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n. 7-2014 - © copyright |
ENRICO FOLLIERI
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Potere giuridico e atto autoritativo
nel pensiero di Antonio Romano Tassone
XIX CONVEGNO ANNUALE DI STUDI
COPANELLO 4 – 5
LUGLIO 2014
Le prospettive del diritto amministrativo nei
contributi di Antonio Romano Tassone
° ° ° ° ° ° °
°
Sommario: 1. Rilievi preliminari. – 2. Lo Stato
e la banda di briganti. – 3. La legittimazione del potere giuridico.
– 4. La riconduzione ad unità dell’autorità degli atti dei pubblici
poteri. – 5. Conclusioni.
° ° ° ° ° ° ° °
1. Rilievi preliminari.
Il
potere giuridico è un tema dal grande fascino ed è centrale nel
diritto in genere e, soprattutto, nel diritto pubblico. Esso può
essere preso in esame sotto numerosi profili e si insinua in tutti
gli argomenti di carattere generale per cui lo si ritrova in molti
scritti di Antonio Romano Tassone. Nella monografia sulla
motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di
legittimità, ove se ne considera l’aspetto del controllo del suo
esercizio attraverso l’esternazione delle ragioni del decidere e la
verifica che esegue il giudice. Nella monografia sulla irregolarità
degli atti amministrativi ove si analizza la rilevanza della
difformità del prodotto del potere dal modello normativo. Nei
diversi lavori sulle situazioni giuridiche soggettive in cui si
inscrive il rapporto del cittadino con il potere amministrativo e in
numerosi altri saggi.
Pertanto, ho dovuto circoscrivere il tema
del potere giuridico per evitare di esporre, se non tutta, gran
parte dell’opera di Antonio, andando a “calpestare il giardino”
affidato alla coltivazione degli altri relatori.
In questo sono
stato aiutato dall’accostamento, nel titolo della relazione,
dell’atto autoritativo al potere giuridico, operato dagli
organizzatori del convegno.
La mia relazione, dunque, si incentra
sui contributi di Antonio riguardanti il concetto di potere
giuridico e, in specie, il potere giuridico amministrativo nelle sue
manifestazioni autoritative e la legittimazione del potere; appare
riduttivo affermare che tali temi siano stati trattati in alcuni
saggi ed articoli, data la intensità di pensiero espressa
dall’Autore e il livello di approfondimento attinto che esulano dal
genere letterario di riferimento[1].
2. Lo Stato e la
banda di briganti.
I contributi presi in esame, pur
partendo da problematiche diverse, convergono verso i fondamenti
giustificativi del potere.
Infatti, nel primo degli scritti che
approfondisce la tematica[2], si affronta il concetto di potere
giuridico. Antonio richiama la concezione soggettiva del potere
giuridico e quella oggettiva e critica l’una e l’altra per giungere
ad una superiore sintesi dialettica nella quale il potere è
l’energia giuridica che sprigiona il soggetto in attuazione
dell’ordinamento giuridico[3], nell’incontro e nell’integrazione dei
profili soggettivo ed oggettivo. Antonio mi fece tenere un estratto
degli annali dell’Università di Messina in cui ha pubblicato il
lavoro de quo che mi serviva per uno studio che stavo
svolgendo sul potere amministrativo, ma non terminai la lettura e,
per varie vicende personali, misi da parte la ricerca e la ripresi
in un momento successivo e, non rinvenendo l’estratto, chiesi ad
Antonio se poteva inviarmene un altro e lui, con la signorilità e la
generosità che lo distingueva, mi inviò un’altra copia; anche in
questa occasione, però, non giunsi alla fine del saggio. Ora mi
rendo conto del perché: ho avuto la presunzione di volerlo leggere
e, invece, avrei dovuto studiarlo perché questa opera, come la
maggior parte di quelle di Antonio, sono il frutto di maturazioni e
riflessioni attraverso le quali Egli assimila concetti e termini che
usa poi disinvoltamente, mettendo in difficoltà chi voglia leggere e
non studiare, cioè non fermarsi a penetrare il testo e riflettere
sul suo pensiero. Certamente si richiede da parte di chi si avvicina
ai suoi lavori impegno e tempo che però vengono ampiamente ripagati
dall’arricchimento culturale che si ricava dai suoi
scritti.
Questo primo approfondimento sul potere giuridico va,
poi, a considerare la fonte di legittimazione del potere statale.
