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n. 1-2011 - © copyright |
ALBERTO ROCCELLA
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La giurisprudenza della Corte
costituzionale in materia di governo del territorio nel 2009 (*)
SOMMARIO: 1. La sanatoria edilizia del 2003. — 2.
La nuova disciplina dell’indennità di occupazione ed espropriazione
nelle zone terremotate. — 3. Altre decisioni sul governo del
territorio.
1. La sanatoria edilizia del
2003.
(s. 54; o. 150; s. 290)
La disciplina statale
della sanatoria edilizia straordinaria del 2003 (d.l. 30 settembre
2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre
2003, n. 326, art. 32) e la successiva legislazione regionale hanno
dato luogo negli anni passati a un ampio contenzioso (v. complete
indicazioni in Viva Vox 2008, p. 271) che non si è ancora
esaurito. Nel 2009 su questo tema la Corte costituzionale ha
pronunciato ancora due sentenze, con le quali ha deciso due ricorsi
del Governo avverso leggi regionali che miravano a estendere gli
abusi edilizi sanabili, e un’ordinanza, relativa a un giudizio
incidentale, tendente al medesimo risultato.
La Regione
Basilicata aveva già disciplinato la sanatoria edilizia, in
attuazione della disciplina statale, con la l.r. 12 novembre 2004,
n. 18; essa però ha modificato e integrato quella legge con la l.r.
18 dicembre 2007, n. 25, che il Presidente del Consiglio dei
Ministri ha impugnato nella sua globalità. Una sentenza della Corte
aveva, infatti, qualificato come perentorio il termine assegnato
alla Regione dall’art. 5 del d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito
dalla l. 30 luglio 2004, n. 191, al fine di poter integrare la
normativa statale (sent. n. 49 del 2006, in Viva Vox 2006,
pp. 206-210). Il ricorso contestava quindi innanzi tutto la
violazione di questo termine.
La sent. n. 54 ha deciso il
giudizio in modo articolato. In relazione alla censura generale di
tardività della legge regionale, la sentenza ha ricordato come la
precedente sent. n. 49 del 2006 avesse chiarito che il limite
temporale all’esercizio del potere legislativo da parte delle
Regioni concerne esclusivamente le disposizioni che si discostano
dalle previsioni della disciplina statale del condono, mentre il
potere legislativo regionale che si svolga in conformità dell’art.
32 del d.l. n. 269 del 2003 o nell’ambito di una qualsiasi ordinaria
materia legislativa di competenza della Regione non incontra limiti
temporali. Il solo esaurimento del termine non costituisce dunque
motivo di incostituzionalità, la quale può affermarsi solo se la
normativa regionale si sia discostata dalle previsioni contenute
nell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, alterando in tal modo la
normativa statale in materia di condono edilizio, che deve trovare
applicazione una volta consumatosi lo spazio temporale assegnato al
legislatore regionale per integrare tale disciplina (sent. n. 196
del 2004, in Viva Vox 2004, pp. 200-202). Il ricorso tuttavia
non aveva argomentato in modo specifico la lamentata estensione del
condono oltre quanto consentito dalla disciplina statale, cosicché
alcune censure sono state dichiarate inammissibili.
La censura
nei confronti dell’art. 2 della legge regionale è stata dichiarata
infondata perché basata su un presupposto interpretativo erroneo. La
disposizione non riapriva il termine per presentare la domanda di
condono ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 e della l.r.
n. 18 del 2004, ma si limitava a prorogare i termini per la
definizione, da parte dei Comuni, dei procedimenti relativi alle
domande di rilascio del titolo edilizio in sanatoria presentate nei
termini previsti dalla l. 28 febbraio 1985, n. 47.
