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n. 7-2014 - © copyright

 

ANTONELLA MIRABILE

Un nuovo capitolo nella «guerra» al contributo unificato in materia di appalti: il T.R.G.A. di Trento sospende l’invito al pagamento

 

 


 

 

1. Premessa.
Il T.R.G.A. di Trento torna nuovamente[1] sulla questione del contributo unificato in materia di appalti. Con l’ordinanza cautelare 25 giugno 2014, n. 58, ritenendo sussistente, ai sensi dell’art. 55 del c.p.a., il presupposto del “pregiudizio grave” , ha sospeso l’efficacia della nota del Segretario Generale del T.R.G.A. di Trento con la quale si invitavano gli avvocati ricorrenti ad integrare il pagamento del contributo unificato.
Si tratta di un unicum nel panorama giurisprudenziale, ma, a ben vedere, rappresenta il naturale sviluppo dell’orientamento avviato con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del 29 gennaio 2014, n. 23.
Nel caso in esame lo studio legale ricorrente, invitato ad integrare il pagamento del contributo unificato, ha impugnato ex novo l’invito del Segretario Generale del T.R.G.A. di Trento chiedendone l’annullamento e la sospensione in via cautelare.
Il giudice trentino ha ritenuto sussistenti i presupposti per la concessione della misura cautelare collegiale in quanto “al mancato pagamento del contributo unificato – entro il termine indicato e nell’importo integrato come quantificato nella nota impugnata – consegue l’addebito di interessi e sanzioni “a cascata”, fatto che, indubbiamente, può comportare negative conseguenze per lo studio legale dei ricorrenti, sia in termini patrimoniali che sul piano dell’immagine professionale”.

2. Il periculum in mora: la disciplina italiana del contributo unificato e le sanzioni in caso di mancato pagamento.

Per meglio comprendere i presupposti della concessione di tale sospensione è opportuno analizzare la disciplina del contributo unificato e le sanzioni che conseguono all’omesso od insufficiente pagamento dello stesso.
Il quadro normativo relativo a tale materia è stato definito dal T.R.G.A. di Trento, nella veste di giudice del rinvio nell’ambito dell’ordinanza di gennaio, come un quadro che, oltre ad essere assai frastagliato “non [è] sempre logico né coerente nella determinazione e nella diversificazione degli importi del contributo unificato, dal quale, comunque, spicca l’evidente, sproporzionata penalizzazione nella tassazione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo soprattutto in materia di contratti pubblici”.
La normativa del contributo unificato fissato in proporzione al valore della controversia è stata introdotta dall'art. 13, comma l, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sostituendo così il sistema previgente (ex D.P.R. 6/10/1972, n. 642 e succ. mod.), il quale prevedeva il pagamento di una marca da bollo ogni quattro pagine, da versare anticipatamente al momento dell’iscrizione a ruolo, e di diritti di segreteria.
Nel 2006 l'art. 21 del D.L. n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 e successivamente integrato dall'art. 1, comma 1307, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), inseriva un comma 6-bis al suddetto art. 13. Si svincolava, così, il contributo unificato, per i soli processi amministrativi, dal valore della controversia, prevedendo un differente criterio per materia, in seguito di nuovo distinto in base ad una ulteriore differenziazione delle materie.
In tal modo il contributo unificato dovuto per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato, oltre che per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica[2], è ordinariamente dovuto nell’importo di 650 euro, prevedendosi diverse quantificazioni per alcune materie particolari[3].
Il contributo unificato non è dovuto solo all'atto di iscrizione a ruolo del ricorso introduttivo del giudizio, bensì, in base a quanto disposto dall'art. 15 del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, anche per “quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”.
Il contributo unificato per il contenzioso amministrativo, soprattutto in materia di appalti, è stato sempre più innalzato[4], sino ad arrivare ai valori attuali[5]:

- € 2.000 quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro 200 mila;

- € 4.000 per le controversie di valore compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro;
- € 6.000 per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro.
Tali importi in sede di appello sono aumentati del 50%[6]. Dunque, per adire il Consiglio di Stato al fine di chiedere l’annullamento di una sentenza di un TAR in materia di appalti è necessario che l'appellante[7] versi rispettivamente 3.000, 6.000 e 9.000.

Come se ciò non fosse sufficiente, al fine di deflazionare ulteriormente il contenzioso, la legge n. 228/2012 ha introdotto al citato art. 13, il comma 1-quater[8], prevedendo con esso una sorta di sanzione occulta o indiretta nel caso di impugnazioni in appello dichiarate infondate, inammissibili o improcedibili. Tale sanzione, tuttavia, sembra non essere applicabile ai giudizi innanzi al giudice amministrativo, ma “essa è comunque rivelatrice di un intento quasi intimidatorio a non insistere nell’azione giurisdizionale intrapresa ed a non "disturbare" oltre il giudice: come tale, sintomo ulteriore dell’irrazionalità ed iniquità dell’intera disciplina” [9].
Ulteriore sanzione è prevista dal comma 6-bis (introdotta dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148), ai sensi del quale il ricorrente è tenuto al pagamento del 50% in più del contributo unificato per negligenze ed omissioni a lui non imputabili (nella specie la mancata indicazione da parte del difensore del proprio indirizzo pec e del proprio recapito fax ovvero del codice fiscale della parte).
È evidente, allora, l'ulteriore iniquità di tale disciplina. A rendere il quadro ancora più frastagliato contribuisce anche la disposizione di cui all'art. 14, comma 3-ter, del D.P.R. n. 115/2002[10] (introdotto dall'art. 1, co. 26, L. n. 228/2012), la quale ha previsto che il
valore della controversia vada calcolato sull'importo posto a base d'asta dalla stazione appaltante e non già sul margine di utile che l'impresa potrebbe realizzare dall'esecuzione del contratto d'appalto, stimato all'incirca nel 10% dell'importo a base d'asta.
Per quanto concerne la disciplina per l’omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato, la Circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa dell’18 ottobre 2011 (successivamente modificata ed integrata), non collega ad esso l’inammissibilità del ricorso, ma ne fa derivare l’obbligo per l’ufficio giudiziario di procedere all’esazione del tributo, con l’eventuale irrogazione delle sanzioni pecuniarie connesse all’inadempimento. Quanto alle modalità operative per l’irrogazione delle sanzioni, vengono richiamate quelle previste dalla circolare del Segretariato generale della Giustizia amministrativa del 26 aprile 2007, n. 10186.
Nella Circolare 18 ottobre 2011 si precisa, inoltre, che l’invito al pagamento deve recare, ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (“statuto del contribuente”), la motivazione della richiesta di contributo unificato, nonché l’indicazione del responsabile del procedimento e dei termini per proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale.[11] Infine, quanto alla riscossione coattiva, valgono le modalità stabilite con la circolare del Segretariato generale della Giustizia 29 gennaio 2004 n. 56 (parte III).
Ai sensi dell’art. 16[12] del D.P.R. 115/2002 per la riscossione del contributo unificato si applicano gli artt. 247[13], 248[14] e 249[15] del medesimo D.P.R. calcolando nell’importo da iscrivere a ruolo gli interessi legali dalla data di deposito dell’atto al quale si collega il mancato o l’insufficiente pagamento del contributo unificato, si applica, inoltre, sia all’omesso sia all’insufficiente pagamento la sanzione amministrativa prevista dall’art. 71 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131[16], la quale prevede la maggiorazione del dovuto dal cento al duecento percento.
E’ evidente che, sebbene al mancato o insufficiente pagamento del contributo unificato non corrisponda l’inammissibilità del ricorso, qualora non si adempia nel termine di un mese dalla notifica dell’invito al pagamento, l’importo dovuto può arrivare ad avere una quantificazione notevole. Difatti, posto che si sia pagato il contributo di 650 euro in luogo di quello di 6.000 euro, si potrebbe arrivare a pagare solo per la sanzione amministrativa (considerata nel massimo dell’importo) 10.700 euro, ai quali, ovviamente, bisognerà aggiungere i 5.350 euro di differenza, più gli interessi legali.
Risulta chiaro che, come affermato dal T.R.G.A., nel caso in commento si venga a produrre l’addebito di interessi e sanzioni “a cascata”.

