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n. 7-2014 - © copyright

 

ENRICO BONELLI

La colpa grave nell’illecito contabile oggi*

 

 


 

 

SOMMARIO: 1. L’elemento psicologico della colpa grave nel contesto riformato della responsabilità amministrativa. – 2. La “tipicità” della colpa grave nell’illecito contabile. – 3. (Segue) La valutazione della colpa in concreto. – 4. “Figure sintomatiche” di colpa grave e configurazione del c.d. ”eccesso di potere finanziario”. – 5. A mo’ di una conclusione.



1. L’elemento psicologico della colpa grave nel contesto riformato della responsabilità amministrativa.
Il tema su cui si appunta la nostra attenzione è costituito dall’attuale configurazione dell’elemento psicologico (o soggettivo) della responsabilità amministrativa, con particolare riferimento alla colpa grave.
E difatti, inequivocabilmente, secondo l’art. 1, comma 1, della l. n. 20/94, come modificato dall’art. 3 comma 1, lett. a) della legge n. 639/96, “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave” [1].
La disposizione, invero, al momento della sua entrata in vigore, non costituiva una novità assoluta nel panorama legislativo: veniva ripresa la disciplina dettata per gli impiegati civili dello Stato “addetti alla conduzione di autoveicoli” dell’art. 22 del T.U. n. 3/1957 e dell’art. 1 della l. 31 dicembre 1962 n. 1833; analoga limitazione veniva prevista per “gli addetti alla conduzioni di navi ed aeromobili” dalla l. 69/75, per il personale ferroviario “nell’esercizio delle funzioni inerenti alla circolazione dei treni e delle attività direttamente connesse” della l. n. 67/81, nonché, per gli amministratori delle università, dall’art. 52 T.U. n. 1592/1933. Non si discostava da tale criterio l’art. 61 della l. 312/80, che limitava “ai soli casi di dolo o colpa grave nell’esercizio della vigilanza sugli alunni stessi” la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative.
Non diversamente, per tutti i magistrati (compresi quelli della Corte dei conti) era prevista una particolare forma di responsabilità dall’art. 2 l. n. 117/1988, per i danni arrecati “per dolo o colpa grave”, quest’ultima circoscritta alle fattispecie indicate dall’art. 2 cit., comma 3[2].
Giova ricordare che l’estensione – operata da parte della legge n. 142/90[3] – della giurisdizione contabile agli amministratori ed ai dipendenti degli enti locali (i quali avevano vissuto sino ad allora in una sorta di permanente immunità da questo punto di vista) e la successiva strutturazione in sezioni regionali della Corte dei conti[4], con l’istituzione delle procure regionali, avevano finito per sottoporre l’attività amministrativa di amministratori e dipendenti degli enti locali al vaglio di un sindacato particolarmente penetrante, mai conosciuto in quei termini in tutta la storia repubblicana[5].
A tale attività di controllo (e di repressione) faceva pendant, negli anni successivi, una situazione di preoccupante paralisi dell’attività amministrativa locale, nell’evidente dilagare del timore di incappare nell’azione di responsabilità della procura regionale competente per territorio, la cui presenza veniva interpretata come una sorta di spada di Damocle pendente sul capo degli amministratori e dei funzionari delle istituzioni locali (oppressi da una vera e propria “paura della firma”). Tali preoccupazioni[6] hanno verosimilmente costituito il substrato “politico” che ha favorito la previsione della limitazione delle ipotesi di responsabilità amministrativa ai casi connotati da “colpa grave”, modificando così la previgente disciplina, che dava ingresso, nel giudizio di responsabilità erariale, anche alle ipotesi di colpa lieve.
Dal punto di vista squisitamente teorico, invece, non v’è dubbio che la limitazione in parola abbia attinto la propria ragion d’essere nella necessità di rispettare i nuovi spazi di discrezionalità riconosciuti al soggetto titolare di cariche politiche e, al contempo, di non interferire con gli spazi di discrezionalità gestionale riconosciuti invece ai dirigenti, responsabili, per l’appunto, dell’attività concreta di gestione, in attuazione diretta del principio di separazione tra politica ed amministrazione[7] e nella consapevolezza che le attività gestionali debbano essere valutate sulla base di parametri del tutto diversi (di stampo manageriale-aziendalistico), rispetto ai quali la stessa configurabilità dell’elemento soggettivo nella sua precedente ricostruzione appariva oramai inadeguata[8].
Tale ottica evolutiva venne subito condivisa dalla Corte Costituzionale, che, pronunciandosi con la nota e fondamentale sentenza n. 371/1998[9], sulla legittimità dell’art. 3 l. n. 639/96 (nella parte in cui la disposizione limitava le ipotesi di responsabilità amministrativa ai casi di dolo e colpa grave), evidenziò come la norma si collocasse nel quadro della nuova “conformazione” della responsabilità amministrativa e contabile, rapportandosi con altre innovazioni contenute nella l. n. 639/96, quale – a titolo esemplificativo – quella dell’intrasmissibilità della responsabilità agli eredi, in vista della costruzione legislativa di una responsabilità di carattere sempre più personale.
Ciò che più conta, il giudice delle leggi ritenne che il processo di evoluzione della disciplina relativa all’elemento psicologico della responsabilità amministrativa fosse strettamente connesso con la revisione dell’ordinamento del pubblico impiego “attuata, in epoca di poco precedente, dal D. L.vo n. 29 del 1993 (cui ha fatto seguito il D. L.vo n. 80 del 1998) attraverso la cd. «privatizzazione», in una prospettiva di maggiore valorizzazione anche dei risultati dell’azione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di rigore di gestione”. Né la Corte mancò di evidenziare come il sistema fosse finalizzato alla realizzazione di un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponesse gli agenti pubblici “all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa”[10].
In stretta connessione con la nuova disciplina dell’elemento psicologico va interpretato il potere riduttivo[11] attribuito dal legislatore alla Corte dei conti (cfr. art. 1, comma 1 bis, l. n. 20/94), che in qualche misura viene condizionato (e finisce per dipendere) dalla valutazione dei vantaggi che comunque sono stati conseguiti dalla comunità amministrata, in conseguenza del comportamento degli agenti assoggettati al giudizio di responsabilità.
Trattasi, invero, di previsione che concordemente la dottrina ritiene correlata alla nuova conformazione dell’elemento psicologico della responsabilità amministrativa, al carattere ormai indiscutibilmente personale[12] della stessa ed alla sua natura sui generis [13]. In definitiva, la norma di cui all’art. 1, comma 1bis, cit., consente al giudice contabile, nell’esercizio del potere riduttivo, di graduare la gravità della sanzione in ragione del grado della colpa dell’amministratore ovvero del funzionario, trasfondendo nel giudizio quella stessa flessibilità che deve informare l’attività gestionale di tali soggetti[14].
Alla medesima logica pare ispirata, sia detto per incidens, la disposizione che preclude l’esercizio della azione di responsabilità nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura del costo minimo dei servizi, che si ritrova nell’articolo 3, comma 2 ter, della l. n. 639/96. È davvero impensabile che, in un sistema nel quale l’espansione continua delle funzioni e dei servizi pubblici rimessi alle amministrazioni locali[15] impone forme di gestione connotate in senso manageriale e per loro stessa natura molto agili e bisognevoli di strumenti flessibili, l’attività a tanto finalizzata possa essere sottoposta ad una forma di responsabilità legata al momento della legittimità formale e non invece ad una valutazione incentrata sull’utilizzo di parametri omogenei al tipo di strumenti impiegati nella gestione.
Naturalmente, la più qualificata definizione dell’elemento psicologico ha prodotto un progressivo restringimento dell’area di applicabilità della responsabilità amministrativa, finendo per incidere[16], sulla sfera di cognizione della Corte dei conti, vale a dire, in ultima analisi, sull’ambito concreto della sua giurisdizione.
Se da un lato, però, il restringimento dell’area della responsabilità amministrativa alle ipotesi di colpa grave appare in linea con l’evoluzione del nostro sistema amministrativo verso le esigenze di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione pubblica, nella scia della separazione tra politica e amministrazione[17], dall’altro è indubbio che l’attribuzione della potestà (giurisdizionale) di accertare la gravità della colpa, piuttosto che la sussistenza di una colpa tout court (anche lieve), comporta un sensibile allargamento della discrezionalità dell’organo giudicante.
Ed allora, il vero punctum dolens della disciplina in parola rimane ancora oggi quello dell’elaborazione di idonei criteri definitori, che consentano di ricostruire un concetto non troppo elastico di colpa grave e di distinguere una simile figura da quelle per dir così adiacenti di colpa lieve e colpa tout court; e ciò tanto più nelle ipotesi (destinate a moltiplicarsi in conseguenza del mutamento progressivo del quadro normativo generale) in cui il parametro di raffronto, alla stregua del quale deve essere valutata la colpevolezza nell’attività del pubblico funzionario, non è rappresentato da norme di legge oggettivamente determinabili, ma da canoni molto più flessibili e intrinsecamente dotati di una notevole vis expansiva[18].
La problematica appare in verità di respiro molto più ampio ed attiene, volendo ragionare ad un livello di astrazione superiore, al diverso ma connesso dibattito che in questi ultimi anni si è svolto sulla possibilità di definire in maniera soddisfacente parametri di derivazione comunitaria quali quelli di efficienza, efficacia ed economicità, ritenuti oggi veri e propri criteri-guida dell’attività della p.a.[19] Per altro verso, non può sfuggire la considerazione che una simile questione finisca poi per ricondursi al tema dei rapporti tra responsabilità amministrativa e responsabilità dirigenziale (ovvero gestionale, ovvero ancora di risultato) ed all’esistenza di linee di confine ancora incerte tra i due ambiti definitori e di relative zone grigie di sovrapposizione, temi che non possono essere affrontati in questa sede e che sono stati approfonditi altrove[20].


