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n. 7-2014 - © copyright |
ENRICO BONELLI
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La colpa grave nell’illecito
contabile oggi*
SOMMARIO: 1. L’elemento psicologico della colpa
grave nel contesto riformato della responsabilità amministrativa. –
2. La “tipicità” della colpa grave nell’illecito contabile. – 3.
(Segue) La valutazione della colpa in concreto. – 4. “Figure
sintomatiche” di colpa grave e configurazione del c.d. ”eccesso di
potere finanziario”. – 5. A mo’ di una
conclusione.
1. L’elemento psicologico
della colpa grave nel contesto riformato della responsabilità
amministrativa.
Il tema su cui si appunta la nostra
attenzione è costituito dall’attuale configurazione dell’elemento
psicologico (o soggettivo) della responsabilità amministrativa, con
particolare riferimento alla colpa grave.
E difatti,
inequivocabilmente, secondo l’art. 1, comma 1, della l. n. 20/94,
come modificato dall’art. 3 comma 1, lett. a) della legge n. 639/96,
“la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione
della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale
e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa
grave” [1].
La disposizione, invero, al momento della
sua entrata in vigore, non costituiva una novità assoluta nel
panorama legislativo: veniva ripresa la disciplina dettata per gli
impiegati civili dello Stato “addetti alla conduzione di
autoveicoli” dell’art. 22 del T.U. n. 3/1957 e dell’art. 1 della
l. 31 dicembre 1962 n. 1833; analoga limitazione veniva prevista per
“gli addetti alla conduzioni di navi ed aeromobili” dalla l.
69/75, per il personale ferroviario “nell’esercizio delle
funzioni inerenti alla circolazione dei treni e delle attività
direttamente connesse” della l. n. 67/81, nonché, per gli
amministratori delle università, dall’art. 52 T.U. n. 1592/1933. Non
si discostava da tale criterio l’art. 61 della l. 312/80, che
limitava “ai soli casi di dolo o colpa grave nell’esercizio della
vigilanza sugli alunni stessi” la responsabilità patrimoniale
del personale direttivo, docente, educativo e non docente della
scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e
delle istituzioni educative.
Non diversamente, per tutti i
magistrati (compresi quelli della Corte dei conti) era prevista una
particolare forma di responsabilità dall’art. 2 l. n. 117/1988, per
i danni arrecati “per dolo o colpa grave”, quest’ultima
circoscritta alle fattispecie indicate dall’art. 2 cit., comma 3[2].
Giova ricordare che l’estensione – operata da parte della legge
n. 142/90[3] – della giurisdizione contabile agli amministratori ed
ai dipendenti degli enti locali (i quali avevano vissuto sino ad
allora in una sorta di permanente immunità da questo punto di vista)
e la successiva strutturazione in sezioni regionali della Corte dei
conti[4], con l’istituzione delle procure regionali, avevano
finito per sottoporre l’attività amministrativa di amministratori e
dipendenti degli enti locali al vaglio di un sindacato
particolarmente penetrante, mai conosciuto in quei termini in tutta
la storia repubblicana[5].
A tale attività di controllo (e di
repressione) faceva pendant, negli anni successivi, una
situazione di preoccupante paralisi dell’attività amministrativa
locale, nell’evidente dilagare del timore di incappare nell’azione
di responsabilità della procura regionale competente per territorio,
la cui presenza veniva interpretata come una sorta di spada di
Damocle pendente sul capo degli amministratori e dei funzionari
delle istituzioni locali (oppressi da una vera e propria “paura
della firma”). Tali preoccupazioni[6] hanno verosimilmente
costituito il substrato “politico” che ha favorito la
previsione della limitazione delle ipotesi di responsabilità
amministrativa ai casi connotati da “colpa grave”, modificando così la previgente disciplina, che dava ingresso,
nel giudizio di responsabilità erariale, anche alle ipotesi di colpa
lieve.
Dal punto di vista squisitamente teorico, invece, non v’è
dubbio che la limitazione in parola abbia attinto la propria ragion
d’essere nella necessità di rispettare i nuovi spazi di
discrezionalità riconosciuti al soggetto titolare di cariche
politiche e, al contempo, di non interferire con gli spazi di
discrezionalità gestionale riconosciuti invece ai dirigenti,
responsabili, per l’appunto, dell’attività concreta di gestione, in
attuazione diretta del principio di separazione tra politica ed
amministrazione[7] e nella consapevolezza che le attività gestionali
debbano essere valutate sulla base di parametri del tutto diversi
(di stampo manageriale-aziendalistico), rispetto ai quali la stessa
configurabilità dell’elemento soggettivo nella sua precedente
ricostruzione appariva oramai inadeguata[8].
Tale ottica
evolutiva venne subito condivisa dalla Corte Costituzionale, che,
pronunciandosi con la nota e fondamentale sentenza n. 371/1998[9],
sulla legittimità dell’art. 3 l. n. 639/96 (nella parte in cui la
disposizione limitava le ipotesi di responsabilità amministrativa ai
casi di dolo e colpa grave), evidenziò come la norma si collocasse
nel quadro della nuova “conformazione” della responsabilità
amministrativa e contabile, rapportandosi con altre innovazioni
contenute nella l. n. 639/96, quale – a titolo esemplificativo –
quella dell’intrasmissibilità della responsabilità agli eredi, in
vista della costruzione legislativa di una responsabilità di
carattere sempre più personale.
Ciò che più conta, il giudice
delle leggi ritenne che il processo di evoluzione della disciplina
relativa all’elemento psicologico della responsabilità
amministrativa fosse strettamente connesso con la revisione
dell’ordinamento del pubblico impiego “attuata, in epoca di poco
precedente, dal D. L.vo n. 29 del 1993 (cui ha fatto seguito il D.
L.vo n. 80 del 1998) attraverso la cd. «privatizzazione», in una
prospettiva di maggiore valorizzazione anche dei risultati
dell’azione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e
di rigore di gestione”. Né la Corte mancò di evidenziare come il
sistema fosse finalizzato alla realizzazione di un assetto normativo
in cui il timore della responsabilità non esponesse gli agenti
pubblici “all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello
svolgimento dell’attività amministrativa”[10].
In stretta
connessione con la nuova disciplina dell’elemento psicologico va
interpretato il potere riduttivo[11] attribuito dal legislatore alla
Corte dei conti (cfr. art. 1, comma 1 bis, l. n. 20/94), che in
qualche misura viene condizionato (e finisce per dipendere) dalla
valutazione dei vantaggi che comunque sono stati conseguiti dalla
comunità amministrata, in conseguenza del comportamento degli agenti
assoggettati al giudizio di responsabilità.
Trattasi, invero, di
previsione che concordemente la dottrina ritiene correlata alla
nuova conformazione dell’elemento psicologico della responsabilità
amministrativa, al carattere ormai indiscutibilmente personale[12] della stessa ed alla sua natura sui
generis [13]. In definitiva, la norma di cui all’art. 1, comma
1bis, cit., consente al giudice contabile, nell’esercizio del potere
riduttivo, di graduare la gravità della sanzione in ragione del
grado della colpa dell’amministratore ovvero del funzionario,
trasfondendo nel giudizio quella stessa flessibilità che deve
informare l’attività gestionale di tali soggetti[14].
Alla
medesima logica pare ispirata, sia detto per incidens, la
disposizione che preclude l’esercizio della azione di responsabilità
nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura
del costo minimo dei servizi, che si ritrova nell’articolo 3, comma
2 ter, della l. n. 639/96. È davvero impensabile che, in un sistema
nel quale l’espansione continua delle funzioni e dei servizi
pubblici rimessi alle amministrazioni locali[15] impone forme di
gestione connotate in senso manageriale e per loro stessa natura
molto agili e bisognevoli di strumenti flessibili, l’attività a
tanto finalizzata possa essere sottoposta ad una forma di
responsabilità legata al momento della legittimità formale e non
invece ad una valutazione incentrata sull’utilizzo di parametri
omogenei al tipo di strumenti impiegati nella
gestione.
