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n. 7-2014 - © copyright

 

ENRICO FOLLIERI

Potere giuridico e atto autoritativo nel pensiero di Antonio Romano Tassone

 

 


 

 

XIX CONVEGNO ANNUALE DI STUDI
COPANELLO 4 – 5 LUGLIO 2014
Le prospettive del diritto amministrativo nei contributi di Antonio Romano Tassone
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Sommario: 1. Rilievi preliminari. – 2. Lo Stato e la banda di briganti. – 3. La legittimazione del potere giuridico. – 4. La riconduzione ad unità dell’autorità degli atti dei pubblici poteri. – 5. Conclusioni.

 

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1. Rilievi preliminari.
Il potere giuridico è un tema dal grande fascino ed è centrale nel diritto in genere e, soprattutto, nel diritto pubblico. Esso può essere preso in esame sotto numerosi profili e si insinua in tutti gli argomenti di carattere generale per cui lo si ritrova in molti scritti di Antonio Romano Tassone. Nella monografia sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, ove se ne considera l’aspetto del controllo del suo esercizio attraverso l’esternazione delle ragioni del decidere e la verifica che esegue il giudice. Nella monografia sulla irregolarità degli atti amministrativi ove si analizza la rilevanza della difformità del prodotto del potere dal modello normativo. Nei diversi lavori sulle situazioni giuridiche soggettive in cui si inscrive il rapporto del cittadino con il potere amministrativo e in numerosi altri saggi.
Pertanto, ho dovuto circoscrivere il tema del potere giuridico per evitare di esporre, se non tutta, gran parte dell’opera di Antonio, andando a “calpestare il giardino” affidato alla coltivazione degli altri relatori.
In questo sono stato aiutato dall’accostamento, nel titolo della relazione, dell’atto autoritativo al potere giuridico, operato dagli organizzatori del convegno.
La mia relazione, dunque, si incentra sui contributi di Antonio riguardanti il concetto di potere giuridico e, in specie, il potere giuridico amministrativo nelle sue manifestazioni autoritative e la legittimazione del potere; appare riduttivo affermare che tali temi siano stati trattati in alcuni saggi ed articoli, data la intensità di pensiero espressa dall’Autore e il livello di approfondimento attinto che esulano dal genere letterario di riferimento[1].

