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CARMINE VOLPE

L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale

 

 


 

 

SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. I requisiti dell’in house. 3. In particolare: controllo analogo e apertura del capitale a privati. 4. L’in house frazionato o pluripartecipato. 5. L’accertamento dei requisiti dell’in house. 6. L’in house modello organizzativo e modalità di affidamento. 7. L’in house nella normativa vigente: nelle società che gestiscono servizi pubblici locali di rilevanza economica. 8. Segue: e nelle società strumentali. 9. L’in house nel trasporto pubblico locale e nel servizio di distribuzione del gas naturale. 10. Peculiari ipotesi di in house. 11. La società in house come società a diritto speciale. 12. L’in house nell’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. 13. L’in house nelle nuove direttive appalti e concessioni. 14. Alcune considerazioni. 15. Conclusioni.

1. Introduzione.
L’in house providing (per brevità in house) costituisce crocevia di varie problematiche che intersecano diversi campi dell’economia e del diritto: costituzionale, pubblico, europeo, regionale, civile, societario, amministrativo.
Nello stesso tempo l’in house ha varie sfaccettature.
Esso rappresenta una parte cospicua del fenomeno delle società pubbliche e, in quanto tale, incrocia discipline pubblicistiche e privatistiche. Il che non costituisce peculiarità del sistema se si considera che, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241 (che è la legge sul procedimento amministrativo), “La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
L’in house rappresenta anche eccezione al principio di concorrenza, che è uno dei principi cardine del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e nello stesso tempo è uno dei modelli di gestione dei servizi pubblici locali. Così che riveste un ruolo di primo piano nell’organizzazione amministrativa.
Esso, poi, giustifica l’esistenza di una disciplina peculiare che si distingue da quella tipica delle società in generale e delle società pubbliche in particolare. Così che si incomincia a parlare delle società in house come di società ad evidenza pubblica[1].
Tra l’altro, l’in house è stato protagonista della legislazione di questi ultimi anni (a partire soprattutto dal 2008) in tema di servizi pubblici locali e non solo, avendo avuto un notevole ruolo nella giurisprudenza interna ed europea oltre che nella vita di ognuno; il riferimento è al referendum abrogativo del giugno 2011[2].
Da ultimo, a seguito dell’azzeramento, da parte della Corte Costituzionale con la sentenza n. 199/2012, della disciplina sui servizi pubblici locali di rilevanza economica, con particolare riguardo, per quanto di interesse, alla prevista residualità e marginalità del fenomeno dell’in house, la produzione normativa, che nella materia aveva assunto caratteri di continuità di tipo alluvionale, ha avuto una stasi. Ma poi si è leggermente ripresa con:
- l’art. 4, comma 8, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni;
- l’art. 34 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 (commi da 20 a 27);
- l’art. 13, comma 25-bis, del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9;
- l’art. 13 del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla l. 27 febbraio 2014, n. 15;
- la l. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014).
L’in house, inoltre, anche se ha svolto un ruolo rilevante nel campo delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, non è limitato a questo, potendo interessare sia il fenomeno delle cosiddette società strumentali, ossia quelle la cui attività è rivolta verso la pubblica amministrazione e non nei confronti degli utenti del servizio, sia l’affidamento di veri e propri appalti pubblici anziché di contratti per la gestione di un servizio pubblico[3].
Attualmente, venuto meno nei servizi pubblici locali il disfavore legislativo per l’in house a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, sono poche le norme interne che lo disciplinano[4]; così che esso trova ispirazione soprattutto in qualche norma del TFUE, che non lo riguarda direttamente disciplinando la concorrenza, e nei principi dello stesso, nonché nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (UE) e in quella interna.
Per gli affidamenti in house non esiste un quadro normativo di riferimento in ambito europeo, mentre vi è una copiosa giurisprudenza comunitaria e nazionale che, nel corso degli anni, ha creato importanti principi in materia; principi che, come spesso accade anche nell’ordinamento nazionale, sono stati codificati - seppure con qualche novità - da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio nell’ambito delle nuove direttive sugli appalti pubblici (settori ordinari e settori speciali) e sui contratti di concessione.
Non è possibile in questa sede ripercorrere tutte le tappe che hanno portato, partendo dagli artt. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142 e 112 e seguenti del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, alla situazione attuale. Si cercherà invece di mettere a fuoco l’in house sulla base delle norme esistenti e dei principi affermati dalla giurisprudenza, estendendo l’analisi anche alla nuova normativa europea.