Nel successivo lavoro, a distanza di 10 anni, sull’autorità
degli atti dei pubblici poteri[4], scopo della Sua indagine è
unificare il modello teorico dell’autorità degli atti dei pubblici
poteri – legge, sentenza e provvedimento amministrativo – per
trovare il connotato dinamico comune degli atti che, poi, rinviene
nella rilevanza giuridica invece che nell’efficacia. Anche qui la
confluenza finale è alla ricerca della legittimazione politica delle
decisioni di apparato.
E nell’ultimo lavoro in corso di
pubblicazione[5] si analizza esclusivamente l’inquadramento generale
del “pubblico potere” per stabilirne la sua legittimazione.
Il
problema sempre sfiorato, accennato e sentito fortemente che il
Nostro finalmente affronta ex professo è la spiegazione del
perché si possano produrre gli effetti della dinamica giuridica che
si collega all’esercizio del potere e tali effetti vengano
riconosciuti come prodotti dall’ordinamento giuridico.
È una
questione essenziale per stabilire il perché della giuridicità di un
ordinamento e che i filosofi del diritto conoscono confrontando lo
Stato, come comunità giuridica, e la banda di briganti.
È nota la
diatriba, tutta culturale, impostata, a distanza di secoli, da Hans
Kelsen nei confronti del giusnaturalista Sant’Agostino.
Nella
dottrina pura del diritto[6] si cerca la spiegazione del perché, pur
non esistendo alcuna differenza fra la descrizione dell’ordine di un
bandito di consegnare la borsa e dell’ordine di un organo giuridico
che impone il pagamento di una somma di danaro (a titolo di tassa o
altro), il secondo viene ritenuto un comportamento, anche se
imposto, doveroso, mentre il primo una pura “minaccia” percepito
come un’aggressione senza fondamento[7].
La risposta del Kelsen
è che si interpreta l’ordine dell’organo giuridico come
l’applicazione di una norma oggettivamente valida statuente l’atto
coercitivo e tale ultima norma è valida perché prodotta in base ad
altra norma, gerarchicamente superiore, che, a sua volta, trova
fondamento in altra previsione superiore, sino a giungere all’apice
della scala ove è la norma fondamentale dell’ordinamento giuridico
che è presupposta, non posta, e che afferma la giuridicità
dell’ordinamento. Invece, l’ordine del bandito è qualificato, in
base all’ordinamento giuridico, come un delitto.
L’individuazione
della norma fondamentale presupposta è, per il Kelsen, una funzione
essenziale della scienza giuridica che deve eseguire tale indagine
per ogni sistema normativo e che porta a distinguere lo Stato dalla
banda di briganti perché quest’ultima non riesce ad imporsi con
quell’efficacia continua, senza la quale non si può presupporre
alcuna norma fondamentale che ad esso si riferisca e che ne fondi la
validità oggettiva[8].
L’efficacia complessiva e continua di un
ordinamento comporta la sua validità giuridica e la comunità cui
l’ordinamento si riferisce ritiene vincolanti le norme poste secondo
le sue regole, senza che sia necessario esprimere alcun giudizio di
valore e, in particolare, quello della giustizia che è espunto dal
concetto di diritto e non può essere criterio di distinzione della
comunità giuridica dalla banda di briganti come avviene, rileva il
Kelsen, nella teologia di Sant’Agostino. Per quest’ultimo, non può
esservi uno Stato se non è rispettata la giustizia perché altrimenti
anche gli Stati sono delle grandi bande di briganti[9]. E la
giustizia è la virtù che dà ad ognuno il suo[10], nel rispetto dei
precetti del vero Dio, per cui il diritto è un ordinamento
coercitivo giusto e, proprio grazie alla sua giustizia, si distingue
dall’ordinamento di una banda di briganti.
Le due concezioni sono
agli antipodi: nessun giudizio di valore può fondare, di per sé, un
ordinamento giuridico per il Kelsen, solo un valore di giustizia
trascendente può identificare un ordinamento giuridico per
Sant’Agostino.
Le diverse posizioni si basano su delle opzioni
teoriche e concettuali di chiara ispirazione.
3. La
legittimazione del potere giuridico.
Antonio non si
interessa della giuridicità dell’ordinamento giuridico nel suo
complesso, ma della specificità giuridica del potere e, soprattutto,
di quello pubblico. È una indagine non diversa perché affonda
l’analisi nella ragione prima giustificatrice della dinamica
giuridica. Egli rileva che un tempo era diffusa ed accreditata
l’opinione che potere pubblico e potere privato fossero entrambi da
inquadrare giuridicamente come espressione di un medesimo diritto e,
quindi, legati ad una lettura in chiave eminentemente soggettiva
dominante dall’800 fino alla metà del 1900; oggi, invece, la stessa
impostazione unificatrice “fà leva piuttosto sugli aspetti oggettivi
della dinamica del potere”[11].