2. La “tipicità” della colpa grave nell’illecito contabile.
Di primo acchito, sotto il profilo concettuale, l’elemento soggettivo della colpevolezza (ovvero psicologico), nell’illecito contabile, consiste nella coscienza o volontarietà del comportamento illecito e non si differenzia sostanzialmente da quello tipico della responsabilità civile espresso dal dolo o dalla colpa[21].
Quest’ultima, sulla base della nozione penalistica (art. 43 c.p.), coincide sostanzialmente con un atteggiamento volontario antidoveroso, imprudente o negligente, disgiunto dalla intenzionalità delle conseguenze dannose[22].
Nella sua relazione col comando giuridico (norma) il fatto doloso si atteggia come fatto voluto che non si doveva volere, il fatto colposo come fatto involontario che non doveva accadere. Nello stesso ambito del comportamento colposo può agevolmente ricondursi la c.d. “colpa incosciente”, consistente nella mancata previsione delle conseguenze che potevano prodursi, che si differenzia dalla “colpa cosciente”, in cui si ha la rappresentazione dell’evento ma si agisce ugualmente nel convincimento di poterlo evitare.
Nell’illecito contabile si verte, in virtù del rapporto di servizio (o equivalente), in tema di responsabilità lato sensu contrattuale, il cui criterio di imputazione si identifica con quello della culpa-diligentia dell’art. 1176 c.c., considerato che il rapporto di servizio pone precisi obblighi giuridici a carico dell’agente e della p.a.
In un’ottica strettamente civilistica, dunque, dovrebbe ritenersi irrilevante il grado della colpa, essendo sufficiente, per la responsabilità dell’agente, la sussistenza della colpa lieve e rimanendo esclusa la sola culpa laevissima, connaturale alla responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.)[23]. Tuttavia, come si è già evidenziato sopra, nel campo dell’illecito contabile, dopo la ricordata riforma (D.L. 23 ottobre 1996 n. 543, conv. in l. 20 dicembre 1996 n. 639, art. 3), la soglia minima di colpevolezza è costituita dalla colpa grave della quale, peraltro, non esiste neanche nell’ordinamento civile, una precisa definizione normativa[24].
Concentrando l’attenzione su tale ultima forma di colpevolezza, essa sarebbe sovrapponibile, nel solco della tradizione romanistica, alla nimia negligentia (non intelligere quod omnes intelligunt), coincidente col comportamento di chi agisca con straordinaria ed inescusabile imprudenza, ovvero omettendo di osservare quel grado minimo ed elementare di diligenza da tutti osservabile.
Va subito detto che, ai fini della individuazione del grado della colpa, la disciplina del nostro codice civile non si dimostra appagante, in quanto il criterio della “diligenza del buon padre di famiglia” si concretizza spesso attraverso l’aggettivazione legislativa di “normale” o “ordinaria” (cfr. artt. 1227, 1341 e 1838 c.c.)[25].
Tale accezione, sostanzialmente, coincide con la concezione “psicologica” ovvero astratta ed obiettiva della colpa, come se questa consistesse in un nesso psichico astratto tra soggetto e fatto dannoso, uguale in tutti i casi, che può fondare o escludere, ma non graduare, la responsabilità. In una simile ottica, essa appare utile a stabilire l’an ma non il quantum, determinabile soltanto in base ad elementi oggettivi, ma non a circostanze e situazioni personali riferibili alla sfera etica dell’agente: di qui la fondatezza delle critiche mosse a tale teoria[26].
Senza dire, poi, che quest’ultima si fonda su un modello generale di diligenza astratta, quale criterio unico ed oggettivo di responsabilità per il danno prodotto e quindi non “dimensionabile” in relazione alla situazione particolare dell’agente.
In realtà, sia la dottrina che la giurisprudenza, opportunamente, hanno abbandonato siffatta concezione rigida per sposare la c.d. concezione “normativa”[27] della colpa, che consente di rapportare l’elemento psicologico al giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoveroso della volontà, che sarebbe stato possibile non assumere.
In tal modo, possono ritenersi soddisfatte le esigenze di “individualizzazione” della colpa, dimensionabile sulla base della varietà delle situazioni e delle circostanze, attraverso il necessario riferimento ai processi interni di valutazione, come normalmente avviene nella prassi giudiziaria in sede di applicazione della pena.
L’effetto ovvio di tale impostazione è che oggi non è più possibile affermare che il soggetto, che abbia tenuto un comportamento difforme da obiettivi canoni di diligenza, sia incorso in colpa, anche se abbia fatto di tutto per evitare il prodursi dell’evento dannoso, non riuscendovi a causa della sua personale incapacità (imperizia, mancanza del normale grado di diligenza, particolari condizioni psico-fisiche e/o economiche).
Ci si trova, dunque, di fronte ad un giudizio necessariamente “relativo”, dal momento che una certa tipologia di eventi può essere prevedibile ed evitabile per alcuni soggetti e non per altri[28].
In tale prospettiva, la prevedibilità ed evitabilità dell’evento rappresentano gli elementi indefettibili d’imputabilità della colpa, ancorché saldamente ancorate al c.d. parametro relativistico dell’agente-modello “eiusdem professionis ac condicionis”, che valorizza il rapporto tra volontà del soggetto e norma, e quindi l’atteggiamento antidoveroso della volontà. Nondimeno, la concezione normativa ha il pregio di consentire la graduazione della colpa, sulla base della maggiore o minore antidoverosità del comportamento, con relativa quantificazione del danno da risarcire.
Non è un caso che la stessa disciplina codicistica, pur dimostrandosi aderente alla concezione psicologica della colpa, talvolta si discosti da essa in ragione della particolare “qualificazione” soggettiva dell’autore del fatto: ad esempio, a mente dell’art. 2236 c.c., il professionista “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà… omissis… non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”. Altro riferimento civilistico alla colpa intesa come “grave” è rinvenibile nell’art. 1229 c.c. (nullità del patto di limitazione o esclusione della responsabilità del debitore); analogamente, in relazione ad altre fattispecie, può parlarsi di responsabilità “attenuata”, dovendo la colpa essere valutata, secondo l’espressione codicistica, con “minor rigore” (art. 1710, 1768 e 2030 c.c.).
Inserita in tale quadro ordinamentale, la colpa grave causativa della responsabilità amministrativa per un verso non può essere ritenuta avulsa dall’accezione civilistica della stessa; per altro verso, concreta un elemento soggettivo “tipico” dell’illecito contabile, ai fini dell’individuazione della soglia minima di colpevolezza.
In effetti, è proprio il principio della graduabilità della colpa (al fine di stabilirne la gravità) che connota l’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, nella quale l’interesse del danneggiato (ente pubblico) al risarcimento del danno, tutelato dall’art. 28 della Costituzione[29], deve essere bilanciato con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa, garantito dall’art. 97 Cost., recentemente novellato con la l. cost. 20 aprile 2012 n. 1[30].
Già da tempo (come si è avvertito sopra) la reinterpretazione di tale precetto costituzionale ha favorito l’inveramento e l’effettività nel nostro ordinamento dei principi di derivazione comunitaria di efficienza, di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, ritenuti oramai orizzontamento imprescindibile dell’attività di tutti i pubblici funzionari. Sicché, mentre la responsabilità civile di questi ultimi (chiamati a rispondere ex art. 28 Cost. in solido con l’ente di appartenenza) può essere fatta valere dai terzi danneggiati secondo le regole del diritto comune, la responsabilità amministrativa va riguardata da una prospettiva autonoma e divergente in relazione sia all’an che al quantum, in virtù del ricordato bilanciamento imposto dal parametro dell’art. 97 Cost. Il detto bilanciamento appare, poi, tanto più indispensabile[31] se si considera che oggi l’istituto risulta applicabile ai dipendenti di aziende e società pubbliche operanti jure privatorum, specie nel campo della gestione dei servizi pubblici, assoggettati alle regole della concorrenza e del mercato e quindi anche al c.d. “rischio d’impresa”.
E’ alla luce di tali peculiarità, quindi, che l’elemento psicologico della colpa grave si connota di una propria “tipicità” nell’illecito contabile, come confermato anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, di cui si darà conto più innanzi[32].


