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n. 7-2014 - © copyright |
ANTONELLA MIRABILE
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Un nuovo capitolo nella «guerra» al
contributo unificato in materia di appalti: il T.R.G.A. di Trento sospende
l’invito al pagamento
1. Premessa.
Il T.R.G.A. di Trento torna
nuovamente[1] sulla questione del contributo unificato in materia di
appalti. Con l’ordinanza
cautelare 25 giugno 2014, n. 58, ritenendo sussistente, ai sensi
dell’art. 55 del c.p.a., il presupposto del “pregiudizio
grave” , ha sospeso l’efficacia della nota del Segretario
Generale del T.R.G.A. di Trento con la quale si invitavano gli
avvocati ricorrenti ad integrare il pagamento del contributo
unificato.
Si tratta di un unicum nel panorama
giurisprudenziale, ma, a ben vedere, rappresenta il naturale
sviluppo dell’orientamento avviato con l’ordinanza di rinvio
pregiudiziale del 29 gennaio 2014, n. 23.
Nel caso in esame lo
studio legale ricorrente, invitato ad integrare il pagamento del
contributo unificato, ha impugnato ex novo l’invito del
Segretario Generale del T.R.G.A. di Trento chiedendone
l’annullamento e la sospensione in via cautelare.
Il giudice
trentino ha ritenuto sussistenti i presupposti per la concessione
della misura cautelare collegiale in quanto “al mancato pagamento
del contributo unificato – entro il termine indicato e nell’importo
integrato come quantificato nella nota impugnata – consegue
l’addebito di interessi e sanzioni “a cascata”, fatto che,
indubbiamente, può comportare negative conseguenze per lo studio
legale dei ricorrenti, sia in termini patrimoniali che sul piano
dell’immagine professionale”.
2. Il periculum in
mora: la disciplina italiana del contributo unificato e le
sanzioni in caso di mancato pagamento.
Per meglio
comprendere i presupposti della concessione di tale sospensione è
opportuno analizzare la disciplina del contributo unificato e le
sanzioni che conseguono all’omesso od insufficiente pagamento dello
stesso.
Il quadro normativo relativo a tale materia è stato
definito dal T.R.G.A. di Trento, nella veste di giudice del rinvio
nell’ambito dell’ordinanza di gennaio, come un quadro che, oltre ad
essere assai frastagliato “non [è] sempre logico né coerente
nella determinazione e nella diversificazione degli importi del
contributo unificato, dal quale, comunque, spicca l’evidente,
sproporzionata penalizzazione nella tassazione dei ricorsi davanti
al giudice amministrativo soprattutto in materia di contratti
pubblici”.
La normativa del contributo unificato fissato in
proporzione al valore della controversia è stata introdotta
dall'art. 13, comma l, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
sostituendo così il sistema previgente (ex D.P.R. 6/10/1972, n. 642
e succ. mod.), il quale prevedeva il pagamento di una marca da bollo
ogni quattro pagine, da versare anticipatamente al momento
dell’iscrizione a ruolo, e di diritti di segreteria.
Nel 2006
l'art. 21 del D.L. n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n.
248 e successivamente integrato dall'art. 1, comma 1307, della legge
27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), inseriva un comma
6-bis al suddetto art. 13. Si svincolava, così, il contributo
unificato, per i soli processi amministrativi, dal valore della
controversia, prevedendo un differente criterio per materia, in
seguito di nuovo distinto in base ad una ulteriore differenziazione
delle materie.
In tal modo il contributo unificato dovuto per i
ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al
Consiglio di Stato, oltre che per il ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica[2], è ordinariamente dovuto nell’importo
di 650 euro, prevedendosi diverse quantificazioni per alcune materie
particolari[3].
Il contributo unificato non è dovuto solo
all'atto di iscrizione a ruolo del ricorso introduttivo del
giudizio, bensì, in base a quanto disposto dall'art. 15 del d.lgs.
20 marzo 2010, n. 53, anche per “quello incidentale e i motivi
aggiunti che introducono domande nuove”.
Il contributo
unificato per il contenzioso amministrativo, soprattutto in materia
di appalti, è stato sempre più innalzato[4], sino ad arrivare ai
valori attuali[5]:
- € 2.000 quando il valore dell’appalto è
pari o inferiore a euro 200 mila;
- € 4.000 per le controversie
di valore compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro;
- € 6.000 per
quelle di valore superiore a 1.000.000 euro.
Tali importi in sede
di appello sono aumentati del 50%[6]. Dunque, per adire il Consiglio
di Stato al fine di chiedere l’annullamento di una sentenza di un
TAR in materia di appalti è necessario che l'appellante[7] versi
rispettivamente 3.000, 6.000 e 9.000.
Come se ciò non fosse
sufficiente, al fine di deflazionare ulteriormente il contenzioso,
la legge n. 228/2012 ha introdotto al citato art. 13, il comma
1-quater[8], prevedendo con esso una sorta di sanzione
occulta o indiretta nel caso di impugnazioni in appello dichiarate
infondate, inammissibili o improcedibili. Tale sanzione, tuttavia,
sembra non essere applicabile ai giudizi innanzi al giudice
amministrativo, ma “essa è comunque rivelatrice di un intento
quasi intimidatorio a non insistere nell’azione giurisdizionale
intrapresa ed a non "disturbare" oltre il giudice: come tale,
sintomo ulteriore dell’irrazionalità ed iniquità dell’intera
disciplina” [9].
Ulteriore sanzione è prevista dal comma
6-bis (introdotta dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148),
ai sensi del quale il ricorrente è tenuto al pagamento del 50% in
più del contributo unificato per negligenze ed omissioni a lui non
imputabili (nella specie la mancata indicazione da parte del
difensore del proprio indirizzo pec e del proprio recapito fax
ovvero del codice fiscale della parte).
È evidente, allora,
l'ulteriore iniquità di tale disciplina. A rendere il quadro ancora
più frastagliato contribuisce anche la disposizione di cui all'art.
14, comma 3-ter, del D.P.R. n. 115/2002[10] (introdotto
dall'art. 1, co. 26, L. n. 228/2012), la quale ha previsto che
il
valore della controversia vada calcolato sull'importo posto a
base d'asta dalla stazione appaltante e non già sul margine di utile
che l'impresa potrebbe realizzare dall'esecuzione del contratto
d'appalto, stimato all'incirca nel 10% dell'importo a base
d'asta.
Per quanto concerne la disciplina per l’omesso o
insufficiente pagamento del contributo unificato, la Circolare del
Segretario Generale della Giustizia Amministrativa dell’18 ottobre
2011 (successivamente modificata ed integrata), non collega ad esso
l’inammissibilità del ricorso, ma ne fa derivare l’obbligo per
l’ufficio giudiziario di procedere all’esazione del tributo, con
l’eventuale irrogazione delle sanzioni pecuniarie connesse
all’inadempimento. Quanto alle modalità operative per l’irrogazione
delle sanzioni, vengono richiamate quelle previste dalla circolare
del Segretariato generale della Giustizia amministrativa del 26
aprile 2007, n. 10186.
