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n. 3-2014 - © copyright |
CARMINE VOLPE
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L’affidamento in house di
servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente
dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e
nazionale
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. I requisiti
dell’in house. 3. In particolare: controllo analogo e apertura del
capitale a privati. 4. L’in house frazionato o pluripartecipato. 5.
L’accertamento dei requisiti dell’in house. 6. L’in house modello
organizzativo e modalità di affidamento. 7. L’in house nella
normativa vigente: nelle società che gestiscono servizi pubblici
locali di rilevanza economica. 8. Segue: e nelle società
strumentali. 9. L’in house nel trasporto pubblico locale e nel
servizio di distribuzione del gas naturale. 10. Peculiari ipotesi di
in house. 11. La società in house come società a diritto speciale.
12. L’in house nell’attività dell’Autorità garante della concorrenza
e del mercato. 13. L’in house nelle nuove direttive appalti e
concessioni. 14. Alcune considerazioni. 15. Conclusioni.
1.
Introduzione.
L’in house providing (per brevità in house)
costituisce crocevia di varie problematiche che intersecano diversi
campi dell’economia e del diritto: costituzionale, pubblico,
europeo, regionale, civile, societario, amministrativo.
Nello
stesso tempo l’in house ha varie sfaccettature.
Esso rappresenta
una parte cospicua del fenomeno delle società pubbliche e, in quanto
tale, incrocia discipline pubblicistiche e privatistiche. Il che non
costituisce peculiarità del sistema se si considera che, ai sensi
dell’art. 1, comma 1-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241 (che è la
legge sul procedimento amministrativo), “La pubblica
amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa,
agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge
disponga diversamente”.
L’in house rappresenta anche
eccezione al principio di concorrenza, che è uno dei principi
cardine del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e
nello stesso tempo è uno dei modelli di gestione dei servizi
pubblici locali. Così che riveste un ruolo di primo piano
nell’organizzazione amministrativa.
Esso, poi, giustifica
l’esistenza di una disciplina peculiare che si distingue da quella
tipica delle società in generale e delle società pubbliche in
particolare. Così che si incomincia a parlare delle società in house
come di società ad evidenza pubblica[1].
Tra l’altro, l’in house
è stato protagonista della legislazione di questi ultimi anni (a
partire soprattutto dal 2008) in tema di servizi pubblici locali e
non solo, avendo avuto un notevole ruolo nella giurisprudenza
interna ed europea oltre che nella vita di ognuno; il riferimento è
al referendum abrogativo del giugno 2011[2].
Da ultimo, a seguito
dell’azzeramento, da parte della Corte Costituzionale con la
sentenza n. 199/2012, della disciplina sui servizi pubblici locali
di rilevanza economica, con particolare riguardo, per quanto di
interesse, alla prevista residualità e marginalità del fenomeno
dell’in house, la produzione normativa, che nella materia aveva
assunto caratteri di continuità di tipo alluvionale, ha avuto una
stasi. Ma poi si è leggermente ripresa con:
- l’art. 4, comma 8,
del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla
l. 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni;
- l’art. 34
del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni,
dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 (commi da 20 a 27);
- l’art.
13, comma 25-bis, del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con
modificazioni, dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9;
- l’art. 13 del
d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla
l. 27 febbraio 2014, n. 15;
- la l. 27 dicembre 2013, n. 147
(legge di stabilità 2014).
L’in house, inoltre, anche se ha
svolto un ruolo rilevante nel campo delle modalità di gestione dei
servizi pubblici locali, non è limitato a questo, potendo
interessare sia il fenomeno delle cosiddette società strumentali,
ossia quelle la cui attività è rivolta verso la pubblica
amministrazione e non nei confronti degli utenti del servizio, sia
l’affidamento di veri e propri appalti pubblici anziché di contratti
per la gestione di un servizio pubblico[3].
Attualmente, venuto
meno nei servizi pubblici locali il disfavore legislativo per l’in
house a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.
199/2012, sono poche le norme interne che lo disciplinano[4]; così
che esso trova ispirazione soprattutto in qualche norma del TFUE,
che non lo riguarda direttamente disciplinando la concorrenza, e nei
principi dello stesso, nonché nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia dell’Unione Europea (UE) e in quella interna.
Per gli
affidamenti in house non esiste un quadro normativo di riferimento
in ambito europeo, mentre vi è una copiosa giurisprudenza
comunitaria e nazionale che, nel corso degli anni, ha creato
importanti principi in materia; principi che, come spesso accade
anche nell’ordinamento nazionale, sono stati codificati - seppure
con qualche novità - da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio
nell’ambito delle nuove direttive sugli appalti pubblici (settori
ordinari e settori speciali) e sui contratti di concessione.
Non
è possibile in questa sede ripercorrere tutte le tappe che hanno
portato, partendo dagli artt. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142 e
112 e seguenti del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, alla situazione
attuale. Si cercherà invece di mettere a fuoco l’in house sulla base
delle norme esistenti e dei principi affermati dalla giurisprudenza,
estendendo l’analisi anche alla nuova normativa
europea.
2. I requisiti dell’in
house.
L’affidamento diretto cosiddetto in house è istituto
di origine comunitaria. La Corte di Giustizia ha identificato le
condizioni fondamentali per ricorrervi nel “controllo analogo” sulla
società da parte degli enti soci e nella “destinazione prevalente
dell’attività a favore dell’ente affidante”, oltre che nella
totalità della partecipazione pubblica. Alla Corte di Giustizia si è
conformata la giurisprudenza interna (da ultimo, Cons. Stato, sez.
V, 30 settembre 2013, n. 4832).
Si configura una relazione in
house solo allorquando tra le parti non si possa identificare
l’esistenza di un vero e proprio rapporto contrattuale, non essendo
ipotizzabile alcuna terzietà sostanziale tra ente locale affidante e
soggetto gestore. Ciò si verifica “…solo nel caso in cui, nel
contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un
controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e
questa persona realizzi la parte più importante della propria
attività con l’ente o con gli enti che la controllano…”
(sentenza Teckal, Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, causa
C-107/98).
Da notare che la sentenza Teckal, considerata la
capostipite dell’in house, non riguardava un servizio pubblico bensì
un appalto pubblico di forniture.
Il modello operativo dell’in
house non deve costituire il mezzo per consentire alle autorità
pubbliche di svolgere, mediante la costituzione di apposite società,
attività di impresa in violazione delle regole concorrenziali, che
richiedono che venga garantito il principio del pari trattamento tra
imprese pubbliche e private (Corte cost. 23 dicembre 2008, n.
439).
La figura si fonda sull’assunto per cui non vi è lesione
del principio comunitario della concorrenza allorquando possa
escludersi che l’azienda affidataria sia un vero imprenditore,
circostanza che si verifica ogniqualvolta questa agisca in assenza
del così detto rischio di impresa, rilevando solo quale braccio
operativo dell’amministrazione, o longa manus della stessa.
Si verifica così una relazione tra due soggetti che sono solo
formalmente, ma non sostanzialmente, distinti.
Requisiti dell’in
house, che devono sussistere tutti congiuntamente, sono:
a) la
totale partecipazione pubblica.
Secondo Corte di Giustizia,
Grande sezione, 8 aprile 2008, n. 337, “La partecipazione, anche
minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società
esclude, in ogni caso, che l'amministrazione aggiudicatrice abbia su
detto ente un controllo analogo a quello che essa esercita sui
propri servizi”.
La Corte di Giustizia è passata da un
orientamento iniziale più rigoroso ad un orientamento più concreto e
sostanzialista: la presenza dei soci privati viene considerata
ostativa all’affidamento diretto solo se tale partecipazione
sussista al momento della stipula della convenzione (C-371/05 e
C-573/07 SEA). La giurisprudenza nazionale, più restrittiva, impone
invece che la partecipazione pubblica permanga per tutta la durata
della vita della società e sia garantita nel tempo da apposita
clausola statutaria che contempli il divieto di cedibilità ai
privati delle azioni (Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2009, n.
591).
La totale partecipazione pubblica nella società in house
distingue il fenomeno dell’in house da quello delle società miste,
che è una delle forme di partenariato pubblico-privato (nella specie
istituzionalizzato, cosiddetto PPPI): in tal senso, espressamente,
Cons. Stato, sez. II, parere, 18 aprile 2007, n. 456 e Cons. Stato,
ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1.
b) Il controllo
analogo.