3.
(Segue) La valutazione della colpa in concreto.
La finalità della concezione normativa è proprio quella di evitare di addossare al soggetto sotto la media anche la più piccola deficienza, valutandolo con la stessa severità con cui si valuta l’uomo “mediamente diligente”. Con la conseguenza che la concezione normativa della colpa e quindi la valutazione della colpa “in concreto”, esige che, anche in presenza di comportamenti colposi giuridicamente riprovevoli, si tengano nel dovuto conto le qualità fisiche e psichiche di un soggetto, al quale non si può imputare di non aver fatto ciò che non era nelle sue possibilità[33].
Pertanto, può affermarsi senza tema di essere smentiti, che la disciplina della responsabilità amministrativa attui pienamente le sue finalità, anche sotto il profilo costituzionale (in applicazione dell’art. 28, in bilanciamento con l’art. 97 Cost.), solo se essa fa leva sul criterio della “graduazione”, in relazione appunto al grado di colpa dell’agente. Inoltre, avendo essa carattere personale, la graduazione consente di commisurare la colpa, personalizzandola ed individualizzandola. Quindi, il compito del giudizio di responsabilità amministrativa è quello di verificare l’esistenza di una negligenza (più grave o meno) in relazione alle circostanze organizzative, ambientali e personali che hanno condizionato il comportamento del soggetto produttivo del danno.
Ne segue, sul piano logico-giuridico, che occorre tenere in adeguato conto la conoscibilità, la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento, al punto che non può qualificarsi grave la colpa di chi, pur potendo con le sue effettive possibilità e date particolari circostanze, evitare l’evento dannoso, non lo fece.
Pertanto, assume rilievo un giudizio di rimproverabilità che si focalizza sull’atteggiamento antidoveroso della volontà, ossia sul rapporto di contraddizione tra volontà dell’agente e norma giuridica. Si richiede una diligenza adeguata e riferita alle concrete possibilità dell’agente, ma pur sempre di grado elevato, tale cioè da richiedere il massimo sforzo possibile da parte del soggetto interessato, come confermato dalla consolidata interpretazione dell’art. 13, comma 1, T.U. 10 gennaio 1957 n. 3[34], che impone al pubblico dipendente di espletare le proprie mansioni in conformità delle leggi, “con diligenza e nel miglior modo per l’interesse dell’Amministrazione per il pubblico bene”[35].
Parimenti, le disposizioni del T.U. n. 1240/34 sulla Corte dei conti, quelle contenute nella legge di contabilità di Stato del 1923 e l’art. 19 del T.U. n. 3/57, nel riservare alla giurisdizione della Corte dei conti la responsabilità dei pubblici dipendenti per danni arrecati alla p.a., prescrivono che tale organo giurisdizionale, valutate le singole responsabilità di funzionari e impiegati, può porre a carico dei responsabili “tutto il danno accertato o parte di esso”. Se ne inferisce, quindi, un evidente nesso tra gravità della colpa e quantificazione del danno risarcibile, con conseguente “personalizzazione” della colpa stessa. Di qui l’attribuzione al giudice della responsabilità amministrativa di una innegabile discrezionalità di giudizio, tendente alla valutazione della colpa e all’imputazione di quella parte del danno che sia corrispondente alla gravità della colpa stessa[36], come accertata nel corso del giudizio iuxta alligata et probata, ferma restando l’applicabilità dell’art. 2697 c.c. ai fini dell’onere probatorio a carico dell’attore pubblico.
Nella stessa ottica, il potere riduttivo non consiste in una discrezionale riduzione della somma imputata a titolo di risarcimento, ma in una corretta determinazione discrezionale del quantum in relazione all’an.
A conferma di quanto precede, basta richiamare il disposto dell’art. 82 della l. Cont. Gen. Stato, secondo cui qualora l’azione od omissione sia dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha preso, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio. Non diversamente, in ipotesi di responsabilità amministrativa dei componenti di collegi, l’art. 1 ter della L. n. 20/1994 (nel testo novellato dalla L. n. 639/1996) prevede che quando siano assunte deliberazioni di organi collegiali la relativa responsabilità “si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole”. Tuttavia, anche quando occorre quantificare la responsabilità del danno causato all’Erario dai soggetti votanti (in senso favorevole) occorre sceverare l’apporto causale psicologico offerto da ognuno sulla base dei principi in materia di parziarietà dell’obbligazione risarcitoria, non risultando oramai applicabile alcun criterio di solidarietà passiva[37].
Ancora una volta, quindi, il legislatore dà una chiara indicazione di recepimento della teoria normativa della colpa e della necessità di accertarne la sussistenza in concreto, attraverso il giudizio di responsabilità.