Ed è in questo trascorrere dal
soggetto all’oggetto che individua la tecnica di legittimazione
dell’autorità e che lo porta, sotto altro aspetto, a distinguere il
potere privato da quello pubblico perché il secondo è, allo stato,
quello che individua la propria legittimazione nella sua natura
oggettiva.
Va chiarito che Antonio non abbraccia una precisa
opzione ideologica, ma considera il diritto nella sua dimensione
effettiva data dalla storia e dalla società. Sono la storia e la
sociologia a dettare lo spartito della legittimazione del potere
giuridico, sia privato che pubblico, e che viene diviso in formule
soggettive e oggettive.
Sono soggettive le formule che portano al
rispetto e all’osservanza di una decisione per la sua provenienza da
un soggetto “spesso una persona fisica, dotato di particolare
qualificazione (per natura; per nascita; per scelta divina; per
elezione popolare etc.)”[12]. Sono oggettive quando “fanno leva, a
questi stessi fini, su caratteristiche intrinseche della decisione
in quanto tale (razionalità, rispetto allo scopo o rispetto al
valore; legalità, formale ovvero solo sostanziale; non arbitrarietà;
convenzionalità; formazione procedimentale; etc.)”[13].
Esse
possono stare alla base del potere giuridico indifferentemente, a
seconda del momento storico, e possono anche convivere nella
contestualità poiché non si è in presenza di “un’alternativa secca
(o ‘a terzo escluso’)”[14].
Antonio ritiene che la legittimazione
possa avvenire fondandosi sia su profili esclusivamente normativi
che di valore e li ricomprende nella summa divisio soggettiva
e oggettiva di cui sottolinea le diversità tecniche.
Le prime
(soggettive) garantiscono un più facile riconoscimento della singola
decisione giuridica essendo basate su parametri più sicuri,
costituiti dalla corretta investitura di colui da cui promana la
decisione stessa ed esse sostengono, “più che ogni singola decisione
assunta, il complesso delle decisioni che il ‘legittimo’ titolare
del potere abbia occasione di emettere durante tutto il suo
mandato”[15].
Le formule oggettive attengono, invece, “a ciascuna
singolarmente delle decisioni adottate dal titolare di un potere
che, per quanto dotato di una incontestabile investitura, non è in
grado di ottenere efficacemente, su questa sola base, adesione e
consenso. Il plafond legittimativo richiesto dalle tecniche a
base oggettiva appare inoltre (qualunque esso sia) più difficile da
conseguire, sicchè il suo effettivo raggiungimento ad opera della
singola decisione si presta, sempre in linea di massima, a maggiori
dubbi e contestazioni”[16].
La dimensione giuridica delle due
tecniche le fa ascrivere a due diverse categorie per la profonda
diversità dei meccanismi sociali fondativi di questi
fenomeni[17].
Dunque, il Nostro analizza, distingue,
approfondisce e riferisce, nell’attualità e nella normalità, le
tecniche soggettive al potere privato perché “l’autorità appare
effettivamente sostenuta da fattori legittimanti generalmente
riconosciuti e rifluenti nella identificazione di un centro stabile
di riferimento del potere, e che assume quindi più intensa e
radicata valenza soggettiva”[18], mentre assegna alle tecniche
oggettive di legittimazione il potere pubblico.
Le conclusioni di
Antonio sono che oggi l’autorità pubblica si distingue da quella
privata non più sulla base della capacità giuridica del soggetto
titolare del potere, ma del fondamento “rispettivamente obiettivo e
subiettivo, della pretesa di legittimazione delle decisioni in cui
esse si manifestano”; tale distinzione si fonda “sulla
funzionalizzazione dell’attribuzione del potere, che in un caso
sottende interessi di primario rilievo collettivo, mentre nell’altro
è effettuata nell’interesse dello stesso titolare”. [19]
La
distinzione comporta una differente distribuzione “della forza
giuridica ‘passiva’ delle decisioni stesse (ossia: della loro
resistenza di fronte alle possibili contestazioni)”[20]: sono più
resistenti le decisioni autoritative pubbliche che quelle private
per la diversa funzionalizzazione del potere che esse
esprimono[21].