2. I requisiti dell’in house.
L’affidamento diretto cosiddetto in house è istituto di origine comunitaria. La Corte di Giustizia ha identificato le condizioni fondamentali per ricorrervi nel “controllo analogo” sulla società da parte degli enti soci e nella “destinazione prevalente dell’attività a favore dell’ente affidante”, oltre che nella totalità della partecipazione pubblica. Alla Corte di Giustizia si è conformata la giurisprudenza interna (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4832).
Si configura una relazione in house solo allorquando tra le parti non si possa identificare l’esistenza di un vero e proprio rapporto contrattuale, non essendo ipotizzabile alcuna terzietà sostanziale tra ente locale affidante e soggetto gestore. Ciò si verifica “…solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che la controllano…” (sentenza Teckal, Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, causa C-107/98).
Da notare che la sentenza Teckal, considerata la capostipite dell’in house, non riguardava un servizio pubblico bensì un appalto pubblico di forniture.
Il modello operativo dell’in house non deve costituire il mezzo per consentire alle autorità pubbliche di svolgere, mediante la costituzione di apposite società, attività di impresa in violazione delle regole concorrenziali, che richiedono che venga garantito il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private (Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 439).
La figura si fonda sull’assunto per cui non vi è lesione del principio comunitario della concorrenza allorquando possa escludersi che l’azienda affidataria sia un vero imprenditore, circostanza che si verifica ogniqualvolta questa agisca in assenza del così detto rischio di impresa, rilevando solo quale braccio operativo dell’amministrazione, o longa manus della stessa. Si verifica così una relazione tra due soggetti che sono solo formalmente, ma non sostanzialmente, distinti.
Requisiti dell’in house, che devono sussistere tutti congiuntamente, sono:
a) la totale partecipazione pubblica.
Secondo Corte di Giustizia, Grande sezione, 8 aprile 2008, n. 337, “La partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società esclude, in ogni caso, che l'amministrazione aggiudicatrice abbia su detto ente un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi”.
La Corte di Giustizia è passata da un orientamento iniziale più rigoroso ad un orientamento più concreto e sostanzialista: la presenza dei soci privati viene considerata ostativa all’affidamento diretto solo se tale partecipazione sussista al momento della stipula della convenzione (C-371/05 e C-573/07 SEA). La giurisprudenza nazionale, più restrittiva, impone invece che la partecipazione pubblica permanga per tutta la durata della vita della società e sia garantita nel tempo da apposita clausola statutaria che contempli il divieto di cedibilità ai privati delle azioni (Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591).
La totale partecipazione pubblica nella società in house distingue il fenomeno dell’in house da quello delle società miste, che è una delle forme di partenariato pubblico-privato (nella specie istituzionalizzato, cosiddetto PPPI): in tal senso, espressamente, Cons. Stato, sez. II, parere, 18 aprile 2007, n. 456 e Cons. Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1.
b) Il controllo analogo.
Siffatto requisito è, allo stesso tempo, quello che più caratterizza l’in house e quello di più difficile individuazione.
La nozione di “controllo analogo” impone l’esercizio, da parte dell’ente pubblico controllante, di un’influenza decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Esso diviene nella sostanza un controllo strutturale; il che si verifica allorquando l’ente pubblico abbia un’influenza determinante sugli obiettivi fondamentali e strategici e, dunque, sulle decisioni di maggior rilievo della società.
La giurisprudenza è univoca. Il controllo analogo sul soggetto comporta “un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti” (Corte di Giustizia, 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Parking Brixen). Il controllo tra l’ente locale socio e la società affidataria deve andare ben oltre quello esercitabile in qualità di semplice socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario (Corte di Giustizia CE, 11 maggio 2006, C-340/04, società Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio).
Dal che consegue che la possibilità di influenza determinante, la quale si deve manifestare in un controllo effettivo e strutturale sul soggetto in house, anche se non comporta l’annullamento di tutti i poteri gestionali dell’affidatario in house, è incompatibile con il rispetto dell’autonomia gestionale da parte dello stesso (Corte Cost. 28 marzo 2013, n. 50).
c) La prevalenza dell’attività con l’ente affidante; ossia le prestazioni devono essere destinate in via principale ed esclusiva all’ente di riferimento e, conseguentemente, le altre attività devono avere carattere marginale e sussidiario.
Secondo la Corte di Giustizia un’impresa svolge la parte più importante della sua attività con l’ente che la detiene se l’attività di detta impresa è destinata principalmente all’ente stesso e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale; inoltre, nell’ipotesi in cui diversi enti detengono un’impresa, la condizione medesima può ricorrere qualora tale impresa svolga la parte più importante della propria attività, non necessariamente con questo o con quell’ente, ma con tali enti complessivamente considerati. Così che l’attività da prendere in considerazione, nel caso di un’impresa detenuta da vari enti, è quella realizzata da detta impresa con tutti questi enti (Corte di Giustizia CE, 11 maggio 2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio).

3. In particolare: controllo analogo e apertura del capitale a privati.
L’eventuale obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere a una gara di appalto deve essere valutato, in via di principio, alla luce delle condizioni esistenti alla data dell’aggiudicazione dell’appalto. La Corte di Giustizia rileva che la possibilità per i privati di partecipare al capitale della società aggiudicataria, in considerazione in particolare della forma societaria di quest’ultima, non è sufficiente, in assenza di una loro effettiva partecipazione al momento della stipula di una convenzione, per concludere che la prima condizione, relativa al controllo dell’autorità pubblica, non sia stata soddisfatta. Ciò in quanto, per ragioni di certezza del diritto, l’eventuale obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere a una gara di appalto deve essere valutato, in via di principio, alla luce delle condizioni esistenti alla data dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui si controverte (Corte di Giustizia, sez. II, 17 luglio 2008 causa C-371/05).
Secondo la Corte di Giustizia [sez. III, 10 settembre 2009 (procedimento C 573/07) - Sea S.r.l. c. Comune di Ponte Nossa, Servizi Tecnologici Comuni – Se.T.Co. S.p.A. ed altri]:
a) l'apertura del capitale rileva solo se vi è un'effettiva prospettiva di ingresso di soggetti privati nella compagine sociale, altrimenti il principio di certezza del diritto esige di valutare la legittimità dell'affidamento in house sulla base della situazione vigente al momento della deliberazione dell'ente locale affidante;
b) tuttavia, l'eventuale successiva apertura ai privati del capitale sociale “costituirebbe un cambiamento di una condizione fondamentale dell'appalto che necessiterebbe di un'indizione di gara” (da intendere per la riattribuzione del servizio, posto che l'apertura ai privati avrebbe l'effetto implicito di provocare la decadenza dell'affidamento).
In senso contrario è la giurisprudenza del Consiglio di Stato:
- lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072);
- il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi (sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591);
- non è possibile provvedere all’affidamento in house di servizi pubblici nel caso in cui l’impresa affidataria abbia acquisito una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell’ente pubblico. Detta vocazione, può, in particolare, risultare dall’ampliamento, anche progressivo, dell’oggetto sociale e dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall’espansione territoriale dell’attività della società; l’affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa finisce, infatti, per condizionare le scelte strategiche dell’ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria dell’interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo impallidire la natura di costola organica, pur se entificata, dell’ente o degli enti istituenti (sez. V, 26 agosto 2009, n. 5082).

4. L’in house frazionato o pluripartecipato.
Con l’ammissibilità dell’in house frazionato o pluripartecipato il requisito del controllo analogo acquisisce una dimensione funzionale.
La Corte di Giustizia ha ritenuto conforme ai principi comunitari l’assegnazione diretta della gestione di una rete di teledistribuzione a una società cooperativa intercomunale sulla quale il comune concedente esercita, congiuntamente a tutti gli altri comuni associati, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Qualora un'autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate esercitano su quest'ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere svolto congiuntamente dalle stesse anche attraverso delibere assunte a maggioranza (Corte di giustizia, sez. III, 13 novembre 2008, n. 324, causa C-324/07 Coditel Brabant SA).
Successivamente la Corte di giustizia [sez. III, 10 settembre 2009 (procedimento C 573/07) - Sea S.r.l. c. Comune di Ponte Nossa, Servizi Tecnologici Comuni – Se.T.Co. S.p.A. ed altri] ha specificato che, nel caso di affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una società per azioni a capitale interamente pubblico, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta società può essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi nel caso in cui:
a) l’attività di tale società è limitata al territorio di detti enti ed è esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi;
b) e tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società.
Da ultimo la Corte di Giustizia (sez. III, 29 novembre 2012, n. 182) ha ribadito che quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un'entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un'autorità pubblica aderisce ad un'entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della medesima, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell'Unione, debbono esercitare congiuntamente sull'entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell'entità suddetta.
I principi affermati dalla Corte di Giustizia sono stati attuati dal Consiglio di Stato, secondo cui:
a) “Nel caso di affidamento in house, conseguente alla istituzione da parte di più enti locali di una società con capitale da essi interamente costituito per la gestione di un servizio pubblico, il controllo, analogo a quello che ciascuno di essi esercita sui propri organi, deve intendersi assicurato anche se svolto non individualmente ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che sia effettivo” (Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447 e 9 marzo 2009, n. 1365);
b) nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo non deve essere necessariamente esercitato da ognuno degli enti territoriali che si avvalgono della società per il soddisfacimento delle esigenze della collettività di riferimento, essendo sufficiente che detto controllo venga espletato dai soci nella loro totalità, dovendosi seguire un criterio sintetico imperniato sui rapporti tra la collettività degli enti pubblici rispetto alla società affidataria (Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2009, n. 5082).
L’accertamento sul carattere effettivo del controllo congiunto viene in tal modo demandato a un’indagine empirica che è ancora in attesa di essere riempita di contenuti.