Nella Circolare 18 ottobre 2011 si
precisa, inoltre, che l’invito al pagamento deve recare, ai sensi
dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (“statuto del
contribuente”), la motivazione della richiesta di contributo
unificato, nonché l’indicazione del responsabile del procedimento e
dei termini per proporre ricorso alla commissione tributaria
provinciale.[11] Infine, quanto alla riscossione coattiva, valgono
le modalità stabilite con la circolare del Segretariato generale
della Giustizia 29 gennaio 2004 n. 56 (parte III).
Ai sensi
dell’art. 16[12] del D.P.R. 115/2002 per la riscossione del
contributo unificato si applicano gli artt. 247[13], 248[14] e
249[15] del medesimo D.P.R. calcolando nell’importo da iscrivere a
ruolo gli interessi legali dalla data di deposito dell’atto al quale
si collega il mancato o l’insufficiente pagamento del contributo
unificato, si applica, inoltre, sia all’omesso sia all’insufficiente
pagamento la sanzione amministrativa prevista dall’art. 71 del
D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131[16], la quale prevede la maggiorazione
del dovuto dal cento al duecento percento.
E’ evidente che,
sebbene al mancato o insufficiente pagamento del contributo
unificato non corrisponda l’inammissibilità del ricorso, qualora non
si adempia nel termine di un mese dalla notifica dell’invito al
pagamento, l’importo dovuto può arrivare ad avere una
quantificazione notevole. Difatti, posto che si sia pagato il
contributo di 650 euro in luogo di quello di 6.000 euro, si potrebbe
arrivare a pagare solo per la sanzione amministrativa
(considerata nel massimo dell’importo) 10.700 euro, ai quali,
ovviamente, bisognerà aggiungere i 5.350 euro di differenza, più gli
interessi legali.
Risulta chiaro che, come affermato dal
T.R.G.A., nel caso in commento si venga a produrre l’addebito di
interessi e sanzioni “a cascata”.
3. I c.d. Court
fees in un'ottica comparata.
Per comprendere in maniera
più adeguata la disciplina del contributo unificato in materia di
aggiudicazione di contratti pubblici in ambito nazionale è opportuno
guardare alla presenza o meno di spese di giustizia negli altri
ordinamenti dell'Unione.
A tal proposito, vi sono paesi nei
quali tale tipologia di ricorsi è completamente gratuita, come ad
esempio la Romania, la Lettonia, la Francia[17], la Svezia, la
Spagna (esclusa la Comunità Autonoma della Catalogna[18]) ed i
procedimenti di fronte ai giudici dell'Unione Europa.
Vi sono
altri stati nei quali il costo di accesso alla giustizia è contenuto
e ad importo standardizzato come ad esempio la Lituania (circa 290
euro), la Danimarca (circa 1.339 euro), il Regno Unito[19] (circa
340 euro nel caso in cui venga concessa l'autorizzazione, il c.d. leave[20], per proseguire la domanda per judicial
review).
Altri Stati prevedono il pagamento del contributo
unificato sulla base di una percentuale del valore del contratto (ad
esempio in Estonia il 3% del valore del contratto) ed altri che
prevedono degli scaglioni (come ad esempio in Italia con i ben noti
importi da 2.000 a 6.000 euro).
L’Italia non è l’unico Stato nel
quale sono sorti accesi dibattiti sulla quantificazione del
contributo unificato.
Ad esempio, in Francia[21] l'art. 54 della
legge 2011-900 del 29 luglio 2011, modificando la legge
finanziaria, inseriva l'art. 1635 bis Q al Code
Général des impots, il quale, in deroga alle disposizioni che
esoneravano da qualsiasi tipo di imposta l'accesso alla giustizia,
prevedeva una sorta di contributo di 35 euro per il primo grado e di
150 per l'appello per qualsiasi tipo di controversia, a pena di
irricevibilità del ricorso, al fine di coprire le spese per
l'aide juridique (una sorta di gratuito patrocinio francese).
L'introduzione di tale tributo, nonostante la finalità sociale a cui
esso era destinato, è stata molto osteggiata tanto da indurre il
Governo all'abolizione dello stesso.
L' art. 128 della
legge finanziaria per il 2014, il decreto 2013-1280 del 29 dicembre
2013, infatti, ha abolito tale previsione per tutti i ricorsi
presentati dopo il 1 gennaio 2014. Il Ministero della Giustizia, nel
comunicare tale abolizione, dichiarò che le ragioni di tale scelta
erano da rinvenire nella necessità di favorire una “giustizia «di
prossimità» accessibile al più grande numero di cittadini”
[22].
La Spagna fornisce un altro esempio interessante, con
l’introduzione da parte del Governo spagnolo di una tasa por el
ejercicio de la potestad jurisdiccional en los órdenes civil,
contencioso-administrativo y social.
Questa tasa di livello statale è stata introdotta dalla l. 10/2012 del 20
novembre 2012 prevedendo nel Titolo I il pagamento di una tassa per
l'esercizio delle azioni in tutte le giurisdizioni. Tale contributo
è costituito dalla somma di un importo fisso e di un importo
parametrato al valore della controversia[23].
Come facilmente
immaginabile queste disposizioni del governo spagnolo hanno
incontrato il disappunto non solo di avvocati e giudici ma anche dei
cittadini. Tale disappunto veniva manifestato, in maniera del tutto
peculiare, già dal giorno successivo all'entrata in vigore di tali
disposizioni, difatti, con una nota il Juzgado De Lo Social no 1
De Benidorm (nella provincia di Alicante) dichiarava la nuova
normativa in materia di spese di giustizia contraria al diritto
dell'Unione Europea e, conseguentemente, tale Corte avrebbe potuto
non dichiarare l'inammissibilità delle procedure per le quali non
fosse stato pagato il contributo. I parametri in base ai quali il
giudice del Tribunale del lavoro della provincia di Alicante ha
ritenuto non compatibile la disciplina di tale contributo sono i
principi sanciti nell'art. 47 della Carta dei Diritti dell'Unione
Europea ed l’interpretazione di una recente pronuncia della Corte di
Giustizia[24] la quale, in forza del principio della parità delle
armi, richiede che vi sia un equilibrio tra le parti.
Nell'interpretazione del giudice valenziano un cospicuo contributo
farebbe, dunque, venire meno questo equilibrio[25].
E', infine,
interessante il caso polacco relativo ai court fees dovuti
per i contenziosi in materia di contratti pubblici. Il contributo è
qui previsto per quanto riguarda il primo grado in importo variabile
a seconda del valore del contratto da un minimo di circa 1.500 euro
ad un massimo di circa 4.785 euro, per il secondo grado è invece
previsto il quintuplo di quanto dovuto in primo grado, e nel caso in
cui il ricorso abbia ad oggetto azioni poste in essere dalla
stazione appaltante dopo l’apertura delle offerte il contributo
unificato dovuto sarà calcolato nel 5% del valore del contratto con
un tetto massimo di circa 1,2 milioni di euro.
