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GIOVANNI D’ANGELO

Osservazioni sulle disposizioni in tema di istruttoria*


I principi.
La riforma non incide sui principi dell'istruttoria nel processo amministrativo tramandati dalla tradizione giurisprudenziale e dottrinale degli ultimi decenni; i tre profili fondamentali sono infatti rappresentati nella bozza del codice.
a) I fatti possono essere introdotti e fatti valere nel processo solo dalle parti; l'individuazione dei fatti «posti a fondamento delle domande e delle eccezioni» non può essere modificata o integrata da un intervento d'ufficio del giudice. Rimane così confermato il principio dispositivo della domanda; pertanto, secondo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, sia i fatti principali che quelli secondari non possono essere introdotti anche dal giudice.
b) La prova dei fatti spetta alle parti ma il giudice – anche nel nuovo codice – può disporre d'ufficio i mezzi istruttori. Nonostante l'art. 64, comma 2, stabilisca che il giudice debba porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti «salvi i casi previsti dalla legge», l'eccezione assume rango di regola almeno nell'attuale formulazione dell'art. 63 sui singoli mezzi di prova[1]. La facoltà del giudice di disporre d'ufficio i mezzi istruttori, infatti, non è limitata ai chiarimenti o documenti (art. 63, 1 comma) ma è estesa all'ordine di esibizione previsto dall'art. 210 c.p.c. (art. 63, 2 comma), nonostante il codice di rito ne stabilisca la disposizione su istanza di parte, all'ispezione prevista dall'art. 118 c.p.c. (art. 63, 2 comma), alla verificazione e alla consulenza tecnica (art. 63, comma 3), all'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità dell'amministrazione (art. 64, comma 3) e in generale a tutti gli altri mezzi di prova previsti per il processo civile (art. 63, comma 5)[2].
In altri termini, nel processo amministrativo l'istruttoria continua ad essere regolata dal c.d. metodo acquisitivo, in base al quale il giudice non è vincolato alle prove fornite dalle parti o alle loro istanze istruttorie: il giudice è tenuto a provvedere su di esse ma può disporre mezzi istruttori anche in assenza di un'istanza specifica della parte.
Su questo profilo, invece, di maggiore impatto è la specificazione che spetti «alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità» (art. 64, comma 1) che mi sembra confermare – pur implicitamente – anche la ragione del metodo acquisitivo. L'esigenza alla base del metodo acquisitivo, di riequilibrare le posizioni delle parti a favore del ricorrente nel giudizio d'impugnazione (nel quale di norma l'amministrazione resistente è già in possesso delle prove dei fatti rilevanti acquisite nella fase procedimentale che ha portato all'emanazione del provvedimento impugnato), non sussiste nei casi in cui la prova dei fatti sia nella disponibilità del ricorrente. In questi casi l'intervento officioso del giudice non si fonderebbe sull'esigenza di riequilibrare le posizioni delle parti ma sarebbe funzionale solo a superare una negligenza processuale di una delle due parti.
Appare, pertanto, in linea con tale argomento il primo comma dell'art. 64[3]. Ciò sembra confermato anche dal successivo comma 3, secondo cui il giudice può disporre anche d'ufficio l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere a condizione però che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione. In modo analogo, per esempio, di recente anche la giurisprudenza ha ritenuto che nelle controversie risarcitorie non possa essere invocato il metodo acquisitivo per la prova del danno subito dal ricorrente[4].
c) Infine, il principio del libero apprezzamento (o del libero convincimento o della libera valutazione) del giudice è confermato nell'art. 64, comma 4. Il principio si colloca su un piano diverso rispetto a quello dell’ammissibilità delle prove e attiene al risultato dell’istruttoria. La valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, non la loro ammissibilità; il principio riguarda solo il momento della valutazione dei mezzi istruttori.
Secondo un'applicazione del principio risalente nel tempo, il giuramento e l'interrogatorio formale, in quanto prove legali che vincolano il giudice alla verità di un certo fatto, sono stati ritenuti preclusi nel processo amministrativo nonostante l'assenza di una disposizione specifica in questo senso (almeno fino all'art. 35, comma 3, d.lgs. 80/1998, riferibile alle sole controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo). Nella bozza del codice tale esclusione trova riscontro, in generale, nell'art. 63, comma 5.