È stata invece
accolta la censura relativa all’art. 1, comma 1, lett. a),
della legge regionale impugnata che aveva modificato la l.r. n. 18
del 2004 mutando sostanzialmente il concetto di «opere ultimate»,
poiché non si richiedeva più che l’opera fosse edificata in tutte le
sue componenti strutturali «ivi compresi (…) i muri perimetrali». La
soppressione del riferimento a tale ultimo elemento comportava
l’estensione del condono edilizio anche a opere che la legislazione
statale e la precedente disciplina regionale escludevano dal
condono. La norma impugnata aveva pertanto l’effetto di estendere
l’area del condono oltre il termine assegnato alla Regione ai fini
dell’integrazione della normativa statale, ma soprattutto
modificando la normativa statale stessa e quindi generando una
frattura nel processo di uniforme e prevedibile applicazione della
relativa disciplina, come consolidata dal decorso del termine
previsto dall’art. 5 del d.l. n. 168 del 2004. La sentenza ha
affermato quindi la lesione dell’affidamento dei cittadini (per vero
discutibile, giacché la disposizione impugnata allargava, e non
restringeva, l’area degli illeciti sanabili) e soprattutto la
lesione della certezza del diritto, individuata come un valore
suscettibile di essere compromesso da ogni condono edilizio, così da
fungere da criterio, unitamente ad altri, alla luce del quale
valutare l’osservanza degli stretti limiti imposti al condono dal
sistema costituzionale (sent. n. 196 del 2004, par. 24 del Considerato in diritto, e, già in relazione al primo condono
edilizio del 1985, sent. n. 369 del 1988).
La sentenza ha
accolto, per gli stessi motivi, anche la censura proposta nei
confronti di altra disposizione della legge regionale (art. 1, comma
1, lett. c) che limitava il divieto di sanare le opere
abusive edificate su aree sottoposte a vincoli di tutela solo quando
questi ultimi comportino l’inedificabilità assoluta, mentre la
disciplina statale attribuisce effetto impeditivo della sanatoria a
ulteriori vincoli, che la norma impugnata, derogando a quanto già
previsto in origine dalla legge regionale n. 18 del 2004, avrebbe
avuto l’effetto di vanificare.
L’altro giudizio in via principale
in tema di sanatoria edilizia ha riguardato l’articolo unico della
l.r. Marche 27 maggio 2008, n. 11, recante interpretazione autentica
della precedente l.r. 29 ottobre 2004, n. 23, con cui la Regione
aveva dato seguito alla disciplina posta dall’art. 32 del d.l. 269
del 2003. La sent. n. 290 ha riconosciuto che la disposizione
impugnata aveva effettivamente interpretato la precedente legge
regionale, e non la disciplina statale alla quale la legge regionale
interpretata rinviava, cosicché non risultava fondata una prima
censura, consistente nella violazione dell’art. 117, primo comma e
secondo comma, lett. l), Cost. Altra questione sarebbe stata
invece chiedersi se per tale via la Regione avesse ecceduto i limiti
della propria competenza legislativa: la sent. n. 232 del 2006 (in Viva Vox 2006, pp. 851-852) ha infatti chiarito che la
potestà di interpretazione autentica spetta al titolare della
funzione legislativa nella materia cui la norma è riconducibile,
sicché per negare la competenza regionale di natura interpretativa
il ricorso avrebbe dovuto individuare siffatta materia e contestare
che la relativa disciplina legislativa spettasse alla Regione. La
sentenza ha però accolto l’altra censura nei confronti della
disposizione impugnata la quale, tramite un’asserita interpretazione
autentica dell’art. 2, comma 1, lett. a), della l.r. n. 23
del 2004, stabiliva che i vincoli previsti dall’art. 32, comma 27,
lett. d), del d.l. n. 269 del 2003 e dall’art. 33 della l. n.