5. L’accertamento dei requisiti dell’in house.
La verifica dell’effettività del controllo analogo, come quella dell’accertamento dei requisiti dell’in house, va condotta in concreto alla stregua delle previsioni dello statuto del soggetto in house.
In pratica diviene essenziale il contenuto dello statuto, che, pur lasciato all’autonomia delle parti, dovrà avere una sorta di standard minimo perché la società possa essere in house e, in particolare, prevedere:
a) il divieto esplicito di cedere le azioni o di costituire su di esse diritti a favore di terzi;
b) la nomina, da parte dell’ente controllante, del consiglio di amministrazione. In particolare la nomina degli amministratori è il principale dei diritti del socio unico e costituisce l’espressione massima dell’ingerenza nell’amministrazione di una società[5];
c) le modalità per l’esercizio del controllo analogo sulla società, nel rispetto dei principi del diritto europeo e della relativa giurisprudenza;
d) le modalità per l’esercizio dei poteri di indirizzo e di controllo sulla politica aziendale;
e) l’obbligo dell’esercizio dell’attività societaria in maniera prevalente in favore dell’ente controllante.
L’indagine empirica, in caso di controversia, diviene compito affidato ai giudici nazionali.

6. L’in house modello organizzativo e modalità di affidamento.
Nel legittimare l’affidamento in house, la Corte di Giustizia ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche degli Stati membri "autoprodurre" beni, servizi o lavori mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall'ente conferente, siano legati a quest'ultimo da una "relazione organica". Il diritto comunitario, infatti, non impone in alcun modo alle autorità pubbliche di ricorrere a una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico (Corte di Giustizia, CE, Grande Sezione, 9 giugno 2009, causa C-480/06).
Allo scopo di evitare che l'affidamento diretto a soggetti in house si risolva in una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza in presenza dei requisiti legittimanti l’in house[6].
In sostanza, l’in house, anche se costituisce un modello organizzativo consentito alle pubbliche amministrazioni, non cancella il principio di concorrenza, che rappresenta uno dei principi del TFUE. Ossia la libertà delle amministrazioni di autorganizzarsi, e quindi di decidere l’erogazione di un servizio in autoproduzione, non deve incidere sul principio di tutela della concorrenza.
La configurabilità di una relazione in house comporta l’ammissibilità di un affidamento diretto, ossia senza previa indizione di procedura di evidenza pubblica; procedura che rappresenta la regola conseguente all’applicazione del principio di concorrenza. Si comprende allora come tutta la costruzione dell’istituto dell’in house consegue ad una esigenza eminentemente pratica; ossia l’individuazione delle ipotesi in cui alle amministrazioni aggiudicatrici, o agli enti aggiudicatori, è consentito disporre un affidamento diretto (senza gara) di un servizio o di un appalto.
Va premesso, tuttavia, che la concorrenza costituisce la regola e l’affidamento diretto è ammissibile quando il perseguimento degli obblighi di servizio pubblico lo rendano necessario. Invero, ai sensi dell’art. 106, comma 2, del TFUE, “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.
Ma che si intende per specifica missione loro affidata?
Significa che il principio di concorrenza trova deroga nell’ipotesi in cui la sua attuazione impedisca la specifica missione attribuita ai soggetti gestori di servizi di interesse economico generale; ossia la soddisfazione dello specifico bisogno pubblico sottostante il servizio. Quindi il diritto europeo ammette il ricorso all’in house quando la soddisfazione del bisogno pubblico non è realizzabile tramite la concorrenza. Emblematico è il caso del cosiddetto “fallimento del mercato”, nozione ben nota agli economisti.
Si tratta di «un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggetivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo» (Corte Cost. 20 marzo 2013, n. 46 e 17 novembre 2010, n. 325). Nello stesso senso Cons. Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1.
L’in house, nei servizi pubblici locali di rilevanza economica, aveva assunto carattere derogatorio ed eccezionale con l’art. 23-bis, commi 3 e 4, del d.l. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 133/2008, e successive modificazioni.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 199/2012, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 per violazione dell’art. 75 Cost. siccome in contrasto con la volontà popolare espressa con il referendum del giugno 2011 (poiché in gran parte riproduttivo dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, abrogato per effetto del referendum), ha ritenuto che il legislatore non potesse prevedere limiti all’affidamento in house nella materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, sia a seguito dell’abrogazione referendaria di eguale normativa nazionale sia a causa dell’inesistenza di limitazioni all’in house da parte della normativa europea.
Ciò cambiando in parte la propria precedente giurisprudenza[7].
Il dilemma attuale è se l’in house sia divenuto, o meno, modalità di affidamento del servizio sullo stesso piano del ricorso all’evidenza pubblica (con gara semplice, oppure a doppio oggetto ai fini della costituzione di una società mista) e meramente alternativo allo stesso; sulla falsariga di quanto era stato disposto dall’art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000[8]. Ossia: in house del tutto libero, oppure necessità di una motivata valutazione sulla convenienza economica e finanziaria rispetto alle alternative modalità di affidamento?
Malgrado la sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, gli incentivi al ricorso all’evidenza pubblica, nonché i limiti a cui sono sottoposte le società affidatarie in house, che si trovano affermati nell’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011, e successive modificazioni (si vedano i commi 3 e 4 per gli incentivi e il comma 6 per i limiti), inducono a ritenere che il ricorso all’affidamento in house non sia del tutto libero e che ai fini della sua legittimità occorre motivare sulla convenienza (in termini di economicità, efficienza ed efficacia) rispetto all’evidenza pubblica, oppure sull’inutilità della gara ai fini della soddisfazione del bisogno pubblico relativo al servizio.
Secondo Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762, la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 4 del d.l. n. 138/2011 ha comportato il venire meno del principio dell’eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tuttavia, la scelta dell'ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare l’opzione tra modello in house e ricorso al mercato, non è libera, dovendosi basare sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire: valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti; individuazione del modello più efficiente ed economico; adeguata istruttoria e motivazione. La scelta, essendo discrezionale, è sindacabile se priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale.