Accanto ai tradizionali principi si segnalano anche alcune novità.
La prima è la possibilità del giudice di desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo (art. 64, comma 4). Si tratta di una novità solo legislativa che trova riscontro in un indirizzo giurisprudenziale che già ammetteva nel processo amministrativo l'applicabilità del disposto dell'art. 116, comma 2, c.p.c.[5]
La seconda è la possibilità per il giudice di porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite. L'art. 64, comma 2, che riproduce testualmente l'art. 115 c.p.c. come modificato dall’art. 45 l. 18 giugno 2009, n. 69[6], introduce nel processo amministrativo un onere di contestazione che presumibilmente avrà un impatto più problematico rispetto al processo civile; infatti, nel rito ordinario la scansione degli scritti difensivi, peraltro più numerosi che nel processo amministrativo, ha una struttura che si presta - almeno in astratto – a dei limiti temporali ben precisi per la (non) contestazione. In ogni caso, il c.d. principio di non (o l’onere di) contestazione, che non riguarda la prova ma la «formazione del thema probandum»[7]: a) è limitato ai casi in cui le parti siano costituite, escluse le ipotesi di mancata costituzione; b) è applicabile alle mancate contestazioni sia della parte resistente e dei controinteressati sia del ricorrente e, nell'ambito dei potenziali interventori ad opponendum, probabilmente, dei titolari di un interesse giuridico autonomo alla conservazione dell'atto impugnato, c) si riferisce solo ai fatti della cui prova è gravata la parte avversaria. Inoltre l'attuale formulazione dovrebbe comportare che: a) la contestazione specifica sia riferita a tutti i fatti, sia principali che secondari[8] ma non si estenda alle questioni processuali rilevabili d’ufficio (per esempio le condizioni dell’azione); b) la contestazione dei fatti, non essendo richiesta anche una qualificazione diversa degli stessi fatti; c) la contestazione generica (per esempio con formule di stile) o equivoca sia parificata alla mancata contestazione[9] pur potendosi ammettere che la contestazione sia specifica anche se limitata ad una negazione dei singoli fatti.
La non contestazione si risolve nell'esimere l’altra parte dalla prova dei fatti per i quali sarebbe gravata dall’onere della prova[10]. L’istanza istruttoria relativa a fatti non contestati è inammissibile in quanto irrilevante; la non contestazione del fatto giustifica tale soluzione da parte del giudice[11].
Infine, due brevi considerazione di carattere formale.
Come si evince anche da quanto si è illustrato, il codice sconta un avvicendarsi poco lineare delle disposizioni sui principi dell'istruttoria, dovuto in parte anche alla precedente collocazione dell'articolo su disponibilità, onere e valutazione della prova (l'attuale art. 64) nei principi generali. È singolare che i principi non precedano l'elencazione dei mezzi di prova e che dalle disposizioni sui singoli mezzi di prova si ricavi una regola posta come eccezione nei principi.
Inoltre, rispetto all'art. 64, comma 3 (acquisizione, anche d'ufficio del giudice, di informazioni e documenti utili ai fini del decidere), non convince né la collocazione (nei principi invece che nei mezzi istruttori) né la sostanziale duplicazione rispetto ai chiarimenti o documenti di cui al comma 1 dell'art. 63[12] con la sola specificazione, già evidenziata con favore, sull'acquisizione d'ufficio del giudice solo se si tratti di informazioni o documenti nella disponibilità dell'amministrazione.

Ammissione e assunzione delle prove.
Il codice individua[13] due forme: l’ammissione disposta dal presidente della sezione (o da un magistrato da lui delegato) e quella disposta dal collegio. Non è definito un criterio che possa orientare per l’una o per l’altra modalità. Il testo specifica solo che la consulenza tecnica e la verificazione sono sempre disposte dal collegio e che l’ordinanza istruttoria collegiale deve contenere anche la fissazione della successiva udienza di trattazione[14].