Siffatto requisito è, allo stesso tempo, quello che più
caratterizza l’in house e quello di più difficile
individuazione.
La nozione di “controllo analogo” impone
l’esercizio, da parte dell’ente pubblico controllante, di
un’influenza decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni
significative della persona giuridica controllata. Esso diviene
nella sostanza un controllo strutturale; il che si verifica
allorquando l’ente pubblico abbia un’influenza determinante sugli
obiettivi fondamentali e strategici e, dunque, sulle decisioni di
maggior rilievo della società.
La giurisprudenza è univoca. Il
controllo analogo sul soggetto comporta “un controllo che
consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le
decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni
importanti” (Corte di Giustizia, 13 ottobre 2005, in causa
C-458/03, Parking Brixen). Il controllo tra l’ente locale socio e la
società affidataria deve andare ben oltre quello esercitabile in
qualità di semplice socio di maggioranza secondo le regole proprie
del diritto societario (Corte di Giustizia CE, 11 maggio 2006,
C-340/04, società Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio).
Dal che
consegue che la possibilità di influenza determinante, la quale si
deve manifestare in un controllo effettivo e strutturale sul
soggetto in house, anche se non comporta l’annullamento di tutti i
poteri gestionali dell’affidatario in house, è incompatibile con il
rispetto dell’autonomia gestionale da parte dello stesso (Corte
Cost. 28 marzo 2013, n. 50).
c) La prevalenza dell’attività con
l’ente affidante; ossia le prestazioni devono essere destinate in
via principale ed esclusiva all’ente di riferimento e,
conseguentemente, le altre attività devono avere carattere marginale
e sussidiario.
Secondo la Corte di Giustizia un’impresa svolge la
parte più importante della sua attività con l’ente che la detiene se
l’attività di detta impresa è destinata principalmente all’ente
stesso e ogni altra attività risulta avere solo un carattere
marginale; inoltre, nell’ipotesi in cui diversi enti detengono
un’impresa, la condizione medesima può ricorrere qualora tale
impresa svolga la parte più importante della propria attività, non
necessariamente con questo o con quell’ente, ma con tali enti
complessivamente considerati. Così che l’attività da prendere in
considerazione, nel caso di un’impresa detenuta da vari enti, è
quella realizzata da detta impresa con tutti questi enti (Corte di
Giustizia CE, 11 maggio 2006, C-340/04, società Carbotermo e
Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio).
3. In
particolare: controllo analogo e apertura del capitale a
privati.
L’eventuale obbligo per l’amministrazione
aggiudicatrice di procedere a una gara di appalto deve essere
valutato, in via di principio, alla luce delle condizioni esistenti
alla data dell’aggiudicazione dell’appalto. La Corte di Giustizia
rileva che la possibilità per i privati di partecipare al capitale
della società aggiudicataria, in considerazione in particolare della
forma societaria di quest’ultima, non è sufficiente, in assenza di
una loro effettiva partecipazione al momento della stipula di una
convenzione, per concludere che la prima condizione, relativa al
controllo dell’autorità pubblica, non sia stata soddisfatta. Ciò in
quanto, per ragioni di certezza del diritto, l’eventuale obbligo per
l’amministrazione aggiudicatrice di procedere a una gara di appalto
deve essere valutato, in via di principio, alla luce delle
condizioni esistenti alla data dell’aggiudicazione dell’appalto
pubblico di cui si controverte (Corte di Giustizia, sez. II, 17
luglio 2008 causa C-371/05).
Secondo la Corte di Giustizia [sez.
III, 10 settembre 2009 (procedimento C 573/07) - Sea S.r.l. c.
Comune di Ponte Nossa, Servizi Tecnologici Comuni – Se.T.Co. S.p.A.
ed altri]:
a) l'apertura del capitale rileva solo se vi è
un'effettiva prospettiva di ingresso di soggetti privati nella
compagine sociale, altrimenti il principio di certezza del diritto
esige di valutare la legittimità dell'affidamento in house sulla
base della situazione vigente al momento della deliberazione
dell'ente locale affidante;
b) tuttavia, l'eventuale successiva
apertura ai privati del capitale sociale “costituirebbe un
cambiamento di una condizione fondamentale dell'appalto che
necessiterebbe di un'indizione di gara” (da intendere per la
riattribuzione del servizio, posto che l'apertura ai privati avrebbe
l'effetto implicito di provocare la decadenza
dell'affidamento).
In senso contrario è la giurisprudenza del
Consiglio di Stato:
- lo statuto della società non deve
consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria,
possa essere alienata a soggetti privati (sez. V, 30 agosto 2006, n.
5072);
- il possesso dell’intero capitale sociale da parte
dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il
controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde
tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di
esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi (sez. V, 3
febbraio 2009, n. 591);
- non è possibile provvedere
all’affidamento in house di servizi pubblici nel caso in cui
l’impresa affidataria abbia acquisito una vocazione schiettamente
commerciale tale da rendere precario il controllo dell’ente
pubblico. Detta vocazione, può, in particolare, risultare
dall’ampliamento, anche progressivo, dell’oggetto sociale e
dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali o
dall’espansione territoriale dell’attività della società;
l’affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di
impresa finisce, infatti, per condizionare le scelte strategiche
dell’ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria
dell’interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo
impallidire la natura di costola organica, pur se entificata,
dell’ente o degli enti istituenti (sez. V, 26 agosto 2009, n.
5082).
4. L’in house frazionato o
pluripartecipato.
Con l’ammissibilità dell’in house
frazionato o pluripartecipato il requisito del controllo analogo
acquisisce una dimensione funzionale.
La Corte di Giustizia ha
ritenuto conforme ai principi comunitari l’assegnazione diretta
della gestione di una rete di teledistribuzione a una società
cooperativa intercomunale sulla quale il comune concedente esercita,
congiuntamente a tutti gli altri comuni associati, un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi. Qualora un'autorità
pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale, al fine
di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che
le autorità associate esercitano su quest'ultima, per poter essere
qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri
servizi, può essere svolto congiuntamente dalle stesse anche
attraverso delibere assunte a maggioranza (Corte di giustizia, sez.
III, 13 novembre 2008, n. 324, causa C-324/07 Coditel Brabant
SA).
Successivamente la Corte di giustizia [sez. III, 10
settembre 2009 (procedimento C 573/07) - Sea S.r.l. c. Comune di
Ponte Nossa, Servizi Tecnologici Comuni – Se.T.Co. S.p.A. ed altri]
ha specificato che, nel caso di affidamento diretto di un appalto
pubblico di servizi ad una società per azioni a capitale interamente
pubblico, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta
società può essere considerato analogo a quello esercitato sui
propri servizi nel caso in cui:
a) l’attività di tale società è
limitata al territorio di detti enti ed è esercitata
fondamentalmente a beneficio di questi ultimi;
b) e tramite
organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi
ultimi esercitano un’influenza determinante sia sugli obiettivi
strategici che sulle decisioni importanti di detta società.
Da
ultimo la Corte di Giustizia (sez. III, 29 novembre 2012, n. 182) ha
ribadito che quando più autorità pubbliche, nella loro veste di
amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un'entità
incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse
spettanti, oppure quando un'autorità pubblica aderisce ad un'entità
siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della
medesima, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro
obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto
pubblico in conformità alle norme del diritto dell'Unione, debbono
esercitare congiuntamente sull'entità in questione un controllo
analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è
soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al
capitale sia agli organi direttivi dell'entità suddetta.