Della questione è
stata investita la Corte Costituzionale polacca, la quale nel giro
di tre mesi è arrivata a due conclusioni differenti.
Nel gennaio
di quest'anno nel Case n. SK 25/11 con sentenza del 14 gennaio la
Corte Costituzionale, investita della questione riguardante l'art.
32 (2) della legge sulle spese di giudizio in materia civile, ha
ritenuto la previsione legittima.
Il caso riguardava i ricorsi di
due società involte in due diverse procedure di affidamento per le
quali era previsto, in sede di appello, il pagamento di un
contributo unificato molto alto, ma sotto la soglia del tetto
massimo; essi erano stati respinti in sede di appello perché non era
stato pagato il contributo, veniva sollevata, a tal riguardo, la
questione di legittimità costituzionale ritenendo che un costo così
alto fosse contrario ai principi di accesso alla giustizia, appello
avverso la prima istanza di giudizio, proporzionalità e parità di
trattamento per enti che si trovano nella stessa posizione.
La
Corte ha ritenuto, tuttavia, la decisione della questione non
rilevante nel caso di specie in quanto le spese di giudizio del
ricorso non sarebbero state abbastanza alte per essere poste alla
base della decisione.
Posto ciò, tuttavia, la Corte, pur non
soffermandosi sul tetto massimo o sul livello a cui esso è stato
fissato, ha ritenuto la disposizione conforme a Costituzione in
quanto il legislatore sarebbe legittimato a scegliere l'importo
ovvero i livelli delle spese di giustizia in materia civile, tra
l'altro il medesimo livello di contribuzione è previsto anche per i
contenziosi in materia di diritto di proprietà. Inoltre, in taluni
casi, esistono delle previsioni che consentono alle parti di non
pagare il contributo.
In aprile una nuova decisione della Corte
Costituzionale polacca (Case n. SK 12/13 del 15 aprile 2014) ha
stabilito, contrariamente alla precedente decisione, che un tetto
massimo così alto viola il principio di accesso alla giustizia e il
diritto di appello, essa ha stabilito così che le spese di giudizio
dovute in sede di appello sono in tutti i casi cinque volte quelle
dovute per il primo grado di giudizio.
In questo secondo caso la
Corte ha riconosciuto in capo ai ricorrenti l’interesse al ricorso
in quanto essi sarebbero stati tenuti a pagare, per il grado di
appello, il tetto massimo di 1,2 milioni di euro.
La disposizione
della legge sui costi di giustizia polacca, l’articolo 34 (2), è
stato ritenuto incostituzionale in quanto l’obbligo del pagamento di
un contributo così alto per i soli ricorsi inerenti la fase
successiva all’apertura delle offerte è da ritenersi arbitrario e
sproporzionato.
Sembra, dunque, alla luce di questa breve e non
esaustiva disamina che l'Italia si collochi tra quei paesi europei
che impongono ai propri cittadini una contribuzione alle spese di
giustizia per quanto concerne i contratti pubblici molto alta,
sebbene non si tratti della più consistente.
Emerge inoltre, senza
ombra di dubbio, un dato incontrovertibile: l'esigenza di rendere
l'accesso alla giustizia, soprattutto in una materia così delicata,
il più aperto ed economico possibile.
4. Il fumus: l’incompatibilità con i principi comunitari e con le c.d.
Direttive ricorsi.
Per comprendere, a questo punto, le
ragioni per le quali il collegio ha ritenuto sussistenti “i
profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole
previsione sull’esito del ricorso”, è necessario analizzare i
motivi posti alla base della ordinanza di remissione della questione
pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE[26], l’ordinanza 29
gennaio 2014, n. 23.
Secondo il giudice trentino, infatti, la
normativa riguardante il contributo unificato in materia di
appalti pubblici si pone in contrasto con i parametri e principi
dell'ordinamento comunitario, ed in particolare con la cd. direttiva
ricorsi 89/655/CEE (così come successivamente modificata).
La
direttiva appena richiamata, all'art. 1[27], stabilisce i principi
che dovranno caratterizzare le procedure di ricorso previste dagli
Stati membri: efficacia e rapidità del ricorso, non discriminazione
ed accessibilità delle procedure stesse “a chiunque abbia o abbia
avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato
appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta
violazione”. In sostanza, tali procedure dovranno garantire il
più generale principio di effettività della tutela
giurisdizionale[28].
È proprio in relazione a tale direttiva che
il T.R.G.A. Trento ha riscontrato dei possibili profili di
incompatibilità ed in particolare, a suo avviso, “l’eccessiva
somma da versare, non solo all’atto di deposito del ricorso
principale, ma anche per il deposito di ogni atto per motivi
aggiunti o ricorso incidentale, nonché nella successiva eventuale
fase di appello, incide in modo decisivo ed intollerabile:
a) sul
diritto di agire in giudizio, cioè sulla libertà di scelta di
ricorrere al giudice amministrativo, da parte di tutti gli operatori
economici interessati al mercato dei contratti pubblici, che
intendano chiedere l'annullamento di un provvedimento
illegittimo;
b) sulle strategie processuali dei difensori, che
saranno oltretutto condizionate anche dalla discriminazione tra
operatori economici "ricchi", per i quali resta comunque conveniente
accettare l’alea della tassazione elevata a fronte della prospettiva
di ottenere un rilevante beneficio economico, all’esito
eventualmente favorevole del giudizio, rispetto ad operatori
economici modesti, per appalti non particolarmente lucrativi, per i
quali potrebbe rivelarsi non affatto conveniente anticipare le
anzidette somme così sproporzionate al valore (effettivo)
dell’appalto; c) sulla pienezza ed effettività del controllo
giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione e
sull’osservanza dello stesso principio costituzionale di buon
andamento, al quale si ricollega strumentalmente il diritto ad una
tutela giurisdizionale effettiva”.
In sostanza l'eccessiva
onerosità del contributo da versare all'atto di presentazione del
ricorso e di tutti gli atti successivi volti ad ampliare l'oggetto
della domanda contrasterebbero con il diritto di adire in giudizio,
con il principio di non discriminazione e più in generale con il
principio di effettività della tutela
giurisdizionale[29].
Inoltre, la disciplina così come configurata
dal legislatore italiano ingenera non solo una discriminazione tra
operatori dotati di adeguati mezzi economici e quelli dotati di
scarsi mezzi[30], ma anche una discriminazione tra coloro che si
rivolgono al giudice amministrativo rispetto a coloro che invocano
la tutela del giudice civile o tributario, davanti ai quali per
agire in giudizio per controversie di valore elevatissimo si può
arrivare a pagare un massimo di 2.932 euro. È in tal modo evidente
quanto sia abnorme ed irragionevole la sproporzione, nonché
l'evidenza della disparità di trattamento sussistente nella
tassazione tra i diversi giudici.