3. I c.d. Court fees in un'ottica comparata.

Per comprendere in maniera più adeguata la disciplina del contributo unificato in materia di aggiudicazione di contratti pubblici in ambito nazionale è opportuno guardare alla presenza o meno di spese di giustizia negli altri ordinamenti dell'Unione.

A tal proposito, vi sono paesi nei quali tale tipologia di ricorsi è completamente gratuita, come ad esempio la Romania, la Lettonia, la Francia[17], la Svezia, la Spagna (esclusa la Comunità Autonoma della Catalogna[18]) ed i procedimenti di fronte ai giudici dell'Unione Europa.

Vi sono altri stati nei quali il costo di accesso alla giustizia è contenuto e ad importo standardizzato come ad esempio la Lituania (circa 290 euro), la Danimarca (circa 1.339 euro), il Regno Unito[19] (circa 340 euro nel caso in cui venga concessa l'autorizzazione, il c.d. leave[20], per proseguire la domanda per judicial review).

Altri Stati prevedono il pagamento del contributo unificato sulla base di una percentuale del valore del contratto (ad esempio in Estonia il 3% del valore del contratto) ed altri che prevedono degli scaglioni (come ad esempio in Italia con i ben noti importi da 2.000 a 6.000 euro).

L’Italia non è l’unico Stato nel quale sono sorti accesi dibattiti sulla quantificazione del contributo unificato.
Ad esempio, in Francia[21] l'art. 54 della legge 2011-900 del 29 luglio 2011, modificando la legge finanziaria, inseriva l'art. 1635 bis Q al Code Général des impots, il quale, in deroga alle disposizioni che esoneravano da qualsiasi tipo di imposta l'accesso alla giustizia, prevedeva una sorta di contributo di 35 euro per il primo grado e di 150 per l'appello per qualsiasi tipo di controversia, a pena di irricevibilità del ricorso, al fine di coprire le spese per l'aide juridique (una sorta di gratuito patrocinio francese). L'introduzione di tale tributo, nonostante la finalità sociale a cui esso era destinato, è stata molto osteggiata tanto da indurre il Governo all'abolizione dello stesso.
L' art. 128 della legge finanziaria per il 2014, il decreto 2013-1280 del 29 dicembre 2013, infatti, ha abolito tale previsione per tutti i ricorsi presentati dopo il 1 gennaio 2014. Il Ministero della Giustizia, nel comunicare tale abolizione, dichiarò che le ragioni di tale scelta erano da rinvenire nella necessità di favorire una “giustizia «di prossimità» accessibile al più grande numero di cittadini” [22].
La Spagna fornisce un altro esempio interessante, con l’introduzione da parte del Governo spagnolo di una tasa por el ejercicio de la potestad jurisdiccional en los órdenes civil, contencioso-administrativo y social.
Questa tasa di livello statale è stata introdotta dalla l. 10/2012 del 20 novembre 2012 prevedendo nel Titolo I il pagamento di una tassa per l'esercizio delle azioni in tutte le giurisdizioni. Tale contributo è costituito dalla somma di un importo fisso e di un importo parametrato al valore della controversia[23].
Come facilmente immaginabile queste disposizioni del governo spagnolo hanno incontrato il disappunto non solo di avvocati e giudici ma anche dei cittadini. Tale disappunto veniva manifestato, in maniera del tutto peculiare, già dal giorno successivo all'entrata in vigore di tali disposizioni, difatti, con una nota il Juzgado De Lo Social no 1 De Benidorm (nella provincia di Alicante) dichiarava la nuova normativa in materia di spese di giustizia contraria al diritto dell'Unione Europea e, conseguentemente, tale Corte avrebbe potuto non dichiarare l'inammissibilità delle procedure per le quali non fosse stato pagato il contributo. I parametri in base ai quali il giudice del Tribunale del lavoro della provincia di Alicante ha ritenuto non compatibile la disciplina di tale contributo sono i principi sanciti nell'art. 47 della Carta dei Diritti dell'Unione Europea ed l’interpretazione di una recente pronuncia della Corte di Giustizia[24] la quale, in forza del principio della parità delle armi, richiede che vi sia un equilibrio tra le parti. Nell'interpretazione del giudice valenziano un cospicuo contributo farebbe, dunque, venire meno questo equilibrio[25].