Nel suo pensiero primeggia la realtà sociale e
l’esperienza giuridica a dispetto del fideismo ideologico perché,
pragmaticamente, vive da giurista concreto il diritto e registra il
cambio di valutazione in relazione al mutare dei momenti storici. Il
Suo è un relativismo razionale che si ispira al popperismo, ma che
non rinunzia alla sistemazione dogmatica dei concetti che vengono
utilizzati come parametro per l’individuazione di categorie
euristiche.
4. La riconduzione ad unità dell’autorità
degli atti dei pubblici poteri.
Interessante il
contributo volto a condurre ad unità la forza tipica di ciascun atto
dei pubblici poteri: la forza di legge, la regiudicata della
sentenza, l’imperatività del provvedimento
amministrativo[22].
Antonio prende in considerazione le diverse
tesi e critica, anche se nel suo consueto modo rispettoso delle
altrui idee e in modo persuasivo, ma non tranciante, la teoria della Rechtskraft (“cosa giudicata”) come criterio unificante degli
atti giuridici pubblici, riportando ampiamente in proposito il
pensiero di Merkl e di Kelsen.
Espone, poi, la crisi del modello
tradizionale che vuole accentrato il tratto unificante
nell’efficacia degli atti pubblici, sottolineando la necessità di
superare un tale modello.
Quindi, traccia un’ipotesi
ricostruttiva.
È una caratteristica degli scritti di Antonio
l’analisi attenta e la critica puntuale delle opinioni espresse
sull’argomento, per poi proporre la ricostruzione o gettare le basi
per una ricostruzione[23]; la sua non è mai critica fine a sé
stessa.
Dopo aver escluso che l’efficacia possa rappresentare
criterio di qualificazione di tutte le fattispecie come
riconducibili alla sovranità perché non unificante, da un lato, per
l’estrema genericità e, dall’altro lato, per la tipicità e
differenziazione sul piano dell’efficacia della legge, della
sentenza e del provvedimento amministrativo, indica come ipotesi
ricostruttiva quella della collocazione dell’autorità degli atti dei
pubblici poteri nella fase della rilevanza giuridica che rappresenta
il connotato dinamico comune degli atti stessi. Constata che vi è
una tendenziale divaricazione tra validità ed efficacia degli atti
dei pubblici poteri i quali producono effetto a prescindere dalla
loro (definitiva) validità e perfezione e verifica come ciò accada
sia per la legge – che è efficace sino a quando non venga dichiarata
la sua incostituzionalità – sia per la sentenza – che esplica
effetti pur se non ancora passi in cosa giudicata – sia per il
provvedimento amministrativo – che, indipendentemente dalla sua
validità, è imperativo. Gli atti producono effetti a prescindere da
ogni considerazione sulla loro validità e perfezione perché è
sufficiente la loro esistenza rilevante giuridicamente.
L’obiezione che la rilevanza giuridica possa essere unificante
di qualunque atto, anche privato, conduce l’Autore a considerare la
teoria del c.d. “effetto negoziale” secondo cui la semplice
esistenza del negozio giuridico sarebbe, per ciò solo, impegnativo
per la parte che lo ha posto in essere.
Antonio rileva che
l’effetto negoziale “viene eliso (o comunque limitato)
dall’eventuale invalidità del negozio, ciò che invece non si
verifica affatto per gli atti di diritto pubblico”[24]; quindi, vi
sarebbe almeno una differenza specifica rappresentata dalla
resistenza all’invalidità, posseduta dagli atti dei pubblici poteri
e non dal negozio giuridico. Inoltre, l’effetto negoziale andrebbe
ricondotto non all’autonomia privata, ma alla norma, con assunzione
quindi di natura pubblica perché tale teoria “coglie un profilo
dinamico del negozio giuridico estraneo alla privata autonomia e
totalmente situato nell’orbita del pubblico potere”[25].
In
questo modo la rilevanza giuridica va a “coprire” anche questa
ipotesi perché attratta nell’area pubblica.
La soluzione
unificante prospettata (rilevanza giuridica) viene indicata come
“particolarmente brillante”[26] perché l’atto non fonda più il
proprio valore imperativo “su una pretesa di conformità ad una norma
superiore, ma ripete la propria autorità direttamente da sé stesso,
dalla propria esistenza in quanto tale”[27]. Di poi, ciò consente di
porre a fondamento dell’autorità un principio obiettivo di
legittimazione più forte di quello della conformità alla norma e
cioè la “corrispondenza ad un meccanismo logico-giuridico insito
nella stessa natura delle cose, tanto inevitabile e neutrale da
poter essere riscontrato, fondamentalmente identico anche in ambiti
non dominati dall’autorità”.