2. Lo Stato e la banda di briganti.
I contributi presi in esame, pur partendo da problematiche diverse, convergono verso i fondamenti giustificativi del potere.
Infatti, nel primo degli scritti che approfondisce la tematica[2], si affronta il concetto di potere giuridico. Antonio richiama la concezione soggettiva del potere giuridico e quella oggettiva e critica l’una e l’altra per giungere ad una superiore sintesi dialettica nella quale il potere è l’energia giuridica che sprigiona il soggetto in attuazione dell’ordinamento giuridico[3], nell’incontro e nell’integrazione dei profili soggettivo ed oggettivo. Antonio mi fece tenere un estratto degli annali dell’Università di Messina in cui ha pubblicato il lavoro de quo che mi serviva per uno studio che stavo svolgendo sul potere amministrativo, ma non terminai la lettura e, per varie vicende personali, misi da parte la ricerca e la ripresi in un momento successivo e, non rinvenendo l’estratto, chiesi ad Antonio se poteva inviarmene un altro e lui, con la signorilità e la generosità che lo distingueva, mi inviò un’altra copia; anche in questa occasione, però, non giunsi alla fine del saggio. Ora mi rendo conto del perché: ho avuto la presunzione di volerlo leggere e, invece, avrei dovuto studiarlo perché questa opera, come la maggior parte di quelle di Antonio, sono il frutto di maturazioni e riflessioni attraverso le quali Egli assimila concetti e termini che usa poi disinvoltamente, mettendo in difficoltà chi voglia leggere e non studiare, cioè non fermarsi a penetrare il testo e riflettere sul suo pensiero. Certamente si richiede da parte di chi si avvicina ai suoi lavori impegno e tempo che però vengono ampiamente ripagati dall’arricchimento culturale che si ricava dai suoi scritti.
Questo primo approfondimento sul potere giuridico va, poi, a considerare la fonte di legittimazione del potere statale.
Nel successivo lavoro, a distanza di 10 anni, sull’autorità degli atti dei pubblici poteri[4], scopo della Sua indagine è unificare il modello teorico dell’autorità degli atti dei pubblici poteri – legge, sentenza e provvedimento amministrativo – per trovare il connotato dinamico comune degli atti che, poi, rinviene nella rilevanza giuridica invece che nell’efficacia. Anche qui la confluenza finale è alla ricerca della legittimazione politica delle decisioni di apparato.
E nell’ultimo lavoro in corso di pubblicazione[5] si analizza esclusivamente l’inquadramento generale del “pubblico potere” per stabilirne la sua legittimazione.
Il problema sempre sfiorato, accennato e sentito fortemente che il Nostro finalmente affronta ex professo è la spiegazione del perché si possano produrre gli effetti della dinamica giuridica che si collega all’esercizio del potere e tali effetti vengano riconosciuti come prodotti dall’ordinamento giuridico.
È una questione essenziale per stabilire il perché della giuridicità di un ordinamento e che i filosofi del diritto conoscono confrontando lo Stato, come comunità giuridica, e la banda di briganti.
È nota la diatriba, tutta culturale, impostata, a distanza di secoli, da Hans Kelsen nei confronti del giusnaturalista Sant’Agostino.
Nella dottrina pura del diritto[6] si cerca la spiegazione del perché, pur non esistendo alcuna differenza fra la descrizione dell’ordine di un bandito di consegnare la borsa e dell’ordine di un organo giuridico che impone il pagamento di una somma di danaro (a titolo di tassa o altro), il secondo viene ritenuto un comportamento, anche se imposto, doveroso, mentre il primo una pura “minaccia” percepito come un’aggressione senza fondamento[7].
La risposta del Kelsen è che si interpreta l’ordine dell’organo giuridico come l’applicazione di una norma oggettivamente valida statuente l’atto coercitivo e tale ultima norma è valida perché prodotta in base ad altra norma, gerarchicamente superiore, che, a sua volta, trova fondamento in altra previsione superiore, sino a giungere all’apice della scala ove è la norma fondamentale dell’ordinamento giuridico che è presupposta, non posta, e che afferma la giuridicità dell’ordinamento. Invece, l’ordine del bandito è qualificato, in base all’ordinamento giuridico, come un delitto.
L’individuazione della norma fondamentale presupposta è, per il Kelsen, una funzione essenziale della scienza giuridica che deve eseguire tale indagine per ogni sistema normativo e che porta a distinguere lo Stato dalla banda di briganti perché quest’ultima non riesce ad imporsi con quell’efficacia continua, senza la quale non si può presupporre alcuna norma fondamentale che ad esso si riferisca e che ne fondi la validità oggettiva[8].
L’efficacia complessiva e continua di un ordinamento comporta la sua validità giuridica e la comunità cui l’ordinamento si riferisce ritiene vincolanti le norme poste secondo le sue regole, senza che sia necessario esprimere alcun giudizio di valore e, in particolare, quello della giustizia che è espunto dal concetto di diritto e non può essere criterio di distinzione della comunità giuridica dalla banda di briganti come avviene, rileva il Kelsen, nella teologia di Sant’Agostino. Per quest’ultimo, non può esservi uno Stato se non è rispettata la giustizia perché altrimenti anche gli Stati sono delle grandi bande di briganti[9]. E la giustizia è la virtù che dà ad ognuno il suo[10], nel rispetto dei precetti del vero Dio, per cui il diritto è un ordinamento coercitivo giusto e, proprio grazie alla sua giustizia, si distingue dall’ordinamento di una banda di briganti.
Le due concezioni sono agli antipodi: nessun giudizio di valore può fondare, di per sé, un ordinamento giuridico per il Kelsen, solo un valore di giustizia trascendente può identificare un ordinamento giuridico per Sant’Agostino.
Le diverse posizioni si basano su delle opzioni teoriche e concettuali di chiara ispirazione.