Inoltre, l’adozione da parte del presidente della sezione o da un magistrato da lui delegato sembra subordinata ad «un’istanza motivata di parte», elemento che si pone in contraddizione col metodo acquisitivo, a meno di ritenere che i poteri istruttori d’ufficio siano esercitabili solo attraverso l’ordinanza collegiale (che il testo non subordina ad un’istanza di parte). Questa distinzione, tuttavia, non sarebbe del tutto coerente con la disposizione successiva secondo la quale qualora «l’amministrazione non provveda al deposito del provvedimento impugnato e degli altri atti ai sensi dell’art. 46 il presidente o un magistrato da lui delegato ovvero il collegio ordina, anche su istanza di parte, l’esibizione degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni».[15]
Con riferimento, invece, ai termini e alle modalità dell’assunzione, il codice richiama in larga parte il testo dell’art. 29 reg. proc. confermando l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile «in quanto compatibili» (in precedenza «per quanto è possibile»). Non si superano così i dubbi già sollevati sull’ampiezza della discrezionalità del giudice amministrativo in relazione alla riserva di legge stabilita dall’art. 111 cost.. Da questo punto di vista, per il processo civile è stato sostenuto che la deviazione dai modelli “tipici” di acquisizione della prova in alcune ipotesi sarebbe consentito dallo stesso legislatore[16]. La deviazione dai modelli “tipici” di acquisizione della prova non significa consentire l’introduzione di prove assunte in violazione della procedura prevista dalla legge: tale prova è illecita in quanto illegittimamente acquisita e quindi inammissibile. L’atipicità riferita al procedimento di acquisizione è legittima solo nei casi, tassativi e speciali, in cui la legge lo consenta espressamente[17].
Pur ammettendo che il legislatore possa esercitare la riserva di legge anche affidando al giudice poteri discrezionali relativi alle scansioni processuali e – per quanto qui interessa – all’istruttoria[18], nel processo amministrativo, per un verso, sono assenti formule “indeterminate” analoghe a quelle dell’art. 738 c.p.c., per l'altro, l’atipicità procedimentale non può basarsi sulla disposizione del codice che oggi richiama l’art. 29 reg. proc. Infatti, l’applicazione «in quanto compatibili» delle disposizioni del codice di procedura civile, se interpretata nel senso di ammettere un’atipicità nell’acquisizione della prova, lascerebbe un margine di arbitrio (non di discrezionalità) al giudice[19]; non si tratterebbe di una norma speciale, derogatoria rispetto al rito ordinario, ma determinerebbe una situazione generale. Invece nel processo civile l’atipicità procedimentale riguarda, nonostante la legislazione speciale ipertrofica degli ultimi anni, modelli paralleli o alternativi a quello ordinario[20], nel processo amministrativo sarebbe relativa al rito ordinario tuot court.
Il testo del codice, invece, va letto, allo stesso modo di quanto si è proposto rispetto all'art. 29 reg. proc., nel senso di fare riferimento a quelle incompatibilità tra la procedura civile e quella amministrativa legate all’organizzazione (e alla dinamica) dell’istruttoria come, per esempio, la figura del giudice istruttore. Anche optando per questa interpretazione, però, la discrezionalità del giudice amministrativo potrebbe risultare eccessiva[21] rispetto a quanto ammesso nel processo civile dalla dottrina meno intransigente sulla necessità della regolazione per legge del processo. Vi è una differenza precisa tra la regolazione generica, che può lasciare spazi di interpretazione al giudice, e la delega di regolazione, che consente al giudice spazi di “normazione”. La seconda non è ammessa se la materia è “garantita” dalla riserva di legge.

I singoli mezzi istruttori.
Il codice ha il merito di superare la distinzione dei mezzi istruttori a seconda della giurisdizione di legittimità, di merito, esclusiva del giudice amministrativo. In particolare il riferimento alla giurisdizione esclusiva o di merito è apparso poco appagante per giustificare mezzi istruttori più ampi e, soprattutto, per ritenere ragionevole la limitatezza dei mezzi istruttori nella giurisdizione di legittimità. Per vari profili, la distinzione fra giurisdizione di legittimità, esclusiva, di merito non è stata utile per definire la portata dei poteri istruttori del giudice: applicata rigorosamente, ha condotto a risultati contraddittori; quando è prevalsa l’esigenza di una coerenza sistematica, la forzatura rispetto al testo delle disposizioni sul processo amministrativo è apparsa evidente.
