa espresso riferimento alle informazioni che il ricorrente «avrebbe potuto ottenere dando prova di un’ordinaria diligenza». In sostanza, il principio di diritto deve essere etero-integrato in base alle indicazioni fornite dal precedente giurisprudenziale, nonché dalla parte motiva della pronuncia in esame; di talché ai fini della individuazione del dies a quo decadenziale con riferimento ai fatti accaduti prima dell’aggiudicazione dovrà aversi riguardo alle informazioni che il ricorrente avrebbe potuto ottenere usando l’ordinaria diligenza.
Al fine di misurare la concreta portata del criterio in parola dovrà necessariamente essere richiamato il contesto normativo nazionale.
Ora, a tacere della circostanza in cui la comunicazione dell’aggiudicazione non rispetti i requisiti di cui all’art. 79, cit. e, dunque, sia inutiliter data[20], non può escludersi l’ipotesi in cui, pur avendo ricevuto la comunicazione nelle forme e nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 79, cit., i vizi che il ricorrente può avere interesse a censurare siano unicamente contenuti in atti e documenti non trasmessi con la comunicazione (come, ad esempio, la documentazione amministrativa, l’offerta economica e l’offerta tecnica presentata dall’aggiudicatario). E’ proprio in questa ipotesi che sembra assumere centrale rilevanza il principio di diritto espresso dalla Corte di giustizia, così come supra interpretato. In sostanza, l’individuazione del dies a quo non potrebbe che essere connessa alla diligenza dimostrata dal ricorrente nell’ottenere le informazioni necessarie al fine di potere spiegare il ricorso giurisdizionale. Infatti, solo laddove il concorrente abbia richiesto diligentemente la ostensione di tutti i documenti utili, mediante l’esercizio del diritto di accesso ex art. 79, comma 5-quater, d.lgs. 163/2006, il termine per ricorrere potrà iniziare a decorrere dalla trasmissione e, quindi, dalla conoscenza legale dei documenti richiesti, dal cui esame è possibile avere contezza dei vizi che saranno oggetto di gravame. Del resto, la prospettata interpretazione sembra coerente anche con la definizione del principio di certezza del diritto che viene fornita nella sentenza in esame, ove si legge che tale principio «impone che le informazioni così ottenute e quelle che si sarebbero potute ottenere non possano più servire come fondamento per la proposizione di un ricorso da parte dell’offerente dopo la scadenza del termine previsto dal diritto nazionale»[21].

7. Brevi considerazioni sui profili applicativi dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia: alla ricerca del comportamento diligente
La trasposizione dei principi di diritto in aspetti applicativi impone lo sforzo di individuare la concreta portata dei primi, tenendo conto del quadro normativo di riferimento. E, dunque, per quanto qui interessa, è necessario chiedersi quando ed entro quali limiti il ricorrente può essere considerato diligente.
Non sembra che il mero esercizio del diritto di accesso possa ex se dimostrare la diligenza del comportamento tenuto dal concorrente, dovendosi necessariamente tenere in considerazione anche i tempi entro cui tale diritto viene esercitato. A tal fine un utile parametro di riferimento potrebbe essere rappresentato dal termine di dieci giorni entro cui il comma 5-quater, cit., consente l’accesso ai documenti. Invero, la formulazione normativa non permette di comprendere pacificamente se il termine in questione si riferisca al privato (cioè il concorrente può richiedere l’accesso agli atti secondo il meccanismo “speciale” previsto solo entro dieci giorni) ovvero all’amministrazione (ossia l’accesso ai documenti deve essere autorizzato entro dieci giorni)[22]. Tuttavia, ai fini che qui interessano, è ragionevole ritenere che il concorrente che richieda di accedere ai documenti entro dieci giorni da quando ha avuto contezza dell’aggiudicazione ha tenuto un comportamento diligente. E ciò gli consente di potere efficacemente spiegare l’azione giurisdizionale a prescindere da quando la stazione appaltante trasmetterà i documenti richiesti. In sostanza, verificato il presupposto della diligenza, stando alla prospettata interpretazione del principio europeo, il termine per ricorrere non potrà decorrere fino a quando il concorrente non avrà ricevuto la richiesta documentazione.