E', infine, interessante il caso polacco relativo ai court fees dovuti per i contenziosi in materia di contratti pubblici. Il contributo è qui previsto per quanto riguarda il primo grado in importo variabile a seconda del valore del contratto da un minimo di circa 1.500 euro ad un massimo di circa 4.785 euro, per il secondo grado è invece previsto il quintuplo di quanto dovuto in primo grado, e nel caso in cui il ricorso abbia ad oggetto azioni poste in essere dalla stazione appaltante dopo l’apertura delle offerte il contributo unificato dovuto sarà calcolato nel 5% del valore del contratto con un tetto massimo di circa 1,2 milioni di euro.
Della questione è stata investita la Corte Costituzionale polacca, la quale nel giro di tre mesi è arrivata a due conclusioni differenti.

Nel gennaio di quest'anno nel Case n. SK 25/11 con sentenza del 14 gennaio la Corte Costituzionale, investita della questione riguardante l'art. 32 (2) della legge sulle spese di giudizio in materia civile, ha ritenuto la previsione legittima.
Il caso riguardava i ricorsi di due società involte in due diverse procedure di affidamento per le quali era previsto, in sede di appello, il pagamento di un contributo unificato molto alto, ma sotto la soglia del tetto massimo; essi erano stati respinti in sede di appello perché non era stato pagato il contributo, veniva sollevata, a tal riguardo, la questione di legittimità costituzionale ritenendo che un costo così alto fosse contrario ai principi di accesso alla giustizia, appello avverso la prima istanza di giudizio, proporzionalità e parità di trattamento per enti che si trovano nella stessa posizione.
La Corte ha ritenuto, tuttavia, la decisione della questione non rilevante nel caso di specie in quanto le spese di giudizio del ricorso non sarebbero state abbastanza alte per essere poste alla base della decisione.

Posto ciò, tuttavia, la Corte, pur non soffermandosi sul tetto massimo o sul livello a cui esso è stato fissato, ha ritenuto la disposizione conforme a Costituzione in quanto il legislatore sarebbe legittimato a scegliere l'importo ovvero i livelli delle spese di giustizia in materia civile, tra l'altro il medesimo livello di contribuzione è previsto anche per i contenziosi in materia di diritto di proprietà. Inoltre, in taluni casi, esistono delle previsioni che consentono alle parti di non pagare il contributo.
In aprile una nuova decisione della Corte Costituzionale polacca (Case n. SK 12/13 del 15 aprile 2014) ha stabilito, contrariamente alla precedente decisione, che un tetto massimo così alto viola il principio di accesso alla giustizia e il diritto di appello, essa ha stabilito così che le spese di giudizio dovute in sede di appello sono in tutti i casi cinque volte quelle dovute per il primo grado di giudizio.
In questo secondo caso la Corte ha riconosciuto in capo ai ricorrenti l’interesse al ricorso in quanto essi sarebbero stati tenuti a pagare, per il grado di appello, il tetto massimo di 1,2 milioni di euro.
La disposizione della legge sui costi di giustizia polacca, l’articolo 34 (2), è stato ritenuto incostituzionale in quanto l’obbligo del pagamento di un contributo così alto per i soli ricorsi inerenti la fase successiva all’apertura delle offerte è da ritenersi arbitrario e sproporzionato.
Sembra, dunque, alla luce di questa breve e non esaustiva disamina che l'Italia si collochi tra quei paesi europei che impongono ai propri cittadini una contribuzione alle spese di giustizia per quanto concerne i contratti pubblici molto alta, sebbene non si tratti della più consistente.
Emerge inoltre, senza ombra di dubbio, un dato incontrovertibile: l'esigenza di rendere l'accesso alla giustizia, soprattutto in una materia così delicata, il più aperto ed economico possibile.

4. Il fumus: l’incompatibilità con i principi comunitari e con le c.d. Direttive ricorsi.
Per comprendere, a questo punto, le ragioni per le quali il collegio ha ritenuto sussistenti “i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso”, è necessario analizzare i motivi posti alla base della ordinanza di remissione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE[26], l’ordinanza 29 gennaio 2014, n. 23.
Secondo il giudice trentino, infatti, la normativa riguardante il contributo unificato in materia di appalti pubblici si pone in contrasto con i parametri e principi dell'ordinamento comunitario, ed in particolare con la cd. direttiva ricorsi 89/655/CEE (così come successivamente modificata).

La direttiva appena richiamata, all'art. 1[27], stabilisce i principi che dovranno caratterizzare le procedure di ricorso previste dagli Stati membri: efficacia e rapidità del ricorso, non discriminazione ed accessibilità delle procedure stesse “a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione”. In sostanza, tali procedure dovranno garantire il più generale principio di effettività della tutela giurisdizionale[28].

È proprio in relazione a tale direttiva che il T.R.G.A. Trento ha riscontrato dei possibili profili di incompatibilità ed in particolare, a suo avviso, “l’eccessiva somma da versare, non solo all’atto di deposito del ricorso principale, ma anche per il deposito di ogni atto per motivi aggiunti o ricorso incidentale, nonché nella successiva eventuale fase di appello, incide in modo decisivo ed intollerabile:
a) sul diritto di agire in giudizio, cioè sulla libertà di scelta di ricorrere al giudice amministrativo, da parte di tutti gli operatori economici interessati al mercato dei contratti pubblici, che intendano chiedere l'annullamento di un provvedimento illegittimo;
b) sulle strategie processuali dei difensori, che saranno oltretutto condizionate anche dalla discriminazione tra operatori economici "ricchi", per i quali resta comunque conveniente accettare l’alea della tassazione elevata a fronte della prospettiva di ottenere un rilevante beneficio economico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio, rispetto ad operatori economici modesti, per appalti non particolarmente lucrativi, per i quali potrebbe rivelarsi non affatto conveniente anticipare le anzidette somme così sproporzionate al valore (effettivo) dell’appalto; c) sulla pienezza ed effettività del controllo giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione e sull’osservanza dello stesso principio costituzionale di buon andamento, al quale si ricollega strumentalmente il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva”.