Si può non essere d’accordo con
questa ricostruzione perché la produzione degli effetti di ogni
fattispecie, pubblica o privata, ha come momento di qualificazione
essenziale la rilevanza giuridica che ne fa apprezzare la
riconducibilità alla previsione normativa, ma il discorso è il
frutto dell’esame di una problematica che non ha trovato, tutt’oggi,
una sistemazione accettabile e la strada indicata può trovare
precisazione in studi che possano cogliere la particolarità
differenziata degli atti dei pubblici poteri partendo proprio dalla
rilevanza giuridica come criterio unificante.
5.
Conclusioni.
Il potere giuridico e l’atto autoritativo
sono temi nei quali le fonti da prendere in esame sono costituite
soprattutto, se non in via esclusiva, dalla dottrina, per cui
passano in secondo piano sia la giurisprudenza che la normativa
positiva, di cui pure Antonio ha tenuto conto.
È un discorrere
sui principi, ma soprattutto sulle categorie giuridiche e la teoria
generale del diritto, alla ricerca di una ordinata sistemazione dei
vari contributi della dottrina, come tanti tasselli di un mosaico,
espellendo quelli inadatti ed eversivi del complessivo disegno
concettuale proprio di Antonio che si è andato formando attraverso
studi e riflessioni profonde ed attente al fenomeno giuridico nella
sua dimensione esistenziale e sociale.
Antonio è il giurista
che, rigoroso nella dogmatica, nei concetti e nelle categorie
giuridiche, affronta qualunque problematica, forte della sua
radicata preparazione, cultura e conoscenze tecniche, ma nello
stesso tempo colloca nella realtà sociale le varie possibili
soluzioni perché il susseguirsi delle istituzioni e del diritto
positivo nel fluire della storia gli suggeriscono una visione
relativistica e popperiana dei fenomeni giuridici.
Antonio Romano
Tassone ha dato al diritto amministrativo un contributo di ampio
spessore culturale e di sistemazione dogmatica e categoriale. Egli
ha fornito le basi per ulteriori approfondimenti nella direzione
“del riconoscimento multifasico della decisione, pubblica e privata
da parte dell’ordinamento giuridico” come rilevato nel citato
scritto in corso di pubblicazione[28]. Ha indicato, altresì, quelli
che sono oggi i veri problemi della crisi dell’attività autoritativa
della pubblica amministrazione ma non accetta di riversare il potere
amministrativo nell’alveo dei “poteri privati”. Per Antonio,
l’attività amministrativa non va identificata solo con l’atto, ma va
tenuta nell’area del comportamento giuridicamente rilevante per i
suoi risvolti funzionali, prospettando una distinzione ancora più
profonda e radicale dall’esercizio di “poteri privati”,
tradizionalmente fondata sulla diversa portata imperativa degli atti
autoritativi[29].
Antonio ha conquistato un posto di assoluto
rilievo nel panorama della dottrina amministrativistica e con i
ringraziamenti per la sua importante opera, non posso non esprimere
l’amarezza ed il rimpianto per la sua immatura perdita che ha
lasciato un grande vuoto tra gli studiosi e tra gli amici nei quali
ho il privilegio di iscrivermi.
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[1] I contributi di Antonio su questo specifico
profilo si rinvengono particolarmente in: “Note sul concetto di
potere giuridico”, pubblicato nel 1981 negli Annali della
Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Messina, 406-481;
“Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri” apparso nel
1991 sulla rivista Diritto e Società, 51-91; “Esiste l’atto
autoritativo della pubblica amministrazione? (in margine al recente
convegno dell’AIPDA)” pubblicato nel 2011 sulla rivista Diritto
Amministrativo, 759-764 e “A proposito del potere, pubblico e
privato, e della sua legittimazione in corso di stampa nel
fascicolo n. 4/2013 della rivista Diritto Amministrativo, 559-580.
Possono definirsi articoli o saggi, ma in effetti la densità
concettuale di questi lavori non rende loro giustizia perché sono
sintesi monografiche.
[2] Note sul concetto di potere
giuridico, op. cit..
[3] Op. ult. cit., 449.
[4] Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, op.
cit..
[5] A proposito del potere, pubblico e privato e
della sua legittimazione, op. cit..