3. La legittimazione del potere giuridico.
Antonio non si interessa della giuridicità dell’ordinamento giuridico nel suo complesso, ma della specificità giuridica del potere e, soprattutto, di quello pubblico. È una indagine non diversa perché affonda l’analisi nella ragione prima giustificatrice della dinamica giuridica. Egli rileva che un tempo era diffusa ed accreditata l’opinione che potere pubblico e potere privato fossero entrambi da inquadrare giuridicamente come espressione di un medesimo diritto e, quindi, legati ad una lettura in chiave eminentemente soggettiva dominante dall’800 fino alla metà del 1900; oggi, invece, la stessa impostazione unificatrice “fà leva piuttosto sugli aspetti oggettivi della dinamica del potere”[11].
Ed è in questo trascorrere dal soggetto all’oggetto che individua la tecnica di legittimazione dell’autorità e che lo porta, sotto altro aspetto, a distinguere il potere privato da quello pubblico perché il secondo è, allo stato, quello che individua la propria legittimazione nella sua natura oggettiva.
Va chiarito che Antonio non abbraccia una precisa opzione ideologica, ma considera il diritto nella sua dimensione effettiva data dalla storia e dalla società. Sono la storia e la sociologia a dettare lo spartito della legittimazione del potere giuridico, sia privato che pubblico, e che viene diviso in formule soggettive e oggettive.
Sono soggettive le formule che portano al rispetto e all’osservanza di una decisione per la sua provenienza da un soggetto “spesso una persona fisica, dotato di particolare qualificazione (per natura; per nascita; per scelta divina; per elezione popolare etc.)”[12]. Sono oggettive quando “fanno leva, a questi stessi fini, su caratteristiche intrinseche della decisione in quanto tale (razionalità, rispetto allo scopo o rispetto al valore; legalità, formale ovvero solo sostanziale; non arbitrarietà; convenzionalità; formazione procedimentale; etc.)”[13].
Esse possono stare alla base del potere giuridico indifferentemente, a seconda del momento storico, e possono anche convivere nella contestualità poiché non si è in presenza di “un’alternativa secca (o ‘a terzo escluso’)”[14].
Antonio ritiene che la legittimazione possa avvenire fondandosi sia su profili esclusivamente normativi che di valore e li ricomprende nella summa divisio soggettiva e oggettiva di cui sottolinea le diversità tecniche.
Le prime (soggettive) garantiscono un più facile riconoscimento della singola decisione giuridica essendo basate su parametri più sicuri, costituiti dalla corretta investitura di colui da cui promana la decisione stessa ed esse sostengono, “più che ogni singola decisione assunta, il complesso delle decisioni che il ‘legittimo’ titolare del potere abbia occasione di emettere durante tutto il suo mandato”[15].
Le formule oggettive attengono, invece, “a ciascuna singolarmente delle decisioni adottate dal titolare di un potere che, per quanto dotato di una incontestabile investitura, non è in grado di ottenere efficacemente, su questa sola base, adesione e consenso. Il plafond legittimativo richiesto dalle tecniche a base oggettiva appare inoltre (qualunque esso sia) più difficile da conseguire, sicchè il suo effettivo raggiungimento ad opera della singola decisione si presta, sempre in linea di massima, a maggiori dubbi e contestazioni”[16].
La dimensione giuridica delle due tecniche le fa ascrivere a due diverse categorie per la profonda diversità dei meccanismi sociali fondativi di questi fenomeni[17].
Dunque, il Nostro analizza, distingue, approfondisce e riferisce, nell’attualità e nella normalità, le tecniche soggettive al potere privato perché “l’autorità appare effettivamente sostenuta da fattori legittimanti generalmente riconosciuti e rifluenti nella identificazione di un centro stabile di riferimento del potere, e che assume quindi più intensa e radicata valenza soggettiva”[18], mentre assegna alle tecniche oggettive di legittimazione il potere pubblico.
Le conclusioni di Antonio sono che oggi l’autorità pubblica si distingue da quella privata non più sulla base della capacità giuridica del soggetto titolare del potere, ma del fondamento “rispettivamente obiettivo e subiettivo, della pretesa di legittimazione delle decisioni in cui esse si manifestano”; tale distinzione si fonda “sulla funzionalizzazione dell’attribuzione del potere, che in un caso sottende interessi di primario rilievo collettivo, mentre nell’altro è effettuata nell’interesse dello stesso titolare”. [19]
La distinzione comporta una differente distribuzione “della forza giuridica ‘passiva’ delle decisioni stesse (ossia: della loro resistenza di fronte alle possibili contestazioni)”[20]: sono più resistenti le decisioni autoritative pubbliche che quelle private per la diversa funzionalizzazione del potere che esse esprimono[21].
Nel suo pensiero primeggia la realtà sociale e l’esperienza giuridica a dispetto del fideismo ideologico perché, pragmaticamente, vive da giurista concreto il diritto e registra il cambio di valutazione in relazione al mutare dei momenti storici. Il Suo è un relativismo razionale che si ispira al popperismo, ma che non rinunzia alla sistemazione dogmatica dei concetti che vengono utilizzati come parametro per l’individuazione di categorie euristiche.