47 del 1985 impedissero la sanatoria solo se tali da comportare
l’inedificabilità assoluta. In tal modo si intendevano rendere
condonabili gli interventi in area vincolata quando il vincolo
avesse carattere meramente relativo. Il ricorso non aveva addotto
alcun argomento per contestare la previsione relativa ai vincoli
regolati dall’art. 33 della l. n. 47 del 1985 e quindi la sentenza
ha riguardato soltanto i vincoli previsti dal d.l. 269 del 2003
(vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela
degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni
ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette
nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima
dell’esecuzione delle opere). Il richiamo ai precedenti della
giurisprudenza costituzionale, e da ultimo alla sent. n. 54 del 2009
di cui si è detto sopra, è stato sufficiente per la dichiarazione di
illegittimità costituzionale parziale: solo alla legge statale
compete l’individuazione della portata massima del condono edilizio
straordinario e l’art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269
del 2003 salvaguarda anche vincoli di carattere relativo che la
disposizione impugnata intendeva invece vanificare.
Infine
l’ord. n. 150 ha deciso la questione di legittimità
costituzionale della disciplina statale della sanatoria sollevata da
un’ordinanza del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli,
sezione di Ischia: questi, dopo aver riunito centoquaranta
procedimenti aventi per oggetto l’esecuzione dell’ordine di
demolizione di opere abusive pronunciato insieme con la condanna
penale conseguente alla realizzazione di tali opere, lamentava che
nelle aree sottoposte a vincolo ai sensi dell’art. 32 della l. n. 47
del 1985 la sanatoria fosse possibile secondo il diritto vivente,
formatosi a seguito di Cass., III pen., 12 gennaio 2007, n. 6431,
soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza, in
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.; l’ordinanza proponeva anche
ulteriori censure con riguardo agli artt. 81 e 117, secondo comma,
lett. a) ed e), e terzo comma, Cost. La Corte ha
rilevato in via preliminare che l’ordinanza di rimessione non aveva
articolato autonome doglianze di illegittimità costituzionale, ma si
era limitata a censurare i passaggi logici seguiti dalla Corte di
cassazione, la cui interpretazione, nelle molteplici sentenze in
materia era del tutto conforme alla lettera della disposizione
impugnata. Lo stesso vizio era ravvisabile nelle altre censure,
cosicché la questione configurava un improprio tentativo di ottenere
dalla Corte costituzionale l’avallo della (diversa) interpretazione
della norma suggerita dal rimettente; le vesti dell’incidente di
legittimità costituzionale mascheravano una questione meramente
interpretativa. La Corte quindi, secondo la sua costante
giurisprudenza (ord. n. 161 del 2007, in Viva Vox 2007, pp.
136-137 e p. 486; ord. n. 114 del 2006, in Viva Vox 2006, pp.
72-73), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione.
I tentativi di estendere gli abusi edilizi sanabili, attraverso
leggi regionali tardive o attraverso l’incidente di legittimità
costituzionale, sono dunque tutti caduti. Sul piano politico si
registra, tuttavia, un’iniziativa legislativa tendente al medesimo
risultato, mediante la riapertura dei termini per la domanda di
sanatoria fino al 31 dicembre 2010 (Atti Senato, XVI leg., ddl n.
2020, d’iniziativa dei senatori Sarro e altri, presentato il 17
febbraio 2010). Si registra inoltre l’emanazione del d.l. 28 aprile
2010, n. 62, che ha disposto la temporanea sospensione delle
demolizioni disposte dall’autorità giudiziaria in Campania per abusi
edilizi, realizzati entro il 31 marzo 2003, allo stato non sanabili,
presumibilmente proprio in vista di future modifiche alla disciplina
sostanziale della sanatoria; questo decreto-legge, peraltro, non è
stato convertito in legge.
2. La nuova disciplina
dell’indennità di occupazione ed espropriazione nelle zone
terremotate.
(s. 24)
Con due ordinanze identiche il
Tribunale di Napoli ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 3, d.l. 28 dicembre 2006, n. 300,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17,
che aveva determinato la reviviscenza dell’efficacia dei verbali di
concordamento dell’indennità nell’ambito delle procedure
espropriative per gli interventi nelle zone colpite dagli eventi
sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, ai sensi della l. 14
maggio 1981, n. 219. Diversamente, questi verbali sarebbero stati da
considerare inefficaci per la mancata emanazione dei decreti di
esproprio entro il termine di scadenza delle occupazioni.