8. Conclusioni
Come si è cercato di dimostrare le anomalie sottese alla sentenza in commento sono più apparenti che reali. Mentre il primo principio di diritto sembra non aggiungere nulla al panorama interpretativo, il secondo deve essere letto con particolare rigore metodologico, valorizzando gli spunti ermeneutici forniti nella parte motiva della decisione. In tal modo, il secondo principio di diritto, lungi dallo sconfessare i risultati pretori raggiunti a livello europeo, ne garantisce piuttosto una vigorosa applicazione.
Nel quadro complessivo che emerge dalle considerazioni sopra svolte il dies a quo per la decorrenza del termine di decadenza non può prescindere dalla valutazione, caso per caso, del comportamento tenuto dall’interessato. Infatti, laddove dalla comunicazione dell’aggiudicazione - seppur resa nel rispetto dell’art. 79 d.lgs. 163/2006 - non emergano vizi del procedimento amministrativo che possono essere oggetto di gravame, il bilanciamento dei principi di certezza del diritto e di efficacia della tutela induce a ritenere che il termine decorre solo dal giorno in cui il concorrente abbia ottenuto i documenti e le informazioni, tempestivamente e, dunque, diligentemente richiesti.
Ai fini del decorso del termine decadenziale dovrà necessariamente farsi riferimento alle specificità del caso concreto. In particolare:
(i) la comunicazione dell’aggiudicazione non è conforme all’art. 79 d.lgs. 163/2006: il termine di decadenza non potrà decorrere, almeno fino alla integrazione del suo contenuto, in quanto siffatta comunicazione è inutiliter data;
(ii) la comunicazione dell’aggiudicazione è conforme all’art. 79 d.lgs. 163/2006, ma nessun vizio può essere rilevato dall’esame dei documenti trasmessi; in questo caso:
(ii.a) se il concorrente non esercita il diritto di accesso ai documenti amministrativi, entro dieci giorni dalla comunicazione, il termine di decadenza decorrerà regolarmente;
(ii.b) se il concorrente diligentemente, ossia entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, richiede l’accesso ai documenti amministrativi, il termine di decadenza per fare valere i vizi che risulteranno dall’esame dei documenti richiesti, inizierà a decorrere da quando il concorrente ha la disponibilità degli stessi.
In sostanza, la mancata conoscenza dei documenti necessari a rilevare i vizi dell’azione amministrativa, per ragioni non dipendenti dal comportamento (procedurale e processuale) del concorrente, non ne potrebbe impedire la rilevabilità, pena, tra l’altro, la violazione degli artt. 24 e 113 Cost.

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[1] Tra le più rilevanti pronunce si v. Corte giust. 28 gennaio 2010, causa C-406/08; Id. 27 febbraio 2003, causa C-327/00; Id. 12 dicembre 2002, causa C-470/99.
[2] Il riferimento è a Cons. Stato, Ad. plen., 20 maggio 2013, n. 14, che ha ritenuto di non esprimersi, preferendo attendere la pronuncia della Corte di giustizia, atteso che «E’ agevole constatare che le questioni proposte dal TAR Puglia si sovrappongono a quelle sollevate dall’ordinanza di rimessione qui in esame, e pertanto appare inopportuna l’enunciazione di un punto di diritto su problematica coinvolgente fonti comunitarie mentre è atteso il dictum della Corte competente ad enunciarne l’interpretazione autentica e vincolante».