Un altro merito del codice è di ridurre i limiti alla cognizione del fatto[22] da parte del giudice amministrativo di legittimità imposti dalla precedente legislazione (appunto con la limitatezza delle prove); in questi anni il contrasto con il principio costituzionale della parità delle armi, inteso come uguale diritto delle parti alla prova dei fatti, è apparso evidente. Rispetto a questo contrasto l'intervento del legislatore va nella giusta direzione; l’ampliamento delle prove nel processo amministrativo è imposto dalle garanzie del giusto processo, in particolare dalla parità delle armi, sancite dalla Costituzione.
In relazione ai singoli mezzi istruttori è opportuna qualche breve considerazione.
a) Come anticipato, l'acquisizione di informazioni (o chiarimenti) e documenti è disciplinata nell'articolo su disponibilità, onere e valutazione delle prove (art. 64, comma 3) e in quello sui mezzi di prova (art. 63, comma 1). La sostanziale duplicazione mi pare evidente e potrebbe essere corretta mantenendo, per le ragioni sopra evidenziate, la formulazione della prima disposizione e collocandola al posto della seconda. A questo proposito, si ricorda che la richiesta di chiarimenti è ritenuta analoga alla richiesta di informazioni all’amministrazione prevista dall’art. 213 c.p.c.[23]. Essa dovrebbe avere ad oggetto non gli atti e i documenti dell’amministrazione ma le informazioni (eventualmente ad essi relativi[24]); comunque il chiarimento non potrebbe concernere la ricostruzione dei fatti obiettivi che riguardano materia di prova[25].
Inoltre, sarebbe opportuno un riferimento al documento informatico[26], nell'attuale versione assente. Tuttavia, mi pare che l'omissione non possa mutare le conclusioni in ordine all'ammissibilità del documento informatico nel processo amministrativo, in coerenza con a) la disciplina sostanziale del d.lgs. n. 82/2005 che si riferisce principalmente proprio ai rapporti con le pubbliche amministrazioni; b) un’interpretazione adeguatrice della nozione di documento rispetto all’evoluzione tecnico-scientifica; c) la definizione ampia di documento amministrativo prevista dall’art. 22, comma 1, lett. d), l. 7 agosto 1990, n. 241. D’altra parte, non ammettere come prova il documento informatico sarebbe in contraddizione anche con la disciplina sull’atto amministrativo elettronico. Infine, l’art. 18 d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 ha previsto l’informatizzazione anche del processo amministrativo; se il documento informatico può costituire strumento per gli atti processuali non vi è ragione perché non sia ammissibile come prova nello stesso giudizio. Sull’ammissibilità del documento informatico nel processo amministrativo si è orientata, seppure in modo implicito, anche la giurisprudenza[27].
b) Per quanto riguarda l’ordine di esibizione, si tratta di un mezzo di acquisizione documentale che, quindi, nulla aggiunge ai poteri di cui era già dotato il giudice amministrativo, compresa la possibilità che tale richiesta sia rivolta ad un soggetto terzo (anche privato) rispetto alla controversia (cfr. art. 21, comma 7, l. 1034/1971).
c) Va salutata con favore l'introduzione dell'ispezione giudiziale, anche se occorre riconoscere trattarsi di una prova in certa misura desueta. Pur essendosi sostenuto che sarebbe stata già ricompresa nelle verificazioni, in realtà l’ispezione giudiziale è una prova diretta[28] che l’art. 27 reg. proc. aveva previsto espressamente per la giurisdizione di merito, confermando così la sua distinzione dalla verificazione. Pertanto, la sua ammissibilità nel processo amministrativo rappresenta certamente un ampliamento del precedente catalogo.