La sent. n. 24 (sulla quale v. anche il Cap. XXXI, Sistema
delle fonti, sez. a) fonti statali e il Cap. XXXVI, Rapporti
con altri ordinamenti, sez. a, rapporti con l’ordinamento
internazionale) ha accolto la questione. La sentenza ha
ricostruito l’evoluzione della legislazione e della giurisprudenza
sulle occupazioni ed espropriazioni nelle zone terremotate,
riconoscendo che la disposizione censurata sanciva l’efficacia degli
accordi indennitari intervenuti nel corso del procedimento, a
prescindere dall’emanazione del decreto di espropriazione. Essendo
mancata la tempestiva emanazione del decreto di esproprio, la
disposizione censurata, a oltre venti anni da quella vicenda,
intendeva salvaguardare l’efficacia degli accordi, con l’intento di
incidere sulle liti in corso, quando erano venute meno le condizioni
che avevano contribuito a determinare la volontà negoziale delle
parti private.
La sentenza ha ricordato la giurisprudenza
costituzionale secondo cui l’intervento legislativo diretto a
regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano
rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi
generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle
situazioni giuridiche (sent. n. 74 del 2008, in Viva Vox 2008, pp. 818-819, e n. 376 del 1995), anche al fine di assegnare a
determinate disposizioni un significato riconoscibile come una delle
possibili letture del testo originario (sent. n. 234 del 2007, in Viva Vox 2007, p. 274; sent. n. 274 del 2006, in Viva Vox
2006, pp. 708-709). La norma successiva non può, però, tradire
l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni
sostanziali (sent. n. 156 del 2007, in Viva Vox 2007, pp.
495-496; sent. n. 416 del 1999), pur se dettata dalla necessità di
riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica
(sent. n. 374 del 2002, in Viva Vox 2002, p. 779) o per far
fronte ad evenienze eccezionali (sent. n. 419 del 2000).
La
sentenza ha quindi riconosciuto carattere innovativo, e non
interpretativo, alla norma censurata. La sua portata precettiva non
è stara considerata compatibile, come possibile opzione
interpretativa, con la disciplina previgente, che anzi deponeva nel
senso dell’inefficacia dell’accordo se non fosse stato
tempestivamente emanato il decreto di esproprio. La norma
interveniva su situazioni in cui si era consolidato l’affidamento
del privato sulla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando
una disciplina con esso contrastante e sbilanciandone l’equilibrio a
favore di una parte (quella pubblica, o del privato assuntore
dell’opera, comunque tenuto a sopportare le conseguenze economiche
dell’espropriazione), e a svantaggio dell’altra (il proprietario). I
proprietari degli immobili assoggettati al procedimento
espropriativo, infatti, erano stati indotti a concordare
l’indennità, determinata cumulativamente per occupazione ed
espropriazione, da una valutazione di convenienza riferita a quel
momento specifico della procedura. Nella valutazione dei motivi per
la stipulazione dell’accordo non poteva non essere presente la
consapevolezza della disciplina vigente in tema di accordi, ivi
compresa l’eventualità di una loro inefficacia ove la procedura non
fosse pervenuta a compimento. La sentenza ha quindi affermato
l’irragionevolezza della disposizione impugnata, con assorbimento
degli altri motivi di censura.
3. Altre decisioni sul
governo del territorio.
(s. 164; s. 239; o. 312; s. 318; s.
340)
Gli altri giudizi in materia di governo del territorio
definiti dalla Corte nel 2009 sono stati un giudizio incidentale,
tre giudizi in via principale su leggi regionali e un giudizio
proposto da varie Regioni nei confronti di una disposizione di legge
statale.