[3] Infatti, ai sensi degli artt. 119 e 120 c.p.a., rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo e sono soggette al rito abbreviato le controversie relative a «provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture». Per un utile inquadramento delle rilevanti sottese questioni, cfr. A. Travi, La giurisdizione sul contratto fra giurisdizione amministrative e giurisdizione ordinaria: la disciplina del c.p.a. e i nuovi interrogativi (Nota a Cass. civ., sez. un., ord. 29 maggio 2012, n. 8515, Banca naz. lav. c. Com. Terni), in Urb. e app., 2012, 1148; C. Russo, La giurisdizione ed il rito degli appalti pubblici, aggiornato ai d.leg. 159/2011 e 195/2011, Milano, 2012; R. Proietti, Riparto di giurisdizione e di competenze legislative in tema di appalti: stipula del contratto e revoca dell’aggiudicazione (Nota a Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2011, n. 391), in Urb. e app., 2011, 420; I. Franco, Giurisdizione sulle controversie in materia di contratti pubblici: incidenza della direttiva ricorsi e del decreto di recepimento, in Urb. e app., 2010, 1391.
[4] In questo senso pare potersi collocare Corte giust. 11 ottobre 2007, secondo cui «la direttiva 89/665, e segnatamente l’art. 1, nn. 1 e 3, della stessa, osta a che una norma sulla decadenza dettata dal diritto nazionale venga applicata in modo tale per cui venga negata ad un offerente la possibilità di presentare un ricorso relativo alla scelta della procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico o alla stima del valore di tale appalto, nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice non abbia chiaramente indicato all’interessato il quantitativo o l’entità totale dell’appalto suddetto. Le medesime disposizioni della detta direttiva ostano altresì a che una decadenza siffatta venga estesa in via generale ai ricorsi diretti contro le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice, ivi comprese quelle intervenute in fasi della procedura di aggiudicazione successive al termine fissato dalla norma decadenziale in questione».
[5] Si consideri infatti che l’art. 40 c.p.a., dopo avere precisato che «il ricorso deve contenere distintamente: … d) i motivi specifici su cui si fonda il ricorso» (comma 1), afferma che «i motivi proposti in violazione del comma 1, lettera d), sono inammissibili» (comma 2).
[6] Infatti, l’art. 26, comma 2, dispone che «il giudice condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio». Per una critica del c.d. “ricorso al buio” si v. E. Picozza, Il processo amministrativo, Milano, 2008, 226.
[7] Sul punto si v. la circolare 18 ottobre 2011, recante «istruzioni sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel processo amministrativo», che chiarisce il contenuto applicativo dell’art. 13, comma 6-bis, d.p.r.30 maggio 2002, n. 115.
[8] Si consideri che TAR Trento, con ord. 29 gennaio 2014, n. 23, ha rimesso alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale se i principi fissati dalla direttiva ricorsi 89/665/CE ostino ad una normativa nazionale, quale quella di cui agli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater, e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del d.p.r. 115/2002, rilevando che «La compatibilità della normativa italiana sul contributo unificato in materia di contratti pubblici, con il Diritto Comunitario ed in particolare con la Direttiva dell’Unione europea 89/665 (c.d. Direttiva ricorsi), appare dubbia sia perché, l’aumento continuo e progressivo del contributo unificato, oltre ad avere un effetto dissuasivo in ordine alla contestazione degli esiti di gara, contrasta con i principi comunitari di proporzionalità e di divieto di discriminazione, nonché, soprattutto, con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, sia perché la misura del contributo risulta del tutto sganciata dal valore effettivo della causa, coincidendo talvolta anche sull’utile d’impresa preventivato in sede di partecipazione alla gara». Sulla questione relativa all’impatto negativo degli aumenti del contributo unificato sul diritto di difesa in materia di affidamenti dei contratti pubblici cfr. L. Gili, Avvocato, ma quanto mi costa? (Note e divagazioni sull’attuale diritto alla difesa in materia di affidamenti di contratti pubblici), in www.giustamm.it.
[9] Cfr. F. Sciarretta, Appunti di giustizia amministrativa, Milano, 2007, 231 ss.