4. La riconduzione ad unità dell’autorità degli atti dei pubblici poteri.
Interessante il contributo volto a condurre ad unità la forza tipica di ciascun atto dei pubblici poteri: la forza di legge, la regiudicata della sentenza, l’imperatività del provvedimento amministrativo[22].
Antonio prende in considerazione le diverse tesi e critica, anche se nel suo consueto modo rispettoso delle altrui idee e in modo persuasivo, ma non tranciante, la teoria della Rechtskraft (“cosa giudicata”) come criterio unificante degli atti giuridici pubblici, riportando ampiamente in proposito il pensiero di Merkl e di Kelsen.
Espone, poi, la crisi del modello tradizionale che vuole accentrato il tratto unificante nell’efficacia degli atti pubblici, sottolineando la necessità di superare un tale modello.
Quindi, traccia un’ipotesi ricostruttiva.
È una caratteristica degli scritti di Antonio l’analisi attenta e la critica puntuale delle opinioni espresse sull’argomento, per poi proporre la ricostruzione o gettare le basi per una ricostruzione[23]; la sua non è mai critica fine a sé stessa.
Dopo aver escluso che l’efficacia possa rappresentare criterio di qualificazione di tutte le fattispecie come riconducibili alla sovranità perché non unificante, da un lato, per l’estrema genericità e, dall’altro lato, per la tipicità e differenziazione sul piano dell’efficacia della legge, della sentenza e del provvedimento amministrativo, indica come ipotesi ricostruttiva quella della collocazione dell’autorità degli atti dei pubblici poteri nella fase della rilevanza giuridica che rappresenta il connotato dinamico comune degli atti stessi. Constata che vi è una tendenziale divaricazione tra validità ed efficacia degli atti dei pubblici poteri i quali producono effetto a prescindere dalla loro (definitiva) validità e perfezione e verifica come ciò accada sia per la legge – che è efficace sino a quando non venga dichiarata la sua incostituzionalità – sia per la sentenza – che esplica effetti pur se non ancora passi in cosa giudicata – sia per il provvedimento amministrativo – che, indipendentemente dalla sua validità, è imperativo. Gli atti producono effetti a prescindere da ogni considerazione sulla loro validità e perfezione perché è sufficiente la loro esistenza rilevante giuridicamente.
L’obiezione che la rilevanza giuridica possa essere unificante di qualunque atto, anche privato, conduce l’Autore a considerare la teoria del c.d. “effetto negoziale” secondo cui la semplice esistenza del negozio giuridico sarebbe, per ciò solo, impegnativo per la parte che lo ha posto in essere.
Antonio rileva che l’effetto negoziale “viene eliso (o comunque limitato) dall’eventuale invalidità del negozio, ciò che invece non si verifica affatto per gli atti di diritto pubblico”[24]; quindi, vi sarebbe almeno una differenza specifica rappresentata dalla resistenza all’invalidità, posseduta dagli atti dei pubblici poteri e non dal negozio giuridico. Inoltre, l’effetto negoziale andrebbe ricondotto non all’autonomia privata, ma alla norma, con assunzione quindi di natura pubblica perché tale teoria “coglie un profilo dinamico del negozio giuridico estraneo alla privata autonomia e totalmente situato nell’orbita del pubblico potere”[25].
In questo modo la rilevanza giuridica va a “coprire” anche questa ipotesi perché attratta nell’area pubblica.
La soluzione unificante prospettata (rilevanza giuridica) viene indicata come “particolarmente brillante”[26] perché l’atto non fonda più il proprio valore imperativo “su una pretesa di conformità ad una norma superiore, ma ripete la propria autorità direttamente da sé stesso, dalla propria esistenza in quanto tale”[27]. Di poi, ciò consente di porre a fondamento dell’autorità un principio obiettivo di legittimazione più forte di quello della conformità alla norma e cioè la “corrispondenza ad un meccanismo logico-giuridico insito nella stessa natura delle cose, tanto inevitabile e neutrale da poter essere riscontrato, fondamentalmente identico anche in ambiti non dominati dall’autorità”.
Si può non essere d’accordo con questa ricostruzione perché la produzione degli effetti di ogni fattispecie, pubblica o privata, ha come momento di qualificazione essenziale la rilevanza giuridica che ne fa apprezzare la riconducibilità alla previsione normativa, ma il discorso è il frutto dell’esame di una problematica che non ha trovato, tutt’oggi, una sistemazione accettabile e la strada indicata può trovare precisazione in studi che possano cogliere la particolarità differenziata degli atti dei pubblici poteri partendo proprio dalla rilevanza giuridica come criterio unificante.