4. “Figure sintomatiche” di colpa grave e configurazione del c.d.”eccesso di potere” finanziario.
La giurisprudenza della Corte dei conti, che già da tempo aderisce alla teoria normativa, ha elaborato una serie di criteri, per affermare che non tutti i comportamenti censurabili concretano gli estremi della colpa grave, ma soltanto quelli contraddistinti da precisi e qualificanti elementi, ritenendo altresì necessario rapportare il comportamento dell’agente con quello che sarebbe stato “doveroso”, sulla base di precise prescrizioni normative e/o di regole di cautela desumibili dalla comune esperienza.
Un raffronto siffatto può utilmente essere effettuato utilizzando due criteri di valutazione, uno oggettivo, concernente l’individuazione dello standard richiesto dalla situazione sottoposta a giudizio, e l’altro soggettivo, che investe le cause che hanno potuto indurre l’agente a deviare dalle prescritte regole di prudenza.
Sulla base di tale delibazione, la giurisprudenza contabile ha ritenuto, con indirizzo risalente ma immutato, che concreti ipotesi di colpa grave la previsione dell’evento dannoso (nell’ipotesi della c.d. “colpa cosciente”), o più in generale la sua prevedibilità, ovvero il superamento apprezzabile di criteri di diligenza media, per chi svolge una pubblica funzione, per cui si richiedono doti particolari di diligenza, prudenza e perizia.
Dunque, il giudizio di responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici non può prescindere, nell’accertamento della colpa grave, da una considerazione globale di tutti gli elementi di fatto e di diritto che ricorrono nelle singole fattispecie, con particolare riferimento all’atteggiamento tenuto dall’agente nei confronti degli obblighi di servizio e delle regole di condotta da osservare nello svolgimento dei suoi specifici compiti di ufficio[38]
Partendo da tali premesse, che indubbiamente potrebbero favorire l’elaborazione pretoria di una materia quanto mai mobile e delicata, va riconosciuto alla Corte dei conti il grande merito di avere individuato (nella scia dell’esperienza del giudice amministrativo in relazione al vizio di eccesso di potere) delle vere e proprie “figure sintomatiche” (o “indici rilevatori”) della colpa grave, nell’intento di semplificare l’attività di “giudizio” (raffronto tra fattispecie astratta e concreta) che il giudicante è chiamato a compiere.
Procedendo con metodo induttivo, possono ricavarsi dall’elaborazione giurisprudenziale alcune consolidate figure sintomatiche dell’esistenza della colpa grave, quali:
- inosservanza del minimo di diligenza richiesto;
- carenza di difficoltà oggettive ed eccezionali ostative all’ottemperanza ai doveri di ufficio;
- prevedibilità e prevenibilità dell’evento dannoso;
- atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni da parte dell’agente che non osserva le opportune cautele;
- violazione di elementari regole che anche i soggetti meno esigenti e cauti sono soliti osservare;
- deviazione al modello di condotta connesso ai propri compiti senza il rispetto delle comuni regole di comportamento;
- comportamento gravemente negligente, sia nell’esame del fatto (omissione completa o limitazione ad aspetti marginali), sia nell’applicazione del diritto (nelle possibili forme dell’imperizia, dell’inosservanza e dell’erronea interpretazione di norme).
Nel solco dell’ultracentenaria esperienza del giudice amministrativo in relazione al vizio di eccesso di potere del provvedimento (su cui il sindacato giurisdizionale è da sempre esercitato mediante l’utilizzazione di figure sintomatiche o indici rivelatori)[39], un’elaborazione siffatta trova concreto fondamento costituzionale non solo nel precetto del ricordato art. 97 Cost., ma anche in quello dell’art. 81 Cost. (anch’esso sottoposto a revisione costituzionale)[40], al punto da aprire la strada alla configurazione teorica del c.d. “eccesso di potere finanziario” nell’utilizzazione delle risorse pubbliche. Trattasi, come si vede ictu oculi, di una nozione quanto mai ampia ed allusiva, che non riguarda singoli atti, ma sottintende evidentemente una peculiare forma di “illegittimità-illiceità” nel campo finanziario, coinvolgendo l’intera attività di utilizzo delle risorse impiegate, ponendosi, sotto il profilo concettuale, in un rapporto di species ad genus[41] rispetto alla figura dell’eccesso di potere amministrativo, che secondo la ricordata ricostruzione giurisprudenziale si concreta nella violazione dei limiti interni della discrezionalità, per come rilevabili dalla natura stessa della potestà pubblica e per come scaturenti indirettamente dall’ordinamento amministrativo.
È questo un tema quanto mai affascinante e che merita senz’altro adeguata ponderazione, per le positive implicazioni che esso può importare in ordine ad una sana e corretta gestione delle risorse finanziarie pubbliche, destinate oggi ai più disparati fini, nell’esercizio di potere amministrativo ma anche e soprattutto nella gestione dei servizi pubblici.
Allo stato, però, ai fini dell’individuazione in concreto delle figure di colpa grave nella responsabilità amministrativa, a mio avviso, l’ancoraggio più vicino alla “realtà effettuale delle cose” resta quello trovato da lunga pezza dalla giurisprudenza, secondo cui la colpa grave consiste in una sprezzante trascuratezza dei doveri d’ufficio, resa palese da un comportamento improntato alla massima negligenza e imprudenza, ovvero contraddistinto da una particolare noncuranza dell’interesse della p.a. o, ancora, da una grossolana superficialità nell’applicazione delle norme di diritto[42]. Anche recentemente si è confermato che la colpa grave consiste nella macroscopica ed inescusabile negligenza ed imprudenza nell’espletamento delle mansioni, cioè in un atteggiamento di estrema superficialità, trascuratezza o scriteriato nella cura di interessi pubblici[43].
Per configurarsi la colpa grave, alla violazione di una norma giuridica deve sempre accompagnarsi un atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni, di negligenza massima e di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti[44]. Criterio, quest’ultimo, utilizzato anche per il riconoscimento dell’errore scusabile, considerato ammissibile dalla giurisprudenza in ipotesi di difficoltà o incertezza interpretativa della norma, al fine di escludere l’ingiustizia del danno, così come avviene per le altre cause giustificatrici indicate dal legislatore (quali la buona fede in relazione alla c.d. “esimente politica” di cui all’art. 1, comma 1-ter della L. 14 gennaio 1994 n. 20, come mod. dalla L. n. 639/1996, e la insindacabilità delle scelte discrezionali)[45].
Va sicuramente apprezzato lo sforzo della giurisprudenza più risalente[46] di individuare ipotesi di colpa grave sulla base di ambiti definitori che distinguono le diverse fattispecie (colpa grave nell’applicazione di norme giuridiche, nelle scelte tecniche, nelle scelte discrezionali, nell’attività di organizzazione e direzione).
Non può sottacersi, tuttavia, che siffatte definizioni, concretandosi a loro volta in concetti la cui nozione giuridica è quanto mai incerta, assumono il carattere dell’astrattezza, dell’aleatorietà e quindi dell’estrema discrezionalità, che, se utilizzata inadeguatamente in sede giurisdizionale, può sfociare nell’ingiustizia.
La dottrina più recente[47] ha tentato di costruire un metodo di misurazione dell’intensità della colpa utilizzando sia l’elemento oggettivo (contrasto con la norma), sia quello soggettivo (basato su fattori individuali), indicando il primo come “misura oggettiva”, relativa alla individuazione dello standard di diligenza richiesto, e il secondo come “misura soggettiva”, rapportata cioè alle cause che hanno indotto l’agente a discostarsi dalle prescritte regole di prudenza .
Tale tesi, ancorché sottoposta a qualche critica[48], a causa della reintroduzione di profili psicologici di ordine soggettivo (utilizzati, peraltro, anche dal giudice amministrativo)[49], che sarebbero in contrasto con la teoria normativa, ha sicuramente il pregio di proporre un metodo di accertamento dell’intensità della colpa e quindi dell’esistenza della colpa in concreto.
Non si discosta da tale posizione l’orientamento giurisprudenziale che ha affermato la necessità di accertare l’esistenza della colpa grave caso per caso, in relazione alle modalità del fatto e all’atteggiamento dell’agente, ritenendo che, per misurarne la gravità, il giudizio di riprovevolezza debba fondarsi su un quid pluris rispetto ai parametri di diligenza desumibili dall’art. 1176 c.c. e 43 c.p., nonché dal Testo Unico degli impiegati civili dello Stato[50]. Così, ad esempio, secondo orientamento recentissimo, integra gli estremi della colpa grave l’incuria nella custodia delle chiavi di accesso al computer di un dipendente pubblico che, anche involontariamente, consente ad altri di accedere alla propria postazione di lavoro per modificare illecitamente la posizione contributiva di soggetti terzi[51].
Nel panorama giurisprudenziale si segnala, per la chiarezza dell’impostazione, un’altra decisione[52], che, sia pure con riferimento al c.d. “rischio d’impresa” (da tempo ritenuto applicabile alla pubblica amministrazione e alle società pubbliche, ferma restando l’autonoma valutazione dei comportamenti di coloro che hanno concorso all’evento)[53], affronta in via generale ed in modo esaustivo il rapporto tra colpa grave e scelte discrezionali della p.a.
La decisione, invero, non si allontana da quel consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, nel definire i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, ritiene che essa debba preliminarmente valutare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, con l’ulteriore precisazione che, una volta accertata tale compatibilità, l’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa rientra nell’ambito del merito insindacabile, salvo che essa si presenti irrazionale, irragionevole ed illogica[54]. Se ne inferisce che il merito e l’opportunità, da valutarsi ex ante e non ex post (secondo un principio comune sia al giudizio di legittimità degli atti che a quello su colpa nei comportamenti), sono “di regola insindacabili”, a meno che non emergano con evidenza una serie di “indici sintomatici” gravi, precisi e concordanti, dai quali possa arguirsi lo svolgimento di un’attività posta in essere in violazione delle leggi, come pure delle regole di economicità, efficienza ed efficacia amministrativa. Ancora una volta, viene confermato che la riforma intervenuta negli anni ’90 (art. 1 della l. 14 gennaio 1994 n. 20 e succ. mod.) ha la precipua finalità di contemperare le esigenze dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa con quella della tutela delle persone fisiche titolari di poteri, funzioni e incarichi pubblici, con conseguente generalizzazione del criterio di imputazione della colpa grave, la cui esistenza, in applicazione dell’art. 2697 c.c., va dimostrata e provata dall’attore pubblico.
Nella stessa prospettiva, assume un diverso rilievo il c.d. “errore professionale”, la cui definizione codicistica è ricavabile dall’art. 2236 c.c., che non consente di considerarlo come esimente della colpa, ma va interpretato nel senso che per gli obblighi caratterizzati in modo “professionale” è richiesta la diligenza specifica del debitore qualificato, fermo restando che per il carattere della gravità della colpa nella responsabilità amministrativa deve ricorrere non solo l’imperizia, ma anche l’imprudenza e la negligenza[55]. Allo stesso filone giurisprudenziale si ricollega una recente sentenza del giudice contabile, relativa ad un caso di responsabilità professionale, che, con motivazione convincente, addebita all’avvocato comunale la colpa grave per aver omesso di comunicare la denuncia del sinistro all’assicurazione che copriva il relativo rischio[56].