7. L’in house nella normativa vigente: nelle società che gestiscono servizi pubblici locali di rilevanza economica.
La disciplina in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica è stata azzerata a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012. Dal che è conseguita l’applicazione diretta della normativa europea: le norme del TFUE (in particolare, l’art. 106), i principi del Trattato e quelli enucleati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Poi c’è stata la mini riforma di cui all’art. 34 del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012 (commi da 20 a 27), che ha toccato anche l’in house, esclusi i settori cosiddetti speciali[9].
Come per le altre modalità di affidamento del servizio (gara, e costituzione di una società mista previa gara cosiddetta a doppio oggetto, ossia per la scelta del socio e la gestione del servizio), anche l’affidamento in house deve essere effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta (che sono quelli di cui al paragrafo 2) e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste (art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012).
In particolare, quando la scelta dell'impresa da incaricare dell'assolvimento di obblighi di servizio pubblico non è effettuata nell'ambito di una procedura di evidenza pubblica, il valore delle compensazioni deve essere calcolato sulla base dei costi di un’azienda media gestita in modo efficiente[10]. Invero le compensazioni eccedenti quanto necessario per coprire i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico possono tradursi nell’attribuzione di un indebito vantaggio che può falsare la concorrenza (si veda l’allegato al regolamento CE n. 1370/2007), dando luogo ad un aiuto di Stato.
Invece, se la scelta dell’impresa incaricata degli obblighi di servizio pubblico è avvenuta previa gara, vige la presunzione che la stessa sia in grado di fornire i servizi al costo minore per la collettività e che la relativa compensazione non ecceda quanto necessario per coprire i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizi pubblico.
Quindi, ex art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012, obbligo in capo all’ente affidante della redazione di una specifica relazione, con previsione di adeguata pubblicità e di contenuti minimi. La violazione di questo obbligo e dei prescritti contenuti si riverbera nella patologia dell’affidamento: ossia nell’illegittimità del provvedimento amministrativo, che, ove annullato, dà luogo, a cascata, all’inefficacia del contratto successivamente stipulato.
L’art. 34, comma 21, del d.l. n. 179/2012 ha prescritto l’adeguamento, entro il termine del 31 dicembre 2013, degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto stesso non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea; ad esempio un affidamento in house carente di una delle condizioni prescritte. L’adeguamento va disposto con la pubblicazione, nella medesima data, della relazione prevista al comma 20.
Mentre, per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento.
Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel comma 21 dell’art. 34 del d.l. n. 179/2012 è sanzionato con la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013.
Quest’ultima previsione è stata però rimodulata dall’art. 13 del d.l. n. 150/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 15/2014, che ha previsto:
a) (al comma 1) la possibilità, da parte del soggetto gestore del servizio, di continuare nella gestione fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014, sempreché l’ente affidante abbia già avviato le procedure di affidamento pubblicando la relazione di cui al comma 20 dell’art. 34 del d.l. n. 179/2012. Ciò in espressa deroga a quanto previsto dal successivo comma 21 e al fine di assicurare la continuità del servizio;
b) (al comma 2) l'esercizio dei poteri sostitutivi, da parte del prefetto e con spese a carico dell'ente inadempiente, in caso di mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 1 dell'art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, ovvero di mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014. L’ente inadempiente dovrà poi provvedere agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014;
c) (al comma 3) in caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 1 e 2, la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.
Con la conseguenza che la cessazione degli affidamenti non conformi al diritto europeo è stata sostanzialmente prorogata di un altro anno (al 31 dicembre 2014); con una tecnica dilatoria, usata di frequente nei recenti interventi legislativi, che non induce verso la certezza del diritto e la consapevolezza della sua cogenza.
Un ulteriore obbligo in capo agli enti locali è stato posto - senza sanzione - dall’art. 13, comma 25-bis, del d.l. n. 145/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 9/2014, che ha disposto l’invio delle relazioni di cui all'art. 34, commi 20 e 21, del d.l. n. 179/2012 all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, che provvederà a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio.
Tutti questi compiti sono posti dalla legge in capo agli enti locali affidanti. Ma, con riguardo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, sono di competenza degli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituti o designati ai sensi dell’art. 3-bis, comma 1, del d.l. n. 138/2011, a cui spettano le funzioni di organizzazione, di scelta della forma di gestione e di affidamento della gestione stessa (in tal senso è il comma 1-bis del citato art. 3-bis, inserito dall’art. 34, comma 23, del d.l. n. 179/2012).
L’affidamento in house comporta una serie di limiti. Si tratta di svantaggi per l’ente affidante (o il soggetto gestore) e di obblighi a carico del soggetto affidatario; entrambi prescritti dall’art. 3-bis, commi 3, 4 e 5 (ex 6), del d.l. n. 138/2011 e recentemente ammorbiditi dalla legge di stabilità 2014 (l. n. 147/2013), che ha soppresso il previsto assoggettamento delle società affidatarie in house al patto di stabilità interno.
Sotto la prima visuale:
a) l'applicazione di procedura di affidamento dei servizi a evidenza pubblica, da parte di regioni, province e comuni o degli enti di governo locali dell'ambito o del bacino, costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111;
b) (fatti salvi i finanziamenti ai progetti relativi ai servizi pubblici locali di rilevanza economica cofinanziati con fondi europei) i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali ai sensi dell'art. 119, quinto comma, della Cost. sono prioritariamente attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica o di cui comunque l'Autorità di regolazione competente abbia verificato l'efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti dall'Autorità stessa.
Dal che è evidente il favor della legge per la gara a discapito dell’in house.
Dalla seconda visuale, le società affidatarie in house devono:
a) acquistare beni e servizi secondo le disposizioni di cui al d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti);
b) adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'art. 35 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165[11].
Invece, le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall’applicazione diretta dei vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti per l'ente locale controllante. Sono però tenute all’adozione, con propri provvedimenti, dei detti vincoli qualora stabiliti dall’ente locale controllante. Ciò a seguito della l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) che ha modificato in tal senso l'art. 18, comma 2-bis, del d.l. n. 112/2008 e l’art. 3-bis, comma 6, del d.l. n. 138/2011. Resta comunque fermo quanto previsto dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008.
Ciò comporta, nella sostanza, una parziale assimilazione delle società in house alle amministrazioni pubbliche.