Naturalmente, la più qualificata definizione
dell’elemento psicologico ha prodotto un progressivo restringimento
dell’area di applicabilità della responsabilità amministrativa,
finendo per incidere[16], sulla sfera di cognizione della Corte dei
conti, vale a dire, in ultima analisi, sull’ambito concreto della
sua giurisdizione.
Se da un lato, però, il restringimento
dell’area della responsabilità amministrativa alle ipotesi di colpa
grave appare in linea con l’evoluzione del nostro sistema
amministrativo verso le esigenze di efficienza, efficacia ed
economicità dell’azione pubblica, nella scia della separazione tra
politica e amministrazione[17], dall’altro è indubbio che
l’attribuzione della potestà (giurisdizionale) di accertare la
gravità della colpa, piuttosto che la sussistenza di una colpa tout court (anche lieve), comporta un sensibile allargamento
della discrezionalità dell’organo giudicante.
Ed allora, il vero punctum dolens della disciplina in parola rimane ancora oggi
quello dell’elaborazione di idonei criteri definitori, che
consentano di ricostruire un concetto non troppo elastico di colpa
grave e di distinguere una simile figura da quelle per dir così adiacenti di colpa lieve e colpa tout court; e ciò
tanto più nelle ipotesi (destinate a moltiplicarsi in conseguenza
del mutamento progressivo del quadro normativo generale) in cui il
parametro di raffronto, alla stregua del quale deve essere valutata
la colpevolezza nell’attività del pubblico funzionario, non è
rappresentato da norme di legge oggettivamente determinabili, ma da
canoni molto più flessibili e intrinsecamente dotati di una notevole vis expansiva[18].
La problematica appare in verità di
respiro molto più ampio ed attiene, volendo ragionare ad un livello
di astrazione superiore, al diverso ma connesso dibattito che in
questi ultimi anni si è svolto sulla possibilità di definire in
maniera soddisfacente parametri di derivazione comunitaria quali
quelli di efficienza, efficacia ed economicità, ritenuti oggi veri e
propri criteri-guida dell’attività della p.a.[19] Per altro verso,
non può sfuggire la considerazione che una simile questione finisca
poi per ricondursi al tema dei rapporti tra responsabilità
amministrativa e responsabilità dirigenziale (ovvero gestionale, ovvero ancora di risultato) ed
all’esistenza di linee di confine ancora incerte tra i due ambiti
definitori e di relative zone grigie di sovrapposizione, temi
che non possono essere affrontati in questa sede e che sono stati
approfonditi altrove[20].
2. La “tipicità”
della colpa grave nell’illecito contabile.
Di primo
acchito, sotto il profilo concettuale, l’elemento soggettivo della
colpevolezza (ovvero psicologico), nell’illecito contabile, consiste
nella coscienza o volontarietà del comportamento illecito e non si
differenzia sostanzialmente da quello tipico della responsabilità
civile espresso dal dolo o dalla colpa[21].
Quest’ultima, sulla base della nozione
penalistica (art. 43 c.p.), coincide sostanzialmente con un
atteggiamento volontario antidoveroso, imprudente o negligente,
disgiunto dalla intenzionalità delle conseguenze
dannose[22].
Nella sua relazione col comando giuridico (norma) il
fatto doloso si atteggia come fatto voluto che non si doveva volere,
il fatto colposo come fatto involontario che non doveva accadere.
Nello stesso ambito del comportamento colposo può agevolmente
ricondursi la c.d. “colpa incosciente”, consistente nella
mancata previsione delle conseguenze che potevano prodursi, che si
differenzia dalla “colpa cosciente”, in cui si ha la
rappresentazione dell’evento ma si agisce ugualmente nel
convincimento di poterlo evitare.
Nell’illecito contabile si
verte, in virtù del rapporto di servizio (o equivalente), in tema di
responsabilità lato sensu contrattuale, il cui criterio di
imputazione si identifica con quello della culpa-diligentia dell’art. 1176 c.c., considerato che il rapporto di servizio
pone precisi obblighi giuridici a carico dell’agente e della
p.a.
In un’ottica strettamente civilistica, dunque, dovrebbe
ritenersi irrilevante il grado della colpa, essendo sufficiente, per
la responsabilità dell’agente, la sussistenza della colpa lieve e
rimanendo esclusa la sola culpa laevissima, connaturale alla
responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.)[23]. Tuttavia,
come si è già evidenziato sopra, nel campo dell’illecito contabile,
dopo la ricordata riforma (D.L. 23 ottobre 1996 n. 543, conv. in l.
20 dicembre 1996 n. 639, art. 3), la soglia minima di colpevolezza è
costituita dalla colpa grave della quale, peraltro, non esiste
neanche nell’ordinamento civile, una precisa definizione
normativa[24].
Concentrando l’attenzione su tale ultima forma di
colpevolezza, essa sarebbe sovrapponibile, nel solco della
tradizione romanistica, alla nimia negligentia (non
intelligere quod omnes intelligunt), coincidente col
comportamento di chi agisca con straordinaria ed inescusabile
imprudenza, ovvero omettendo di osservare quel grado minimo ed
elementare di diligenza da tutti osservabile.
Va subito detto
che, ai fini della individuazione del grado della colpa, la
disciplina del nostro codice civile non si dimostra appagante, in
quanto il criterio della “diligenza del buon padre di
famiglia” si concretizza spesso attraverso l’aggettivazione
legislativa di “normale” o “ordinaria” (cfr. artt.
1227, 1341 e 1838 c.c.)[25].
Tale accezione, sostanzialmente,
coincide con la concezione “psicologica” ovvero astratta ed
obiettiva della colpa, come se questa consistesse in un nesso
psichico astratto tra soggetto e fatto dannoso, uguale in tutti i
casi, che può fondare o escludere, ma non graduare, la
responsabilità. In una simile ottica, essa appare utile a stabilire
l’an ma non il quantum, determinabile soltanto in base
ad elementi oggettivi, ma non a circostanze e situazioni personali
riferibili alla sfera etica dell’agente: di qui la fondatezza delle
critiche mosse a tale teoria[26].
Senza dire, poi, che
quest’ultima si fonda su un modello generale di diligenza astratta,
quale criterio unico ed oggettivo di responsabilità per il danno
prodotto e quindi non “dimensionabile” in relazione alla
situazione particolare dell’agente.
In realtà, sia la dottrina
che la giurisprudenza, opportunamente, hanno abbandonato siffatta
concezione rigida per sposare la c.d. concezione “normativa”[27] della colpa, che consente di rapportare l’elemento psicologico
al giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoveroso
della volontà, che sarebbe stato possibile non assumere.
In tal
modo, possono ritenersi soddisfatte le esigenze di
“individualizzazione” della colpa, dimensionabile sulla base
della varietà delle situazioni e delle circostanze, attraverso il
necessario riferimento ai processi interni di valutazione, come
normalmente avviene nella prassi giudiziaria in sede di applicazione
della pena.
L’effetto ovvio di tale impostazione è che oggi non è
più possibile affermare che il soggetto, che abbia tenuto un
comportamento difforme da obiettivi canoni di diligenza, sia incorso
in colpa, anche se abbia fatto di tutto per evitare il prodursi
dell’evento dannoso, non riuscendovi a causa della sua personale
incapacità (imperizia, mancanza del normale grado di diligenza,
particolari condizioni psico-fisiche e/o economiche).
Ci si
trova, dunque, di fronte ad un giudizio necessariamente
“relativo”, dal momento che una certa tipologia di eventi può
essere prevedibile ed evitabile per alcuni soggetti e non per
altri[28].
In tale prospettiva, la prevedibilità ed evitabilità
dell’evento rappresentano gli elementi indefettibili d’imputabilità
della colpa, ancorché saldamente ancorate al c.d. parametro relativistico dell’agente-modello “eiusdem professionis ac
condicionis”, che valorizza il rapporto tra volontà del soggetto
e norma, e quindi l’atteggiamento antidoveroso della volontà.
Nondimeno, la concezione normativa ha il pregio di consentire la
graduazione della colpa, sulla base della maggiore o minore
antidoverosità del comportamento, con relativa quantificazione del
danno da risarcire.