5. A mo’ di una conclusione.
A circa venti anni dalla configurazione della colpa grave come soglia minima di imputabilità della responsabilità amministrativa, si può tentare di tracciare un primo bilancio del suo inveramento nel diritto vivente. Ancora oggi resto convinto di quanto ebbi ad evidenziare qualche anno dopo l’entrata in vigore della legge di riforma[57], ossia che la nuova forma di colpevolezza, per essere colta in tutte le sue implicazioni, deve essere letta in sinossi col processo di riforma della pubblica amministrazione ed in ispecie con l’emersione ordinamentale dei principi (di derivazione comunitaria) di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
Nel susseguirsi frenetico di proposte di riforme e revisioni costituzionali, l’istituto della responsabilità amministrativa (con la relativa giurisdizione) sembra aver raggiunto un assetto sufficientemente stabile, sì da divenire lo strumento più efficace di recupero di risorse pubbliche sottratte e/o sperperate a causa dei comportamenti delittuosi o gravemente colposi degli agenti pubblici. Da quanto detto fin qui, emerge con chiarezza che forse può ritenersi definitivamente superato quel rischio già paventato a suo tempo, secondo cui, una volta affidato al giudice contabile il compito di accertare l’esistenza in concreto della colpa grave, quest’ultima potesse divenire una sorta di “metafora”[58], finendo per vanificare gli effetti della riforma. D’altro canto, non va sottaciuto che il tentativo di tipizzare le ipotesi di colpa grave posto in essere da una legge della Provincia autonoma di Bolzano, attraverso la previsione di criteri di individuazione concreta (quali la inescusabilità della negligenza o la incontrastabilità del fatto, la facile prevedibilità, la violazione di regole di comportamento o la gravità del disinteresse), è stato ritenuto incostituzionale dal giudice delle leggi sotto il profilo dello scostamento dal principio ordinamentale, secondo cui l’addebito di responsabilità amministrativa ha come soglia minima quella della colpa grave[59].
Indubbiamente, a circa un ventennio dalla riforma, va riconosciuto alla Corte dei conti il merito di aver proceduto con grande cautela alla sua applicazione, tentando di individualizzare, personalizzare e graduare le ipotesi di colpa grave degli agenti pubblici. Peraltro, la giurisprudenza del giudice contabile, con grande sagacia giuridica ma anche con grande realismo, attraverso l’elaborazione delle figure sintomatiche di cui si è detto, ha sicuramente evitato che l’accertamento di tale elemento psicologico potesse subire una deriva pretoria, foriera di oscillazioni e di contrasti giurisprudenziali. In ordine a tale esigenza, poi, le sezioni riunite della Corte dei conti non hanno esitato a svolgere proficuamente la loro funzione nomofilattica, garantendo (nei limiti del possibile) uniformità ermeneutica e in definitiva certezza del diritto, pure in un coacervo di casi concreti quanto mai disparati, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.
L’auspicio è che la detta concezione della colpa grave (di cui si è cercato di dar conto) possa costituire la chiave di lettura per produrre anche un effetto deflattivo del contenzioso contabile, nel senso che, proprio utilizzando le dette figure sintomatiche come una sorta di griglia, già nella fase accusatoria potrebbe giungersi all’esclusione dell’elemento psicologico nella forma della colpa grave. Quanto meno, poi, nel corso del giudizio potrebbe pervenirsi ad una quantificazione “realistica” del danno da addebitarsi, secondo la graduazione della riprovevolezza della condotta in concreto, favorendo così la celerità dell’istruttoria e la sua conclusione, in ossequio al principio costituzionale del giusto processo introdotto dal novellato art. 111 Cost.[60].