I
principi affermati dalla Corte di Giustizia sono stati attuati dal
Consiglio di Stato, secondo cui:
a) “Nel caso di affidamento
in house, conseguente alla istituzione da parte di più enti locali
di una società con capitale da essi interamente costituito per la
gestione di un servizio pubblico, il controllo, analogo a quello che
ciascuno di essi esercita sui propri organi, deve intendersi
assicurato anche se svolto non individualmente ma congiuntamente
dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza,
ma a condizione che sia effettivo” (Cons. Stato, sez. V, 8 marzo
2011, n. 1447 e 9 marzo 2009, n. 1365);
b) nel caso di
affidamento in house in favore di società partecipata da più enti
pubblici, il controllo analogo non deve essere necessariamente
esercitato da ognuno degli enti territoriali che si avvalgono della
società per il soddisfacimento delle esigenze della collettività di
riferimento, essendo sufficiente che detto controllo venga espletato
dai soci nella loro totalità, dovendosi seguire un criterio
sintetico imperniato sui rapporti tra la collettività degli enti
pubblici rispetto alla società affidataria (Cons. Stato, sez. V, 26
agosto 2009, n. 5082).
L’accertamento sul carattere effettivo del
controllo congiunto viene in tal modo demandato a un’indagine
empirica che è ancora in attesa di essere riempita di
contenuti.
5. L’accertamento dei requisiti dell’in
house.
La verifica dell’effettività del controllo analogo,
come quella dell’accertamento dei requisiti dell’in house, va
condotta in concreto alla stregua delle previsioni dello statuto del
soggetto in house.
In pratica diviene essenziale il
contenuto dello statuto, che, pur lasciato all’autonomia delle
parti, dovrà avere una sorta di standard minimo perché la società
possa essere in house e, in particolare, prevedere:
a) il divieto
esplicito di cedere le azioni o di costituire su di esse diritti a
favore di terzi;
b) la nomina, da parte dell’ente controllante,
del consiglio di amministrazione. In particolare la nomina degli
amministratori è il principale dei diritti del socio unico e
costituisce l’espressione massima dell’ingerenza
nell’amministrazione di una società[5];
c) le modalità per
l’esercizio del controllo analogo sulla società, nel rispetto dei
principi del diritto europeo e della relativa giurisprudenza;
d)
le modalità per l’esercizio dei poteri di indirizzo e di controllo
sulla politica aziendale;
e) l’obbligo dell’esercizio
dell’attività societaria in maniera prevalente in favore dell’ente
controllante.
L’indagine empirica, in caso di controversia,
diviene compito affidato ai giudici nazionali.
6. L’in
house modello organizzativo e modalità di affidamento.
Nel
legittimare l’affidamento in house, la Corte di Giustizia ha
riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità
pubbliche degli Stati membri "autoprodurre" beni, servizi o lavori
mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti
dall'ente conferente, siano legati a quest'ultimo da una "relazione
organica". Il diritto comunitario, infatti, non impone in alcun modo
alle autorità pubbliche di ricorrere a una particolare forma
giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio
pubblico (Corte di Giustizia, CE, Grande Sezione, 9 giugno 2009,
causa C-480/06).
Allo scopo di evitare che l'affidamento diretto
a soggetti in house si risolva in una violazione dei principi del
libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che impongono
sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private,
la stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole
della concorrenza in presenza dei requisiti legittimanti l’in
house[6].
In sostanza, l’in house, anche se costituisce un
modello organizzativo consentito alle pubbliche amministrazioni, non
cancella il principio di concorrenza, che rappresenta uno dei
principi del TFUE. Ossia la libertà delle amministrazioni di
autorganizzarsi, e quindi di decidere l’erogazione di un servizio in
autoproduzione, non deve incidere sul principio di tutela della
concorrenza.
La configurabilità di una relazione in house
comporta l’ammissibilità di un affidamento diretto, ossia senza
previa indizione di procedura di evidenza pubblica; procedura che
rappresenta la regola conseguente all’applicazione del principio di
concorrenza. Si comprende allora come tutta la costruzione
dell’istituto dell’in house consegue ad una esigenza eminentemente
pratica; ossia l’individuazione delle ipotesi in cui alle
amministrazioni aggiudicatrici, o agli enti aggiudicatori, è
consentito disporre un affidamento diretto (senza gara) di un
servizio o di un appalto.
Va premesso, tuttavia, che la
concorrenza costituisce la regola e l’affidamento diretto è
ammissibile quando il perseguimento degli obblighi di servizio
pubblico lo rendano necessario. Invero, ai sensi dell’art. 106,
comma 2, del TFUE, “Le imprese incaricate della gestione di
servizi di interesse economico generale o aventi carattere di
monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in
particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui
l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di
diritto e di fatto, della specifica missione loro
affidata”.
Ma che si intende per specifica missione loro
affidata?
Significa che il principio di concorrenza trova deroga
nell’ipotesi in cui la sua attuazione impedisca la specifica
missione attribuita ai soggetti gestori di servizi di interesse
economico generale; ossia la soddisfazione dello specifico bisogno
pubblico sottostante il servizio. Quindi il diritto europeo ammette
il ricorso all’in house quando la soddisfazione del bisogno pubblico
non è realizzabile tramite la concorrenza. Emblematico è il caso del
cosiddetto “fallimento del mercato”, nozione ben nota agli
economisti.
Si tratta di «un’eccezione rispetto alla regola
generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza
pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario
con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude
che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto
contrattuale intersoggetivo tra aggiudicante ed affidatario, perché
quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo» (Corte
Cost. 20 marzo 2013, n. 46 e 17 novembre 2010, n. 325). Nello stesso
senso Cons. Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1.
L’in house, nei
servizi pubblici locali di rilevanza economica, aveva assunto
carattere derogatorio ed eccezionale con l’art. 23-bis, commi 3 e 4,
del d.l. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. n.
133/2008, e successive modificazioni.
La Corte Costituzionale,
con la sentenza n. 199/2012, che ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 per violazione dell’art. 75 Cost.
siccome in contrasto con la volontà popolare espressa con il
referendum del giugno 2011 (poiché in gran parte riproduttivo
dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, abrogato per effetto del
referendum), ha ritenuto che il legislatore non potesse prevedere
limiti all’affidamento in house nella materia dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica, sia a seguito dell’abrogazione
referendaria di eguale normativa nazionale sia a causa
dell’inesistenza di limitazioni all’in house da parte della
normativa europea.
Ciò cambiando in parte la propria precedente
giurisprudenza[7].
Il dilemma attuale è se l’in house sia
divenuto, o meno, modalità di affidamento del servizio sullo stesso
piano del ricorso all’evidenza pubblica (con gara semplice, oppure a
doppio oggetto ai fini della costituzione di una società mista) e
meramente alternativo allo stesso; sulla falsariga di quanto era
stato disposto dall’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000[8].
Ossia: in house del tutto libero, oppure necessità di una motivata
valutazione sulla convenienza economica e finanziaria rispetto alle
alternative modalità di affidamento?
Malgrado la sentenza della
Corte Costituzionale n. 199/2012, gli incentivi al ricorso
all’evidenza pubblica, nonché i limiti a cui sono sottoposte le
società affidatarie in house, che si trovano affermati nell’art.
3-bis del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l.
n. 148/2011, e successive modificazioni (si vedano i commi 3 e 4 per
gli incentivi e il comma 6 per i limiti), inducono a ritenere che il
ricorso all’affidamento in house non sia del tutto libero e che ai
fini della sua legittimità occorre motivare sulla convenienza (in
termini di economicità, efficienza ed efficacia) rispetto
all’evidenza pubblica, oppure sull’inutilità della gara ai fini
della soddisfazione del bisogno pubblico relativo al
servizio.
Secondo Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762,
la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 4 del d.l. n.
138/2011 ha comportato il venire meno del principio
dell’eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica. Tuttavia, la scelta
dell'ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi
pubblici locali, e in particolare l’opzione tra modello in house e
ricorso al mercato, non è libera, dovendosi basare sui consueti
parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:
valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati
coinvolti; individuazione del modello più efficiente ed economico;
adeguata istruttoria e motivazione. La scelta, essendo
discrezionale, è sindacabile se priva di istruttoria e motivazione,
viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o
irrazionale.
7. L’in house nella normativa vigente: nelle
società che gestiscono servizi pubblici locali di rilevanza
economica.
La disciplina in materia di servizi pubblici
locali di rilevanza economica è stata azzerata a seguito della
dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011
da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012. Dal
che è conseguita l’applicazione diretta della normativa europea: le
norme del TFUE (in particolare, l’art. 106), i principi del Trattato
e quelli enucleati dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia.
Poi c’è stata la mini riforma di cui all’art. 34 del
d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n.