8. Segue: e nelle società strumentali.
Il modello della società in house esiste, come si è detto, anche nelle società strumentali, ossia in quelle che svolgono prestazioni a favore di pubbliche amministrazioni.
Anche qui la regola è quella, da parte delle pubbliche amministrazioni, dell’acquisizione sul mercato di beni e di servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti). Tale regola viene solennemente affermata, seppure con qualche eccezione e a decorrere dal 1° gennaio 2014, dall’art. 4, comma 7, del d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135/2012, e successive modificazioni, “Al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”.
Tuttavia, il primo periodo del comma 8 del citato art. 4 precisa quello che è già insito nel sistema: “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house”[12]. Ossia in house anche per le società strumentali ma in maniera conforme al modello europeo.
Con la salvezza - affermata dal secondo periodo del comma 8 del citato art. 4 - degli affidamenti in essere (chiaramente non conformi al modello europeo dell’in house) fino alla scadenza naturale e comunque (se non è prevista scadenza) fino al 31 dicembre 2014[13].
I commi 7 e 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012 non si applicano alle procedure previste dall'art. 5 della legge 8 novembre 1991, n. 381 (per effetto del comma 8-bis), mentre il comma 8 non si applica alle Regioni ad autonomia ordinaria per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 23 luglio 2013, n. 229, che ha dichiarato il comma incostituzionale in tale parte. La Corte ha ritenuto che la disposizione, come quelle dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, e 3-sexies, incidono sulla materia dell’organizzazione e funzionamento della Regione, affidata dall’art. 117, quarto comma, della Cost., alla competenza legislativa regionale residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria e alla competenza legislativa regionale primaria delle Regioni ad autonomia speciale dai rispettivi statuti, tenuto conto che esse inibiscono in radice una delle possibili declinazioni dell’autonomia organizzativa regionale.
Il che consegue al riparto costituzionale della competenza legislativa tra Stato e Regione e non comporta certo che le Regioni non possono affidare direttamente a soggetti in house conformi al diritto europeo.
Anche le società strumentali in house - come quelle in house affidatarie di servizi pubblici - devono adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità. Inoltre esse, diversamente dalle società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica, sono tenute al rispetto dei vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti per l'ente locale controllante ai sensi dell'art. 18, comma 2-bis, del d.l. n. 112/2008, [art. 18, commi 2 e 2-bis, del d.l. n. 112/2008, e successive modificazioni, da ultimo apportate con la l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014)].
Limiti - numerici, qualitativi e con riguardo alla modalità di scelta - sono posti alla composizione dei consigli di amministrazione delle società in house, siccome a totale partecipazione pubblica, nonché ai compensi degli amministratori (art. 4, commi 5 e 4, del d.l. n. 95/2012).

9. L’in house nel trasporto pubblico locale e nel servizio di distribuzione del gas naturale.
Con riferimento al trasporto pubblico locale è intervenuto il regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2007, n. 1370, richiamato dall’art. 61 della l. 23 luglio 2009 n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia). Le norme del regolamento disciplinano anche il modello di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale. Queste, pur prevedendo la gara quale modalità ordinaria di affidamento dei servizi, consentono l’affidamento in house quale deroga di carattere generale e l’affidamento diretto a terzi per i servizi ferroviari regionali e, solo per i servizi su gomma, nel caso in cui il valore economico del servizio sia inferiore a determinate soglie (valore annuo medio stimato inferiore a 1 milione di euro o volume inferiore a 300000 chilometri l’anno) o nel caso in cui si versi in condizioni di emergenza (per garantire la continuità dei servizi).
In particolare, l’art. 61 della n. 99/2009 consente nel trasporto pubblico regionale e locale di aggiudicare contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, secondo le prescrizioni di cui all’art. 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6, e all’art. 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007; le quali prevedono tale possibilità anche a favore di società la cui partecipazione pubblica non è totalitaria, sempreché ci sia il controllo analogo, di per sé non escluso da siffatta circostanza.
Qualora le autorità competenti si avvalgano delle previsioni di cui all’art. 5, paragrafo 2, del citato regolamento, esse devono aggiudicare tramite contestuale procedura ad evidenza pubblica almeno il 10 per cento dei servizi oggetto dell’affidamento a soggetti diversi da quelli sui quali esercitano il controllo analogo, ai sensi dell’art. 4-bis del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 3 agosto 2009, n. 102. Quest’ultima costituisce norma di liberalizzazione minima.
Nel servizio di distribuzione del gas naturale - che ha costituito sin dall’inizio un settore speciale, con una sua specifica disciplina, escluso da quella generale dei servizi pubblici locali (si veda attualmente l’art. 34, comma 25, del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012) - non è consentito l’in house. Ciò in applicazione di specifica disposizione di legge (art. 14, comma 1, del d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164, secondo cui “L'attività di distribuzione di gas naturale è attività di servizio pubblico. Il servizio è affidato esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni”), emanata in attuazione di normativa comunitaria[14].

10. Peculiari ipotesi di in house.
Specifiche ipotesi di in house sono previste dalla normativa interna. Se ne indicano alcune a titolo esemplificativo.
Nell’ambito delle società strumentali, ossia di quelle che svolgono attività in favore della pubblica amministrazione che vi partecipa (nella specie Ministero della difesa), si segnala la Difesa Servizi s.p.a., costituita ex art. 535 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (codice dell’ordinamento militare). Vi si trovano tutte le caratteristiche tipiche della società in house, nel rispetto dei principi del diritto europeo e della giurisprudenza comunitaria.
Altra ipotesi di in house statale è prevista dall’art. 19, comma 5, del d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 102/2009, secondo cui “Le amministrazioni dello Stato, cui sono attribuiti per legge fondi o interventi pubblici, possono affidarne direttamente la gestione, nel rispetto dei principi comunitari e nazionali conferenti, a società a capitale interamente pubblico su cui le predette amministrazioni esercitano un controllo analogo a quello esercitato su propri servizi e che svolgono la propria attività quasi esclusivamente nei confronti dell'amministrazione dello Stato.