Non può giustificare tale
iniquità, secondo il T.R.G.A., neanche il fatto che in caso di
vittoria il contributo venga rimborsato[31]. “Il ricorrente,
infatti – dovendo comunque anticipare il pagamento del
contributo unificato – salvo il successivo rimborso, peraltro in
tempi resi incerti dalla notoria inefficienza dell’apparato
burocratico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio - si
trova sostanzialmente esposto al meccanismo del c.d. solve et
repete[32], cioè all'onere del pagamento del tributo quale
presupposto imprescindibile dell’esperibilità (anche se non a pena
di inammissibilità) dell'azione giudiziaria diretta a ottenere la
tutela del diritto del contribuente mediante l'accertamento
giudiziale dell’illegittimità del tributo stesso”.
A causa
dell'inspiegabile misura del contributo si generano non solo effetti
distorsivi della concorrenza, ma anche meccanismi che incidono
sull'effettività della tutela giurisdizionale davanti al giudice
amministrativo in materia di contratti pubblici. Tale principio non
si limiterebbe alla classica formula utilizzata dal giudice
comunitario per cui le modalità procedurali non devono rendere
praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei
diritti conferiti dall'ordinamento giuridico europeo[33], ma, alla
luce dell'art. 19, paragrafo 1, TUE alla stregua del quale “gli
Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per
assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori
disciplinati dal diritto dell'Unione”, andrebbe oltre, potendo
significare che i mezzi di ricorso nazionali debbano essere
accessibili, rapidi ed avere costi contenuti[34].
Sotto
altri profili la disciplina interna relativa al contributo unificato
comporta anche la violazione del principio di proporzionalità che “costituisce parte integrante dei principi generali di diritto
comunitario ed esige che la normativa nazionale non ecceda i limiti
di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi
pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. Alla stregua di
tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta tra più
misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e
penalizzante, in modo che gli inconvenienti causati dalle stesse
misure non siano sproporzionati rispetto ai fini da
raggiungere”.
Proporzionalità violata sotto un duplice
aspetto, da un lato, infatti, la determinazione del contributo è
parametrata non già sul valore effettivo della controversia (utile
dell'impresa fissato convenzionalmente nel 10% dell'importo di
aggiudicazione), bensì su di un valore teorico (la base d'asta),
dall'altro “se il contributo unificato è una tassa che il
ricorrente è tenuto a versare anticipatamente in relazione a
un'utilità specifica che egli trae dalla prestazione di un servizio
pubblico (cioè, nel caso, dall'attività giurisdizionale) reso a sua
richiesta, il servizio stesso dovrebbe essere parametrato ai costi
sopportati dallo Stato per l'organizzazione ed il funzionamento
dell'apparato giurisdizionale”, ma il costo per il giudizio
amministrativo in materia di appalti non può dirsi certamente
diverso né distinto da quello per altri contenziosi.
Queste,
dunque, complessivamente sono le ragioni per le quali il giudice
amministrativo di Trento ha dubitato della conformità di tale
normativa interna alla direttiva dell'Unione Europea 89/655, “che
impone agli stati membri di rendere accessibili le procedure di
ricorso, sembrando costituire un ostacolo all'accesso alla giustizia
amministrativa da parte di chiunque sia stato o rischi di essere
leso a causa di una presunta violazione in materia di
appalti”.
È proprio in questo filone interpretativo che si
inserisce l’ordinanza cautelare in commento. Il fumus boni iuris, a mio modo di vedere, consiste proprio in questo, nella palese
violazione del diritto comunitario da parte della normativa italiana
in materia di contributo unificato per le controversie riguardanti
gli appalti pubblici. Violazione che il T.R.G.A. Trento aveva già
riscontrato nell’ordinanza di cui sopra.
5. Alcune
considerazioni e conclusioni.
Il T.R.G.A. di Trento si sta
facendo sempre più intensamente portatore delle istanze degli
operatori del diritto e dei cittadini in una tematica, come quella
del contributo unificato, nella quale il legislatore, oltre a
sembrare sordo, impavidamente prosegue[35] nell’ottica della
deflazione del contenzioso e nel rimpinguamento delle casse
erariali.
Sono, infatti, da ascrivere a questo illuminato
Giudice, meritevole della lettera maiuscola, le “prime volte”: la
prima questione pregiudiziale[36] [37] demandata alla CGUE e la
prima sospensione dell’invito al pagamento.
Il tema dell'importo
elevato per il contributo unificato in materia di appalti non è di
certo nuovo[38], tanto è vero che della medesima questione era stata
già investita la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo[39] ed anche la
Corte Costituzionale[40] la quale ultima, tuttavia, ne aveva
dichiarato la manifesta inammissibilità .
Il T.R.G.A. di Trento,
nel caso del rinvio pregiudiziale, riscontrando un’applicazione non
conforme al diritto comunitario, si è assunto per primo l’onere di
portare a conoscenza delle istituzioni europee la gravosa situazione
che affligge sempre più tale contenzioso.
La parte ricorrente
aveva rilevato la non conformità dell’art. 13, comma 6-bis con il solo riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Il giudice trentino, tuttavia, ex officio ha riscontrato non
solo l'incompatibilità con la nostra Carta Costituzionale, ma anche
e soprattutto con i principi europei di effettività della tutela e
di proporzionalità ed in particolare con i principi sanciti
dall'art. 1 dalla direttiva 89/665/CEE, per i profili trattati
precedentemente.
Alla luce dei precedenti della Consulta[41], si
è preferito demandare la questione alla CGUE ritenendola, forse, più
attenta a tali questioni.
Si deve rilevare come tale
prospettazione, alla luce della giurisprudenza europea[42], non sia
del tutto peregrina.
Ed infatti “il controllo effettuato
dalla Corte di Giustizia sulla compatibilità delle regole
processuali nazionali con i principi di diritto comunitario, pur se
avvenuto senza sistematicità nel quadro della procedura di rinvio
pregiudiziale, ha portato ad una serie di importanti sviluppi il cui
significato non sta tanto nell’aspetto negativo dell’eliminazione di
regole nazionali in contrasto con il diritto comunitario, ma nelle
indicazioni positive per un diverso modello europeo”
[43].
Per quanto riguarda la seconda ordinanza, ritenendo
sussistente il fumus e il periculum derivante dalla
creazione “a cascata” di interessi e sanzioni tali da ingenerare non
solo un danno economico, ma anche un danno all’immagine dello studio
legale ricorrente, ha sospeso l’efficacia della nota di invito al
pagamento del Segretario Generale del T.R.G.A.
È evidente come
questa seconda ordinanza sia l’appendice del processo demolitorio
posto in essere dal giudice trentino già con l’ordinanza di
gennaio.
Si deve rilevare, tuttavia, in relazione ad entrambe le
ordinanze un profilo critico/problematico: il profilo della
giurisdizione. Sebbene in entrambe le circostanze il T.R.G.A. abbia
dichiarato la sussistenza della propria giurisdizione, compiendo un
grande sforzo interpretativo sulla natura provvedimentale
dell’invito al pagamento, si deve puntualizzare che già la circolare
del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa 18 ottobre
2011 prevedva tra le altre indicazioni obbligatorie, l’indicazione “dei termini per proporre ricorso alla commissione tributaria
provinciale”. Sembrerebbe, quindi, che la giurisdizione,
anche in materia di invito, sia demandata al giudice
tributario.