221/2012 (commi da 20 a 27), che ha toccato anche l’in house,
esclusi i settori cosiddetti speciali[9].
Come per le altre
modalità di affidamento del servizio (gara, e costituzione di una
società mista previa gara cosiddetta a doppio oggetto, ossia per la
scelta del socio e la gestione del servizio), anche l’affidamento in
house deve essere effettuato sulla base di apposita relazione,
pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle
ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo per la forma di affidamento prescelta (che sono quelli di
cui al paragrafo 2) e che definisce i contenuti specifici degli
obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le
compensazioni economiche se previste (art. 34, comma 20, del d.l. n.
179/2012).
In particolare, quando la scelta dell'impresa da
incaricare dell'assolvimento di obblighi di servizio pubblico non è
effettuata nell'ambito di una procedura di evidenza pubblica, il
valore delle compensazioni deve essere calcolato sulla base dei
costi di un’azienda media gestita in modo efficiente[10]. Invero le
compensazioni eccedenti quanto necessario per coprire i costi
originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico
possono tradursi nell’attribuzione di un indebito vantaggio che può
falsare la concorrenza (si veda l’allegato al regolamento CE n.
1370/2007), dando luogo ad un aiuto di Stato.
Invece, se la
scelta dell’impresa incaricata degli obblighi di servizio pubblico è
avvenuta previa gara, vige la presunzione che la stessa sia in grado
di fornire i servizi al costo minore per la collettività e che la
relativa compensazione non ecceda quanto necessario per coprire i
costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizi
pubblico.
Quindi, ex art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012,
obbligo in capo all’ente affidante della redazione di una specifica
relazione, con previsione di adeguata pubblicità e di contenuti
minimi. La violazione di questo obbligo e dei prescritti contenuti
si riverbera nella patologia dell’affidamento: ossia
nell’illegittimità del provvedimento amministrativo, che, ove
annullato, dà luogo, a cascata, all’inefficacia del contratto
successivamente stipulato.
L’art. 34, comma 21, del d.l. n.
179/2012 ha prescritto l’adeguamento, entro il termine del 31
dicembre 2013, degli affidamenti in essere alla data di entrata in
vigore del decreto stesso non conformi ai requisiti previsti dalla
normativa europea; ad esempio un affidamento in house carente di una
delle condizioni prescritte. L’adeguamento va disposto con la
pubblicazione, nella medesima data, della relazione prevista al
comma 20.
Mentre, per gli affidamenti in cui non è prevista una
data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad
inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano
il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento.
Il mancato
adempimento degli obblighi previsti nel comma 21 dell’art. 34 del
d.l. n. 179/2012 è sanzionato con la cessazione dell'affidamento
alla data del 31 dicembre 2013.
Quest’ultima previsione è stata
però rimodulata dall’art. 13 del d.l. n. 150/2013, convertito, con
modificazioni, dalla l. n. 15/2014, che ha previsto:
a) (al comma
1) la possibilità, da parte del soggetto gestore del servizio, di
continuare nella gestione fino al subentro del nuovo gestore e
comunque non oltre il 31 dicembre 2014, sempreché l’ente affidante
abbia già avviato le procedure di affidamento pubblicando la
relazione di cui al comma 20 dell’art. 34 del d.l. n. 179/2012. Ciò
in espressa deroga a quanto previsto dal successivo comma 21 e al
fine di assicurare la continuità del servizio;
b) (al comma 2)
l'esercizio dei poteri sostitutivi, da parte del prefetto e con
spese a carico dell'ente inadempiente, in caso di mancata
istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito
territoriale ottimale ai sensi del comma 1 dell'art. 3-bis del d.l.
n. 138/2011, ovvero di mancata deliberazione dell'affidamento entro
il termine del 30 giugno 2014. L’ente inadempiente dovrà poi
provvedere agli adempimenti necessari al completamento della
procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014;
c) (al comma
3) in caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 1 e 2, la
cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti
dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.
Con la
conseguenza che la cessazione degli affidamenti non conformi al
diritto europeo è stata sostanzialmente prorogata di un altro anno
(al 31 dicembre 2014); con una tecnica dilatoria, usata di frequente
nei recenti interventi legislativi, che non induce verso la certezza
del diritto e la consapevolezza della sua cogenza.
Un ulteriore
obbligo in capo agli enti locali è stato posto - senza sanzione -
dall’art. 13, comma 25-bis, del d.l. n. 145/2013, convertito, con
modificazioni, dalla l. n. 9/2014, che ha disposto l’invio delle
relazioni di cui all'art. 34, commi 20 e 21, del d.l. n. 179/2012
all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il
Ministero dello sviluppo economico, che provvederà a pubblicarle nel
proprio portale telematico contenente dati concernenti
l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica sul territorio.
Tutti questi compiti sono
posti dalla legge in capo agli enti locali affidanti. Ma, con
riguardo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica,
compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, sono di
competenza degli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali
ottimali e omogenei istituti o designati ai sensi dell’art. 3-bis,
comma 1, del d.l. n. 138/2011, a cui spettano le funzioni di
organizzazione, di scelta della forma di gestione e di affidamento
della gestione stessa (in tal senso è il comma 1-bis del citato art.
3-bis, inserito dall’art. 34, comma 23, del d.l. n.
179/2012).
L’affidamento in house comporta una serie di limiti.
Si tratta di svantaggi per l’ente affidante (o il soggetto gestore)
e di obblighi a carico del soggetto affidatario; entrambi prescritti
dall’art. 3-bis, commi 3, 4 e 5 (ex 6), del d.l. n. 138/2011 e
recentemente ammorbiditi dalla legge di stabilità 2014 (l. n.
147/2013), che ha soppresso il previsto assoggettamento delle
società affidatarie in house al patto di stabilità interno.
Sotto
la prima visuale:
a) l'applicazione di procedura di affidamento
dei servizi a evidenza pubblica, da parte di regioni, province e
comuni o degli enti di governo locali dell'ambito o del bacino,
costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi ai
sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n.
111;
b) (fatti salvi i finanziamenti ai progetti relativi ai
servizi pubblici locali di rilevanza economica cofinanziati con
fondi europei) i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere
su risorse pubbliche statali ai sensi dell'art. 119, quinto comma,
della Cost. sono prioritariamente attribuiti agli enti di governo
degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi
gestori del servizio selezionati tramite procedura ad evidenza
pubblica o di cui comunque l'Autorità di regolazione competente
abbia verificato l'efficienza gestionale e la qualità del servizio
reso sulla base dei parametri stabiliti dall'Autorità stessa.
Dal
che è evidente il favor della legge per la gara a discapito
dell’in house.
Dalla seconda visuale, le società affidatarie in
house devono:
a) acquistare beni e servizi secondo le
disposizioni di cui al d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti);
b)
adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il
reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel
rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'art. 35 del d.lgs. 30
marzo 2001, n. 165[11].
Invece, le società che gestiscono servizi
pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall’applicazione
diretta dei vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche
retributive stabiliti per l'ente locale controllante. Sono però
tenute all’adozione, con propri provvedimenti, dei detti vincoli
qualora stabiliti dall’ente locale controllante. Ciò a seguito della
l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) che ha modificato in tal
senso l'art. 18, comma 2-bis, del d.l. n. 112/2008 e l’art. 3-bis,
comma 6, del d.l. n. 138/2011. Resta comunque fermo quanto previsto
dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008.
Ciò comporta, nella
sostanza, una parziale assimilazione delle società in house alle
amministrazioni pubbliche.
8. Segue: e nelle società
strumentali.
Il modello della società in house esiste, come
si è detto, anche nelle società strumentali, ossia in quelle che
svolgono prestazioni a favore di pubbliche amministrazioni.
Anche
qui la regola è quella, da parte delle pubbliche amministrazioni,
dell’acquisizione sul mercato di beni e di servizi strumentali alla
propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal
d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti). Tale regola viene solennemente
affermata, seppure con qualche eccezione e a decorrere dal 1°
gennaio 2014, dall’art. 4, comma 7, del d.l. n. 95/2012, convertito,
con modificazioni, dalla l. n. 135/2012, e successive modificazioni,
“Al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e
di assicurare la parità degli operatori nel territorio
nazionale”.