Non è un caso che la stessa disciplina
codicistica, pur dimostrandosi aderente alla concezione psicologica
della colpa, talvolta si discosti da essa in ragione della
particolare “qualificazione” soggettiva dell’autore del
fatto: ad esempio, a mente dell’art. 2236 c.c., il professionista
“se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di
speciale difficoltà… omissis… non risponde dei danni se non in caso
di dolo o colpa grave”. Altro riferimento civilistico alla colpa
intesa come “grave” è rinvenibile nell’art. 1229 c.c.
(nullità del patto di limitazione o esclusione della responsabilità
del debitore); analogamente, in relazione ad altre fattispecie, può
parlarsi di responsabilità “attenuata”, dovendo la colpa
essere valutata, secondo l’espressione codicistica, con “minor
rigore” (art. 1710, 1768 e 2030 c.c.).
Inserita in tale
quadro ordinamentale, la colpa grave causativa della responsabilità
amministrativa per un verso non può essere ritenuta avulsa
dall’accezione civilistica della stessa; per altro verso, concreta
un elemento soggettivo “tipico” dell’illecito contabile, ai
fini dell’individuazione della soglia minima di colpevolezza.
In
effetti, è proprio il principio della graduabilità della colpa (al
fine di stabilirne la gravità) che connota l’elemento soggettivo
della responsabilità amministrativa, nella quale l’interesse del
danneggiato (ente pubblico) al risarcimento del danno, tutelato
dall’art. 28 della Costituzione[29], deve essere bilanciato con il
principio del buon andamento dell’azione amministrativa, garantito
dall’art. 97 Cost., recentemente novellato con la l. cost. 20
aprile 2012 n. 1[30].
Già da tempo (come si è avvertito sopra)
la reinterpretazione di tale precetto costituzionale ha favorito
l’inveramento e l’effettività nel nostro ordinamento dei principi di
derivazione comunitaria di efficienza, di efficacia ed economicità
dell’azione amministrativa, ritenuti oramai orizzontamento
imprescindibile dell’attività di tutti i pubblici funzionari.
Sicché, mentre la responsabilità civile di questi ultimi (chiamati a
rispondere ex art. 28 Cost. in solido con l’ente di appartenenza)
può essere fatta valere dai terzi danneggiati secondo le regole del
diritto comune, la responsabilità amministrativa va riguardata da
una prospettiva autonoma e divergente in relazione sia
all’an che al quantum, in virtù del ricordato
bilanciamento imposto dal parametro dell’art. 97 Cost. Il detto
bilanciamento appare, poi, tanto più indispensabile[31] se si
considera che oggi l’istituto risulta applicabile ai dipendenti di
aziende e società pubbliche operanti jure privatorum, specie
nel campo della gestione dei servizi pubblici, assoggettati alle
regole della concorrenza e del mercato e quindi anche al c.d.
“rischio d’impresa”.
E’ alla luce di tali peculiarità,
quindi, che l’elemento psicologico della colpa grave si connota di
una propria “tipicità” nell’illecito contabile, come
confermato anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, di
cui si darà conto più innanzi[32].
3. (Segue) La valutazione della colpa in concreto.
La
finalità della concezione normativa è proprio quella di evitare di
addossare al soggetto sotto la media anche la più piccola
deficienza, valutandolo con la stessa severità con cui si valuta
l’uomo “mediamente diligente”. Con la conseguenza che la
concezione normativa della colpa e quindi la valutazione della colpa
“in concreto”, esige che, anche in presenza di comportamenti
colposi giuridicamente riprovevoli, si tengano nel dovuto conto le
qualità fisiche e psichiche di un soggetto, al quale non si può
imputare di non aver fatto ciò che non era nelle sue
possibilità[33].
Pertanto, può affermarsi senza tema di
essere smentiti, che la disciplina della responsabilità
amministrativa attui pienamente le sue finalità, anche sotto il
profilo costituzionale (in applicazione dell’art. 28, in
bilanciamento con l’art. 97 Cost.), solo se essa fa leva sul
criterio della “graduazione”, in relazione appunto al grado
di colpa dell’agente. Inoltre, avendo essa carattere personale, la
graduazione consente di commisurare la colpa, personalizzandola ed
individualizzandola. Quindi, il compito del giudizio di
responsabilità amministrativa è quello di verificare l’esistenza di
una negligenza (più grave o meno) in relazione alle circostanze
organizzative, ambientali e personali che hanno condizionato il
comportamento del soggetto produttivo del danno.
Ne segue, sul
piano logico-giuridico, che occorre tenere in adeguato conto la
conoscibilità, la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento, al
punto che non può qualificarsi grave la colpa di chi, pur potendo
con le sue effettive possibilità e date particolari circostanze,
evitare l’evento dannoso, non lo fece.
Pertanto, assume rilievo
un giudizio di rimproverabilità che si focalizza sull’atteggiamento
antidoveroso della volontà, ossia sul rapporto di contraddizione tra
volontà dell’agente e norma giuridica. Si richiede una diligenza
adeguata e riferita alle concrete possibilità dell’agente, ma
pur sempre di grado elevato, tale cioè da richiedere il massimo
sforzo possibile da parte del soggetto interessato, come confermato
dalla consolidata interpretazione dell’art. 13, comma 1, T.U. 10
gennaio 1957 n. 3[34], che impone al pubblico dipendente di
espletare le proprie mansioni in conformità delle leggi, “con
diligenza e nel miglior modo per l’interesse dell’Amministrazione
per il pubblico bene”[35].
Parimenti, le disposizioni del
T.U. n. 1240/34 sulla Corte dei conti, quelle contenute nella legge
di contabilità di Stato del 1923 e l’art. 19 del T.U. n. 3/57, nel
riservare alla giurisdizione della Corte dei conti la responsabilità
dei pubblici dipendenti per danni arrecati alla p.a., prescrivono
che tale organo giurisdizionale, valutate le singole responsabilità
di funzionari e impiegati, può porre a carico dei responsabili
“tutto il danno accertato o parte di esso”. Se ne inferisce,
quindi, un evidente nesso tra gravità della colpa e quantificazione
del danno risarcibile, con conseguente “personalizzazione”
della colpa stessa. Di qui l’attribuzione al giudice della
responsabilità amministrativa di una innegabile discrezionalità di
giudizio, tendente alla valutazione della colpa e all’imputazione di
quella parte del danno che sia corrispondente alla gravità della
colpa stessa[36], come accertata nel corso del giudizio iuxta
alligata et probata, ferma restando l’applicabilità dell’art.
2697 c.c. ai fini dell’onere probatorio a carico dell’attore
pubblico.
Nella stessa ottica, il potere riduttivo non consiste
in una discrezionale riduzione della somma imputata a titolo di
risarcimento, ma in una corretta determinazione discrezionale del quantum in relazione all’an.
A conferma di quanto
precede, basta richiamare il disposto dell’art. 82 della l. Cont.
Gen. Stato, secondo cui qualora l’azione od omissione sia dovuta al
fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha
preso, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio.
Non diversamente, in ipotesi di responsabilità amministrativa dei
componenti di collegi, l’art. 1 ter della L. n. 20/1994 (nel testo
novellato dalla L. n. 639/1996) prevede che quando siano assunte
deliberazioni di organi collegiali la relativa responsabilità “si
imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto
favorevole”. Tuttavia, anche quando occorre quantificare la
responsabilità del danno causato all’Erario dai soggetti votanti (in
senso favorevole) occorre sceverare l’apporto causale psicologico
offerto da ognuno sulla base dei principi in materia di parziarietà
dell’obbligazione risarcitoria, non risultando oramai applicabile
alcun criterio di solidarietà passiva[37].
Ancora una volta,
quindi, il legislatore dà una chiara indicazione di recepimento
della teoria normativa della colpa e della necessità di accertarne
la sussistenza in concreto, attraverso il giudizio di
responsabilità.
4. “Figure sintomatiche” di colpa
grave e configurazione del c.d.”eccesso di potere”
finanziario.