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* Il presente lavoro costituisce una prima rielaborazione della relazione da me svolta al Convegno organizzato dall’Associazione avvocati difensori dinanzi la Corte dei conti in collaborazione col Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli Federico II e con il patrocinio dell’Associazione magistrati della Corte dei conti, tenutosi a Napoli in data 4 aprile 2014 su “Il danno erariale e il suo giudice naturale tra tradizione e novità – Tematiche sostanziali e processuali di responsabilità amministrativo-contabile”, i cui atti sono in corso di pubblicazione.
[1] E’ opportuno sottolineare che in precedenza le teorizzazioni tradizionali più autorevoli erano concordi nell’attribuire significativa rilevanza anche alla colpa lieve ai fini della configurazione della responsabilità amministrativa di tutti i dipendenti pubblici: cfr., su tutti, P. Virga, Diritto amministrativo, vol. 3, Milano 1994, 214; nonché A. Patumi, Il nuovo sistema delle responsabilità degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, in Riv. C. conti 1990, 266.
[2] Secondo la disposizione “Costituiscono colpa grave:a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è stabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione”. Per un’approfondita analisi della disciplina della responsabilità dei magistrati (che costituisce tematica sempre attuale e controversa anche de jure condendo), cfr. V. Tenore, Responsabilità amministrativo contabile del magistrato, in www.corteappellomilano.it ed ivi ampi richiami di giurisprudenza.
[3] Tale previsione era contenuta, più in particolare, nell’articolo 58 della legge n. 142 dell’8 giugno 1990, poi trasfuso nell’art. 93 del T.U.EL.L. approvato con D.Lgs. n. 267/00. Peraltro, la norma era stata oggetto dell’attenzione del giudice della nomofilachia per la sua possibile illegittimità costituzionale in ragione di una presunta violazione dell’art. 103, comma 2, della Carta. La Corte di Cassazione si espresse ritenendo manifestamente infondata la questione; in quanto la normativa costituzionale “ha una tendenziale capacità espansiva che si pone come fattore idoneo a legittimare discipline volte ad unificare, attraverso l'assoggettamento della medesima materia ad un’unica giurisdizione, il regime processuale di accertamento della responsabilità degli amministratori e dipendenti pubblici per i danni arrecati alla p.a.”: cfr. Cass., sez. un., 19 novembre 1998, n. 11719, in Giur. It, 1999, 1065 ss.
L’articolo 6, comma 7, del d.l. 487/1993, convertito con modifiche nella l. n. 71 del 1994, estese l’applicabilità delle norme sulla responsabilità amministrativa anche al personale “dell’ente poste italiane”.
[4] Per un’approfondita analisi strutturale e funzionale dell’organo, cfr. da ultimo C. Chiappinelli, G. Dammicco, P. Della Ventura, M. Di Stefano, F. Garri, L. Impeciati, M. Ristuccia, La Corte dei Conti. Controllo e giurisdizione. Contabilità pubblica, Milano, 2012. Adde, L. Motolese, La Corte dei conti e le sue funzioni, Milano, 2004; Id., La Corte dei conti nel nuovo ordinamento contabile, Milano, 2007; F. Tigano, Corte dei conti e attività amministrativa, Torino, 2008.
[5] Come riferimento di carattere generale sul punto, cfr. E. Brandolini, La responsabilità degli amministratori locali, Milano, 2012.
[6] Come può evincersi, del resto, dall’andamento dei lavori parlamentari: cfr. in proposito Resoconto sommario delle sedute 27 novembre e 11 dicembre 1996 della I Comm. Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
[7] In tema, cfr. E. Bonelli, Politica ed amministrazione: una commistione incostituzionale nei piccoli comuni?, in Riv. amm., 2003, 995 ss.
[8] Il nuovo sistema normativo conferma, tra l’altro, l’esclusione della rilevanza della responsabilità oggettiva in materia contabile (eccezionale, invero, anche per l’illecito civile).
[9] La decisione del giudice delle leggi ( come tutte le altre qui citate) può leggersi per esteso al sito istituzionale www.cortecostituzionale.it
[10] Precedentemente, la stessa Corte costituzionale aveva considerato non rigido e derogabile il principio di irrilevanza del grado di colpa. Sul punto cfr. sentenze nn. 54/1975 e 164/1982, relative agli amministratori delle università ed entrambe reperibili al sito istituzionale della Corte.
[11] Sull’istituto, come rinvii di carattere generale, cfr. M. Di Stefano, Il c.d. potere riduttivo nella giurisprudenza, in Aa.Vv., L'evoluzione della responsabilità amministrativa. Amministratori e dipendenti di Regioni ed enti locali, a cura di E.F. Schlitzer, Milano, 2002, 202.; F. Garri, In tema di potere riduttivo dell'addebito da parte della Corte dei Conti, in Foro amm., 1968, II, 78. Sul possibile uso arbitrario del potere riduttivo cfr. V. Italia (intervento nel convegno La Corte dei conti fra tradizione storica ed esigenze della società, Milano, 16 marzo 1998, i cui atti sono pubblicati in Amm. e contab., 1998, n. 3, 230). Per una ricostruzione puntuale della giurisprudenza in tema, cfr. V. Tenore, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensione, controlli, Milano, 2013, in ispecie, 101 ss.
[12] In tema, cfr. D. Crocco, La responsabilità patrimoniale e amministrativa innanzi alla Corte dei conti, Napoli, 2012, 256-257; F.G. Scoca, Sguardo d’insieme sugli aspetti sostanziali e processuali della responsabilità amministrativa, in AaVv., La responsabilità amministrativa ed il suo processo, a cura di F.G. Scoca, Padova, 1997, 5.
[13] Opportunamente, si è individuata una natura sui generis della responsabilità amministrativa, in quanto dotata di caratteri istituzionali propri ed autonomi, sia rispetto a quelli della responsabilità di diritto comune, sia nei confronti della responsabilità di diritto pubblico. Sul punto, cfr. D. Crocco, op. ult. cit., 347; adde, V. Tenore, La responsabilità amministrativo contabile:profili sostanziali, in Aa.Vv., La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, a cura di V. Tenore, Milano, 2008, 27 ss.; F.G. Scoca, La responsabilità amministrativa e il suo processo, Padova, 1997, 156 ss.
[14] L'entità della colpa costituisce il primo criterio di applicazione del potere riduttivo, accanto al quale possono concorrere altri elementi, non escluso quello della personalità dell'impiegato, quale risulta dai suoi precedenti di carriera.
Gli elementi determinanti ai fini dell’esercizio del potere riduttivo sono le circostanze obiettive concomitanti con il comportamento del dipendente responsabile; le circostanze soggettive, inerenti alla condotta di quest’ultimo e quelle inerenti al comportamento del terzo danneggiato o di altri soggetti; infine, le circostanze particolari. Il giudice contabile, inoltre, può fare ricorso agli elementi contenuti nell'art. 133 c.p.p. e in via sussidiaria, ai criteri di graduazione delle sanzioni disciplinari dettati nell’ambito di ogni specifico apparato amministrativo; può esaminare e valutare il comportamento del soggetto responsabile in relazione alle condizioni nelle quali ha agito, nonché il grado di influenza che tale comportamento ha avuto sull'evento; può prendere in considerazione ogni altra circostanza di fatto che, secondo il suo prudente apprezzamento, può indurre ad una motivata, meno rigorosa valutazione della responsabilità; può valutare fatti ed accadimenti che verosimilmente indussero il responsabile in errore circa l’esistenza di un effettivo stato di necessità e lo portarono ad eccedere nell’adempimento del proprio dovere.