Resta in ogni caso da apprezzare lo sviluppo di
questa coraggiosa giurisprudenza.
Infatti, le ordinanze di cui
trattasi si inseriscono in un ampio dibattito involgente gli
strumenti adottati al fine di deflazionare il contenzioso
amministrativo, soprattutto in una materia delicata come quella
degli appalti pubblici. Tema, purtroppo, riguardante non solo[44] il
continuo aumento del contributo unificato ma anche, a titolo
esemplificativo, l'interpretazione delle recenti Adunanze Plenarie
del Consiglio di Stato aventi a oggetto il ricorso
incidentale.
Il legislatore, tuttavia, dovrebbe domandarsi se
deflazionare il contenzioso sugli appalti possa realmente avere
effetti positivi sul sistema in generale. Sembra sempre più
evidente, anche alla luce delle recenti cronache giudiziarie, che
piuttosto che non intralciare in maniera eccessiva la p.a. nella
realizzazione di opere pubbliche e nell'acquisizione di beni e
servizi, l'impedire il sindacato del giudice amministrativo sulle
procedure di aggiudicazione comporti il rischio di incentivare
fenomeni corruttivi che purtroppo rappresentano un malcostume
italico.
Spesso, inoltre, sembra si dimentichi la provenienza
della procedura giurisdizionale riguardante i contratti pubblici,
essa, infatti, origina e, direi si esaurisce, nel diritto europeo.
Diritto che costruisce un modello di tutela giurisdizionale diverso
da quello tipicamente nazionale, un modello di tutela volto a
tutelare non già l'interesse del singolo, sia esso individuo fisico
o giuridico, bensì volto ad arginare violazioni da parte delle
pubbliche amministrazioni e delle stazioni appaltanti in generale
del diritto europeo ed in tal modo a tutelare la concorrenza e lo
sviluppo privo di interferenze del Mercato. Tale tipo di tutela, per
operare in maniera corretta, richiede necessariamente l’apertura del
sindacato giurisdizionale al maggior numero di soggetti
possibile.
Il principio di effettività della tutela nasce, a tal
proposito, come mezzo coercitivo dell'Unione Europea nei confronti
degli Stati volto all'affermazione ed alla implementazione dello
stesso diritto europeo, anche se fin dalle prime pronunce si
rinviene la sua origine nelle tradizioni comuni e nell’art. 6 della
CEDU.
Anche se viene lasciata libertà agli Stati membri in ordine
alle modalità di attuazione della normativa processuale in generale
e nello specifico di quella delineata dalle cd. direttive ricorsi,
tuttavia, quanto meno nel caso italiano, il sistema si è mostrato e
continua a mostrarsi restio ad accogliere la “diversità” della
tutela offerta da questo rito speciale.
Il dibattito relativo
alle spese di giustizia, come dimostrato sopra, non è estraneo agli
altri sistemi europei, anzi, sembra sempre più sentito anche negli
altri Stati il tema dell'accesso alla giustizia, che spesso si
scontra con le esigenze di rimpinguare le sempre più magre casse
statali. È indicativo a tal fine il primo paragrafo del preambolo
alla legge spagnola 20/2012 “el derecho a la tutela judicial
efectiva no debe ser confundido con el derecho a la justicia
gratuita. Se trata de dos realidades jurídicas diferentes. [...] el
ciudadano puede pagar por los servicios que recibe de la
Administración de Justicia”. Ma quale è la misura in cui il
cittadino deve pagare per ricevere giustizia?
Indubbiamente la
scelta del giudice trentino ha rappresentato una presa di posizione
molto coraggiosa e antitetica rispetto alle interpretazioni di altri
TAR e della stessa Corte Costituzionale. Esso si è fatto portatore
del malcontento di tutti gli operatori del diritto di fronte
all'indifferenza del legislatore.
Quindi se da un lato
sicuramente c’è un giudice a Trento, speriamo, dall’altro, che
esista davvero un giudice a Lussemburgo.
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[1] Si ricorda che con ordinanza del 29 gennaio
2014, n. 23 il medesimo T.R.G.A. aveva demandato la questione
dell’elevato importo del contributo unificato in materia di appalti
pubblici alla Corte di Giustizia dell’UE ritendo che gli articoli
13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R.
30.5.2002, n. 115 potessero contrastare con i principi dettati
dall’art. 1 della direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi).
[2] Con riguardo al ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, del
26 marzo 2014, n. 73, con la quale la Consulta ha statuito in merito
alla natura di tale ricorso asserendo che trattasi di “un rimedio
giustiziale amministrativo, che è a sua volta alternativo al rimedio
giurisdizionale amministrativo e ne ricalca solo alcuni tratti
strutturali e funzionali”, non si comprende in che maniera sia
ad esso applicabile la disciplina dettata dal D.P.R. 115/2002.
All'art. 2, infatti, il c.d. Testo unico in materia di spese di
giustizia, stabilisce che le norme in esso contenute si applichino
ai processi penali, civili ed amministrativi e definisce, all'art.
3, il processo come “qualunque procedimento contenzioso o non
contenzioso di natura giurisdizionale”. E' evidente come
non avendo il ricorso straordinario natura giurisdizionale, bensì
giustiziale, esso dovrebbe essere escluso dall'applicazione della
disciplina in materia di contributo unificato e di spese di
giustizia in generale, così come disciplinate dal D.P.R. 115/2002 e
successive modificazioni.
[3] L'art. 13, comma 6-bis, D.P.R. 115/2002, stabilisce in particolare che “Il contributo
unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi
regionali e al Consiglio di Stato è dovuto nei seguenti importi: a)
per i ricorsi previsti dagli articoli 116 e 117 del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104, per quelli aventi ad oggetto il
diritto di cittadinanza, di residenza, di soggiorno e di ingresso
nel territorio dello Stato e per i ricorsi di esecuzione nella
sentenza o di ottemperanza del giudicato il contributo dovuto è di
euro 300. Non è dovuto alcun contributo per i ricorsi previsti
dall'articolo 25 della citata legge n. 241 del 1990 avverso il
diniego di accesso alle informazioni di cui al decreto legislativo
19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE
sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale; b) per le
controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, si applica il
comma 3; c) per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato comune a
determinate materie previsto dal libro IV, titolo V, del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nonché da altre disposizioni che
richiamino il citato rito, il contributo dovuto è di euro 1.800; d)
per i ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1, lettere a) e b), del
codice di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010,
n. 104, il contributo dovuto è di euro 2.000 quando il valore della
controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; per quelle di
importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000 il contributo dovuto è
di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 di
euro è pari ad euro 6.000. Se manca la dichiarazione di cui al comma
3-bis dell'articolo 14, il contributo dovuto è di euro 6.000; e) in
tutti gli altri casi non previsti dalle lettere precedenti e per il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nei casi
ammessi dalla normativa vigente, il contributo dovuto è di euro
650”.