La giurisprudenza della Corte dei conti, che
già da tempo aderisce alla teoria normativa, ha elaborato una serie
di criteri, per affermare che non tutti i comportamenti censurabili
concretano gli estremi della colpa grave, ma soltanto quelli
contraddistinti da precisi e qualificanti elementi, ritenendo
altresì necessario rapportare il comportamento dell’agente con
quello che sarebbe stato “doveroso”, sulla base di precise
prescrizioni normative e/o di regole di cautela desumibili dalla
comune esperienza.
Un raffronto siffatto può utilmente essere
effettuato utilizzando due criteri di valutazione, uno oggettivo,
concernente l’individuazione dello standard richiesto dalla
situazione sottoposta a giudizio, e l’altro soggettivo, che investe
le cause che hanno potuto indurre l’agente a deviare dalle
prescritte regole di prudenza.
Sulla base di tale delibazione, la
giurisprudenza contabile ha ritenuto, con indirizzo risalente ma
immutato, che concreti ipotesi di colpa grave la previsione
dell’evento dannoso (nell’ipotesi della c.d. “colpa
cosciente”), o più in generale la sua prevedibilità, ovvero il
superamento apprezzabile di criteri di diligenza media, per chi
svolge una pubblica funzione, per cui si richiedono doti particolari
di diligenza, prudenza e perizia.
Dunque, il giudizio di
responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici non può
prescindere, nell’accertamento della colpa grave, da una
considerazione globale di tutti gli elementi di fatto e di diritto
che ricorrono nelle singole fattispecie, con particolare riferimento
all’atteggiamento tenuto dall’agente nei confronti degli obblighi di
servizio e delle regole di condotta da osservare nello svolgimento
dei suoi specifici compiti di ufficio[38]
Partendo da tali
premesse, che indubbiamente potrebbero favorire l’elaborazione
pretoria di una materia quanto mai mobile e delicata, va
riconosciuto alla Corte dei conti il grande merito di avere
individuato (nella scia dell’esperienza del giudice amministrativo
in relazione al vizio di eccesso di potere) delle vere e proprie
“figure sintomatiche” (o “indici rilevatori”) della
colpa grave, nell’intento di semplificare l’attività di
“giudizio” (raffronto tra fattispecie astratta e concreta)
che il giudicante è chiamato a compiere.
Procedendo con metodo
induttivo, possono ricavarsi dall’elaborazione giurisprudenziale
alcune consolidate figure sintomatiche dell’esistenza della colpa
grave, quali:
- inosservanza del minimo di diligenza
richiesto;
- carenza di difficoltà oggettive ed eccezionali
ostative all’ottemperanza ai doveri di ufficio;
- prevedibilità
e prevenibilità dell’evento dannoso;
- atteggiamento di grave
disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni da parte
dell’agente che non osserva le opportune cautele;
- violazione di
elementari regole che anche i soggetti meno esigenti e cauti sono
soliti osservare;
- deviazione al modello di condotta connesso ai
propri compiti senza il rispetto delle comuni regole di
comportamento;
- comportamento gravemente negligente, sia
nell’esame del fatto (omissione completa o limitazione ad aspetti
marginali), sia nell’applicazione del diritto (nelle possibili forme
dell’imperizia, dell’inosservanza e dell’erronea interpretazione di
norme).
Nel solco dell’ultracentenaria esperienza del giudice
amministrativo in relazione al vizio di eccesso di potere del
provvedimento (su cui il sindacato giurisdizionale è da sempre
esercitato mediante l’utilizzazione di figure sintomatiche o indici
rivelatori)[39], un’elaborazione siffatta trova concreto fondamento
costituzionale non solo nel precetto del ricordato art. 97 Cost., ma
anche in quello dell’art. 81 Cost. (anch’esso sottoposto a revisione
costituzionale)[40], al punto da aprire la strada alla
configurazione teorica del c.d. “eccesso di potere
finanziario” nell’utilizzazione delle risorse pubbliche.
Trattasi, come si vede ictu oculi, di una nozione quanto mai
ampia ed allusiva, che non riguarda singoli atti, ma sottintende
evidentemente una peculiare forma di
“illegittimità-illiceità” nel campo finanziario, coinvolgendo
l’intera attività di utilizzo delle risorse impiegate, ponendosi,
sotto il profilo concettuale, in un rapporto di species ad
genus[41] rispetto alla figura dell’eccesso di potere
amministrativo, che secondo la ricordata ricostruzione
giurisprudenziale si concreta nella violazione dei limiti interni
della discrezionalità, per come rilevabili dalla natura stessa della
potestà pubblica e per come scaturenti indirettamente
dall’ordinamento amministrativo.
È questo un tema quanto mai
affascinante e che merita senz’altro adeguata ponderazione, per le
positive implicazioni che esso può importare in ordine ad una sana e
corretta gestione delle risorse finanziarie pubbliche, destinate
oggi ai più disparati fini, nell’esercizio di potere amministrativo
ma anche e soprattutto nella gestione dei servizi pubblici.
Allo
stato, però, ai fini dell’individuazione in concreto delle figure di
colpa grave nella responsabilità amministrativa, a mio avviso,
l’ancoraggio più vicino alla “realtà effettuale delle cose”
resta quello trovato da lunga pezza dalla giurisprudenza, secondo
cui la colpa grave consiste in una sprezzante trascuratezza dei
doveri d’ufficio, resa palese da un comportamento improntato alla
massima negligenza e imprudenza, ovvero contraddistinto da una
particolare noncuranza dell’interesse della p.a. o, ancora, da una
grossolana superficialità nell’applicazione delle norme di
diritto[42]. Anche recentemente si è confermato che la colpa grave
consiste nella macroscopica ed inescusabile negligenza ed imprudenza
nell’espletamento delle mansioni, cioè in un atteggiamento di
estrema superficialità, trascuratezza o scriteriato nella cura di
interessi pubblici[43].
Per configurarsi la colpa grave, alla
violazione di una norma giuridica deve sempre accompagnarsi un
atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie
funzioni, di negligenza massima e di deviazione dal modello di
condotta connesso ai propri compiti[44]. Criterio, quest’ultimo,
utilizzato anche per il riconoscimento dell’errore scusabile,
considerato ammissibile dalla giurisprudenza in ipotesi di
difficoltà o incertezza interpretativa della norma, al fine di
escludere l’ingiustizia del danno, così come avviene per le altre
cause giustificatrici indicate dal legislatore (quali la buona fede
in relazione alla c.d. “esimente politica” di cui all’art. 1,
comma 1-ter della L. 14 gennaio 1994 n. 20, come mod. dalla L. n.
639/1996, e la insindacabilità delle scelte
discrezionali)[45].
Va sicuramente apprezzato lo sforzo della
giurisprudenza più risalente[46] di individuare ipotesi di colpa
grave sulla base di ambiti definitori che distinguono le diverse
fattispecie (colpa grave nell’applicazione di norme giuridiche,
nelle scelte tecniche, nelle scelte discrezionali, nell’attività di
organizzazione e direzione).
Non può sottacersi, tuttavia, che
siffatte definizioni, concretandosi a loro volta in concetti la cui
nozione giuridica è quanto mai incerta, assumono il carattere
dell’astrattezza, dell’aleatorietà e quindi dell’estrema
discrezionalità, che, se utilizzata inadeguatamente in sede
giurisdizionale, può sfociare nell’ingiustizia.
La dottrina più
recente[47] ha tentato di costruire un metodo di misurazione
dell’intensità della colpa utilizzando sia l’elemento oggettivo
(contrasto con la norma), sia quello soggettivo (basato su fattori
individuali), indicando il primo come “misura oggettiva”,
relativa alla individuazione dello standard di diligenza
richiesto, e il secondo come “misura soggettiva”, rapportata
cioè alle cause che hanno indotto l’agente a discostarsi dalle
prescritte regole di prudenza .
Tale tesi, ancorché sottoposta a
qualche critica[48], a causa della reintroduzione di profili
psicologici di ordine soggettivo (utilizzati, peraltro, anche dal
giudice amministrativo)[49], che sarebbero in contrasto con la
teoria normativa, ha sicuramente il pregio di proporre un metodo di
accertamento dell’intensità della colpa e quindi dell’esistenza
della colpa in concreto.