Ancora, il potere riduttivo dell'addebito è esercitabile d’ufficio e non soffre della preclusione di cui all'art. 345 c.p.c.; di conseguenza l'addebito può essere ridotto anche in grado di appello.
Come raro caso di uso del potere riduttivo comportante addirittura l’esclusione di qualsiasi addebito, cfr. Corte dei conti, sez. I, 5.10.01, n. 291/A.
[15] In tema, v. E. Bonelli, Amministrazione governance e servizi pubblici locali. Tra Italia e Unione europea, Torino, 2008; Id., Governo locale, sussidiarietà, federalismo fiscale, Torino, 2001.
[16] Cfr. in tal senso, L. Giampaolino, Prime osservazioni sull’ultima riforma della giurisdizione della Corte dei Conti: innovazioni in tema di responsabilità amministrativa, in Foro amm., 1997, 3336.
[17] Cfr. E. Bonelli, Politica e amministrazione: una commistione incostituzionale nei piccoli comuni?, op. loc. cit.,
[18] In tema, si v. L. Mercati, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Torino, 2002, in ispecie, 305 ss.
[19] È indubbio che siffatti criteri trovino una qualche definizione nella (e quindi siano mutuabili soprattutto dalla) legislazione comunitaria: ci si riferisce, in particolare al Regolamento finanziario approvato dal Consiglio in data 25 giugno 2002, pubblicato nella g.u. delle Comunità Europee, l. 248 del 16 settembre 2002, n. 1605/02.
La disposizione, infatti, non solo contiene un riferimento ai detti principi in quanto caratterizzanti la “sana gestione finanziaria”, ma si preoccupa, sulla base delle nozioni (anche di matrice aziendalistica) più diffuse, di definire i tre parametri (cfr. par. 1), precisando che:
a) il “principio dell’economia” richiede che i mezzi impiegati dall’istituzione per la rea¬lizzazione delle proprie attività sono resi disponibili in tempo utile, nella quantità e qualità appropriata ed al prezzo migliore;
b) in base al “principio dell’efficienza”, va ricercato il miglior rapporto tra mezzi impie¬gati e risultati conseguiti;
c) secondo il “principio dell’efficacia”, devono essere raggiunti gli obiettivi specifici fis¬sati e conseguiti i risultati attesi.
Sulla delineazione dei concetti richiamati cfr., tra gli altri, G. Farneti, Gestione e con¬tabilità dell’ente locale, Rimini, 1999, 28 ss.; G. D’Auria, I controlli, in Aa.Vv., Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2000, 233. Cfr. anche, volendo, E. Bonelli, Efficienza e sistema dei controlli tra Unione Europea e ordinamento inter¬no, Torino, 2003, 33 ss. ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
[20]Cfr., volendo, E. Bonelli, Politica e amministrazione, op. cit., in ispecie, 1020-1024; Id, Amministrazione, governance e servizi pubblici locali, Torino, 2008, 36 ss.; L. Iannotta, Economia, diritto e politica nell’amministrazione di risultato, Torino, 2003; adde, L. Torchia, La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000, 119 ss.; Aa.Vv., Valutare per governare- Il nuovo sistema dei controlli nelle pubbliche amministrazioni, a cura di G. Azzone B. Dente, Milano, 1999.
[21] Come rinvii di carattere generale sull’elemento soggettivo nell’illecito contabile, oltre ai lavori monografici citati in precedenza in tema di responsabilità amministrativa, adde C. Pagliarin, Colpa grave ed equità innanzi alla Corte dei conti, Ed. Univ. di Ferrara, 2002; C. Astraldi De Zorzi, Colpa grave e dolo: responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, in Enti pubblici, 1997, n. 1, 10; C. Chiappinelli, Necessari dolo o colpa grave degli operatori per attivare un giudizio della Corte dei conti, in Guida al Diritto, 1996, n. 2,67; M. Antonelli, Riflessioni brevi sulla colpa grave nella responsabilità amministrativa, in Nuovo dir., 1999, 139 ss.; C. Cacciavillani, Il limite della colpa grave nella responsabilità amministrativa, la solidarietà risarcitoria verso terzi ed il regime probatorio nell’azione di regresso, nota a C. conti, sez. III, 16 aprile 1998, n. 114, in Riv. Amm., 1998, 1087.
[22] In tema, cfr. P. Novelli-L. Venturini, La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Milano, 2008, 60 ss.
[23] Per una ricostruzione sistematica dell’intero istituto della responsabilità civile (sia contrattuale che extracontrattuale) si segnala, per la sua esaustività, Aa.Vv., La responsabilità civile, a cura di P. Fava, Milano, 2009.
[24] Per un inquadramento ordinamentale della colpa grave, cfr. A. Ciaramella, Spunti per una riflessione sulla colpa grave nella responsabilità amministrativa. Riferimenti anche alla dottrina e alla giurisprudenza civilistica e penalistica,in www.Amcorteconti.it, P. Maddalena, Responsabilità civile e amministrativa: diversità e punti di convergenza dopo le leggi nn. 19 e 20 del 14 gennaio 1994, in Cons. Stato, 1994, II.
[25] Sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, si rinvia all’esaustiva trattazione di M. Bianca, La responsabilità, in Diritto civile, vol. V, Milano, 1994, 575 ss. In effetti, il codice civile individua “modelli astratti” e colui che si discosta da tali modelli versa in stato di colpa, indipendentemente da ogni indagine in ordine alla censurabilità o meno della sua volontà e della sua attitudine a porre in essere “lo sforzo diligente dovuto”: in tal senso, cfr. P. Novelli-L. Venturini, La responsabilità amministrativa, op. cit., 61.
[26] Sul punto, cfr. C. Fiore – S. Fiore, Diritto penale - Parte generale, Milanofiori Assago, 2008, 138 ss. ed ivi ampi riferimenti bibliografici.
[27] F. Mantovani, Diritto penale, Padova, 1992, 294 ss.
[28] Cfr. Corte dei conti, Trentino Alto Adige, 29 dicembre 2006, n. 137. La decisione del giudice contabile (come tutte le altre qui citate) è rintracciabile attraverso la sezione “Massimario e rivista” del sito istituzionale www.corteconti.it.
[29] Fra i commenti più recenti cfr. M. Benvenuti, Art. 28, in Aa.Vv., Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Milanofiori Assago, 2006, 580 ss.; adde, Aa.Vv., La responsabilità della pubblica amministrazione, a cura di F. Caringella e M. Protto, Bologna, 2005; A. Lazari, Modelli e paradigmi della responsabilità dello Stato, Torino, 2005; E. Mele, La responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici, Milano, 2004.
[30] In tema, volendo, cfr. E. Bonelli, L’incostituzionalità dei controlli sulle Regioni introdotti dal D.L. n. 174/2012 (costi della politica versus sana gestione finanziaria alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 219/2013), in Giur. Cost., 2013, n. 4, 3677-3696.
[31] Sulla necessità di operare tale bilanciamento alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, può rinviarsi a E. Bonelli, L’incostituzionalità dei controlli sulle Regioni, op. cit., in ispecie 3696-3697; adde, sull’utilizzazione del bilanciamento nell’interpretazione costituzionale, A. Morrone, voce Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008.
[32] Cfr. amplius infra al par. 5.