[4] L'art. 37, co. 6, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98,
convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111 ha portato il contributo
unificato al valore di 4.000 euro. Con la riedizione dell’ art. 37,
comma 6, lett. s), cit., come modificato dall'art. 1, comma 25,
lett. a), nn. 1), 2) e 3), L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere
dal 1° gennaio 2013 si sono previsti gli scaglioni così come sopra.
A proposito del continuo aumento del contributo unificato vedi la
nota n. 2.
[5] Bisogna rilevare che nel dicembre 2013 con
l'emendamento, approvato dal Governo, n. 1.3282 al disegno di legge
sulla “stabilità” gli importi dovuti per il contributo unificato in
materia di appalti stavano per essere ulteriormente aumentati, si
prevedevano, infatti, degli scaglioni da 3.500, 7.500 e 11.400 euro
(aumentati poi del 50% in sede di appello!). Fortunatamente tale
emendamento è stato ritirato e, conseguentemente, non si è avuto un
ulteriore aumento degli importi suddetti. Vedi a tal proposito,
STEFANO BIGOLARO, Ma da noi stava per essere raddoppiato il
contributo sui giudizi in tema di appalti!, in
http://www.amministrativistiveneti.it/index.php?
option=com_content&task=view&id=546&Itemid=61.
[6]
L'art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. 115/2002 stabilisce, difatti, : “Il contributo di cui al comma 1 è aumentato della metà per i
giudizi di impugnazione ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla
Corte di cassazione”.
[7] E' opportuno precisare, a tal
proposito, che in sede di appello potrebbe ben essere la stazione
appaltante a dover corrispondere tali importi.
[8] Tale norma
prevede che: “Quando l'impugnazione, anche incidentale, è
respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile,
la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il
giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti
di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al
momento del deposito dello stesso”.
[9] Vedi punto 16.8
dell’ordinanza di remissione alla CGUE citata.
[10] L'art. 14,
comma 3-ter stabilisce: “Nel processo amministrativo per
valore della lite nei ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1,
lettera a) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si intende
l'importo posto a base d'asta individuato dalle stazioni appaltanti
negli atti di gara, ai sensi dell'articolo 29, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.
[11] Tale inciso si
deve leggere nel senso che la giurisdizione competente a decidere
sul ricorso avverso l’invito di pagamento è quella del giudice
tributario.
[12] L’art. 16, rubricato “Omesso o insufficiente
pagamento del contributo unificato”, stabilisce: “1. In caso
di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato si
applicano le disposizioni di cui alla parte VII, titolo VII, del
presente testo unico e nell'importo iscritto a ruolo sono calcolati
gli interessi al saggio legale, decorrenti dal deposito dell'atto
cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo. 1-bis.
In caso di omesso o parziale pagamento del contributo unificato, si
applica la sanzione di cui all'articolo 71 del testo unico delle
disposizioni concernenti l'imposta di registro di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, esclusa la
detrazione ivi prevista”.
[13] L’art. 247 dispone: “1. Ai
fini delle norme che seguono e di quelle cui si rinvia, l'ufficio
incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è
quello presso il magistrato dove è depositato l'atto cui si collega
il pagamento o l'integrazione del contributo unificato”.
[14] L’art. 248 stabilisce: “1. Nei casi di cui all'articolo
16, entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il
pagamento o l'integrazione del contributo, l'ufficio notifica alla
parte, ai sensi dell'articolo 137 del codice di procedura civile,
l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal
raffronto tra il valore della causa ed il corrispondente scaglione
dell'articolo 13, con espressa avvertenza che si procederà ad
iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale,
in caso di mancato pagamento entro un mese. 2. Salvo quanto previsto
dall'articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244,
l'invito è notificato, a cura dell'ufficio e anche tramite posta
elettronica certificata nel domicilio eletto o, nel caso di mancata
elezione di domicilio, è depositato presso l'ufficio. 3. Nell'invito
sono indicati il termine e le modalità per il pagamento ed è
richiesto al debitore di depositare la ricevuta di
versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento”.
[15] L’art. 249 stabilisce: “1. Alla riscossione del
contributo unificato si applicano gli articoli: 208, comma 2,
riferito all'articolo 247; 210; 211, comma 2; 213; 214; 215; 216;
219; 220; 222; 223; 224; 225; 226; 227; 228; 230; 231; 234”.
[16] L’art. 71 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il testo unico
delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, rubricato “insufficiente dichiarazione di valore”, dispone che “si
applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento
della maggiore imposta dovuta”.
[17] Vedi nel prosieguo la
vicenda relativa all'introduzione del cd. timbre fiscal pour la
justice.
[18] Nella Comunità Autonoma della Catalogna, la
Presidencia de la Generalidad de Cataluña con l. 2/2014 del 27 di
gennaio ha introdotto una tasa per i ricorsi di competenza
del Tribunale Catalano per i contratti del settore pubblico
(Tribunal Catalán de Contratos del Sector Público), il
contributo di cui trattasi deve essere corrisposto, a pena di
irricevibilità del ricorso, alla presentazione dello stesso,
l'importo di tale contributo varia in base al valore del contratto
da un minimo di 750 euro ad un massimo di 5.000 euro, nel caso in
cui sia stato pagato il contributo per la fase cautelare
(reclamaciòn de adoptiòn de medidas provisionales) non si
dovrà pagare nessun altro contributo per la proposizione del ricorso
di merito. La dottrina spagnola si è dimostrata molto critica, vedi
a tal proposito MIGUEL ÁNGEL BERNAL BLAY, No a las tasasa en el
ámbito del recurso especial en materia de contractación pública, in Observatorio de Contractación Pública, 5/2014
(http://www.obcp.es/index.php/mod.opiniones/mem.detalle/id.145/relcategoria.208/relmenu.3/chk.1acd61ad0fb4b78
b50684ddd5dcab369)
[19] Bisogna rilevare che pur essendo il
costo di accesso alla giustizia di per sé molto basso non si può
dire altrettanto per quanto concerne le parcelle dei barrister, potendo esse, solo in sede cautelare, aggirarsi in
un range che varia dalle 75.000 alle 150.000 sterline
(all'incirca dai 93.000 ai 186.000 euro), da corrispondere in egual
misura, poi, in sede di merito. E' evidente dunque che l'ammontare
delle spese di giustizia, in questo caso, è del tutto marginale,
tale da non incidere in maniera significativa sulla scelta di
ricorrere al sistema giudiziario.
[20] Questa denominazione è
stata mantenuta solo in Irlanda del Nord, mentre, forse nel
tentativo di un avvicinamento alla cittadinanza, nel Regno Unito
oggi viene denominato “permission”.