La Corte d’appello di Bari ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in riferimento agli artt. 3, 25,
secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, nella parte in
cui impone al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione
abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere
abusivamente costruite anche a prescindere dal giudizio di
responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti.
L’ordinanza richiamava anche recenti decisioni della Corte europea
dei diritti dell’uomo per sostenere la natura penale, e non
amministrativa, di questa confisca, e quindi la violazione dei
parametri costituzionali sulla responsabilità penale. La materia del
governo del territorio aveva già dato occasione alla Corte
costituzionale di pronunciare fondamentali decisioni sulla rilevanza
della Cedu nell’ordinamento italiano (v. sentt. nn. 348 e 349 del
2007, in Viva Vox 2007, p. 207); la stessa materia costituiva
ora occasione per un nuovo giudizio in materia. La Corte ha però
dichiarato l’inammissibilità della questione, per la commistione di
due distinte categorie di soggetti, con la sent. n. 239,
sulla quale si rinvia al Cap. I, Diritto penale, sez. a) reati e
pene.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato
varie disposizioni della l.r. Umbria 10 luglio 2008, n. 12, Norme
per i centri storici, ma successivamente l’Avvocatura generale
dello Stato ha rinunziato al ricorso in quanto un più approfondito
esame delle questioni ne aveva fatto venire meno le motivazioni. La
Regione Umbria non si era costituita in giudizio e pertanto la
Corte, secondo la sua consolidata giurisprudenza, con l’ord. n.
312 (sulla quale v. anche il Cap. XXXIV, Rapporti Stato –
Regioni – Enti locali, sez. b, Competenze legislative e
amministrative e il Cap. XXXVII, sez. b, Giudizio sulle leggi
in via principale e conflitti fra enti) ha dichiarato
l’estinzione del processo.
Il Presidente del Consiglio dei
Ministri ha impugnato altresì due disposizioni della l.r. Liguria 6
giugno 2008, n. 16, recante Disciplina dell’attività
edilizia: l’art. 19, comma 2, che esonera dal contributo di
costruzione i parcheggi nei nuovi edifici con destinazione
residenziale o assimilabile e a uffici purché entro la data di
ultimazione dei lavori venga formalizzato l’atto di asservimento, da
trascrivere nei registri immobiliari, a garanzia del vincolo di
pertinenzialità del parcheggio rispetto all’unità immobiliare;
l’art. 73, comma 2, secondo cui i regolamenti edilizi comunali
possono subordinare il rilascio del titolo abilitativo al preventivo
asservimento dei terreni a favore del Comune mediante atto
trascritto nei registri immobiliari.
Le disposizioni regionali
erano impugnate per violazione della potestà legislativa esclusiva
dello Stato in materia di sistema tributario e di ordinamento civile
(art. 117, secondo comma, lett. e) e l), Cost.),
avendo introdotto ipotesi di trascrizione nei registri immobiliari
non previste dalla legislazione statale, con nuove fattispecie di
obbligo di assolvimento dell’imposta ipotecaria. Le censure sono
state dichiarate infondate con la sent. n. 318, la quale ha
affermato che il vigente codice civile ha superato il principio,
proprio del precedente codice civile, del carattere tassativo
dell’elenco di atti da trascrivere. Oltre agli atti espressamente
contemplati dalla legge (art. 2643 cod. civ.), possono essere
trascritti anche altri atti, purché producano gli stessi effetti
degli atti previsti in modo esplicito (art. 2645 cod. civ.); inoltre
la circostanza che alla trascrizione dell’atto consegua l’obbligo di