[10] Sul punto, cfr. F.G. Scoca, L’evoluzione del sistema, in (a cura di F.G. Scoca) Giustizia amministrativa, Torino, 2011, 20, secondo cui l’art. 113 Cost. «è la disposizione più importante in tema di tutele contro l’amministrazione [e] si può ritener attuata, ma solo sul versante del processo amministrativo, con l’entrata in vigore del Codice, a condizione che esso venga inteso alla luce della legge di delega, che auspica la soddisfazione della pretesa della parte vittoriosa ». In argomento, per un completo inquadramento della disposizione in parola, si v. G. Berti, Art. 113, in (a cura di G. Branca) Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1987, 85 ss.; M. Nigro, L’art. 113 della Costituzione e alcuni problemi della giustizia amministrativa, in Foro amm., 1949, 72 ss.; G. Roehrssen, L’art. 113 della Costituzione e la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini nei riguardi della pubblica amministrazione, in Nuova rass., 1949, 265 ss.
[11] Si v. M. Rossano, L’art. 113 della nuova Costituzione e l’abrogazione delle norme che limitano le impugnative, in Foro it., 1949, III, 55; V. Bachelet, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966, spec. 68.
[12] Cfr. U. Allegretti, Il controllo della pubblica amministrazione da parte della Corte costituzionale, in Studi in onore di L. Galateria, Rimini, 1987, 43 s. In giurisprudenza, si v. Corte cost., 16 giugno 1964, n. 47; Id. 22 dicembre 1964, n. 118; Id. 2 luglio 1966, n. 78.
[13] Si v. Corte cost., 3 aprile 1987, n. 100.
[14] Sull’incidenza dell’art. 113 Cost. sulle scelte legislative che, direttamente o indirettamente, determinano una compressione della tutela giurisdizionale, si v. l’ampio dibattito che ha riguardato la legittimità costituzionale delle disposizioni di legge che hanno determinato la dequotazione dei vizi formali: in argomento, si v. D.U. Galetta, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge n. 241/90, in www.giustamm.it; F. Fracchia, M. Occhiena, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in www.giustamm.it; D.U. Galetta, L’annullabilità del provvedimento amministrativo per vizi del procedimento, Milano, 2003, 209 ss.; F. Fracchia, Vizi formali, semplificazione procedimentale, silenzio-assenso e irregolarità, in Dir. econ., 2002, 453 ss.; F. Saitta, L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento: profili sostanziali e processuali, in Dir. amm., 2000, 484 s.
[15] Si v. R. Villata, Interesse ad agire (diritto processuale amministrativo), in Enc. giur., vol. XVII, Roma, 1989, 1.
[16] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2013, 124.
[17] Si v. F. Sciarretta, Appunti di giustizia amministrativa, cit., 149.
[18] Paragrafo 37.
[19] Così G. Carullo, Appalti: il termine di ricorso fra incertezze interpretative e riforme legislative, cit., 558.
[20] In questo senso, si v. F. Siciliano, Note di motivi dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, in Foro amm. - TAR, 2011, 1445, secondo cui «Il mancato assolvimento di tali incombenti notiziali dovrebbe produrre la logica conseguenza della non maturazione dell'onere di impugnativa giurisdizionale».
[21] Paragrafo 35.
[22] Infatti, Cons. Stato parere n. 368/2010, cit. ha affermato che «non appare chiaro se il termine di dieci giorni debba essere letto come previsto nell’interesse esclusivo del richiedente (che in tale termine sarebbe abilitato ad esercitare il proprio diritto nelle agili forme della norma ma che comunque potrebbe sempre proporre istanza di accesso secondo le regole generali) ovvero nell’interesse dell’amministrazione e avrebbe in tal caso una portata sostanziale, indicando il limite temporale entro cui il diritto di accesso può essere esercitato».

 

(pubblicato il 15.7.2014)

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