[21] Vedi a tal
proposito FRANCESCO VOLPE, Una storia francese (ancora sul
contributo unificato), in LexItalia.it, n. 1/2014; CARINE
DENEUX VIALETAY, Bonne nouvelle pour les justiciables! Le timbre
à 35 € a été supprimé pour l'introduction d'une instance, in http://www.village-justice.com/article/Bonne-nouvelle-justiciables-
timbre,15968.html.
[22] Così come riportato da FRANCESCO
VOLPE, cit.
[23] L'importo fisso per i procedimenti civili e
quelli amministrativi, in base al caso, varia dai 100 ai 300 euro.
Per la
Corte d'Appello 800 euro e 1.200 euro per l'equivalente
spagnolo dell'italica Corte di Cassazione. Nel caso di controversie
di lavoro per l'appello sono dovuti 500 euro e 750 per il terzo
grado.
Per quanto riguarda l'importo variabile, esso è calcolato
nello 0.5% del valore della controversia per le somme superiori ad 1
milione di euro e nello 0.25% per quelle inferiori.
Si prevede,
inoltre, uno sconto del 10% se si utilizza la procedura telematica
per la proposizione del ricorso.
[24] Caso Otis CGUE 6 novembre
2012, C-199/11.
[25] Si deve rilevare, tuttavia, che la
normativa in commento sembra essere ancora vigente.
[26]
L'ordinanza in esame è stata emanata nell'ambito di un procedimento
avente ad oggetto una procedura negoziata di affidamento di un
appalto di servizi infermieristici sopra la soglia comunitaria e
come tale rientrante nella sfera di applicazione della c.d.
Direttiva ricorsi del 21 dicembre 1989, n. 665 e successive
modificazioni. In quel caso, l'avvocato della società ricorrente (
lo Studio infermieristico Associato – Orizzonte Salute) in sede di
proposizione di motivi aggiunti pagava il contributo unificato
ordinario di euro 650 in luogo di quello di euro 2.000.
In ragione
di ciò il Segretario generale del T.R.G.A. invitava l'avvocato
suddetto al corretto pagamento del contributo speciale in materia di
appalti di euro 2.000.
Venivano allora proposti ulteriori motivi
aggiunti avverso tale provvedimento sulla base dei quali il giudice
amministrativo trentino, dopo aver dichiarato la connessione
strumentale e causale dei quarti motivi aggiunti relativi al
pagamento del contributo unificato e la sussistenza della
giurisdizione amministrativa, ha ritenuto necessario sospendere il
procedimento e rinviare pregiudizialmente la seguente questione alla
CGUE: “se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21
dicembre 1989, 89/665/CEE e successive modifiche ed integrazioni,
che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
ammnistrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e
di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno
1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella
delineata dagli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14,
comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002, n. 115 (come progressivamente
novellato dagli interventi legislativi successivi) che hanno
stabilito elevati importi di contributo unificato per l'accesso alla
giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici”.
[27] La direttiva, così come da ultimo modificata dalla
direttiva 23/2014 sulle concessioni, all'art. 1 stabilisce che:
“1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, a meno
che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli 7, 8, 9, 10,
11, 12, 15, 16, 17 e 37 di tale direttiva.
La presente direttiva si
applica anche alle concessioni aggiudicate dalle amministrazioni
aggiudicatrici, di cui alla direttiva 2014/23/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, a meno che tali concessioni siano escluse a
norma degli articoli 10, 11, 12, 17 e 25 di tale direttiva.
Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli
appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori e di
servizi e i sistemi dinamici di acquisizione.
Gli Stati membri
adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto
riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2014/24/UE o dalla
direttiva 2014/23/UE, le decisioni prese dalle amministrazioni
aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in
particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni
previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva,
sulla base del fatto che tali decisioni hanno violato il diritto
dell’Unione in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le
norme nazionali di recepimento.
2. Gli Stati membri
garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese
suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una
procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della
distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme
nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme
nazionali.
Gli Stati provvedono a rendere accessibili le procedure
di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono
determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere
l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di
essere leso a causa di una presunta violazione [...] ”.
[28]
Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, oltre ad
essere uno dei principi cardine del diritto europeo, tanto da essere
affermato anche nell'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali
dell'Unione Europea, si rinviene anche nella CEDU agli artt. 6 e 13
ed implicitamente negli artt. 24 e 113 della nostra Carta
Costituzionale. L'importanza e la centralità di tale principio sono
tali che il nostro legislatore, all'art. 1 del cpa ha esplicitamente
previsto che: “la giurisdizione amministrativa assicura una
tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e
del diritto europeo”.
[29] Da una semplice lettura dei
considerando della direttiva ricorsi su menzionata risulta evidente
come l'imposizione di una contribuzione così elevata e non
parametrata agli utili derivanti dall'eventuale aggiudicazione ed
esecuzione del contratto risulti del tutto iniqua ed irragionevole e
soprattutto “pericolosa”: “considerando che l'apertura degli
appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un
aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non
discriminazione e che occorre, affinché essa sia seguita da effetti
concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di
violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o
delle norme nazionali che recepiscono tale diritto; considerando che
l'assenza o l'insufficienza di mezzi di ricorso efficaci in vari
stati membri dissuade le imprese comunitarie dal concorrere nello
Stato dell'autorità aggiudicatrice interessata; che è pertanto
necessario che gli stati membri interessati pongano rimedio a tale
situazione;
considerando la necessità di garantire in tutti
gli Stati membri procedure adeguate che permettano l'annullamento
delle decisioni illegittime e l'indennizzo delle persone lese da una
violazione;
considerando che, se le imprese non avviano la procedura
di ricorso, ne deriva l'impossibilità di ovviare a determinate
infrazioni a meno di istituire un meccanismo specifico”.
[30] In tal senso punto 25 dell'ordinanza di rinvio: “l'imposizione di un'elevata tassazione, come condizione per
poter tutelare le proprie ragioni in giudizio, significa
discriminare coloro che non hanno adeguati mezzi economici per farle
valere, nonché scoraggiare o impedire la tutela di interessi
economici non sufficientemente robusti, rispetto all'entità della
somma da sborsare a titolo di contributo unificato”.
[31] E'
opportuno precisare, a tal proposito, che ai sensi dell'art. 13,
comma 6-bis.1, ultimo periodo “...l'onere relativo
al pagamento dei contributi suddetti è dovuto in ogni caso dalla
parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale e
anche se essa non si è costituita in giudizio”. In tal modo,
dunque, l'importo smisurato del contributo unificato graverà non
solo sulle finanze del ricorrente, ma, in caso di soccombenza, anche
sulle finanze, già alquanto dissestate, delle stazioni appaltanti.
[32] La Corte Costituzionale con le sentenze n. 21 e n. 79 del
1961 ha dichiarato il meccanismo del solve et repete incostituzionale, in quanto in contrasto gli artt. 3, 24 e 113
della Costituzione.
Tale meccanismo reca un impedimento al diritto
dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti
ed interessi legittimi, in contrasto non solo con le norme
costituzionali suddette, ma anche con i principi comunitari, nonché
perché esso ingenera una disparità di trattamento fra contribuente
in grado di pagare immediatamente e contribuente non particolarmente
abbiente.