[6] Il titolo originale
è Reine Rechtslehre, Wien 1960, tradotto in italiano a cura
di Mario G. Losano, Torino 1966.
[7] H. Kelsen, op. cit.,
57 e ss..
[8] H. Kelsen, op. ult. cit., 61.
[9]
Sant’Agostino, Civitas Dei, libro IV, 4: “Remota itaque
iustitia quid sut regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia
quid sunt nisi parva regna?”
[10] Sant’Agostino, op. ult.
cit., libro XIX, 21: “Iustitia porro ea virtus est, quae sua
cuique distribuit. Quae igitur iustitia est hominis, quae ipsum
hominem Deo vero tollit et immundis daemonibus subdit? Hoccine est
sua cuique distribuere? An qui fundum aufert eius, a quo emptus est,
et tradit ei, qui nihil habet in eo iuris, iniustus est; et qui se
ipsum aufert dominanti Deo, a quo factus est, et malignis servit
spiritibus, iustus est?”
[11] A proposito del potere,
pubblico e privato e della sua legittimazione, op. cit.,
562-563.
[12] Op. ult. cit., 567.
[13] Op. ult.
cit., 567.
[14] Op. ult. cit., 567.
[15] Op.
ult. cit., 568.
[16] Op. ult. cit., 568.
[17] Op. ult. cit., 571.
[18] Op. ult. cit., 569.
L’Autore fa l’esempio dell’autorità genitoriale sui figli minori,
esercitata in base alla presunzione che il soggetto titolare sia
dotato, ratione experientiae ac aetatis, di una maggiore
capacità di discernimento di ciò che è bene per lo stesso soggetto
passivo e quello dell’autorità datoriale, legittimata dal fatto che
il lavoratore “abbia alienato ‘liberamente’ e stabilmente al datore
di lavoro una parte consistente della propria sfera di
autodeterminazione personale attraverso un apposito patto,
impegnandosi così a riconoscere a priori come legittime le decisioni
che il datore verrà via via emanando nell’ambito contrattualmente
predefinito”.
[19] Op. ult. cit., 579.
[20] Op.
ult. cit., 580.
[21] In precedenza in Note sul concetto
di potere giuridico, op. cit., 481, Antonio riteneva che
il principio obiettivo di legittimazione e riconoscimento dell’atto
giuridico non si era ancora sostituito al primo dominante principio
soggettivo e concludeva che “è solo dall’incontro e
dall’integrazione di tali due profili che può scaturire, pertanto,
una chiara visione del nucleo essenziale del potere, quale si
rivela, giorno per giorno, nell’esperienza sociale e giuridica
contemporanea”. In questo scritto, però, la natura giuridica
oggettiva del potere era identificata con la concezione
normativistica del diritto, non come fatto di legittimazione
politica del potere poiché la questione affrontata è il concetto di
potere giuridico più che la legittimazione del potere; anche se vi
è, da pag. 445 in poi, un riferimento alla legittimazione politica
degli atti dei pubblici poteri e si evidenzia che la principale
fonte di legittimazione del potere statale è costituita negli Stati
a governo parlamentare dalle elezioni politiche che attuano il
principio rappresentativo che informa di sé l’intera organizzazione
del potere (451).
[22] Sull’autorità degli atti dei pubblici
poteri, op. cit..
[23] A. Romano Tassone, Note sul
concetto di potere giuridico, op. cit., 472, evidenzia
che è necessario tracciare “un più compiuto disegno dei rapporti tra
il potere, come categoria fondamentale della società politica, e le
forme giuridiche in cui esso è apprezzabile; è necessario, cioè,
riprendendo e coordinando in un quadro complessivo gli spunti
critici che siamo andati svolgendo, ribaltarne in indicazioni
positive la sostanza polemica ed abbozzare un profilo sommario della
dinamica giuridica”. È quello che Antonio fa ogni volta che affronta
un argomento: prende in esame tutte le tesi che si sono susseguite,
le considera criticamente e riparte a fini costruttivi. Egli pone la
“demolizione” come base della (ri)costruzione.
[24] Op. ult.
cit., 86.
[25] Op. ult. cit., 86.
[26] Op.
ult. cit., 88.
[27] Op. ult. cit., 88.
[28] A
proposito del potere, pubblico e privato, e della sua
legittimazione, op. cit., 580.
[29] Esiste l’atto
autoritativo della pubblica amministrazione? (in margine al recente
convegno dell’AIPDA), op. cit., 763.
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(pubblicato il
7.7.2014)
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