Non si discosta da tale posizione
l’orientamento giurisprudenziale che ha affermato la necessità di
accertare l’esistenza della colpa grave caso per caso, in relazione
alle modalità del fatto e all’atteggiamento dell’agente, ritenendo
che, per misurarne la gravità, il giudizio di riprovevolezza debba
fondarsi su un quid pluris rispetto ai parametri di diligenza
desumibili dall’art. 1176 c.c. e 43 c.p., nonché dal Testo Unico
degli impiegati civili dello Stato[50]. Così, ad esempio, secondo
orientamento recentissimo, integra gli estremi della colpa grave
l’incuria nella custodia delle chiavi di accesso al computer di un dipendente pubblico che, anche involontariamente, consente ad
altri di accedere alla propria postazione di lavoro per modificare
illecitamente la posizione contributiva di soggetti terzi[51].
Nel panorama giurisprudenziale si segnala, per la chiarezza
dell’impostazione, un’altra decisione[52], che, sia pure con
riferimento al c.d. “rischio d’impresa” (da tempo ritenuto
applicabile alla pubblica amministrazione e alle società pubbliche,
ferma restando l’autonoma valutazione dei comportamenti di coloro
che hanno concorso all’evento)[53], affronta in via generale ed in
modo esaustivo il rapporto tra colpa grave e scelte discrezionali
della p.a.
La decisione, invero, non si allontana da quel
consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, nel definire
i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, ritiene
che essa debba preliminarmente valutare la compatibilità delle
scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, con l’ulteriore
precisazione che, una volta accertata tale compatibilità,
l’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa rientra
nell’ambito del merito insindacabile, salvo che essa si presenti
irrazionale, irragionevole ed illogica[54]. Se ne inferisce che il
merito e l’opportunità, da valutarsi ex ante e non ex
post (secondo un principio comune sia al giudizio di legittimità
degli atti che a quello su colpa nei comportamenti), sono “di
regola insindacabili”, a meno che non emergano con evidenza una
serie di “indici sintomatici” gravi, precisi e concordanti,
dai quali possa arguirsi lo svolgimento di un’attività posta in
essere in violazione delle leggi, come pure delle regole di
economicità, efficienza ed efficacia amministrativa. Ancora una
volta, viene confermato che la riforma intervenuta negli anni ’90
(art. 1 della l. 14 gennaio 1994 n. 20 e succ. mod.) ha la precipua
finalità di contemperare le esigenze dell’efficienza, dell’efficacia
e dell’economicità dell’azione amministrativa con quella della
tutela delle persone fisiche titolari di poteri, funzioni e
incarichi pubblici, con conseguente generalizzazione del criterio di
imputazione della colpa grave, la cui esistenza, in applicazione
dell’art. 2697 c.c., va dimostrata e provata dall’attore pubblico.
Nella stessa prospettiva, assume un diverso rilievo il c.d.
“errore professionale”, la cui definizione codicistica è
ricavabile dall’art. 2236 c.c., che non consente di considerarlo
come esimente della colpa, ma va interpretato nel senso che per gli
obblighi caratterizzati in modo “professionale” è richiesta
la diligenza specifica del debitore qualificato, fermo restando che
per il carattere della gravità della colpa nella responsabilità
amministrativa deve ricorrere non solo l’imperizia, ma anche
l’imprudenza e la negligenza[55]. Allo stesso filone
giurisprudenziale si ricollega una recente sentenza del giudice
contabile, relativa ad un caso di responsabilità professionale, che,
con motivazione convincente, addebita all’avvocato comunale la colpa
grave per aver omesso di comunicare la denuncia del sinistro
all’assicurazione che copriva il relativo rischio[56].
5. A mo’ di una conclusione.
A circa
venti anni dalla configurazione della colpa grave come soglia minima
di imputabilità della responsabilità amministrativa, si può tentare
di tracciare un primo bilancio del suo inveramento nel diritto
vivente. Ancora oggi resto convinto di quanto ebbi ad evidenziare
qualche anno dopo l’entrata in vigore della legge di riforma[57],
ossia che la nuova forma di colpevolezza, per essere colta in tutte
le sue implicazioni, deve essere letta in sinossi col processo di
riforma della pubblica amministrazione ed in ispecie con l’emersione
ordinamentale dei principi (di derivazione comunitaria) di
efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
Nel susseguirsi frenetico di proposte di riforme e revisioni
costituzionali, l’istituto della responsabilità amministrativa (con
la relativa giurisdizione) sembra aver raggiunto un assetto
sufficientemente stabile, sì da divenire lo strumento più efficace
di recupero di risorse pubbliche sottratte e/o sperperate a causa
dei comportamenti delittuosi o gravemente colposi degli agenti
pubblici. Da quanto detto fin qui, emerge con chiarezza che forse
può ritenersi definitivamente superato quel rischio già paventato a
suo tempo, secondo cui, una volta affidato al giudice contabile il
compito di accertare l’esistenza in concreto della colpa grave,
quest’ultima potesse divenire una sorta di “metafora”[58],
finendo per vanificare gli effetti della riforma. D’altro canto, non
va sottaciuto che il tentativo di tipizzare le ipotesi di colpa
grave posto in essere da una legge della Provincia autonoma di
Bolzano, attraverso la previsione di criteri di individuazione
concreta (quali la inescusabilità della negligenza o la
incontrastabilità del fatto, la facile prevedibilità, la violazione
di regole di comportamento o la gravità del disinteresse), è
stato ritenuto incostituzionale dal giudice delle leggi sotto il
profilo dello scostamento dal principio ordinamentale, secondo cui
l’addebito di responsabilità amministrativa ha come soglia minima
quella della colpa grave[59].
Indubbiamente, a circa un ventennio
dalla riforma, va riconosciuto alla Corte dei conti il merito di
aver proceduto con grande cautela alla sua applicazione, tentando di
individualizzare, personalizzare e graduare le ipotesi di colpa
grave degli agenti pubblici. Peraltro, la giurisprudenza del giudice
contabile, con grande sagacia giuridica ma anche con grande
realismo, attraverso l’elaborazione delle figure sintomatiche di cui
si è detto, ha sicuramente evitato che l’accertamento di tale
elemento psicologico potesse subire una deriva pretoria, foriera di
oscillazioni e di contrasti giurisprudenziali. In ordine a tale
esigenza, poi, le sezioni riunite della Corte dei conti non hanno
esitato a svolgere proficuamente la loro funzione nomofilattica,
garantendo (nei limiti del possibile) uniformità ermeneutica e in
definitiva certezza del diritto, pure in un coacervo di casi
concreti quanto mai disparati, sia sotto il profilo soggettivo che
oggettivo.
L’auspicio è che la detta concezione della colpa grave
(di cui si è cercato di dar conto) possa costituire la chiave di
lettura per produrre anche un effetto deflattivo del contenzioso
contabile, nel senso che, proprio utilizzando le dette figure
sintomatiche come una sorta di griglia, già nella fase accusatoria
potrebbe giungersi all’esclusione dell’elemento psicologico nella
forma della colpa grave. Quanto meno, poi, nel corso del giudizio
potrebbe pervenirsi ad una quantificazione “realistica” del
danno da addebitarsi, secondo la graduazione della riprovevolezza
della condotta in concreto, favorendo così la celerità
dell’istruttoria e la sua conclusione, in ossequio al principio
costituzionale del giusto processo introdotto dal novellato art. 111
Cost.[60].
----------
* Il presente lavoro
costituisce una prima rielaborazione della relazione da me svolta al
Convegno organizzato dall’Associazione avvocati difensori dinanzi la
Corte dei conti in collaborazione col Dipartimento di giurisprudenza
dell’Università degli studi di Napoli Federico II e con il
patrocinio dell’Associazione magistrati della Corte dei conti,
tenutosi a Napoli in data 4 aprile 2014 su “Il danno erariale e
il suo giudice naturale tra tradizione e novità – Tematiche
sostanziali e processuali di responsabilità
amministrativo-contabile”, i cui atti sono in corso di
pubblicazione.