[33] La giurisprudenza della CGUE in tale materia è
molto vasta, si può vedere come esempio la sentenza 15 aprile 2008,
causa C- 268/06, Impact in particolare ai punti 44-46 e la
giurisprudenza in esso citata.
Interessante ai nostri fini è il caso
DEB, C-279/09, ed in particolare le conclusioni dell'Avvocato
Generale Paolo Mengozzi. Sebbene il caso in oggetto riguardasse
l'accesso al gratuito patrocinio in Germania, l'Avvocato Generale
analizza la possibilità di subordinare il procedimento al pagamento
di una tassa, a condizione che essa non risulti sproporzionata. Possibilità scaturente dall'autonomia procedurale degli Stati
membri. Si vedano a tal proposito i punti 54 e ss. delle suddette
conclusioni.
Per un esame della giurisprudenza della Corte di
Giustizia si veda, tra i tanti, Stefano Salvatore Scoca, L’effettività della tutela nell’azione di annullamento, in Diritto processuale amministrativo, 4, 2012, 1397 e ss.;
Mario Pilade Chiti, Diritto amministrativo europeo, IV ed.,
Milano, 2011, 660 e ss.
[34] Vedi in tal senso le conclusioni
dell'Avvocato Generale Niilo Jääskinen nella causa C-536/11,
Bundeswettbewerbsbehörde contro Donau Chemie AG ed altri.
[35]
Si vedano gli ulteriori recenti aumenti del contributo unificato nel
processo civile disposti dall’art. 53 del d.l. 90/2014.
[36]
Alcuni avvocati amministrativisti milanesi avevano già tentato di
porre in essere un ricorso simile presso il TAR Lombardia, Milano,
il quale, tuttavia, con sentenza 19 luglio 2013, n. 1927 aveva
dichiarato il ricorso inammissibile. Nel caso posto all'esame del
TAR Lombardia, si era stata impugnata la nota del Segretario
generale del TAR Lombardia avente ad oggetto “nuovi valori del
contributo unificato” affissa nell'Ufficio accettazione del medesimo
TAR. Tuttavia, si trattava, ad avviso del giudice amministrativo,
non di un atto amministrativo bensì di un
mero avviso “che si
limita a richiamare pedissequamente il contenuto della norma (art.
13, comma 6 bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, come da ultimo
modificato) che stabilisce la misura del contributo unificato in
relazione alle varie tipologie di controversie proposte davanti al
giudice amministrativo”.
Il TAR Milano forniva, inoltre,
indicazioni in merito alle possibili modalità di impugnazione
dell'elevato importo del contributo unificato stabilendo che:
“naturalmente le parti potranno agire a tutela dei loro interessi
incardinando il giudizio presso il giudice munito di giurisdizione –
il giudice tributario (Cass., SS. UU., 17 aprile 2012, n. 5994; 5
maggio 2011, n. 9840) – in occasione dei contenziosi aventi ad
oggetto l’omesso parziale o totale versamento del contributo
unificato”.
[37] In relazione alle modalità con le quali
ricorrere avverso il contributo unificato, così come indicato dal
TAR Lombardia richiamato, su iniziativa degli Avvocati
Amministrativi Siciliani si è fatto ricorso negli scorsi giorni alle
Commissioni Tributaria, in proposito
http://www.giurdanella.it/2014/05/19/il-contributo-unificato-incostituzionale-il-ricorso-degli-
avvocati-amministrativisti-siciliani/.
[38] Si vedano a titolo
di esempio FRANCESCO VOLPE, Un contributo per una giustizia che
spesso non c'è, in
www.lexitalia.it, n. 7 – 8/ 2006;
dello stesso autore, Nuove riflessioni sul regime del contributo
unificato nel processo amministrativo, in www.lexitalia.it, n. 7 – 8/ 2006; id., Considerazioni sull'effettività di
tutela nell'attuale sistema di giustizia amministrativa, in www.amministrativistiveneti.it, 4/2012; GIOVANNI VIRGA, Il
prezzo della giustizia (a proposito dell'aumento fino al 2.000 euro
del contributo unificato previsto dal maxi-emendamento alla
finanziaria 2007), in www.lexitalia.it, n. 12/2006; MARIA ALESSANDRA SANDULLI, Le nuove misure di deflazione del
contenzioso amministrativo: prevenzione dell'abuso del processo o
diniego di giustizia, in www.federalismi.it, 2012.
[39] Con un ricorso presentato dagli Avvocati Amministrativisti,
si veda a tal proposito
http://www.giurdanella.it/2013/10/11/appalti-gli-avvocati-amministrativi-contro-laumento-del-contributo-unificato
/.
[40] Corte Cost., ord. 6 maggio 2010, n. 164 dichiarava
manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1, comma 1307, della legge finanziaria 2007
che fissava in euro 2.000 il contributo unificato per gli atti
giudiziari di fronte al giudice amministrativo in materia di
affidamenti di lavori, servizi e forniture per contraddittorietà del petitum. Incidentalmente, peraltro, la Consulta afferma: “che, in ogni caso, la questione è inammissibile per la pluralità
delle soluzioni che possono essere offerte dal legislatore in una
materia, quale quella della determinazione delle spese processuali
poste a carico degli utenti della giustizia ed altresì quella
tributaria, nella quale vige il principio della sua discrezionalità
e della insindacabilità delle opzioni legislative che non siano
caratterizzate da una manifesta irragionevolezza (v. sentenza n. 162
del 1983)” e, inoltre, “che, nel caso di specie, la norma
censurata, introducendo una più articolata distinzione tra diverse
categorie di controversie amministrative ed elevando la misura dei
contributi per alcune di esse, deve ritenersi frutto di una scelta
discrezionale non manifestamente irragionevole”.
[41] Si
ricorda, infatti, che in diverse occasioni la Corte Costituzionale
ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità
costituzionale relativamente all'importo del contributo unificato in
materia di appalti. Si rimanda per i riferimenti alla nota
precedente.
[42] Si vedano, a titolo esemplificativo: Caso Rewe, 16 dicembre 1976, 33/76; caso Johnston, 15
maggio 1986, 222/84; caso Heylens, 15 ottobre 1987, 222/86;
caso Peterbroek, 14 dicembre 1995, C-312/93; caso Impact, 15
aprile 2008, C-268/06.
[43] Cit. Mario Pilade Chiti, cit., p.
665.
[44] Sempre in un’ottica deflattiva sembrano inserirsi le
nuove disposizioni del D.L. 90/2014 volte ad una ulteriore
accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici e/o le
misure per il contrasto dell’abuso del processo.
Per un primo
commento si veda Maria Alessandra Sandulli, Il D.L. 24 giugno
2014 n. 90 e i suoi effetti sulla giustizia amministrativa.
Osservazioni a primissima lettura, in Federalismi.it, 14/2014.
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(pubblicato
l'8.7.2014)
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