In sostanza l'eccessiva onerosità del contributo da versare all'atto di presentazione del ricorso e di tutti gli atti successivi volti ad ampliare l'oggetto della domanda contrasterebbero con il diritto di adire in giudizio, con il principio di non discriminazione e più in generale con il principio di effettività della tutela giurisdizionale[29].
Inoltre, la disciplina così come configurata dal legislatore italiano ingenera non solo una discriminazione tra operatori dotati di adeguati mezzi economici e quelli dotati di scarsi mezzi[30], ma anche una discriminazione tra coloro che si rivolgono al giudice amministrativo rispetto a coloro che invocano la tutela del giudice civile o tributario, davanti ai quali per agire in giudizio per controversie di valore elevatissimo si può arrivare a pagare un massimo di 2.932 euro. È in tal modo evidente quanto sia abnorme ed irragionevole la sproporzione, nonché l'evidenza della disparità di trattamento sussistente nella tassazione tra i diversi giudici.
Non può giustificare tale iniquità, secondo il T.R.G.A., neanche il fatto che in caso di vittoria il contributo venga rimborsato[31]. “Il ricorrente, infatti – dovendo comunque anticipare il pagamento del contributo unificato – salvo il successivo rimborso, peraltro in tempi resi incerti dalla notoria inefficienza dell’apparato burocratico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio - si trova sostanzialmente esposto al meccanismo del c.d. solve et repete[32], cioè all'onere del pagamento del tributo quale presupposto imprescindibile dell’esperibilità (anche se non a pena di inammissibilità) dell'azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del diritto del contribuente mediante l'accertamento giudiziale dell’illegittimità del tributo stesso”.
A causa dell'inspiegabile misura del contributo si generano non solo effetti distorsivi della concorrenza, ma anche meccanismi che incidono sull'effettività della tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo in materia di contratti pubblici. Tale principio non si limiterebbe alla classica formula utilizzata dal giudice comunitario per cui le modalità procedurali non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico europeo[33], ma, alla luce dell'art. 19, paragrafo 1, TUE alla stregua del quale “gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione”, andrebbe oltre, potendo significare che i mezzi di ricorso nazionali debbano essere accessibili, rapidi ed avere costi contenuti[34].
Sotto altri profili la disciplina interna relativa al contributo unificato comporta anche la violazione del principio di proporzionalità che “costituisce parte integrante dei principi generali di diritto comunitario ed esige che la normativa nazionale non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. Alla stregua di tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e penalizzante, in modo che gli inconvenienti causati dalle stesse misure non siano sproporzionati rispetto ai fini da raggiungere”.
Proporzionalità violata sotto un duplice aspetto, da un lato, infatti, la determinazione del contributo è parametrata non già sul valore effettivo della controversia (utile dell'impresa fissato convenzionalmente nel 10% dell'importo di aggiudicazione), bensì su di un valore teorico (la base d'asta), dall'altro “se il contributo unificato è una tassa che il ricorrente è tenuto a versare anticipatamente in relazione a un'utilità specifica che egli trae dalla prestazione di un servizio pubblico (cioè, nel caso, dall'attività giurisdizionale) reso a sua richiesta, il servizio stesso dovrebbe essere parametrato ai costi sopportati dallo Stato per l'organizzazione ed il funzionamento dell'apparato giurisdizionale”, ma il costo per il giudizio amministrativo in materia di appalti non può dirsi certamente diverso né distinto da quello per altri contenziosi.
Queste, dunque, complessivamente sono le ragioni per le quali il giudice amministrativo di Trento ha dubitato della conformità di tale normativa interna alla direttiva dell'Unione Europea 89/655, “che impone agli stati membri di rendere accessibili le procedure di ricorso, sembrando costituire un ostacolo all'accesso alla giustizia amministrativa da parte di chiunque sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione in materia di appalti”.
È proprio in questo filone interpretativo che si inserisce l’ordinanza cautelare in commento. Il fumus boni iuris, a mio modo di vedere, consiste proprio in questo, nella palese violazione del diritto comunitario da parte della normativa italiana in materia di contributo unificato per le controversie riguardanti gli appalti pubblici. Violazione che il T.R.G.A. Trento aveva già riscontrato nell’ordinanza di cui sopra.

5. Alcune considerazioni e conclusioni.

Il T.R.G.A. di Trento si sta facendo sempre più intensamente portatore delle istanze degli operatori del diritto e dei cittadini in una tematica, come quella del contributo unificato, nella quale il legislatore, oltre a sembrare sordo, impavidamente prosegue[35] nell’ottica della deflazione del contenzioso e nel rimpinguamento delle casse erariali.
Sono, infatti, da ascrivere a questo illuminato Giudice, meritevole della lettera maiuscola, le “prime volte”: la prima questione pregiudiziale[36] [37] demandata alla CGUE e la prima sospensione dell’invito al pagamento.
Il tema dell'importo elevato per il contributo unificato in materia di appalti non è di certo nuovo[38], tanto è vero che della medesima questione era stata già investita la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo[39] ed anche la Corte Costituzionale[40] la quale ultima, tuttavia, ne aveva dichiarato la manifesta inammissibilità .
Il T.R.G.A. di Trento, nel caso del rinvio pregiudiziale, riscontrando un’applicazione non conforme al diritto comunitario, si è assunto per primo l’onere di portare a conoscenza delle istituzioni europee la gravosa situazione che affligge sempre più tale contenzioso.

La parte ricorrente aveva rilevato la non conformità dell’art. 13, comma 6-bis con il solo riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Il giudice trentino, tuttavia, ex officio ha riscontrato non solo l'incompatibilità con la nostra Carta Costituzionale, ma anche e soprattutto con i principi europei di effettività della tutela e di proporzionalità ed in particolare con i principi sanciti dall'art. 1 dalla direttiva 89/665/CEE, per i profili trattati precedentemente.