pagare l’imposta ipotecaria non configura una nuova fattispecie
imponibile, ma costituisce soltanto un effetto legale della
normativa tributaria. Per l’illustrazione di questi aspetti della
sentenza, e in particolare per l’assimilabilità degli effetti degli
atti previsti dalla legge regionale a quelli considerati
espressamente dal codice civile, si rinvia al Cap. XXXIV,
Rapporti Stato – Regioni – Enti locali, sez. b, Competenze
legislative e amministrative e al Cap. XXIV, Diritto civile
commerciale, sez. g, Diritti reali. Si osserva qui che, secondo
la sentenza, le norme censurate rientrano nell’ambito di un
intervento legislativo posto in essere dalla Regione Liguria
nell’esercizio della competenza legislativa concorrente relativa al
governo del territorio. In effetti il vincolo pertinenziale dei
parcheggi alle unità immobiliari dei rispettivi edifici è
suscettibile di incidere, almeno indirettamente, anche sull’utilizzo
dei parcheggi, con effetti sulla circolazione dei veicoli e in
generale sull’assetto del territorio; si tratta inoltre di una
significativa diversità, sia pure limitata alla sola onerosità del
titolo abilitativo, rispetto alla legislazione statale che di
recente ha escluso in linea generale il detto vincolo pertinenziale
(l. 29 novembre 2005, n. 246, art. 12, comma 9, che ha aggiunto un
secondo comma all’art. 41-sexies della l. 17 agosto 1942, n.
1150). Tuttavia il Governo non aveva proposto la questione di
legittimità costituzionale della disposizione per violazione di un
principio fondamentale della legislazione statale in materia di
governo del territorio, e dunque su questa difformità la sentenza
non poteva pronunciarsi. Anche l’art. 73, comma 3, della legge
regionale ligure attiene al governo del territorio: in base a tale
disposizione l’avvenuto sfruttamento delle potenzialità edificatorie
consentite dagli strumenti urbanistici risulta non soltanto
dall’apposito repertorio tenuto dal Comune, ma anche dalla
trascrizione dell’asservimento dei terreni alle nuove costruzioni
nel pubblico registro immobiliare, con maggiore certezza ai fini
della circolazione dei terreni e della loro possibile utilizzazione
a fini edificatori.
La sent. n. 164 ha deciso la
questione di legittimità costituzionale, proposta dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, di una disposizione di legge regionale con
la quale la Regione Valle d’Aosta, a modificazione della precedente
normativa urbanistica e di pianificazione territoriale, aveva inciso
sulla tutela paesaggistica dei laghi artificiali. Per
l’illustrazione di questa sentenza si rinvia al Cap. XVI,
Ambiente, beni e attività culturali, al Cap. XXXIV, Rapporti
Stato – Regioni – Enti locali, sez. b, Competenze legislative
e amministrative e al Cap. XXXVII, sez. b, Giudizio sulle
leggi in via principale e conflitti fra enti.
La Corte ha
infine deciso, con la sent. n. 340, le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 58 del d.l. 25 giugno 2008, n.
112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133, impugnato da quattro
Regioni sotto vari profili per lesione dell’autonomia legislativa e
amministrativa regionale. Le questioni decise dalla sentenza sono
illustrate nel Cap. XXXIV, Rapporti Stato – Regioni – Enti
locali, sez. a, Organizzazione delle regioni e degli enti
locali, e sez. b, Competenze legislative e
amministrative. Fra tali questioni merita un richiamo quella
concernente la disposizione del comma 2 dell’art. 58, secondo cui la
deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle
alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento
urbanistico generale. La sentenza ha ravvisato nella ratio dell’art.