[1] E’ opportuno sottolineare che in precedenza le
teorizzazioni tradizionali più autorevoli erano concordi
nell’attribuire significativa rilevanza anche alla colpa lieve ai
fini della configurazione della responsabilità amministrativa di
tutti i dipendenti pubblici: cfr., su tutti, P. Virga, Diritto
amministrativo, vol. 3, Milano 1994, 214; nonché A. Patumi, Il nuovo sistema delle responsabilità degli amministratori e dei
dipendenti degli enti locali, in Riv. C. conti 1990, 266.
[2] Secondo la disposizione “Costituiscono colpa grave:a) la
grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b)
l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto
la cui esistenza è stabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto
la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del
procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà
della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza
motivazione”. Per un’approfondita analisi della disciplina della
responsabilità dei magistrati (che costituisce tematica sempre
attuale e controversa anche de jure condendo), cfr. V.
Tenore, Responsabilità amministrativo contabile del
magistrato, in www.corteappellomilano.it ed ivi ampi
richiami di giurisprudenza.
[3] Tale previsione era contenuta,
più in particolare, nell’articolo 58 della legge n. 142 dell’8
giugno 1990, poi trasfuso nell’art. 93 del T.U.EL.L. approvato con
D.Lgs. n. 267/00. Peraltro, la norma era stata oggetto
dell’attenzione del giudice della nomofilachia per la sua possibile
illegittimità costituzionale in ragione di una presunta violazione
dell’art. 103, comma 2, della Carta. La Corte di Cassazione si
espresse ritenendo manifestamente infondata la questione; in quanto
la normativa costituzionale “ha una tendenziale capacità
espansiva che si pone come fattore idoneo a legittimare discipline
volte ad unificare, attraverso l'assoggettamento della medesima
materia ad un’unica giurisdizione, il regime processuale di
accertamento della responsabilità degli amministratori e dipendenti
pubblici per i danni arrecati alla p.a.”: cfr. Cass., sez. un.,
19 novembre 1998, n. 11719, in Giur. It, 1999, 1065 ss.
L’articolo 6, comma 7, del d.l. 487/1993, convertito con
modifiche nella l. n. 71 del 1994, estese l’applicabilità delle
norme sulla responsabilità amministrativa anche al personale
“dell’ente poste italiane”.
[4] Per un’approfondita
analisi strutturale e funzionale dell’organo, cfr. da ultimo C.
Chiappinelli, G. Dammicco, P. Della Ventura, M. Di Stefano, F.
Garri, L. Impeciati, M. Ristuccia, La Corte dei Conti. Controllo
e giurisdizione. Contabilità pubblica, Milano, 2012. Adde, L. Motolese, La Corte dei conti e le sue funzioni,
Milano, 2004; Id., La Corte dei conti nel nuovo ordinamento
contabile, Milano, 2007; F. Tigano, Corte dei conti e
attività amministrativa, Torino, 2008.
[5] Come riferimento
di carattere generale sul punto, cfr. E. Brandolini, La
responsabilità degli amministratori locali, Milano, 2012.
[6] Come può evincersi, del resto, dall’andamento dei lavori
parlamentari: cfr. in proposito Resoconto sommario delle sedute
27 novembre e 11 dicembre 1996 della I Comm. Affari
costituzionali della Camera dei Deputati.
[7] In tema, cfr. E.
Bonelli, Politica ed amministrazione: una commistione
incostituzionale nei piccoli comuni?, in Riv. amm., 2003,
995 ss.
[8] Il nuovo sistema normativo conferma, tra l’altro,
l’esclusione della rilevanza della responsabilità oggettiva in
materia contabile (eccezionale, invero, anche per l’illecito
civile).
[9] La decisione del giudice delle leggi ( come tutte
le altre qui citate) può leggersi per esteso al sito istituzionale www.cortecostituzionale.it
[10] Precedentemente, la
stessa Corte costituzionale aveva considerato non rigido e
derogabile il principio di irrilevanza del grado di colpa. Sul punto
cfr. sentenze nn. 54/1975 e 164/1982, relative agli amministratori
delle università ed entrambe reperibili al sito istituzionale della
Corte.
[11] Sull’istituto, come rinvii di carattere generale,
cfr. M. Di Stefano, Il c.d. potere riduttivo nella
giurisprudenza, in Aa.Vv., L'evoluzione della responsabilità
amministrativa. Amministratori e dipendenti di Regioni ed enti
locali, a cura di E.F. Schlitzer, Milano, 2002, 202.; F. Garri, In tema di potere riduttivo dell'addebito da parte della Corte
dei Conti, in Foro amm., 1968, II, 78. Sul possibile uso
arbitrario del potere riduttivo cfr. V. Italia (intervento nel
convegno La Corte dei conti fra tradizione storica ed esigenze
della società, Milano, 16 marzo 1998, i cui atti sono pubblicati
in Amm. e contab., 1998, n. 3, 230). Per una ricostruzione
puntuale della giurisprudenza in tema, cfr. V. Tenore, La nuova
Corte dei conti: responsabilità, pensione, controlli, Milano,
2013, in ispecie, 101 ss.
[12] In tema, cfr. D. Crocco, La
responsabilità patrimoniale e amministrativa innanzi alla Corte dei
conti, Napoli, 2012, 256-257; F.G. Scoca, Sguardo
d’insieme sugli aspetti sostanziali e processuali della
responsabilità amministrativa, in AaVv., La responsabilità
amministrativa ed il suo processo, a cura di F.G. Scoca, Padova,
1997, 5.
[13] Opportunamente, si è individuata una natura sui
generis della responsabilità amministrativa, in quanto dotata di
caratteri istituzionali propri ed autonomi, sia rispetto a quelli
della responsabilità di diritto comune, sia nei confronti della
responsabilità di diritto pubblico. Sul punto, cfr. D. Crocco, op. ult. cit., 347; adde, V. Tenore, La
responsabilità amministrativo contabile:profili
sostanziali, in Aa.Vv., La nuova Corte dei conti:
responsabilità, pensioni, controlli, a cura di V. Tenore,
Milano, 2008, 27 ss.; F.G. Scoca, La responsabilità
amministrativa e il suo processo, Padova, 1997, 156 ss.
[14]
L'entità della colpa costituisce il primo criterio di applicazione
del potere riduttivo, accanto al quale possono concorrere altri
elementi, non escluso quello della personalità dell'impiegato, quale
risulta dai suoi precedenti di carriera.
Gli elementi
determinanti ai fini dell’esercizio del potere riduttivo sono le
circostanze obiettive concomitanti con il comportamento del
dipendente responsabile; le circostanze soggettive, inerenti alla
condotta di quest’ultimo e quelle inerenti al comportamento del
terzo danneggiato o di altri soggetti; infine, le circostanze
particolari. Il giudice contabile, inoltre, può fare ricorso agli
elementi contenuti nell'art. 133 c.p.p. e in via sussidiaria, ai
criteri di graduazione delle sanzioni disciplinari dettati
nell’ambito di ogni specifico apparato amministrativo; può esaminare
e valutare il comportamento del soggetto responsabile in relazione
alle condizioni nelle quali ha agito, nonché il grado di influenza
che tale comportamento ha avuto sull'evento; può prendere in
considerazione ogni altra circostanza di fatto che, secondo il suo
prudente apprezzamento, può indurre ad una motivata, meno rigorosa
valutazione della responsabilità; può valutare fatti ed accadimenti
che verosimilmente indussero il responsabile in errore circa
l’esistenza di un effettivo stato di necessità e lo portarono ad
eccedere nell’adempimento del proprio dovere.
Ancora, il potere
riduttivo dell'addebito è esercitabile d’ufficio e non soffre della
preclusione di cui all'art. 345 c.p.c.; di conseguenza l'addebito
può essere ridotto anche in grado di appello.
Come raro caso di
uso del potere riduttivo comportante addirittura l’esclusione di
qualsiasi addebito, cfr. Corte dei conti, sez. I, 5.10.01, n. 291/A.