11. La società in house come società a diritto speciale.
La società in house vive innanzitutto come una società qualsiasi soggetta al codice civile ma, in quanto species del genus delle società pubbliche, del quale fanno parte anche le società miste, ha un regime peculiare, che riguarda, da una parte, la possibilità di costituire la società e, dall’altra, la vita, l’attività e il regime della stessa. La legge prevede alcuni limiti e vincoli ai quali sono assoggettate le società in house; i quali, entrambi, sono stati riconosciuti legittimi dalla Corte Costituzionale (con la sentenza 20 marzo 2013, n. 46[15]).
La riprova di tutto questo la si trova nell’art. 4, comma 13, quarto periodo, del d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135/2012, secondo cui “Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”.
Quindi la società pubblica deve essere assoggettata, innanzitutto, allo statuto privatistico dell'imprenditore, con applicazione di alcune regole pubbliche quali, ad esempio, quelle che configurano la responsabilità amministrativa per danno erariale subito dai soggetti pubblici partecipanti. L'applicazione di questo statuto implica, altresì, che, in ossequio alle prescrizioni imposte dal diritto europeo per tutelare la concorrenza (in particolare artt. 106 e 345 del TFUE), deve essere assicurato il principio di pari trattamento tra impresa pubblica e privata: è, pertanto, vietata l'attribuzione — al di fuori dei casi in cui si debba garantire la "missione pubblica" (art. 106, comma 2) nel settore dei servizi pubblici — di qualunque diritto speciale o esclusivo in grado di incidere negativamente sulle regole concorrenziali (in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574).
Nel campo delle società strumentali, e con esclusione delle società che gestiscono o erogano servizi pubblici, vi è un limite legislativo alla costituzione della società, posto dall’art. 3, comma 27, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Tale norma ha posto un limite all'impiego dello strumento societario non tanto per assicurare la tutela della concorrenza quanto per garantire, in coerenza con l'esigenza di rispettare il principio di legalità, il perseguimento dell'interesse pubblico. Può, pertanto, ritenersi che, allo stato, esiste una norma imperativa che - esprimendo un principio già in precedenza immanente nel sistema - pone un chiaro limite all'esercizio dell'attività di impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento anche dell'interesse pubblico (Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574).
Sempre in ambito di società strumentali l’in house ha anche un altro limite che non si rinviene in caso di gestione o di erogazione di servizi pubblici, ed è l’esclusività dell’oggetto sociale a favore delle amministrazioni pubbliche che vi partecipano, in applicazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni. Esse, infatti, “devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale”.
Siffatto limite, che riguarda le “società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività”, dal quale sono escluse le società statali, viene imposto al dichiarato “fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”.
Il che comporta, conseguentemente, che le società strumentali degli enti locali e delle Regioni per essere in house devono possedere solo due dei tre requisiti prescritti; il controllo analogo e la totale partecipazione pubblica, non essendo possibile la configurabilità del terzo, ossia la prevalenza dell’attività, essendo già richiesto per legge qualcosa che assorbe la prevalenza, quale l’esclusività.
Recentemente la Corte di Cassazione (sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283[16]) ha ritenuto che la Corte dei Conti abbia giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house. Ciò in quanto queste ultime hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. All’impossibilità di configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo consegue che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità.
Da ciò discende che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l'attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità.
La peculiarità della pronuncia consiste in questo: pur affermando la permanenza della separazione patrimoniale tra capitale del socio (pubblico) e capitale della società, carattere tipico del regime societario, la riconducibilità del patrimonio della società in house al socio pubblico configura il danno erariale e fa scattare, conseguentemente, la giurisdizione della Corte dei Conti.

12. L’in house nell’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in poi Autorità) si è varie volte interessata di in house nell’ambito della sua attività consultiva e di segnalazione[17]. I pareri resi dalla stessa rivestono rilievo ai fini dell’individuazione in concreto dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per la praticabilità dell’in house.
Con il parere reso alla Regione Abruzzo in data 7 novembre 2013 (AS1095), con riguardo al trasporto pubblico locale, si è escluso l’in house:
a) in caso di società che fornisce servizi di trasporto pubblico locale urbano in virtù di affidamento diretto da parte di un Comune che è amministrazione diversa dalla società controllante;
b) quando residuano ampi margini di autonomia decisionale in capo agli organi di amministrazione della società;
c) nell’ipotesi in cui lo statuto della società ricomprende nell’oggetto sociale tutta una serie di attività ulteriori rispetto all’esercizio di quella principale in favore degli enti controllanti, suscettibili di conferire alla società una vocazione commerciale incompatibile con i limiti all’operatività stabiliti per le società in house;
d) qualora lo statuto della società non precluda la possibilità di ingresso nel capitale di soci privati (subordinando tale eventualità al semplice ed eventuale gradimento dell’assemblea dei soci”).
Con il parere reso all’Ufficio per l’ambito territoriale ottimale Monza e Brianza in data 25 ottobre 2013 (AS1092), in tema di servizio idrico:
a) si è affermato che, ai fini della valutazione dell’effettività e della stabilità del controllo analogo esercitato dagli enti locali nelle società affidatarie dirette di servizi pubblici, l’interposizione di un ulteriore organismo societario nell’asse di controllo tra ente locale e società in house, se da un lato non esclude in linea di principio la sussistenza dei requisiti per la praticabilità dell’istituto, dall’altro è suscettibile di indebolire il rapporto di controllo;
b) si è ribadita l’insussistenza della relazione in house nel caso in cui lo statuto della società presuppone la possibilità di ingresso/ingerenza di soci industriali, portatori di interessi contrapposti a quelli dell’ente affidante rispetto ai propri servizi.
Con il parere reso al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca in data 27 agosto 2013 (AS1075), l’Autorità ha ritenuto che l’entrata nella compagine di un consorzio di nuovi soggetti aventi natura giuridica privata costituisca elemento di per sé ostativo alla sussistenza del requisito della partecipazione pubblica totalitaria e quindi alla legittimità di un affidamento diretto da parte del Ministero secondo il modello dell’in house [nello stesso senso va la segnalazione in data 4 agosto 2008 (AS468), che esclude la possibilità di affidamento diretto a una società qualora nel capitale della stessa sia subentrato un socio privato].
Con il parere reso al sindaco di Roma Capitale in data 1 febbraio 2013 (AS1017), si è ritenuto che la delibera di affidamento diretto da parte di Roma Capitale ad ATAC s.p.a., nei limiti in cui non assolve gli obblighi imposti dall’art. 4-bis del d.l. n. 78/2009 e dall’art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012, integri una violazione dei principi a tutela della concorrenza.

13. L’in house nelle nuove direttive appalti e concessioni.
Sulla Gazzetta ufficiale dell’UE del 28 marzo 2014 sono state pubblicate le nuove direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici.
Si tratta delle direttive 2014/24/UE nei settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (settori speciali) e 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.
La nuova normativa entra in vigore il 20° giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE e gli Stati membri hanno tempo per recepire le direttive fino al 18 aprile 2016.
Le prime due direttive sostituiscono, rispettivamente, le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, mentre la terza, in tema di concessioni, rappresenta novità assoluta.
Le direttive non parlano mai di in house ma regolano il fenomeno con riguardo agli appalti e alle concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico, o agli appalti tra amministrazioni aggiudicatrici (per i settori speciali), aggiudicati a una “persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”; escludendoli dall’ambito di applicazione delle direttive. Il riferimento normativo è all’art. 12 della direttiva appalti (2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva settori speciali (2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (2014/23/UE).
I principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di in house sono stati in gran parte recepiti e codificati; ma vi sono alcune precisazioni e novità in tema di requisiti. All’individuazione di una relazione in house consegue, come effetto, l’esclusione dall’applicazione delle direttive appalti e concessioni.
Per l’individuazione dell’in house è richiesto innanzitutto il controllo analogo.
Le direttive, al riguardo, precisano che tale condizione risulta soddisfatta qualora l’amministrazione aggiudicatrice (o anche l’ente aggiudicatore per le concessioni) eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative dell’affidatario in house e risolvono anche i dubbi in tema di cosiddetto controllo analogo indiretto, in quanto si prevede che il controllo possa essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice. Si pensi, ad esempio, alle holding di partecipazioni, che si interpongono fra l’amministrazione aggiudicatrice e la società beneficiaria in house, o alle società consortili, dove gli enti pubblici esercitano il controllo della società consortile non direttamente ma attraverso le società consorziate, che, a loro volta, sono controllate da tali enti.
Una precisazione delle nuove direttive riguarda il concetto di prevalenza dell’attività. La condizione viene ritenuta soddisfatta qualora oltre l’80% delle attività del soggetto affidatario in house siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione controllante.
Viene poi indicato cosa debba considerarsi al fine della determinazione dell’80%: prevedendolo nel fatturato totale medio, o in un’idonea misura alternativa basata sull'attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione. E in mancanza del triennio o di pertinenza del fatturato e dei costi, è sufficiente dimostrare la credibilità della misura dell’attività in base a sue proiezioni.
Novità di rilievo è quella in tema del requisito della totale partecipazione pubblica. Che è sempre richiesta, ma viene egualmente configurata una relazione in house anche in presenza di forme di partecipazione di capitali privati, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati, che non comportano controllo o potere di veto, attraverso le quali non può essere esercitata alcuna influenza determinante sul soggetto affidatario in house.
Quanto previsto in tema di affidamento a un soggetto in house vale anche per escludere l’applicazione della direttiva agli appalti o alle concessioni aggiudicati dal soggetto in house, che è a sua volta amministrazione aggiudicatrice, alla propria amministrazione controllante o ad altro soggetto giuridico controllato da quest’ultima, sempreché nell’aggiudicataria non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati di cui si è detto. Si verifica una sorta di bidirezionalità dell’in house.
La direttiva chiarisce anche le modalità attraverso cui le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo, codificando l’in house frazionato o pluripartecipato. Tali amministrazioni potranno esercitare il controllo in modo congiunto con le altre a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;
c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli dei soci pubblici partecipanti.
Vengono poi codificate le forme di cooperazione tra enti pubblici che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva.