[33] In tema, cfr. S. Pilato, La responsabilità amministrativa - Profili sostanziali e processuali nelle leggi 19/94, 20/94 e 639/96, Padova, 1999, 221 ss.; P. Novelli-L. Venturini, La responsabilità amministrativa, op. cit., 71 ss.; M. Sciascia, La nozione di colpa grave fra principi di diritto comune e configurazione autonoma, in Aa.Vv., Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile (ad un decennio dalle riforme), Atti del LI Convegno di Studi di Scienza dell’amministrazione, Milano, 2006, 379 ss.
[34] Opportunamente, si è rimarcato al riguardo che “non si deve più far riferimento ad un unico modello, quello tradizionale del buon padre di famiglia, ma a tanti modelli quanti sono i casi concreti che vengono all’esame del giudice”: così, P. Novelli – L. Venturini, La responsabilità amministrativa, op. cit., 67-68, alla nota 131; adde, in tema, P. Santoro, L’illecito contabile, Rimini, 2006, 236. Peraltro, nei confronti della riforma dell’elemento psicologico, si levò qualche voce fuori dal coro, quasi che essa consentisse agli agenti di essere nell’amministrazione di interessi pubblici meno attenti rispetto alla cura di interessi privati: in tal senso, cfr. F. Staderini, La giurisdizione contabile oggi, in Riv. Corte conti, 1997, n. 5, 345.
[35] Per la disapplicazione delle norme contenute in tale articolo nei confronti del personale non dirigenziale del Comparto Ministeri, delle Regioni ed autonomie locali, della Sanità, delle Istituzioni ed enti di ricerca, delle Università, delle Aziende autonome, della Scuola, v. ora all. A al D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165.
[36] Cfr. P. Maddalena, Il principio del giusto processo e la graduazione di colpa nella responsabilità amministrativa, in Cons. Stato,2000, II, 2065.
[37] Per un’ampia rassegna di giurisprudenza sul punto, può rinviarsi a V. Tenore, La nuova Corte dei conti, op. cit., 97.
Per la solidarietà passiva degli organi collegiali in base all’art. 24 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, individuata come lex specialis ancora in vigore dopo la L. n. 20/1994, si v. Corte dei conti, sez. riunite, 17 dicembre 1996 n. 79/A; id., sez. riunite, 1 aprile 1998, n. 17/A.
[38] Corte dei conti, SS.RR., 7 gennaio 1998, n. 1/A.
[39] L’espressione “eccesso di potere” venne utilizzata per la prima volta nella L. 31 marzo 1877 n. 371 e poi nella L. 31 marzo 1889, n. 5992; ma in tali testi legislativi essa veniva utilizzata per indicare lo “straripamento di potere”, ossia la “incompetenza assoluta”, ovvero la “usurpazione di potere”. Solo successivamente il Consiglio di Stato, sez. IV, con la decisione 7 gennaio 1892, n. 2, adoperò la locuzione “eccesso di potere” per indicare un vizio tipico dell’atto amministrativo e per esercitare così il proprio sindacato giurisdizionale (sia sulle scelte discrezionali della p.a. che sullo sviamento del potere pubblico), sulla scorta dell’esperienza del Conseil d’Etat francese in tema di détournement de pouvoir. Sul punto, rimane fondamentale, anche per l’influenza esercitata, il lavoro di A. Codacci Pisanelli del 1892, L’eccesso di potere nel contenzioso amministrativo. Per una puntuale ricostruzione storica, v. F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 1154; per ulteriori approfondimenti, rimane sempre un punto fermo A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1968, 420.
[40] Entrambe le norme, com’è noto, sono state revisionate dal legislatore costituente con L. Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Per quanto riguarda l’art. 97 sono state aggiunte icasticamente, al comma 1, le parole “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’orientamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”. La L. Cost. cit., inoltre, recepisce, a modifica dell’art. 81, i vincoli della normativa europea in materia di governance economica, come ultimo integrata dal Trattato c.d. “Fiscal compact”. In tema, cfr. R. Dickmann, Legislazione di spesa ed equilibrio di bilancio tra legittimità costituzionale e legittimità europea, in www.federalismi.it, n. 5/2012; Id., Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in Costituzione, in www.federalismi.it, n. 4/2012; A. Brancasi, L’introduzione del principio del cd. Pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della Costituzione, in www.forumcostituzionale.it, 10 gennaio 2012; D. Cabras, Il pareggio di bilancio in Costituzione: una regola importante per la stabilizzazione della finanza pubblica, ibidem, 27 gennaio 2012; P. Bilancia, Note critiche sul cd. “pareggio di bilancio”, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, n. 2/2012.
[41] In tal senso, cfr. D. Crocco, La responsabilità patrimoniale e amministrativa, op. cit., 352-353 nel testo e nelle note; M. Sciascia, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 2012, 124 ss.; Id., Diritto delle gestioni pubbliche, Milano, 2007, 15 ss.; adde, M. Ristuccia, Applicabilità dei principi nel giusto processo al rito contabile, in Nuova Rass., 2001, 2054.
[42] In tal senso, cfr. SS.RR., 14 settembre 1982, n. 313.
[43] C. conti, sez. III centr., 10 settembre 2010, n. 523A.
[44] C. conti, sez. Puglia, 3 aprile 1997, n. 16
[45] Sul punto, cfr. SS.RR., 8 maggio 1991, n. 711; in dottrina, cfr. P. Santoro, L’illecito contabile, op. cit., 245.
[46] Cfr. ad esempio SS.RR. n. 56 del 1997.
[47] Cfr. M. Sciascia, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., 110 ss.
[48] Cfr. P. Santoro, L’illecito contabile, op. cit., 241.
[49] C.di S., sez. V, 10 gennaio 2005, n. 32, in Foro amm., CdS, 2005, 1801; adde, da ultimo, C.d.S., sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 623; id., 5 marzo 2014, n. 1053.
[50] Cfr. C. conti, III sez. centr., 23 settembre 2011 n. 630; come precedente specifico, cfr. C. conti, SS.RR., 10 giugno 1997, n. 56.
[51] Corte dei conti, sez. giurisdizionale Lazio, 17 marzo 2014, n. 222.
[52] Cfr. Corte dei conti, sez. giurisdizionale Campania, 26 ottobre 2009, n. 1300.
[53] Cfr. C. conti, sez. II, 30 ottobre 1970, n. 92.
[54] Cass., sez. Un., 29 gennaio 2001 n. 33; Id., 6 maggio 2003, n. 6851; Id., 17 dicembre 2003, n. 19356.
[55] Corte dei conti, sez. III, 10 novembre 2004, n. 601.
[56] Corte dei conti, sez. giurisdizionale Sardegna, 24 gennaio 2014, n. 13.
[57] Cfr. E. Bonelli, “Amministrazione riformata e nuovo volto della responsabilità amministrativa: dall’esigenza di legittimità alla prospettiva gestionale”, in N. Longo, La nuova conformazione della responsabilità amministrativa: colpa grave e danno erariale, Cosenza, 2001, 9 ss.
[58] P. Maddalena, La colpa nella responsabilità amministrativa, in Riv. Corte conti, 1997, n. 2.
[59] Cfr. Corte costituzionale, 24 ottobre 2001, n. 340, in Diritto & Diritti, n. 10/2001, con nota di D. Cicirello, La corte costituzionale interviene sulla colpa grave in tema di responsabilità amministrativa.
[60] Cfr. M. De Paolis, Eccessiva durata del processo: risarcimento del danno, Sant’Arcangelo di Romagna (Maggioli Ed.), 2012, in ispecie 520 ss.; F. Saitta, L’istruttoria nel processo contabile nello spirito del novellato art. 111 della Costituzione, in Riv. Corte conti, 2005, 6, 355; P. Santoro, Terzietà del giudice e poteri sindacatori del processo contabile, in Riv. Corte conti, 2001, 4, 238; M. Ristuccia, Applicabilità dei principi del giusto processo al giudizio contabile, in Riv. Corte conti, 4, 2000, IV, 200; P. Maddalena, Il principio del giusto processo, op. cit., 2068.

 

(pubblicato il 3.7.2014)

 

 

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