[15] In tema, v. E. Bonelli, Amministrazione governance e
servizi pubblici locali. Tra Italia e Unione europea, Torino,
2008; Id., Governo locale, sussidiarietà, federalismo
fiscale, Torino, 2001.
[16] Cfr. in tal senso, L.
Giampaolino, Prime osservazioni sull’ultima riforma della
giurisdizione della Corte dei Conti: innovazioni in tema di
responsabilità amministrativa, in Foro amm., 1997, 3336.
[17] Cfr. E. Bonelli, Politica e amministrazione: una
commistione incostituzionale nei piccoli comuni?, op. loc. cit.,
[18] In tema, si v. L. Mercati, Responsabilità
amministrativa e principio di efficienza, Torino, 2002, in
ispecie, 305 ss.
[19] È indubbio che siffatti criteri trovino
una qualche definizione nella (e quindi siano mutuabili soprattutto
dalla) legislazione comunitaria: ci si riferisce, in particolare al
Regolamento finanziario approvato dal Consiglio in data 25 giugno
2002, pubblicato nella g.u. delle Comunità Europee, l. 248 del 16
settembre 2002, n. 1605/02.
La disposizione, infatti, non solo
contiene un riferimento ai detti principi in quanto caratterizzanti
la “sana gestione finanziaria”, ma si preoccupa, sulla base
delle nozioni (anche di matrice aziendalistica) più diffuse, di
definire i tre parametri (cfr. par. 1), precisando che:
a) il
“principio dell’economia” richiede che i mezzi impiegati
dall’istituzione per la rea¬lizzazione delle proprie attività sono
resi disponibili in tempo utile, nella quantità e qualità
appropriata ed al prezzo migliore;
b) in base al “principio
dell’efficienza”, va ricercato il miglior rapporto tra mezzi
impie¬gati e risultati conseguiti;
c) secondo il “principio
dell’efficacia”, devono essere raggiunti gli obiettivi specifici
fis¬sati e conseguiti i risultati attesi.
Sulla delineazione dei
concetti richiamati cfr., tra gli altri, G. Farneti, Gestione e
con¬tabilità dell’ente locale, Rimini, 1999, 28 ss.; G. D’Auria, I controlli, in Aa.Vv., Trattato di diritto
amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2000, 233. Cfr.
anche, volendo, E. Bonelli, Efficienza e sistema dei controlli
tra Unione Europea e ordinamento inter¬no, Torino, 2003, 33 ss.
ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
[20]Cfr., volendo,
E. Bonelli, Politica e amministrazione, op. cit., in ispecie, 1020-1024; Id, Amministrazione, governance e servizi pubblici
locali, Torino, 2008, 36 ss.; L. Iannotta, Economia, diritto
e politica nell’amministrazione di risultato, Torino, 2003; adde, L. Torchia, La responsabilità dirigenziale,
Padova, 2000, 119 ss.; Aa.Vv., Valutare per governare- Il nuovo
sistema dei controlli nelle pubbliche amministrazioni, a cura di
G. Azzone B. Dente, Milano, 1999.
[21] Come rinvii di
carattere generale sull’elemento soggettivo nell’illecito contabile,
oltre ai lavori monografici citati in precedenza in tema di
responsabilità amministrativa, adde C. Pagliarin, Colpa
grave ed equità innanzi alla Corte dei conti, Ed. Univ. di
Ferrara, 2002; C. Astraldi De Zorzi, Colpa grave e dolo:
responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della
Corte dei conti, in Enti pubblici, 1997, n. 1, 10; C.
Chiappinelli, Necessari dolo o colpa grave degli operatori per
attivare un giudizio della Corte dei conti, in Guida al Diritto,
1996, n. 2,67; M. Antonelli, Riflessioni brevi sulla colpa grave
nella responsabilità amministrativa, in Nuovo dir., 1999,
139 ss.; C. Cacciavillani, Il limite della colpa grave nella
responsabilità amministrativa, la solidarietà risarcitoria verso
terzi ed il regime probatorio nell’azione di regresso, nota a C.
conti, sez. III, 16 aprile 1998, n. 114, in Riv. Amm.,
1998, 1087.
[22] In tema, cfr. P. Novelli-L. Venturini, La
responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione delle
pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Milano,
2008, 60 ss.
[23] Per una ricostruzione sistematica dell’intero
istituto della responsabilità civile (sia contrattuale che
extracontrattuale) si segnala, per la sua esaustività, Aa.Vv., La
responsabilità civile, a cura di P. Fava, Milano, 2009.
[24]
Per un inquadramento ordinamentale della colpa grave, cfr. A.
Ciaramella, Spunti per una riflessione sulla colpa grave nella
responsabilità amministrativa. Riferimenti anche alla dottrina e
alla giurisprudenza civilistica e penalistica,in www.Amcorteconti.it, P. Maddalena, Responsabilità civile e
amministrativa: diversità e punti di convergenza dopo le
leggi nn. 19 e 20 del 14 gennaio 1994, in Cons. Stato, 1994, II.
[25] Sugli elementi costitutivi dell’illecito
civile, si rinvia all’esaustiva trattazione di M. Bianca, La
responsabilità, in Diritto civile, vol. V, Milano, 1994,
575 ss. In effetti, il codice civile individua “modelli
astratti” e colui che si discosta da tali modelli versa in stato
di colpa, indipendentemente da ogni indagine in ordine alla
censurabilità o meno della sua volontà e della sua attitudine a
porre in essere “lo sforzo diligente dovuto”: in tal senso,
cfr. P. Novelli-L. Venturini, La responsabilità amministrativa,
op. cit., 61.
[26] Sul punto, cfr. C. Fiore – S. Fiore, Diritto penale - Parte generale, Milanofiori Assago,
2008, 138 ss. ed ivi ampi riferimenti bibliografici.
[27] F.
Mantovani, Diritto penale, Padova, 1992, 294 ss.
[28]
Cfr. Corte dei conti, Trentino Alto Adige, 29 dicembre 2006, n. 137.
La decisione del giudice contabile (come tutte le altre qui citate)
è rintracciabile attraverso la sezione “Massimario e rivista”
del sito istituzionale www.corteconti.it.
[29] Fra i
commenti più recenti cfr. M. Benvenuti, Art. 28, in Aa.Vv., Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A.
Celotto, M. Olivetti, Milanofiori Assago, 2006, 580 ss.; adde, Aa.Vv., La responsabilità della pubblica
amministrazione, a cura di F. Caringella e M. Protto, Bologna,
2005; A. Lazari, Modelli e paradigmi della responsabilità dello
Stato, Torino, 2005; E. Mele, La responsabilità dei
dipendenti e degli amministratori pubblici, Milano, 2004.
[30] In tema, volendo, cfr. E. Bonelli, L’incostituzionalità
dei controlli sulle Regioni introdotti dal D.L. n. 174/2012 (costi
della politica versus sana gestione finanziaria alla luce della
sentenza della Corte costituzionale n. 219/2013), in Giur.
Cost., 2013, n. 4, 3677-3696.
[31] Sulla necessità di
operare tale bilanciamento alla luce della giurisprudenza della
Corte costituzionale, può rinviarsi a E. Bonelli, L’incostituzionalità dei controlli sulle Regioni, op. cit.,
in ispecie 3696-3697; adde, sull’utilizzazione del
bilanciamento nell’interpretazione costituzionale, A. Morrone, voce Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enc.
dir., Annali, II, Milano, 2008.
[32] Cfr. amplius
infra al par. 5.
[33] In tema, cfr. S. Pilato, La
responsabilità amministrativa - Profili sostanziali e processuali
nelle leggi 19/94, 20/94 e 639/96, Padova, 1999, 221 ss.; P.
Novelli-L. Venturini, La responsabilità amministrativa, op. cit., 71 ss.; M. Sciascia, La nozione di colpa grave
fra principi di diritto comune e configurazione autonoma, in
Aa.Vv., Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile
(ad un decennio dalle riforme), Atti del LI Convegno di Studi di
Scienza dell’amministrazione, Milano, 2006, 379 ss.