5. Conclusioni.
Il potere giuridico e l’atto autoritativo sono temi nei quali le fonti da prendere in esame sono costituite soprattutto, se non in via esclusiva, dalla dottrina, per cui passano in secondo piano sia la giurisprudenza che la normativa positiva, di cui pure Antonio ha tenuto conto.
È un discorrere sui principi, ma soprattutto sulle categorie giuridiche e la teoria generale del diritto, alla ricerca di una ordinata sistemazione dei vari contributi della dottrina, come tanti tasselli di un mosaico, espellendo quelli inadatti ed eversivi del complessivo disegno concettuale proprio di Antonio che si è andato formando attraverso studi e riflessioni profonde ed attente al fenomeno giuridico nella sua dimensione esistenziale e sociale.
Antonio è il giurista che, rigoroso nella dogmatica, nei concetti e nelle categorie giuridiche, affronta qualunque problematica, forte della sua radicata preparazione, cultura e conoscenze tecniche, ma nello stesso tempo colloca nella realtà sociale le varie possibili soluzioni perché il susseguirsi delle istituzioni e del diritto positivo nel fluire della storia gli suggeriscono una visione relativistica e popperiana dei fenomeni giuridici.
Antonio Romano Tassone ha dato al diritto amministrativo un contributo di ampio spessore culturale e di sistemazione dogmatica e categoriale. Egli ha fornito le basi per ulteriori approfondimenti nella direzione “del riconoscimento multifasico della decisione, pubblica e privata da parte dell’ordinamento giuridico” come rilevato nel citato scritto in corso di pubblicazione[28]. Ha indicato, altresì, quelli che sono oggi i veri problemi della crisi dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione ma non accetta di riversare il potere amministrativo nell’alveo dei “poteri privati”. Per Antonio, l’attività amministrativa non va identificata solo con l’atto, ma va tenuta nell’area del comportamento giuridicamente rilevante per i suoi risvolti funzionali, prospettando una distinzione ancora più profonda e radicale dall’esercizio di “poteri privati”, tradizionalmente fondata sulla diversa portata imperativa degli atti autoritativi[29].
Antonio ha conquistato un posto di assoluto rilievo nel panorama della dottrina amministrativistica e con i ringraziamenti per la sua importante opera, non posso non esprimere l’amarezza ed il rimpianto per la sua immatura perdita che ha lasciato un grande vuoto tra gli studiosi e tra gli amici nei quali ho il privilegio di iscrivermi.

 