Tuttavia, il primo periodo del comma 8 del citato
art. 4 precisa quello che è già insito nel sistema: “A decorrere
dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore
di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei
requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza
comunitaria per la gestione in house”[12]. Ossia in house anche
per le società strumentali ma in maniera conforme al modello
europeo.
Con la salvezza - affermata dal secondo periodo del
comma 8 del citato art. 4 - degli affidamenti in essere (chiaramente
non conformi al modello europeo dell’in house) fino alla scadenza
naturale e comunque (se non è prevista scadenza) fino al 31 dicembre
2014[13].
I commi 7 e 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012 non si
applicano alle procedure previste dall'art. 5 della legge 8 novembre
1991, n. 381 (per effetto del comma 8-bis), mentre il comma 8 non si
applica alle Regioni ad autonomia ordinaria per effetto della
sentenza della Corte Costituzionale 23 luglio 2013, n. 229, che ha
dichiarato il comma incostituzionale in tale parte. La Corte ha
ritenuto che la disposizione, come quelle dei commi 1, 2, 3, secondo
periodo, e 3-sexies, incidono sulla materia dell’organizzazione e
funzionamento della Regione, affidata dall’art. 117, quarto comma,
della Cost., alla competenza legislativa regionale residuale delle
Regioni ad autonomia ordinaria e alla competenza legislativa
regionale primaria delle Regioni ad autonomia speciale dai
rispettivi statuti, tenuto conto che esse inibiscono in radice una
delle possibili declinazioni dell’autonomia organizzativa
regionale.
Il che consegue al riparto costituzionale della
competenza legislativa tra Stato e Regione e non comporta certo che
le Regioni non possono affidare direttamente a soggetti in house
conformi al diritto europeo.
Anche le società strumentali in
house - come quelle in house affidatarie di servizi pubblici -
devono adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il
reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel
rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di
trasparenza, pubblicità e imparzialità. Inoltre esse, diversamente
dalle società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza
economica, sono tenute al rispetto dei vincoli assunzionali e di
contenimento delle politiche retributive stabiliti per l'ente locale
controllante ai sensi dell'art. 18, comma 2-bis, del d.l. n.
112/2008, [art. 18, commi 2 e 2-bis, del d.l. n. 112/2008, e
successive modificazioni, da ultimo apportate con la l. n. 147/2013
(legge di stabilità 2014)].
Limiti - numerici, qualitativi e con
riguardo alla modalità di scelta - sono posti alla composizione dei
consigli di amministrazione delle società in house, siccome a totale
partecipazione pubblica, nonché ai compensi degli amministratori
(art. 4, commi 5 e 4, del d.l. n. 95/2012).
9. L’in house
nel trasporto pubblico locale e nel servizio di distribuzione del
gas naturale.
Con riferimento al trasporto pubblico locale è
intervenuto il regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio
23 ottobre 2007, n. 1370, richiamato dall’art. 61 della l. 23 luglio
2009 n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione
delle imprese, nonché in materia di energia). Le norme del
regolamento disciplinano anche il modello di affidamento dei servizi
di trasporto pubblico locale. Queste, pur prevedendo la gara quale
modalità ordinaria di affidamento dei servizi, consentono
l’affidamento in house quale deroga di carattere generale e
l’affidamento diretto a terzi per i servizi ferroviari regionali e,
solo per i servizi su gomma, nel caso in cui il valore economico del
servizio sia inferiore a determinate soglie (valore annuo medio
stimato inferiore a 1 milione di euro o volume inferiore a 300000
chilometri l’anno) o nel caso in cui si versi in condizioni di
emergenza (per garantire la continuità dei servizi).
In
particolare, l’art. 61 della n. 99/2009 consente nel trasporto
pubblico regionale e locale di aggiudicare contratti di servizio,
anche in deroga alla disciplina di settore, secondo le prescrizioni
di cui all’art. 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6, e all’art. 8, paragrafo 2,
del regolamento (CE) n. 1370/2007; le quali prevedono tale
possibilità anche a favore di società la cui partecipazione pubblica
non è totalitaria, sempreché ci sia il controllo analogo, di per sé
non escluso da siffatta circostanza.
Qualora le autorità
competenti si avvalgano delle previsioni di cui all’art. 5,
paragrafo 2, del citato regolamento, esse devono aggiudicare tramite
contestuale procedura ad evidenza pubblica almeno il 10 per cento
dei servizi oggetto dell’affidamento a soggetti diversi da quelli
sui quali esercitano il controllo analogo, ai sensi dell’art. 4-bis
del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla
l. 3 agosto 2009, n. 102. Quest’ultima costituisce norma di
liberalizzazione minima.
Nel servizio di distribuzione del gas
naturale - che ha costituito sin dall’inizio un settore speciale,
con una sua specifica disciplina, escluso da quella generale dei
servizi pubblici locali (si veda attualmente l’art. 34, comma 25,
del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n.
221/2012) - non è consentito l’in house. Ciò in applicazione di
specifica disposizione di legge (art. 14, comma 1, del d.lgs. 23
maggio 2000, n. 164, secondo cui “L'attività di distribuzione di
gas naturale è attività di servizio pubblico. Il servizio è affidato
esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici
anni”), emanata in attuazione di normativa
comunitaria[14].
10. Peculiari ipotesi di in
house.
Specifiche ipotesi di in house sono previste dalla
normativa interna. Se ne indicano alcune a titolo
esemplificativo.
Nell’ambito delle società strumentali, ossia di
quelle che svolgono attività in favore della pubblica
amministrazione che vi partecipa (nella specie Ministero della
difesa), si segnala la Difesa Servizi s.p.a., costituita ex art. 535
del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (codice dell’ordinamento militare).
Vi si trovano tutte le caratteristiche tipiche della società in
house, nel rispetto dei principi del diritto europeo e della
giurisprudenza comunitaria.
Altra ipotesi di in house statale è
prevista dall’art. 19, comma 5, del d.l. n. 78/2009, convertito, con
modificazioni, dalla l. n. 102/2009, secondo cui “Le
amministrazioni dello Stato, cui sono attribuiti per legge fondi o
interventi pubblici, possono affidarne direttamente la gestione, nel
rispetto dei principi comunitari e nazionali conferenti, a società a
capitale interamente pubblico su cui le predette amministrazioni
esercitano un controllo analogo a quello esercitato su propri
servizi e che svolgono la propria attività quasi esclusivamente nei
confronti dell'amministrazione dello Stato.
11. La
società in house come società a diritto speciale.
La società
in house vive innanzitutto come una società qualsiasi soggetta al
codice civile ma, in quanto species del genus delle
società pubbliche, del quale fanno parte anche le società miste, ha
un regime peculiare, che riguarda, da una parte, la possibilità di
costituire la società e, dall’altra, la vita, l’attività e il regime
della stessa. La legge prevede alcuni limiti e vincoli ai quali sono
assoggettate le società in house; i quali, entrambi, sono stati
riconosciuti legittimi dalla Corte Costituzionale (con la sentenza
20 marzo 2013, n. 46[15]).
La riprova di tutto questo la si trova
nell’art. 4, comma 13, quarto periodo, del d.l. n. 95/2012,
convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135/2012, secondo cui
“Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni,
anche di carattere speciale, in materia di società a totale o
parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per
quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si
applica comunque la disciplina del codice civile in materia di
società di capitali”.
Quindi la società pubblica deve essere
assoggettata, innanzitutto, allo statuto privatistico
dell'imprenditore, con applicazione di alcune regole pubbliche
quali, ad esempio, quelle che configurano la responsabilità
amministrativa per danno erariale subito dai soggetti pubblici
partecipanti. L'applicazione di questo statuto implica, altresì,
che, in ossequio alle prescrizioni imposte dal diritto europeo per
tutelare la concorrenza (in particolare artt. 106 e 345 del TFUE),
deve essere assicurato il principio di pari trattamento tra impresa
pubblica e privata: è, pertanto, vietata l'attribuzione — al di
fuori dei casi in cui si debba garantire la "missione pubblica"
(art. 106, comma 2) nel settore dei servizi pubblici — di qualunque
diritto speciale o esclusivo in grado di incidere negativamente
sulle regole concorrenziali (in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 20
marzo 2012, n. 1574).