Alla luce dei precedenti della Consulta[41], si è preferito demandare la questione alla CGUE ritenendola, forse, più attenta a tali questioni.
Si deve rilevare come tale prospettazione, alla luce della giurisprudenza europea[42], non sia del tutto peregrina.
Ed infatti “il controllo effettuato dalla Corte di Giustizia sulla compatibilità delle regole processuali nazionali con i principi di diritto comunitario, pur se avvenuto senza sistematicità nel quadro della procedura di rinvio pregiudiziale, ha portato ad una serie di importanti sviluppi il cui significato non sta tanto nell’aspetto negativo dell’eliminazione di regole nazionali in contrasto con il diritto comunitario, ma nelle indicazioni positive per un diverso modello europeo” [43].
Per quanto riguarda la seconda ordinanza, ritenendo sussistente il fumus e il periculum derivante dalla creazione “a cascata” di interessi e sanzioni tali da ingenerare non solo un danno economico, ma anche un danno all’immagine dello studio legale ricorrente, ha sospeso l’efficacia della nota di invito al pagamento del Segretario Generale del T.R.G.A.
È evidente come questa seconda ordinanza sia l’appendice del processo demolitorio posto in essere dal giudice trentino già con l’ordinanza di gennaio.
Si deve rilevare, tuttavia, in relazione ad entrambe le ordinanze un profilo critico/problematico: il profilo della giurisdizione. Sebbene in entrambe le circostanze il T.R.G.A. abbia dichiarato la sussistenza della propria giurisdizione, compiendo un grande sforzo interpretativo sulla natura provvedimentale dell’invito al pagamento, si deve puntualizzare che già la circolare del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa 18 ottobre 2011 prevedva tra le altre indicazioni obbligatorie, l’indicazione “dei termini per proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale. Sembrerebbe, quindi, che la giurisdizione, anche in materia di invito, sia demandata al giudice tributario.
Resta in ogni caso da apprezzare lo sviluppo di questa coraggiosa giurisprudenza.
Infatti, le ordinanze di cui trattasi si inseriscono in un ampio dibattito involgente gli strumenti adottati al fine di deflazionare il contenzioso amministrativo, soprattutto in una materia delicata come quella degli appalti pubblici. Tema, purtroppo, riguardante non solo[44] il continuo aumento del contributo unificato ma anche, a titolo esemplificativo, l'interpretazione delle recenti Adunanze Plenarie del Consiglio di Stato aventi a oggetto il ricorso incidentale.
Il legislatore, tuttavia, dovrebbe domandarsi se deflazionare il contenzioso sugli appalti possa realmente avere effetti positivi sul sistema in generale. Sembra sempre più evidente, anche alla luce delle recenti cronache giudiziarie, che piuttosto che non intralciare in maniera eccessiva la p.a. nella realizzazione di opere pubbliche e nell'acquisizione di beni e servizi, l'impedire il sindacato del giudice amministrativo sulle procedure di aggiudicazione comporti il rischio di incentivare fenomeni corruttivi che purtroppo rappresentano un malcostume italico.
Spesso, inoltre, sembra si dimentichi la provenienza della procedura giurisdizionale riguardante i contratti pubblici, essa, infatti, origina e, direi si esaurisce, nel diritto europeo. Diritto che costruisce un modello di tutela giurisdizionale diverso da quello tipicamente nazionale, un modello di tutela volto a tutelare non già l'interesse del singolo, sia esso individuo fisico o giuridico, bensì volto ad arginare violazioni da parte delle pubbliche amministrazioni e delle stazioni appaltanti in generale del diritto europeo ed in tal modo a tutelare la concorrenza e lo sviluppo privo di interferenze del Mercato. Tale tipo di tutela, per operare in maniera corretta, richiede necessariamente l’apertura del sindacato giurisdizionale al maggior numero di soggetti possibile.
Il principio di effettività della tutela nasce, a tal proposito, come mezzo coercitivo dell'Unione Europea nei confronti degli Stati volto all'affermazione ed alla implementazione dello stesso diritto europeo, anche se fin dalle prime pronunce si rinviene la sua origine nelle tradizioni comuni e nell’art. 6 della CEDU.
Anche se viene lasciata libertà agli Stati membri in ordine alle modalità di attuazione della normativa processuale in generale e nello specifico di quella delineata dalle cd. direttive ricorsi, tuttavia, quanto meno nel caso italiano, il sistema si è mostrato e continua a mostrarsi restio ad accogliere la “diversità” della tutela offerta da questo rito speciale.
Il dibattito relativo alle spese di giustizia, come dimostrato sopra, non è estraneo agli altri sistemi europei, anzi, sembra sempre più sentito anche negli altri Stati il tema dell'accesso alla giustizia, che spesso si scontra con le esigenze di rimpinguare le sempre più magre casse statali. È indicativo a tal fine il primo paragrafo del preambolo alla legge spagnola 20/2012 “el derecho a la tutela judicial efectiva no debe ser confundido con el derecho a la justicia gratuita. Se trata de dos realidades jurídicas diferentes. [...] el ciudadano puede pagar por los servicios que recibe de la Administración de Justicia”. Ma quale è la misura in cui il cittadino deve pagare per ricevere giustizia?
Indubbiamente la scelta del giudice trentino ha rappresentato una presa di posizione molto coraggiosa e antitetica rispetto alle interpretazioni di altri TAR e della stessa Corte Costituzionale. Esso si è fatto portatore del malcontento di tutti gli operatori del diritto di fronte all'indifferenza del legislatore.
Quindi se da un lato sicuramente c’è un giudice a Trento, speriamo, dall’altro, che esista davvero un giudice a Lussemburgo.

 