58 profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in
quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio
immobiliare degli enti, e tuttavia ha riconosciuto carattere
prevalente alla materia del governo del territorio, rientrante nella
competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo
all’effetto di variante dello strumento urbanistico generale
attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e
valorizzazione. La sentenza ha confermato al riguardo princìpi
consolidati della giurisprudenza costituzionale in tema di autonomia
legislativa regionale. Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo
periodo, Cost., nelle materie di potestà legislativa concorrente lo
Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali,
mentre spetta alle Regioni il potere di emanare la normativa di
dettaglio. La relazione tra normativa di principio e normativa di
dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere
criteri e obiettivi, mentre è riservata alla seconda
l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per
raggiungere detti obiettivi (v. sentt. nn. 237 e 200 del 2009, al Cap. XXXIV, Rapporti Stato – Regioni – Enti locali, sez. b, Competenze legislative e amministrative). La norma censurata,
stabilendo l’effetto di variante dello strumento urbanistico
generale ed escludendo la sottoposizione della variante a verifiche
di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte
della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche
e termini specifici), aveva introdotto una disciplina non
finalizzata a prescrivere criteri e obiettivi, ma tale da risolversi
in una normativa dettagliata senza lasciare spazi d’intervento al
legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato
parametro costituzionale.
In effetti un problema affine era
stato sottoposto al giudizio della Corte, già prima della riforma
del titolo quinto della parte seconda della Costituzione, in
relazione all’art. 25, comma 2, lett. g), d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112, che aveva previsto un’ipotesi di conferenza di servizi
nei procedimenti di autorizzazione all’insediamento di attività
produttive, con effetto di variante dello strumento urbanistico
anche nel caso di dissenso della Regione. Questa disposizione era
stata riconosciuta lesiva dell’autonomia regionale dalla sent. n.
206 del 2001. Dopo la l.c. n. 3 del 2001 la Corte aveva confermato
il principio in un’altra fattispecie analoga: la sent. n. 401 del
2007 (in Viva Vox 2007, p. 604) aveva infatti dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, del codice dei
contratti (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) secondo cui l’approvazione
da parte del consiglio comunale dei progetti definitivi di
infrastrutture di trasporto, viabilità e parcheggi costituiva
variante urbanistica a tutti gli effetti. La materia del governo del
territorio ha ora dato occasione alla Corte per ribadire la
limitazione della potestà legislativa statale nelle materie di
legislazione concorrente ai soli principi fondamentali.
Questa
limitazione, del resto, è stata fatta valere in via politica dalle
Regioni nel corso del 2009 ancora nella materia del governo del
territorio in occasione della diffusione da parte del Governo di uno
schema di decreto-legge, datato 19 marzo 2009, recante Misure
urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle
attività imprenditoriali edili. Il Governo ha rinunciato
all’emanazione del progettato decreto-legge, che recava normativa di
dettaglio, e ha ripiegato su un’intesa in Conferenza unificata
Stato-Regioni e Stato-città ai sensi dell’art. 8, comma 6, della l.
5 giugno 2003, n. 131 (provvedimento 1° aprile 2009, in G.U. n. 98
del 28 aprile 2009), evitando così un sicuro contenzioso di
costituzionalità.
Si osserva, infine, che per una singolare
coincidenza, la sent. n. 340 è stata depositata lo stesso giorno (30
dicembre 2009) in cui è stata pubblicata la legge finanziaria per il
2010, la quale ha disciplinato il conferimento di immobili militari
a fondi comuni di investimento immobiliare (l. 23 dicembre 2009, n.
191, art. 2, commi 189-194), rendendo applicabili a queste
operazioni l’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008 (comma 191, primo
periodo), dichiarato illegittimo dalla Corte. Questa disciplina è
poi confluita nel nuovo Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15
marzo 2010, n. 66, art. 314), ma, in adeguamento alla sentenza n.
340, con omissione del richiamo all’art. 58 del d.l. n. 112 del
2008.
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(*) La presente rassegna costituisce
il capitolo XIII, Urbanistica, edilizia ed espropriazioni, di Viva Vox Constitutionis 2009. Temi e tendenze della
giurisprudenza costituzionale dell’anno 2009, a cura di Valerio
Onida e Barbara Randazzo, in corso di pubblicazione nella collana
del Centro di Studi sulla Giustizia della Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Milano, Milano, Giuffrè. Si
ringraziano i curatori e l’editore.
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(pubblicato il
13.1.2011)
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