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[1] I contributi di Antonio su questo specifico profilo si rinvengono particolarmente in: “Note sul concetto di potere giuridico”, pubblicato nel 1981 negli Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Messina, 406-481; “Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri” apparso nel 1991 sulla rivista Diritto e Società, 51-91; “Esiste l’atto autoritativo della pubblica amministrazione? (in margine al recente convegno dell’AIPDA)” pubblicato nel 2011 sulla rivista Diritto Amministrativo, 759-764 e “A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua legittimazione in corso di stampa nel fascicolo n. 4/2013 della rivista Diritto Amministrativo, 559-580. Possono definirsi articoli o saggi, ma in effetti la densità concettuale di questi lavori non rende loro giustizia perché sono sintesi monografiche.
[2] Note sul concetto di potere giuridico, op. cit..
[3] Op. ult. cit., 449.
[4] Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, op. cit..
[5] A proposito del potere, pubblico e privato e della sua legittimazione, op. cit..
[6] Il titolo originale è Reine Rechtslehre, Wien 1960, tradotto in italiano a cura di Mario G. Losano, Torino 1966.
[7] H. Kelsen, op. cit., 57 e ss..
[8] H. Kelsen, op. ult. cit., 61.
[9] Sant’Agostino, Civitas Dei, libro IV, 4: “Remota itaque iustitia quid sut regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna?
[10] Sant’Agostino, op. ult. cit., libro XIX, 21: “Iustitia porro ea virtus est, quae sua cuique distribuit. Quae igitur iustitia est hominis, quae ipsum hominem Deo vero tollit et immundis daemonibus subdit? Hoccine est sua cuique distribuere? An qui fundum aufert eius, a quo emptus est, et tradit ei, qui nihil habet in eo iuris, iniustus est; et qui se ipsum aufert dominanti Deo, a quo factus est, et malignis servit spiritibus, iustus est?
[11] A proposito del potere, pubblico e privato e della sua legittimazione, op. cit., 562-563.
[12] Op. ult. cit., 567.
[13] Op. ult. cit., 567.
[14] Op. ult. cit., 567.
[15] Op. ult. cit., 568.
[16] Op. ult. cit., 568.
[17] Op. ult. cit., 571.
[18] Op. ult. cit., 569. L’Autore fa l’esempio dell’autorità genitoriale sui figli minori, esercitata in base alla presunzione che il soggetto titolare sia dotato, ratione experientiae ac aetatis, di una maggiore capacità di discernimento di ciò che è bene per lo stesso soggetto passivo e quello dell’autorità datoriale, legittimata dal fatto che il lavoratore “abbia alienato ‘liberamente’ e stabilmente al datore di lavoro una parte consistente della propria sfera di autodeterminazione personale attraverso un apposito patto, impegnandosi così a riconoscere a priori come legittime le decisioni che il datore verrà via via emanando nell’ambito contrattualmente predefinito”.
[19] Op. ult. cit., 579.
[20] Op. ult. cit., 580.
[21] In precedenza in Note sul concetto di potere giuridico, op. cit., 481, Antonio riteneva che il principio obiettivo di legittimazione e riconoscimento dell’atto giuridico non si era ancora sostituito al primo dominante principio soggettivo e concludeva che “è solo dall’incontro e dall’integrazione di tali due profili che può scaturire, pertanto, una chiara visione del nucleo essenziale del potere, quale si rivela, giorno per giorno, nell’esperienza sociale e giuridica contemporanea”. In questo scritto, però, la natura giuridica oggettiva del potere era identificata con la concezione normativistica del diritto, non come fatto di legittimazione politica del potere poiché la questione affrontata è il concetto di potere giuridico più che la legittimazione del potere; anche se vi è, da pag. 445 in poi, un riferimento alla legittimazione politica degli atti dei pubblici poteri e si evidenzia che la principale fonte di legittimazione del potere statale è costituita negli Stati a governo parlamentare dalle elezioni politiche che attuano il principio rappresentativo che informa di sé l’intera organizzazione del potere (451).
[22] Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, op. cit..
[23] A. Romano Tassone, Note sul concetto di potere giuridico, op. cit., 472, evidenzia che è necessario tracciare “un più compiuto disegno dei rapporti tra il potere, come categoria fondamentale della società politica, e le forme giuridiche in cui esso è apprezzabile; è necessario, cioè, riprendendo e coordinando in un quadro complessivo gli spunti critici che siamo andati svolgendo, ribaltarne in indicazioni positive la sostanza polemica ed abbozzare un profilo sommario della dinamica giuridica”. È quello che Antonio fa ogni volta che affronta un argomento: prende in esame tutte le tesi che si sono susseguite, le considera criticamente e riparte a fini costruttivi. Egli pone la “demolizione” come base della (ri)costruzione.
[24] Op. ult. cit., 86.
[25] Op. ult. cit., 86.
[26] Op. ult. cit., 88.
[27] Op. ult. cit., 88.
[28] A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua legittimazione, op. cit., 580.
[29] Esiste l’atto autoritativo della pubblica amministrazione? (in margine al recente convegno dell’AIPDA), op. cit., 763.

 

(pubblicato il 7.7.2014)

 

 

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