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[1] Si ricorda che con ordinanza del 29 gennaio 2014, n. 23 il medesimo T.R.G.A. aveva demandato la questione dell’elevato importo del contributo unificato in materia di appalti pubblici alla Corte di Giustizia dell’UE ritendo che gli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002, n. 115 potessero contrastare con i principi dettati dall’art. 1 della direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi).
[2] Con riguardo al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, del 26 marzo 2014, n. 73, con la quale la Consulta ha statuito in merito alla natura di tale ricorso asserendo che trattasi di “un rimedio giustiziale amministrativo, che è a sua volta alternativo al rimedio giurisdizionale amministrativo e ne ricalca solo alcuni tratti strutturali e funzionali”, non si comprende in che maniera sia ad esso applicabile la disciplina dettata dal D.P.R. 115/2002.
All'art. 2, infatti, il c.d. Testo unico in materia di spese di giustizia, stabilisce che le norme in esso contenute si applichino ai processi penali, civili ed amministrativi e definisce, all'art. 3, il processo come “qualunque procedimento contenzioso o non contenzioso di natura giurisdizionale”. E' evidente come non avendo il ricorso straordinario natura giurisdizionale, bensì giustiziale, esso dovrebbe essere escluso dall'applicazione della disciplina in materia di contributo unificato e di spese di giustizia in generale, così come disciplinate dal D.P.R. 115/2002 e successive modificazioni.
[3] L'art. 13, comma 6-bis, D.P.R. 115/2002, stabilisce in particolare che “Il contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato è dovuto nei seguenti importi: a) per i ricorsi previsti dagli articoli 116 e 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, per quelli aventi ad oggetto il diritto di cittadinanza, di residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio dello Stato e per i ricorsi di esecuzione nella sentenza o di ottemperanza del giudicato il contributo dovuto è di euro 300. Non è dovuto alcun contributo per i ricorsi previsti dall'articolo 25 della citata legge n. 241 del 1990 avverso il diniego di accesso alle informazioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale; b) per le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, si applica il comma 3; c) per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato comune a determinate materie previsto dal libro IV, titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nonché da altre disposizioni che richiamino il citato rito, il contributo dovuto è di euro 1.800; d) per i ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1, lettere a) e b), del codice di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il contributo dovuto è di euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; per quelle di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000 il contributo dovuto è di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 di euro è pari ad euro 6.000. Se manca la dichiarazione di cui al comma 3-bis dell'articolo 14, il contributo dovuto è di euro 6.000; e) in tutti gli altri casi non previsti dalle lettere precedenti e per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nei casi ammessi dalla normativa vigente, il contributo dovuto è di euro 650”.
[4] L'art. 37, co. 6, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111 ha portato il contributo unificato al valore di 4.000 euro. Con la riedizione dell’ art. 37, comma 6, lett. s), cit., come modificato dall'art. 1, comma 25, lett. a), nn. 1), 2) e 3), L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013 si sono previsti gli scaglioni così come sopra. 
A proposito del continuo aumento del contributo unificato vedi la nota n. 2.
[5] Bisogna rilevare che nel dicembre 2013 con l'emendamento, approvato dal Governo, n. 1.3282 al disegno di legge sulla “stabilità” gli importi dovuti per il contributo unificato in materia di appalti stavano per essere ulteriormente aumentati, si prevedevano, infatti, degli scaglioni da 3.500, 7.500 e 11.400 euro (aumentati poi del 50% in sede di appello!). Fortunatamente tale emendamento è stato ritirato e, conseguentemente, non si è avuto un ulteriore aumento degli importi suddetti. Vedi a tal proposito, STEFANO BIGOLARO, Ma da noi stava per essere raddoppiato il contributo sui giudizi in tema di appalti!, in http://www.amministrativistiveneti.it/index.php? option=com_content&task=view&id=546&Itemid=61.
[6] L'art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. 115/2002 stabilisce, difatti, : “Il contributo di cui al comma 1 è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione”.
[7] E' opportuno precisare, a tal proposito, che in sede di appello potrebbe ben essere la stazione appaltante a dover corrispondere tali importi.
[8] Tale norma prevede che: “Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
[9] Vedi punto 16.8 dell’ordinanza di remissione alla CGUE citata.
[10] L'art. 14, comma 3-ter stabilisce: “Nel processo amministrativo per valore della lite nei ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si intende l'importo posto a base d'asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara, ai sensi dell'articolo 29, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.
[11] Tale inciso si deve leggere nel senso che la giurisdizione competente a decidere sul ricorso avverso l’invito di pagamento è quella del giudice tributario.
[12] L’art. 16, rubricato “Omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato”, stabilisce: “1. In caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato si applicano le disposizioni di cui alla parte VII, titolo VII, del presente testo unico e nell'importo iscritto a ruolo sono calcolati gli interessi al saggio legale, decorrenti dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo. 1-bis. In caso di omesso o parziale pagamento del contributo unificato, si applica la sanzione di cui all'articolo 71 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, esclusa la detrazione ivi prevista”.
[13] L’art. 247 dispone: “1. Ai fini delle norme che seguono e di quelle cui si rinvia, l'ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso il magistrato dove è depositato l'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo unificato”.
[14] L’art. 248 stabilisce: “1. Nei casi di cui all'articolo 16, entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo, l'ufficio notifica alla parte, ai sensi dell'articolo 137 del codice di procedura civile, l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra il valore della causa ed il corrispondente scaglione dell'articolo 13, con espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese. 2. Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, l'invito è notificato, a cura dell'ufficio e anche tramite posta elettronica certificata nel domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, è depositato presso l'ufficio. 3. Nell'invito sono indicati il termine e le modalità per il pagamento ed è richiesto al debitore di depositare la ricevuta di
versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento”.
[15] L’art. 249 stabilisce: “1. Alla riscossione del contributo unificato si applicano gli articoli: 208, comma 2, riferito all'articolo 247; 210; 211, comma 2; 213; 214; 215; 216; 219; 220; 222; 223; 224; 225; 226; 227; 228; 230; 231; 234”.
[16] L’art. 71 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, rubricato “insufficiente dichiarazione di valore”, dispone che “si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta dovuta”.
[17] Vedi nel prosieguo la vicenda relativa all'introduzione del cd. timbre fiscal pour la justice.
[18] Nella Comunità Autonoma della Catalogna, la Presidencia de la Generalidad de Cataluña con l. 2/2014 del 27 di 
gennaio ha introdotto una tasa per i ricorsi di competenza del Tribunale Catalano per i contratti del settore pubblico (Tribunal Catalán de Contratos del Sector Público), il contributo di cui trattasi deve essere corrisposto, a pena di irricevibilità del ricorso, alla presentazione dello stesso, l'importo di tale contributo varia in base al valore del contratto da un minimo di 750 euro ad un massimo di 5.000 euro, nel caso in cui sia stato pagato il contributo per la fase cautelare (reclamaciòn de adoptiòn de medidas provisionales) non si dovrà pagare nessun altro contributo per la proposizione del ricorso di merito. La dottrina spagnola si è dimostrata molto critica, vedi a tal proposito MIGUEL ÁNGEL BERNAL BLAY, No a las tasasa en el ámbito del recurso especial en materia de contractación pública, in Observatorio de Contractación Pública, 5/2014 (http://www.obcp.es/index.php/mod.opiniones/mem.detalle/id.145/relcategoria.208/relmenu.3/chk.1acd61ad0fb4b78 b50684ddd5dcab369)
[19] Bisogna rilevare che pur essendo il costo di accesso alla giustizia di per sé molto basso non si può dire altrettanto per quanto concerne le parcelle dei barrister, potendo esse, solo in sede cautelare, aggirarsi in un range che varia dalle 75.000 alle 150.000 sterline (all'incirca dai 93.000 ai 186.000 euro), da corrispondere in egual misura, poi, in sede di merito. E' evidente dunque che l'ammontare delle spese di giustizia, in questo caso, è del tutto marginale, tale da non incidere in maniera significativa sulla scelta di ricorrere al sistema giudiziario.
[20] Questa denominazione è stata mantenuta solo in Irlanda del Nord, mentre, forse nel tentativo di un avvicinamento alla cittadinanza, nel Regno Unito oggi viene denominato “permission”.
[21] Vedi a tal proposito FRANCESCO VOLPE, Una storia francese (ancora sul contributo unificato), in LexItalia.it, n. 1/2014; CARINE DENEUX VIALETAY, Bonne nouvelle pour les justiciables! Le timbre à 35 € a été supprimé pour l'introduction d'une instance, in http://www.village-justice.com/article/Bonne-nouvelle-justiciables- timbre,15968.html.
[22] Così come riportato da FRANCESCO VOLPE, cit.
[23] L'importo fisso per i procedimenti civili e quelli amministrativi, in base al caso, varia dai 100 ai 300 euro. Per la 
Corte d'Appello 800 euro e 1.200 euro per l'equivalente spagnolo dell'italica Corte di Cassazione. Nel caso di controversie di lavoro per l'appello sono dovuti 500 euro e 750 per il terzo grado. 
Per quanto riguarda l'importo variabile, esso è calcolato nello 0.5% del valore della controversia per le somme superiori ad 1 milione di euro e nello 0.25% per quelle inferiori. 
Si prevede, inoltre, uno sconto del 10% se si utilizza la procedura telematica per la proposizione del ricorso.
[24] Caso Otis CGUE 6 novembre 2012, C-199/11.
[25] Si deve rilevare, tuttavia, che la normativa in commento sembra essere ancora vigente.