Nel campo delle società strumentali, e con
esclusione delle società che gestiscono o erogano servizi pubblici,
vi è un limite legislativo alla costituzione della società, posto
dall’art. 3, comma 27, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge
finanziaria 2008) al fine di tutelare la concorrenza e il mercato,
secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono costituire
società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di
servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle
proprie finalità istituzionali.
Tale norma ha posto un limite
all'impiego dello strumento societario non tanto per assicurare la
tutela della concorrenza quanto per garantire, in coerenza con
l'esigenza di rispettare il principio di legalità, il perseguimento
dell'interesse pubblico. Può, pertanto, ritenersi che, allo stato,
esiste una norma imperativa che - esprimendo un principio già in
precedenza immanente nel sistema - pone un chiaro limite
all'esercizio dell'attività di impresa pubblica rappresentato dalla
funzionalizzazione al perseguimento anche dell'interesse pubblico
(Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574).
Sempre in ambito
di società strumentali l’in house ha anche un altro limite che non
si rinviene in caso di gestione o di erogazione di servizi pubblici,
ed è l’esclusività dell’oggetto sociale a favore delle
amministrazioni pubbliche che vi partecipano, in applicazione
dell’art. 13, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito,
con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, e successive
modificazioni. Esse, infatti, “devono operare con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere
prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in
affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre
società o enti aventi sede nel territorio
nazionale”.
Siffatto limite, che riguarda le “società, a
capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate
dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione
di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione
della loro attività”, dal quale sono escluse le società statali,
viene imposto al dichiarato “fine di evitare alterazioni o
distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la
parità degli operatori nel territorio nazionale”.
Il che
comporta, conseguentemente, che le società strumentali degli enti
locali e delle Regioni per essere in house devono possedere solo due
dei tre requisiti prescritti; il controllo analogo e la totale
partecipazione pubblica, non essendo possibile la configurabilità
del terzo, ossia la prevalenza dell’attività, essendo già richiesto
per legge qualcosa che assorbe la prevalenza, quale
l’esclusività.
Recentemente la Corte di Cassazione (sez. un., 25
novembre 2013, n. 26283[16]) ha ritenuto che la Corte dei Conti
abbia giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla
Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione sia
diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i
danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house. Ciò
in quanto queste ultime hanno della società solo la forma esteriore
ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica
amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad
essa esterni e da essa autonomi. All’impossibilità di configurare un
rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società
in house che ad esso fa capo consegue che anche la distinzione tra
il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in
termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta
titolarità.
Da ciò discende che, in questo caso, il danno
eventualmente inferto al patrimonio della società da atti
illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un
colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo,
è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile
all'ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica
l'attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla
relativa azione di responsabilità.
La peculiarità della pronuncia
consiste in questo: pur affermando la permanenza della separazione
patrimoniale tra capitale del socio (pubblico) e capitale della
società, carattere tipico del regime societario, la riconducibilità
del patrimonio della società in house al socio pubblico configura il
danno erariale e fa scattare, conseguentemente, la giurisdizione
della Corte dei Conti.
12. L’in house nell’attività
dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato
(d’ora in poi Autorità) si è varie volte interessata di in house
nell’ambito della sua attività consultiva e di segnalazione[17]. I
pareri resi dalla stessa rivestono rilievo ai fini
dell’individuazione in concreto dei requisiti richiesti dalla
giurisprudenza comunitaria e nazionale per la praticabilità dell’in
house.
Con il parere reso alla Regione Abruzzo in data 7 novembre
2013 (AS1095), con riguardo al trasporto pubblico locale, si è
escluso l’in house:
a) in caso di società che fornisce servizi di
trasporto pubblico locale urbano in virtù di affidamento diretto da
parte di un Comune che è amministrazione diversa dalla società
controllante;
b) quando residuano ampi margini di autonomia
decisionale in capo agli organi di amministrazione della
società;
c) nell’ipotesi in cui lo statuto della società
ricomprende nell’oggetto sociale tutta una serie di attività
ulteriori rispetto all’esercizio di quella principale in favore
degli enti controllanti, suscettibili di conferire alla società una
vocazione commerciale incompatibile con i limiti all’operatività
stabiliti per le società in house;
d) qualora lo statuto della
società non precluda la possibilità di ingresso nel capitale di soci
privati (subordinando tale eventualità al semplice ed eventuale “gradimento dell’assemblea dei soci”).
Con il parere reso
all’Ufficio per l’ambito territoriale ottimale Monza e Brianza in
data 25 ottobre 2013 (AS1092), in tema di servizio idrico:
a) si
è affermato che, ai fini della valutazione dell’effettività e della
stabilità del controllo analogo esercitato dagli enti locali nelle
società affidatarie dirette di servizi pubblici, l’interposizione di
un ulteriore organismo societario nell’asse di controllo tra ente
locale e società in house, se da un lato non esclude in linea di
principio la sussistenza dei requisiti per la praticabilità
dell’istituto, dall’altro è suscettibile di indebolire il rapporto
di controllo;
b) si è ribadita l’insussistenza della relazione in
house nel caso in cui lo statuto della società presuppone la
possibilità di ingresso/ingerenza di soci industriali, portatori di
interessi contrapposti a quelli dell’ente affidante rispetto ai
propri servizi.
Con il parere reso al Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca in data 27 agosto 2013 (AS1075),
l’Autorità ha ritenuto che l’entrata nella compagine di un consorzio
di nuovi soggetti aventi natura giuridica privata costituisca
elemento di per sé ostativo alla sussistenza del requisito della
partecipazione pubblica totalitaria e quindi alla legittimità di un
affidamento diretto da parte del Ministero secondo il modello
dell’in house [nello stesso senso va la segnalazione in data 4
agosto 2008 (AS468), che esclude la possibilità di affidamento
diretto a una società qualora nel capitale della stessa sia
subentrato un socio privato].
Con il parere reso al sindaco di
Roma Capitale in data 1 febbraio 2013 (AS1017), si è ritenuto che la
delibera di affidamento diretto da parte di Roma Capitale ad ATAC
s.p.a., nei limiti in cui non assolve gli obblighi imposti dall’art.
4-bis del d.l. n. 78/2009 e dall’art. 34, comma 20, del d.l. n.
179/2012, integri una violazione dei principi a tutela della
concorrenza.
13. L’in house nelle nuove direttive appalti
e concessioni.
Sulla Gazzetta ufficiale dell’UE del 28 marzo
2014 sono state pubblicate le nuove direttive del Parlamento Europeo
e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici.
Si
tratta delle direttive 2014/24/UE nei settori ordinari, 2014/25/UE
sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori
dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali
(settori speciali) e 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di
concessione.
La nuova normativa entra in vigore il 20° giorno
successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE e gli
Stati membri hanno tempo per recepire le direttive fino al 18 aprile
2016.
Le prime due direttive sostituiscono, rispettivamente, le
direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, mentre la terza, in tema di
concessioni, rappresenta novità assoluta.
Le direttive non
parlano mai di in house ma regolano il fenomeno con riguardo agli
appalti e alle concessioni tra enti nell’ambito del settore
pubblico, o agli appalti tra amministrazioni aggiudicatrici (per i
settori speciali), aggiudicati a una “persona giuridica di diritto
pubblico o di diritto privato”; escludendoli dall’ambito di
applicazione delle direttive. Il riferimento normativo è all’art. 12
della direttiva appalti (2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva
settori speciali (2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva
concessioni (2014/23/UE).
I principi affermati dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di in house sono
stati in gran parte recepiti e codificati; ma vi sono alcune
precisazioni e novità in tema di requisiti. All’individuazione di
una relazione in house consegue, come effetto, l’esclusione
dall’applicazione delle direttive appalti e concessioni.
Per
l’individuazione dell’in house è richiesto innanzitutto il controllo
analogo.