14. Alcune considerazioni.
Come si è visto le società in house costituiscono una species del genus delle società pubbliche. Inoltre, esse vivono in un un’ulteriore nicchia nello spazio occupato dalle società a totale partecipazione pubblica, essendo necessari, per la configurabilità dell’in house, gli ulteriori elementi del controllo analogo e della prevalenza dell’attività.
Le società in house si pongono anche al confine con la concorrenza. Si tratta, infatti, di strumenti, in mano alla pubblica amministrazione, alternativi al ricorso al mercato. Nello stesso tempo le società in house non possono avere vocazione commerciale. Anzi, con riguardo alle società in house strumentali degli enti locali e delle regioni è addirittura imposta l’esclusività dell’attività a favore delle pubbliche amministrazioni controllanti, con impossibilità di ogni attività diversa, consentita invece, seppure marginalmente, per le società in house che gestiscono o erogano servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Si dice che le società in house strumentali costituiscono società che svolgono esclusivamente attività amministrativa in forma privatistica.
Da tempo la Corte Costituzionale distingue l’attività amministrativa in forma privatistica, posta in essere dalle società strumentali che operano per una pubblica amministrazione, dall’attività di impresa di enti pubblici, al fine di evitare che quest'ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in quanto pubblica amministrazione (Corte Cost. 1 agosto 2008, n. 326, 8 maggio 2009, n. 148 e, da ultimo, 23 luglio 2013, n. 229).
Ma la differenza tra società amministrazione e società impresa non regge. Essa è prevista soprattutto a giustificare i vari limiti legislativi posti a carico delle società strumentali. Limiti i quali esistono, pure se in maniera minore, anche per le società in house che erogano o gestiscono servizi pubblici locali; e sono stati solo recentemente ammorbiditi dalla legge di stabilità 2014. Ricordando sempre che, per i servizi pubblici locali, non è più consentito al legislatore rendere l’in house modalità eccezionale e derogatoria (effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012).
E’, quindi, indubbio che esiste una disciplina più restrittiva per le società strumentali in house e che permane una certa distonia con quella propria delle società in house che gestiscono o erogano servizi pubblici.
Il che consegue alla differenza di sostanza per cui, nell’ambito dei servizi di interesse economico generale, tra i quali rientrano i servizi pubblici locali, vi è un’attività diretta alla soddisfazione di bisogni collettivi, che sono quelli degli utenti del servizio, mentre nelle società strumentali l’attività è diretta unicamente nei confronti dell’amministrazione o delle amministrazioni (a loro volta socie della società in house). L’amministrazione, per soddisfare un proprio bisogno, decide di non ricorrere al mercato ma di procedere in autoproduzione costituendo un soggetto che non è altro che una costola organica della medesima, che della società diviene “cliente”.
E’ la specifica missione consistente nella gestione di servizi di interesse economico generale che consente la deroga alle regole della concorrenza allorquando esse ostino all’adempimento della missione, ossia alla soddisfazione dei bisogni collettivi e generali degli utenti del servizio (art. 106 del TFUE). E secondo una specifica disposizione del Trattato (l’art. 14), relativa ai servizi di interesse economico generale, sia l'Unione che gli Stati membri devono provvedere “affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti”.
E allora non è che le società in house strumentali sono società amministrazione mentre quelle nel settore dei servizi pubblici sono imprese pubbliche. Entrambe le società, proprio perché in house, sono parzialmente assimilate ad una pubblica amministrazione[18].
Il principio, ribadito dalla Corte di Cassazione (sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991), secondo cui la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, riguarda le società che operano “nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico”. Quindi ne sono escluse le società in house.
Un diritto speciale dei soggetti in house non è più negabile, come può dirsi ormai acquisito il carattere anomalo del fenomeno dell’in house nel panorama del diritto societario (come sottolineato dalla Corte di Cassazione, sez. un., con la sentenza 25 novembre 2013, n. 26283[19]).
In entrambi i casi di società in house strumentali e non, la mancanza di autonomia gestionale non consente l’esercizio di una vera attività di impresa da parte della pubblica amministrazione, anche perché manca il rischio d’impresa. E se così non fosse l’in house violerebbe palesemente il principio di concorrenza. In più, nei servizi pubblici locali, l’in house costituisce lo strumento del quale l’amministrazione si avvale per svolgere la sua specifica missione rivolta alla soddisfazione dei bisogni degli utenti del servizio.

15. Conclusioni.
In conclusione, a seguito dell’esame della normativa e della giurisprudenza, possono dirsi acquisiti alcuni punti fermi in tema di in house.
Ma il diritto è in continua evoluzione e l’in house ne è l’emblema. Si è vista la nuova normativa europea in materia, che ha in parte modificato alcune di quelle che erano certezze acquisite (ad esempio, in tema di controllo analogo e di totale partecipazione pubblica).
Senza dubbio abbisognano ancora di ulteriori approfondimenti e sedimentazione le diverse tematiche conseguenti alle relazioni tra la società in house e le pubbliche amministrazioni controllanti, soprattutto in tema di responsabilità e di garanzie patrimoniali per i creditori della società, di governance del soggetto in house, nonché di reciproche interrelazioni tra diritto civile e diritto amministrativo, o meglio tra rapporti privatistici e rapporti pubblicistici.
Alcune certezze vi sono, e non è poco. Preoccupa sempre, però, l’incertezza che consegue agli interventi legislativi avvenuti in materia negli ultimi anni. Ma almeno il settore ha un vantaggio, rappresentato dalla circostanza che nella materia impera la primazia del diritto europeo; primazia che consente di temere un po’ meno le carenze del nostro legislatore, anche se non impedisce le diverse antinomie di sistema.