[26] L'ordinanza in esame è stata emanata nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto una procedura negoziata di affidamento di un appalto di servizi infermieristici sopra la soglia comunitaria e come tale rientrante nella sfera di applicazione della c.d. Direttiva ricorsi del 21 dicembre 1989, n. 665 e successive modificazioni. In quel caso, l'avvocato della società ricorrente ( lo Studio infermieristico Associato – Orizzonte Salute) in sede di proposizione di motivi aggiunti pagava il contributo unificato ordinario di euro 650 in luogo di quello di euro 2.000.
In ragione di ciò il Segretario generale del T.R.G.A. invitava l'avvocato suddetto al corretto pagamento del contributo speciale in materia di appalti di euro 2.000.
Venivano allora proposti ulteriori motivi aggiunti avverso tale provvedimento sulla base dei quali il giudice amministrativo trentino, dopo aver dichiarato la connessione strumentale e causale dei quarti motivi aggiunti relativi al pagamento del contributo unificato e la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ha ritenuto necessario sospendere il procedimento e rinviare pregiudizialmente la seguente questione alla CGUE: “se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE e successive modifiche ed integrazioni, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e ammnistrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002, n. 115 (come progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi) che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l'accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici”.
[27] La direttiva, così come da ultimo modificata dalla direttiva 23/2014 sulle concessioni, all'art. 1 stabilisce che: “1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 16, 17 e 37 di tale direttiva.
La presente direttiva si applica anche alle concessioni aggiudicate dalle amministrazioni aggiudicatrici, di cui alla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, a meno che tali concessioni siano escluse a norma degli articoli 10, 11, 12, 17 e 25 di tale direttiva.
Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori e di servizi e i sistemi dinamici di acquisizione.
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2014/24/UE o dalla direttiva 2014/23/UE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che tali decisioni hanno violato il diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali di recepimento.
2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali.
Gli Stati provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione [...] ”.
[28] Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, oltre ad essere uno dei principi cardine del diritto europeo, tanto da essere affermato anche nell'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, si rinviene anche nella CEDU agli artt. 6 e 13 ed implicitamente negli artt. 24 e 113 della nostra Carta Costituzionale. L'importanza e la centralità di tale principio sono tali che il nostro legislatore, all'art. 1 del cpa ha esplicitamente previsto che: “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”.
[29] Da una semplice lettura dei considerando della direttiva ricorsi su menzionata risulta evidente come l'imposizione di una contribuzione così elevata e non parametrata agli utili derivanti dall'eventuale aggiudicazione ed esecuzione del contratto risulti del tutto iniqua ed irragionevole e soprattutto “pericolosa”: “considerando che l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione e che occorre, affinché essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscono tale diritto; considerando che l'assenza o l'insufficienza di mezzi di ricorso efficaci in vari stati membri dissuade le imprese comunitarie dal concorrere nello Stato dell'autorità aggiudicatrice interessata; che è pertanto necessario che gli stati membri interessati pongano rimedio a tale situazione; considerando la necessità di garantire in tutti gli Stati membri procedure adeguate che permettano l'annullamento delle decisioni illegittime e l'indennizzo delle persone lese da una violazione;
considerando che, se le imprese non avviano la procedura di ricorso, ne deriva l'impossibilità di ovviare a determinate infrazioni a meno di istituire un meccanismo specifico”.
[30] In tal senso punto 25 dell'ordinanza di rinvio: “l'imposizione di un'elevata tassazione, come condizione per poter tutelare le proprie ragioni in giudizio, significa discriminare coloro che non hanno adeguati mezzi economici per farle valere, nonché scoraggiare o impedire la tutela di interessi economici non sufficientemente robusti, rispetto all'entità della somma da sborsare a titolo di contributo unificato”.
[31] E' opportuno precisare, a tal proposito, che ai sensi dell'art. 13, comma 6-bis.1, ultimo periodo “...l'onere relativo al pagamento dei contributi suddetti è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale e anche se essa non si è costituita in giudizio”. In tal modo, dunque, l'importo smisurato del contributo unificato graverà non solo sulle finanze del ricorrente, ma, in caso di soccombenza, anche sulle finanze, già alquanto dissestate, delle stazioni appaltanti.
[32] La Corte Costituzionale con le sentenze n. 21 e n. 79 del 1961 ha dichiarato il meccanismo del solve et repete incostituzionale, in quanto in contrasto gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Tale meccanismo reca un impedimento al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, in contrasto non solo con le norme costituzionali suddette, ma anche con i principi comunitari, nonché perché esso ingenera una disparità di trattamento fra contribuente in grado di pagare immediatamente e contribuente non particolarmente abbiente.
[33] La giurisprudenza della CGUE in tale materia è molto vasta, si può vedere come esempio la sentenza 15 aprile 2008, causa C- 268/06, Impact in particolare ai punti 44-46 e la giurisprudenza in esso citata.