Le direttive, al riguardo, precisano che tale condizione
risulta soddisfatta qualora l’amministrazione aggiudicatrice (o
anche l’ente aggiudicatore per le concessioni) eserciti un’influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni
significative dell’affidatario in house e risolvono anche i dubbi in
tema di cosiddetto controllo analogo indiretto, in quanto si prevede
che il controllo possa essere esercitato da una persona giuridica
diversa, a sua volta controllata allo stesso modo
dall’amministrazione aggiudicatrice. Si pensi, ad esempio, alle
holding di partecipazioni, che si interpongono fra l’amministrazione
aggiudicatrice e la società beneficiaria in house, o alle società
consortili, dove gli enti pubblici esercitano il controllo della
società consortile non direttamente ma attraverso le società
consorziate, che, a loro volta, sono controllate da tali
enti.
Una precisazione delle nuove direttive riguarda il concetto
di prevalenza dell’attività. La condizione viene ritenuta
soddisfatta qualora oltre l’80% delle attività del soggetto
affidatario in house siano effettuate nello svolgimento dei compiti
ad esso affidati dal soggetto controllante o da altre persone
giuridiche controllate dall’amministrazione controllante.
Viene
poi indicato cosa debba considerarsi al fine della determinazione
dell’80%: prevedendolo nel fatturato totale medio, o in un’idonea
misura alternativa basata sull'attività, quali i costi sostenuti
dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in
questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i
tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della
concessione. E in mancanza del triennio o di pertinenza del
fatturato e dei costi, è sufficiente dimostrare la credibilità della
misura dell’attività in base a sue proiezioni.
Novità di rilievo
è quella in tema del requisito della totale partecipazione pubblica.
Che è sempre richiesta, ma viene egualmente configurata una
relazione in house anche in presenza di forme di partecipazione di
capitali privati, prescritte dalle disposizioni legislative
nazionali in conformità dei trattati, che non comportano controllo o
potere di veto, attraverso le quali non può essere esercitata alcuna
influenza determinante sul soggetto affidatario in house.
Quanto
previsto in tema di affidamento a un soggetto in house vale anche
per escludere l’applicazione della direttiva agli appalti o alle
concessioni aggiudicati dal soggetto in house, che è a sua volta
amministrazione aggiudicatrice, alla propria amministrazione
controllante o ad altro soggetto giuridico controllato da
quest’ultima, sempreché nell’aggiudicataria non vi sia alcuna
partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di
partecipazione di capitali privati di cui si è detto. Si verifica
una sorta di bidirezionalità dell’in house.
La direttiva
chiarisce anche le modalità attraverso cui le amministrazioni
pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono
esercitare il controllo analogo, codificando l’in house frazionato o
pluripartecipato. Tali amministrazioni potranno esercitare il
controllo in modo congiunto con le altre a condizione che siano
soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) gli organi
decisionali dell’organismo controllato siano composti da
rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, tra
soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici
partecipanti;
b) i soci pubblici siano in grado di esercitare
congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici
e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;
c)
l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli dei
soci pubblici partecipanti.
Vengono poi codificate le forme di
cooperazione tra enti pubblici che non rientrano nell’ambito di
applicazione della direttiva.
14. Alcune
considerazioni.
Come si è visto le società in house
costituiscono una species del genus delle società
pubbliche. Inoltre, esse vivono in un un’ulteriore nicchia nello
spazio occupato dalle società a totale partecipazione pubblica,
essendo necessari, per la configurabilità dell’in house, gli
ulteriori elementi del controllo analogo e della prevalenza
dell’attività.
Le società in house si pongono anche al confine
con la concorrenza. Si tratta, infatti, di strumenti, in mano alla
pubblica amministrazione, alternativi al ricorso al mercato. Nello
stesso tempo le società in house non possono avere vocazione
commerciale. Anzi, con riguardo alle società in house strumentali
degli enti locali e delle regioni è addirittura imposta
l’esclusività dell’attività a favore delle pubbliche amministrazioni
controllanti, con impossibilità di ogni attività diversa, consentita
invece, seppure marginalmente, per le società in house che
gestiscono o erogano servizi pubblici locali di rilevanza
economica.
Si dice che le società in house strumentali
costituiscono società che svolgono esclusivamente attività
amministrativa in forma privatistica.
Da tempo la Corte
Costituzionale distingue l’attività amministrativa in forma
privatistica, posta in essere dalle società strumentali che operano
per una pubblica amministrazione, dall’attività di impresa di enti
pubblici, al fine di evitare che quest'ultima possa essere svolta
beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in
quanto pubblica amministrazione (Corte Cost. 1 agosto 2008, n. 326,
8 maggio 2009, n. 148 e, da ultimo, 23 luglio 2013, n. 229).
Ma
la differenza tra società amministrazione e società impresa non
regge. Essa è prevista soprattutto a giustificare i vari limiti
legislativi posti a carico delle società strumentali. Limiti i quali
esistono, pure se in maniera minore, anche per le società in house
che erogano o gestiscono servizi pubblici locali; e sono stati solo
recentemente ammorbiditi dalla legge di stabilità 2014. Ricordando
sempre che, per i servizi pubblici locali, non è più consentito al
legislatore rendere l’in house modalità eccezionale e derogatoria
(effetto della sentenza della Corte Costituzionale n.
199/2012).
E’, quindi, indubbio che esiste una disciplina più
restrittiva per le società strumentali in house e che permane una
certa distonia con quella propria delle società in house che
gestiscono o erogano servizi pubblici.
Il che consegue alla
differenza di sostanza per cui, nell’ambito dei servizi di interesse
economico generale, tra i quali rientrano i servizi pubblici locali,
vi è un’attività diretta alla soddisfazione di bisogni collettivi,
che sono quelli degli utenti del servizio, mentre nelle società
strumentali l’attività è diretta unicamente nei confronti
dell’amministrazione o delle amministrazioni (a loro volta socie
della società in house). L’amministrazione, per soddisfare un
proprio bisogno, decide di non ricorrere al mercato ma di procedere
in autoproduzione costituendo un soggetto che non è altro che una
costola organica della medesima, che della società diviene
“cliente”.
E’ la specifica missione consistente nella gestione di
servizi di interesse economico generale che consente la deroga alle
regole della concorrenza allorquando esse ostino all’adempimento
della missione, ossia alla soddisfazione dei bisogni collettivi e
generali degli utenti del servizio (art. 106 del TFUE). E secondo
una specifica disposizione del Trattato (l’art. 14), relativa ai
servizi di interesse economico generale, sia l'Unione che gli Stati
membri devono provvedere “affinché tali servizi funzionino in
base a principi e condizioni, in particolare economiche e
finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri
compiti”.
E allora non è che le società in house strumentali
sono società amministrazione mentre quelle nel settore dei servizi
pubblici sono imprese pubbliche. Entrambe le società, proprio perché
in house, sono parzialmente assimilate ad una pubblica
amministrazione[18].
Il principio, ribadito dalla Corte di
Cassazione (sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991), secondo cui la
società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua
natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli
enti pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, riguarda
le società che operano “nell'esercizio della propria autonomia
negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico”. Quindi ne
sono escluse le società in house.
Un diritto speciale dei
soggetti in house non è più negabile, come può dirsi ormai acquisito
il carattere anomalo del fenomeno dell’in house nel panorama del
diritto societario (come sottolineato dalla Corte di Cassazione,
sez. un., con la sentenza 25 novembre 2013, n. 26283[19]).
In
entrambi i casi di società in house strumentali e non, la mancanza
di autonomia gestionale non consente l’esercizio di una vera
attività di impresa da parte della pubblica amministrazione, anche
perché manca il rischio d’impresa. E se così non fosse l’in house
violerebbe palesemente il principio di concorrenza. In più, nei
servizi pubblici locali, l’in house costituisce lo strumento del
quale l’amministrazione si avvale per svolgere la sua specifica
missione rivolta alla soddisfazione dei bisogni degli utenti del
servizio.
15. Conclusioni.
In conclusione, a
seguito dell’esame della normativa e della giurisprudenza, possono
dirsi acquisiti alcuni punti fermi in tema di in house.
Ma il
diritto è in continua evoluzione e l’in house ne è l’emblema. Si è
vista la nuova normativa europea in materia, che ha in parte
modificato alcune di quelle che erano certezze acquisite (ad
esempio, in tema di controllo analogo e di totale partecipazione
pubblica).