 

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[1] In tal senso F. Cintioli, La pubblica amministrazione come socio, l’interesse pubblico e la tutela dei terzi, in Il nuovo Diritto Amministrativo, 2014, I, 7.
[2] Si tratta dell’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, abrogato dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, a seguito dell’esito del referendum del giugno 2011, nonché dell’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza 20 luglio 2012, n. 199, nonché delle diverse norme di modifica delle stesse.
[3] Sulle società strumentali, si veda, da ultimo, F. Francario, Le società a partecipazione pubblica strumentali dopo la cd. “spending review” (alla luce della sentenza Corte Cost. n. 229/2013), in Corriere merito, 2013, 933.
Quanto alla nozione comunemente accolta da dottrina e giurisprudenza del servizio pubblico locale (in contrapposizione a quella di appalto di servizi), si rimanda alla recente decisione del Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2013, n. 5532, secondo cui:
- essa comprende quelle attività che sono destinate a rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto trilaterale, con assunzione del rischio di impresa a carico del gestore;
- essa si fonda su due elementi: 1) la preordinazione dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti; 2) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità;
- il servizio pubblico locale, in quanto volto al perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della comunità, è finalizzato al soddisfacimento diretto di esigenze collettive della stessa con effetto generalizzato sul suo assetto socio-economico; riguarda di conseguenza un'utenza indifferenziata, anche se sia fruibile individualmente, ed è sottoposto a obblighi di esercizio imposti dall'ente pubblico perché gli scopi suddetti siano garantiti, inclusa la determinazione del corrispettivo in forma di tariffe.
Nello stesso percorso, in tema di differenza tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi pubblici, Cons. Stato, ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 7 e 7 maggio 2013, n. 13.
[4] Diversamente dalle società miste, che rientrano nel fenomeno del partenariato pubblico privato istituzionalizzato, disciplinate da diverse disposizioni del codice appalti (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; si vedano gli artt. 1, comma 2, 3, comma 15-ter, e 32).
[5] Cons. Stato, sez. VI, 10 gennaio 2013, n. 122.
[6] Lo ricorda espressamente Corte Cost. 28 marzo 2013, n. 50.
[7] La Corte Costituzionale, infatti, aveva ritenuto la legittimità delle norme regionali che escludono il ricorso all’in house. In particolare, Corte Cost. 20 novembre 2009, n. 307 aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 4, della l.r. Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, affermando che, in tema di tutela della concorrenza, le regioni possono dettare norme che tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste dallo Stato, in quanto principio tutelato dalla Costituzione; nella specie, prevedendo per l'affidamento della gestione dell'erogazione del servizio idrico integrato solo la modalità della gara pubblica. Si veda anche Corte Cost. 17 novembre 2010, n. 325, che aveva avallato l’impalcatura della disciplina di cui all’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008.
[8] L'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, applicabile prima dell'entrata in vigore dell'art. 23-bis d.l. n. 112/2008, nel disciplinare "la gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica", aveva previsto tre modelli alternativi: (i) l'affidamento a imprese sul mercato; (ii) la società mista; (iii) la società in house.
[9] Si tratta del servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164, del servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 e alla l. 23 agosto 2004, n. 239, nonché della gestione delle farmacie comunali, di cui alla l. 2 aprile 1968, n. 475 (art. 34, comma 25, del d.l. n. 179/2012).
[10] E’ l’ulteriore condizione ritenuta dalla Corte di Giustizia con la famosa sentenza Altmark (24 luglio 2003, n. 280), secondo cui le sovvenzioni pubbliche volte a consentire l'esercizio di servizi di linea urbani, extraurbani o regionali non costituiscono aiuti di Stato qualora debbano essere considerate una compensazione atta a rappresentare la contropartita delle prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per adempiere obblighi di servizio pubblico. In questo senso il giudice a quo deve verificare il ricorrere di una serie di condizioni, ossia che: l'impresa beneficiaria sia stata effettivamente incaricata dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi siano stati definiti in modo chiaro; i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione siano stati previamente definiti in modo obiettivo e trasparente; la compensazione non ecceda quanto necessario per coprire tutti o parte dei costi originati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti relativi agli stessi nonché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento.
[11] Tale obbligo riguarda non solo le società in house ma anche quelle a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali (art. 18, comma 1, del d.l. n. 112/208).
[12] Questo è il testo attuale della norma dopo che l’art. 34, comma 27, del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012, ha soppresso le seguenti parole che erano contenute nel primo periodo del comma 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95/2012: «e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui».
[13] L’art. 4 del d.l. n. 95/2012, comma 8, terzo periodo, dispone altresì la salvezza delle acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a 200.000 euro in favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla l. 7 dicembre 2000, n. 383, degli enti di volontariato di cui alla l. 11 agosto 1991, n. 266, delle associazioni sportive dilettantistiche di cui all'art. 90 della l. 27 dicembre 2002, n. 289, delle organizzazioni non governative di cui alla l. 26 febbraio 1987, n. 49, e delle cooperative sociali di cui alla l. 8 novembre 1991, n. 381.
L’art. 4 del d.l. n. 95/2012 è stato in gran parte abrogato per effetto della l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), anche a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dei commi 1, 2 3, secondo periodo, 3-sexies e 8 da parte della Corte Costituzionale, con sentenza 23 luglio 2013, n. 229, nella parte in cui si applicano alle Regioni ad autonomia ordinaria.
[14] La direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale.
[15] In particolare con riguardo all’assoggettamento delle società in house al patto di stabilità interno; vincolo che poi è stato soppresso, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dalla l. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), che ha abrogato l’art. 3-bis, comma 5, del d.l. n. 138/2011.
[16] La sentenza è commentata da G. Fischione e G. Pasanisi, Il rapporto del socio pubblico con la società in house sospesa tra assenza di alterità ai fini dell’affidamento e permanenza della separazione patrimoniale (note a margine di Cass., Sez. Un., n. 26283/13), in www.giustamm.it, n. 12-2013.
[17] Svolta in applicazione degli artt. 21, 21-bis e 22 della l. 22 ottobre 1990, n. 287.
[18] Il fenomeno è ben descritto da F. Cintioli, Società in mano pubblica, interesse sociale e nuove qualificazioni della giurisprudenza, in www.giustamm.it, n. 3-2014.
[19] Si rimanda alla fine del paragrafo 11.

 

(pubblicato il 31.3.2014)

 

 

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