[34]
Opportunamente, si è rimarcato al riguardo che “non si deve più
far riferimento ad un unico modello, quello tradizionale del buon
padre di famiglia, ma a tanti modelli quanti sono i casi concreti
che vengono all’esame del giudice”: così, P. Novelli – L.
Venturini, La responsabilità amministrativa, op. cit., 67-68,
alla nota 131; adde, in tema, P. Santoro, L’illecito
contabile, Rimini, 2006, 236. Peraltro, nei confronti della
riforma dell’elemento psicologico, si levò qualche voce fuori dal
coro, quasi che essa consentisse agli agenti di essere
nell’amministrazione di interessi pubblici meno attenti rispetto
alla cura di interessi privati: in tal senso, cfr. F. Staderini, La giurisdizione contabile oggi, in Riv. Corte conti,
1997, n. 5, 345.
[35] Per la disapplicazione delle norme
contenute in tale articolo nei confronti del personale non
dirigenziale del Comparto Ministeri, delle Regioni ed autonomie
locali, della Sanità, delle Istituzioni ed enti di ricerca, delle
Università, delle Aziende autonome, della Scuola, v. ora all. A al
D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165.
[36] Cfr. P. Maddalena, Il
principio del giusto processo e la graduazione di colpa nella
responsabilità amministrativa, in Cons. Stato,2000, II, 2065.
[37] Per un’ampia rassegna di giurisprudenza sul
punto, può rinviarsi a V. Tenore, La nuova Corte dei conti, op. cit., 97.
Per la solidarietà passiva degli organi
collegiali in base all’art. 24 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3,
individuata come lex specialis ancora in vigore dopo la L. n.
20/1994, si v. Corte dei conti, sez. riunite, 17 dicembre 1996 n.
79/A; id., sez. riunite, 1 aprile 1998, n. 17/A.
[38] Corte dei
conti, SS.RR., 7 gennaio 1998, n. 1/A.
[39] L’espressione
“eccesso di potere” venne utilizzata per la prima volta nella
L. 31 marzo 1877 n. 371 e poi nella L. 31 marzo 1889, n. 5992; ma in
tali testi legislativi essa veniva utilizzata per indicare lo
“straripamento di potere”, ossia la “incompetenza
assoluta”, ovvero la “usurpazione di potere”. Solo
successivamente il Consiglio di Stato, sez. IV, con la decisione 7
gennaio 1892, n. 2, adoperò la locuzione “eccesso di potere”
per indicare un vizio tipico dell’atto amministrativo e per
esercitare così il proprio sindacato giurisdizionale (sia sulle
scelte discrezionali della p.a. che sullo sviamento del potere
pubblico), sulla scorta dell’esperienza del Conseil d’Etat francese in tema di détournement de pouvoir. Sul punto,
rimane fondamentale, anche per l’influenza esercitata, il lavoro di
A. Codacci Pisanelli del 1892, L’eccesso di potere nel
contenzioso amministrativo. Per una puntuale ricostruzione
storica, v. F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo,
Milano, 2007, 1154; per ulteriori approfondimenti, rimane sempre un
punto fermo A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo,
Napoli, 1968, 420.
[40] Entrambe le norme, com’è noto, sono
state revisionate dal legislatore costituente con L. Cost. 20 aprile
2012, n. 1. Per quanto riguarda l’art. 97 sono state aggiunte
icasticamente, al comma 1, le parole “le pubbliche
amministrazioni, in coerenza con l’orientamento dell’Unione europea,
assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito
pubblico”. La L. Cost. cit., inoltre, recepisce, a modifica
dell’art. 81, i vincoli della normativa europea in materia di governance economica, come ultimo integrata dal Trattato c.d.
“Fiscal compact”. In tema, cfr. R. Dickmann, Legislazione
di spesa ed equilibrio di bilancio tra legittimità costituzionale e
legittimità europea, in www.federalismi.it, n. 5/2012;
Id., Le regole della governance economica europea e il pareggio
di bilancio in Costituzione, in www.federalismi.it, n.
4/2012; A. Brancasi, L’introduzione del principio del cd.
Pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della
Costituzione, in www.forumcostituzionale.it, 10 gennaio
2012; D. Cabras, Il pareggio di bilancio in Costituzione: una
regola importante per la stabilizzazione della finanza pubblica,
ibidem, 27 gennaio 2012; P. Bilancia, Note critiche
sul cd. “pareggio di bilancio”, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, n. 2/2012.
[41]
In tal senso, cfr. D. Crocco, La responsabilità patrimoniale e
amministrativa, op. cit., 352-353 nel testo e nelle note; M.
Sciascia, Manuale di diritto processuale contabile, Milano,
2012, 124 ss.; Id., Diritto delle gestioni pubbliche, Milano,
2007, 15 ss.; adde, M. Ristuccia, Applicabilità dei
principi nel giusto processo al rito contabile, in Nuova
Rass., 2001, 2054.
[42] In tal senso, cfr. SS.RR., 14
settembre 1982, n. 313.
[43] C. conti, sez. III centr., 10
settembre 2010, n. 523A.
[44] C. conti, sez. Puglia, 3 aprile
1997, n. 16
[45] Sul punto, cfr. SS.RR., 8 maggio 1991, n. 711;
in dottrina, cfr. P. Santoro, L’illecito contabile, op.
cit., 245.
[46] Cfr. ad esempio SS.RR. n. 56 del 1997.
[47] Cfr. M. Sciascia, Manuale di diritto processuale
contabile, op. cit., 110 ss.
[48] Cfr. P. Santoro, L’illecito contabile, op. cit., 241.
[49] C.di S.,
sez. V, 10 gennaio 2005, n. 32, in Foro amm., CdS, 2005, 1801; adde, da ultimo, C.d.S., sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 623;
id., 5 marzo 2014, n. 1053.
[50] Cfr. C. conti, III sez. centr.,
23 settembre 2011 n. 630; come precedente specifico, cfr. C. conti,
SS.RR., 10 giugno 1997, n. 56.
[51] Corte dei conti, sez.
giurisdizionale Lazio, 17 marzo 2014, n. 222.
[52] Cfr. Corte
dei conti, sez. giurisdizionale Campania, 26 ottobre 2009, n. 1300.
[53] Cfr. C. conti, sez. II, 30 ottobre 1970, n. 92.
[54] Cass., sez. Un., 29 gennaio 2001 n. 33; Id., 6 maggio 2003, n.
6851; Id., 17 dicembre 2003, n. 19356.
[55] Corte dei
conti, sez. III, 10 novembre 2004, n. 601.
[56] Corte dei conti,
sez. giurisdizionale Sardegna, 24 gennaio 2014, n. 13.
[57] Cfr.
E. Bonelli, “Amministrazione riformata e nuovo volto della
responsabilità amministrativa: dall’esigenza di legittimità alla
prospettiva gestionale”, in N. Longo, La nuova conformazione
della responsabilità amministrativa: colpa grave e danno
erariale, Cosenza, 2001, 9 ss.
[58] P. Maddalena, La colpa nella responsabilità amministrativa, in Riv.
Corte conti, 1997, n. 2.
[59] Cfr. Corte costituzionale, 24
ottobre 2001, n. 340, in Diritto & Diritti, n. 10/2001,
con nota di D. Cicirello, La corte costituzionale interviene
sulla colpa grave in tema di responsabilità amministrativa.
[60] Cfr. M. De Paolis, Eccessiva durata del processo:
risarcimento del danno, Sant’Arcangelo di Romagna (Maggioli
Ed.), 2012, in ispecie 520 ss.; F. Saitta, L’istruttoria nel
processo contabile nello spirito del novellato art. 111 della
Costituzione, in Riv. Corte conti, 2005, 6, 355; P.
Santoro, Terzietà del giudice e poteri sindacatori del processo
contabile, in Riv. Corte conti, 2001, 4, 238; M.
Ristuccia, Applicabilità dei principi del giusto processo al
giudizio contabile, in Riv. Corte conti, 4, 2000, IV,
200; P. Maddalena, Il principio del giusto processo, op. cit., 2068.
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(pubblicato il
3.7.2014)
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