Senza dubbio abbisognano ancora di ulteriori
approfondimenti e sedimentazione le diverse tematiche conseguenti
alle relazioni tra la società in house e le pubbliche
amministrazioni controllanti, soprattutto in tema di responsabilità
e di garanzie patrimoniali per i creditori della società, di governance del soggetto in house, nonché di reciproche
interrelazioni tra diritto civile e diritto amministrativo, o meglio
tra rapporti privatistici e rapporti pubblicistici.
Alcune
certezze vi sono, e non è poco. Preoccupa sempre, però, l’incertezza
che consegue agli interventi legislativi avvenuti in materia negli
ultimi anni. Ma almeno il settore ha un vantaggio, rappresentato
dalla circostanza che nella materia impera la primazia del diritto
europeo; primazia che consente di temere un po’ meno le carenze del
nostro legislatore, anche se non impedisce le diverse antinomie di
sistema.
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[1] In tal senso F. Cintioli, La pubblica
amministrazione come socio, l’interesse pubblico e la tutela dei
terzi, in Il nuovo Diritto Amministrativo, 2014, I, 7.
[2] Si tratta dell’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133,
abrogato dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, a
seguito dell’esito del referendum del giugno 2011, nonché dell’art.
4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,
dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, dichiarato incostituzionale
dalla Corte Costituzionale con sentenza 20 luglio 2012, n. 199,
nonché delle diverse norme di modifica delle stesse.
[3] Sulle
società strumentali, si veda, da ultimo, F. Francario, Le società
a partecipazione pubblica strumentali dopo la cd. “spending review”
(alla luce della sentenza Corte Cost. n. 229/2013), in Corriere merito, 2013, 933.
Quanto alla nozione
comunemente accolta da dottrina e giurisprudenza del servizio
pubblico locale (in contrapposizione a quella di appalto di
servizi), si rimanda alla recente decisione del Cons. Stato, sez.
VI, 22 novembre 2013, n. 5532, secondo cui:
- essa comprende
quelle attività che sono destinate a rendere un'utilità
immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza complessivamente
considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante
pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto
trilaterale, con assunzione del rischio di impresa a carico del
gestore;
- essa si fonda su due elementi: 1) la preordinazione
dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una
platea indifferenziata di utenti; 2) la sottoposizione del gestore
ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e
tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a regole
di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e
qualità;
- il servizio pubblico locale, in quanto volto al
perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della comunità, è
finalizzato al soddisfacimento diretto di esigenze collettive della
stessa con effetto generalizzato sul suo assetto socio-economico;
riguarda di conseguenza un'utenza indifferenziata, anche se sia
fruibile individualmente, ed è sottoposto a obblighi di esercizio
imposti dall'ente pubblico perché gli scopi suddetti siano
garantiti, inclusa la determinazione del corrispettivo in forma di
tariffe.
Nello stesso percorso, in tema di differenza tra appalti
pubblici di servizi e concessioni di servizi pubblici, Cons. Stato,
ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 7 e 7 maggio 2013, n. 13.
[4]
Diversamente dalle società miste, che rientrano nel fenomeno del
partenariato pubblico privato istituzionalizzato, disciplinate da
diverse disposizioni del codice appalti (d.lgs. 12 aprile 2006, n.
163; si vedano gli artt. 1, comma 2, 3, comma 15-ter, e 32).
[5]
Cons. Stato, sez. VI, 10 gennaio 2013, n. 122.
[6] Lo ricorda
espressamente Corte Cost. 28 marzo 2013, n. 50.
[7] La Corte
Costituzionale, infatti, aveva ritenuto la legittimità delle norme
regionali che escludono il ricorso all’in house. In particolare,
Corte Cost. 20 novembre 2009, n. 307 aveva dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 4, della
l.r. Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, affermando che, in tema di
tutela della concorrenza, le regioni possono dettare norme che
tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste
dallo Stato, in quanto principio tutelato dalla Costituzione; nella
specie, prevedendo per l'affidamento della gestione dell'erogazione
del servizio idrico integrato solo la modalità della gara pubblica.
Si veda anche Corte Cost. 17 novembre 2010, n. 325, che aveva
avallato l’impalcatura della disciplina di cui all’art. 23-bis del
d.l. n. 112/2008.
[8] L'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000,
applicabile prima dell'entrata in vigore dell'art. 23-bis d.l. n.
112/2008, nel disciplinare "la gestione e l'affidamento dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica", aveva previsto
tre modelli alternativi: (i) l'affidamento a imprese sul mercato;
(ii) la società mista; (iii) la società in house.
[9] Si tratta
del servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al d.lgs. 23
maggio 2000, n. 164, del servizio di distribuzione di energia
elettrica, di cui al d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 e alla l. 23 agosto
2004, n. 239, nonché della gestione delle farmacie comunali, di cui
alla l. 2 aprile 1968, n. 475 (art. 34, comma 25, del d.l. n.
179/2012).
[10] E’ l’ulteriore condizione ritenuta dalla Corte
di Giustizia con la famosa sentenza Altmark (24 luglio 2003, n.
280), secondo cui le sovvenzioni pubbliche volte a consentire
l'esercizio di servizi di linea urbani, extraurbani o regionali non
costituiscono aiuti di Stato qualora debbano essere considerate una
compensazione atta a rappresentare la contropartita delle
prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per adempiere
obblighi di servizio pubblico. In questo senso il giudice a quo deve
verificare il ricorrere di una serie di condizioni, ossia che:
l'impresa beneficiaria sia stata effettivamente incaricata
dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi
siano stati definiti in modo chiaro; i parametri sulla base dei
quali viene calcolata la compensazione siano stati previamente
definiti in modo obiettivo e trasparente; la compensazione non
ecceda quanto necessario per coprire tutti o parte dei costi
originati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico,
tenendo conto degli introiti relativi agli stessi nonché di un
margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento.
[11]
Tale obbligo riguarda non solo le società in house ma anche quelle a
totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici
locali (art. 18, comma 1, del d.l. n. 112/208).
[12] Questo è il
testo attuale della norma dopo che l’art. 34, comma 27, del d.l. n.
179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012, ha
soppresso le seguenti parole che erano contenute nel primo periodo
del comma 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012: «e a condizione che
il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento
sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui».
[13] L’art. 4 del d.l. n. 95/2012, comma 8, terzo periodo,
dispone altresì la salvezza delle acquisizioni in via diretta di
beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a
200.000 euro in favore delle associazioni di promozione sociale di
cui alla l. 7 dicembre 2000, n. 383, degli enti di volontariato di
cui alla l. 11 agosto 1991, n. 266, delle associazioni sportive
dilettantistiche di cui all'art. 90 della l. 27 dicembre 2002, n.
289, delle organizzazioni non governative di cui alla l. 26 febbraio
1987, n. 49, e delle cooperative sociali di cui alla l. 8 novembre
1991, n. 381.
L’art. 4 del d.l. n. 95/2012 è stato in gran parte
abrogato per effetto della l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014),
anche a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dei commi
1, 2 3, secondo periodo, 3-sexies e 8 da parte della Corte
Costituzionale, con sentenza 23 luglio 2013, n. 229, nella parte in
cui si applicano alle Regioni ad autonomia ordinaria.
[14] La
direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del
gas naturale.
[15] In particolare con riguardo
all’assoggettamento delle società in house al patto di stabilità
interno; vincolo che poi è stato soppresso, a decorrere dal 1°
gennaio 2014, dalla l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), che ha
abrogato l’art. 3-bis, comma 5, del d.l. n. 138/2011.
[16] La
sentenza è commentata da G. Fischione e G. Pasanisi, Il rapporto
del socio pubblico con la società in house sospesa tra assenza di
alterità ai fini dell’affidamento e permanenza della separazione
patrimoniale (note a margine di Cass., Sez. Un., n. 26283/13),
in www.giustamm.it, n. 12-2013.
[17] Svolta in
applicazione degli artt. 21, 21-bis e 22 della l. 22 ottobre 1990,
n. 287.
[18] Il fenomeno è ben descritto da F. Cintioli, Società in mano pubblica, interesse sociale e nuove
qualificazioni della giurisprudenza, in www.giustamm.it,
n. 3-2014.
[19] Si rimanda alla fine del paragrafo 11.
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(pubblicato il
31.3.2014)
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