Interessante ai nostri fini è il caso DEB, C-279/09, ed in particolare le conclusioni dell'Avvocato Generale Paolo Mengozzi. Sebbene il caso in oggetto riguardasse l'accesso al gratuito patrocinio in Germania, l'Avvocato Generale analizza la possibilità di subordinare il procedimento al pagamento di una tassa, a condizione che essa non risulti sproporzionata. Possibilità scaturente dall'autonomia procedurale degli Stati membri. Si vedano a tal proposito i punti 54 e ss. delle suddette conclusioni.
Per un esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia si veda, tra i tanti, Stefano Salvatore Scoca, L’effettività della tutela nell’azione di annullamento, in Diritto processuale amministrativo, 4, 2012, 1397 e ss.; Mario Pilade Chiti, Diritto amministrativo europeo, IV ed., Milano, 2011, 660 e ss.
[34] Vedi in tal senso le conclusioni dell'Avvocato Generale Niilo Jääskinen nella causa C-536/11, Bundeswettbewerbsbehörde contro Donau Chemie AG ed altri.
[35] Si vedano gli ulteriori recenti aumenti del contributo unificato nel processo civile disposti dall’art. 53 del d.l. 90/2014.
[36] Alcuni avvocati amministrativisti milanesi avevano già tentato di porre in essere un ricorso simile presso il TAR Lombardia, Milano, il quale, tuttavia, con sentenza 19 luglio 2013, n. 1927 aveva dichiarato il ricorso inammissibile. Nel caso posto all'esame del TAR Lombardia, si era stata impugnata la nota del Segretario generale del TAR Lombardia avente ad oggetto “nuovi valori del contributo unificato” affissa nell'Ufficio accettazione del medesimo TAR. Tuttavia, si trattava, ad avviso del giudice amministrativo, non di un atto amministrativo bensì di un 
mero avviso “che si limita a richiamare pedissequamente il contenuto della norma (art. 13, comma 6 bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, come da ultimo modificato) che stabilisce la misura del contributo unificato in relazione alle varie tipologie di controversie proposte davanti al giudice amministrativo”. 
Il TAR Milano forniva, inoltre, indicazioni in merito alle possibili modalità di impugnazione dell'elevato importo del contributo unificato stabilendo che: “naturalmente le parti potranno agire a tutela dei loro interessi incardinando il giudizio presso il giudice munito di giurisdizione – il giudice tributario (Cass., SS. UU., 17 aprile 2012, n. 5994; 5 maggio 2011, n. 9840) – in occasione dei contenziosi aventi ad oggetto l’omesso parziale o totale versamento del contributo unificato”.
[37] In relazione alle modalità con le quali ricorrere avverso il contributo unificato, così come indicato dal TAR Lombardia richiamato, su iniziativa degli Avvocati Amministrativi Siciliani si è fatto ricorso negli scorsi giorni alle Commissioni Tributaria, in proposito http://www.giurdanella.it/2014/05/19/il-contributo-unificato-incostituzionale-il-ricorso-degli- avvocati-amministrativisti-siciliani/.
[38] Si vedano a titolo di esempio FRANCESCO VOLPE, Un contributo per una giustizia che spesso non c'è, in 
www.lexitalia.it, n. 7 – 8/ 2006; dello stesso autore, Nuove riflessioni sul regime del contributo unificato nel processo amministrativo, in www.lexitalia.it, n. 7 – 8/ 2006; id., Considerazioni sull'effettività di tutela nell'attuale sistema di giustizia amministrativa, in www.amministrativistiveneti.it, 4/2012; GIOVANNI VIRGA, Il prezzo della giustizia (a proposito dell'aumento fino al 2.000 euro del contributo unificato previsto dal maxi-emendamento alla finanziaria 2007), in www.lexitalia.it, n. 12/2006; MARIA ALESSANDRA SANDULLI, Le nuove misure di deflazione del contenzioso amministrativo: prevenzione dell'abuso del processo o diniego di giustizia, in www.federalismi.it, 2012.
[39] Con un ricorso presentato dagli Avvocati Amministrativisti, si veda a tal proposito 
http://www.giurdanella.it/2013/10/11/appalti-gli-avvocati-amministrativi-contro-laumento-del-contributo-unificato /.
[40] Corte Cost., ord. 6 maggio 2010, n. 164 dichiarava manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1307, della legge finanziaria 2007 che fissava in euro 2.000 il contributo unificato per gli atti giudiziari di fronte al giudice amministrativo in materia di affidamenti di lavori, servizi e forniture per contraddittorietà del petitum. Incidentalmente, peraltro, la Consulta afferma: “che, in ogni caso, la questione è inammissibile per la pluralità delle soluzioni che possono essere offerte dal legislatore in una materia, quale quella della determinazione delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia ed altresì quella tributaria, nella quale vige il principio della sua discrezionalità e della insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una manifesta irragionevolezza (v. sentenza n. 162 del 1983)” e, inoltre, “che, nel caso di specie, la norma censurata, introducendo una più articolata distinzione tra diverse categorie di controversie amministrative ed elevando la misura dei contributi per alcune di esse, deve ritenersi frutto di una scelta discrezionale non manifestamente irragionevole”.
[41] Si ricorda, infatti, che in diverse occasioni la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativamente all'importo del contributo unificato in materia di appalti. Si rimanda per i riferimenti alla nota precedente.
[42] Si vedano, a titolo esemplificativo: Caso Rewe, 16 dicembre 1976, 33/76; caso Johnston, 15 maggio 1986, 222/84; caso Heylens, 15 ottobre 1987, 222/86; caso Peterbroek, 14 dicembre 1995, C-312/93; caso Impact, 15 aprile 2008, C-268/06.
[43] Cit. Mario Pilade Chiti, cit., p. 665.
[44] Sempre in un’ottica deflattiva sembrano inserirsi le nuove disposizioni del D.L. 90/2014 volte ad una ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici e/o le misure per il contrasto dell’abuso del processo.
Per un primo commento si veda Maria Alessandra Sandulli, Il D.L. 24 giugno 2014 n. 90 e i suoi effetti sulla giustizia amministrativa. Osservazioni a primissima lettura, in Federalismi.it, 14/2014.

 

(pubblicato l'8.7.2014)

 

 

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