d) Nonostante la frequente insufficienza del solo documento per la ricostruzione del fatto materiale sia apparsa significativa anche nella quotidiana attività giudiziaria e la circostanza che in molte controversie l’utilizzo della testimonianza avrebbe potuto essere decisivo, fino ad oggi la principale prova costituenda orale non era ammessa nel processo amministrativo. Il codice, da questo punto di vista, compie una scelta ambigua in quanto la prova testimoniale è ammessa ma deve essere sempre assunta in forma scritta. La soluzione adottata lascia perplessi. La testimonianza scritta nel processo civile (art. 257-bis c.p.c. e 103 disp. att. introdotti rispettivamente dagli art. 46 e 52 l. n. 69/2009)[29] è una modalità di assunzione che può sostituire quella in forma orale ricorrendo due condizioni (o presupposti): l'accordo delle parti e il fatto che giudice abbia tenuto «conto della natura della causa e di ogni altra circostanza». In mancanza dell’accordo oppure, intervenuto l’accordo, se l’apprezzamento in ordine alla natura della causa e ad ogni altra circostanza sia di segno negativo, il giudice procede con l'acquisizione tradizionale. Nel processo civile, da un lato, l’alternativa è tra la testimonianza scritta e quella orale, dall'altro l'oralità della prova prevale, per esempio, quando vi sia l’esigenza del difensore di ascoltare il testimone in udienza e di richiedere, tramite il giudice, chiarimenti in ordine alla deposizione oppure il timore di una mancanza di genuinità della testimonianza. Nel processo amministrativo, invece, l'alternativa sarebbe tra la testimonianza scritta e l’inammissibilità di un mezzo di prova che può risultare decisivo per l’accertamento del fatto storico. Da questo punto di vista non è affatto chiara nemmeno la portata del rimando al codice di procedura civile contenuto nell'art. 63, comma 3, del codice: da un lato, la prova testimoniale può essere ammessa dal giudice su istanza di parte[30], dall'altro, su questa richiesta potrebbe abbattersi il “rifiuto” dell'altra parte ai sensi dell'art. 257-bis c.p.c. con la conseguenza obbligata del rigetto dell’istanza istruttoria.
e) La consulenza tecnica non rappresenta una novità[31]. Tuttavia, vanno segnalate alcune anomalie.
Da un punto di vista formale, non convince appieno la sua collocazione tra i mezzi di prova. Nel processo civile, infatti, la consulenza tecnica non è annoverata fra i mezzi di prova perché ha come ragione solo quella di offrire al giudice le cognizioni specialistiche necessarie alla valutazione di fatti già acquisiti. La consulenza non determina il convincimento del giudice circa la verità dei fatti della causa. Negli ultimi anni, però, questa impostazione è stata precisata dalla giurisprudenza, soprattutto della Cassazione. Vi sono situazioni che non consentono un accesso al fatto paritario tra soggetti dotati di conoscenze specialistiche e soggetti che ne sono privi; situazioni in cui la stessa percezione del fatto richiede conoscenze tecniche o specialistiche ed il ricorso al consulente appare indispensabile per accertare i fatti. In questa ipotesi l’attività del consulente non è solo di deduzione ma rileva anche come acquisizione dei fatti posti a fondamento della domanda (c.d. consulenza tecnica percipiente).
Da un punto di vista sostanziale, invece, è sorprendente il rapporto delineato tra consulenza tecnica e verificazione: per «l'accertamento di fatti o l'acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l'esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica». Superato così l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la verificazione riguardi solo l’accertamento dei fatti e non la loro valutazione[32], è grave subordinare la disposizione della consulenza tecnica ad un giudizio di indispensabilità o stretta necessarietà[33]; il rischio, infatti, è di assecondare la ritrosia manifestata in questi anni da una parte della giurisprudenza. Quasi temuta e spesso avversata, la consulenza tecnica è stata ammessa ed esperita con estrema prudenza dal giudice amministrativo. Alcune delle argomentazioni che hanno indotto parte della giurisprudenza a non disporre la consulenza tecnica hanno già destato molte perplessità. Si è sostenuto, per esempio, che la consulenza tecnica non possa essere disposta se prima facie l’atto impugnato non appaia illegittimo perché affetto da vizi logici o di travisamento dei fatti. Si tratta di un argomento non persuasivo che, tuttavia, potrebbe trovare una sponda nell'attuale formulazione del codice. Per il giudice amministrativo, invece, l'unico limite dovrebbe essere la coerenza dell’impiego della consulenza tecnica rispetto ai principi dell’istruttoria, ed in particolare rispetto al principio di prova e all’onere dell’allegazione dei fatti principali e secondari nel processo: la consulenza tecnica d’ufficio non può supplire l’onere delle parti di allegare i fatti e di introdurli nel processo.
Non è un caso, forse, che la consulenza tecnica sia l'unico strumento disciplinato dal codice di procedura civile per il quale il codice del processo amministrativo non opera un rinvio generale alle relative disposizioni (come avviene per l'esibizione in giudizio, l'ispezione, la testimonianza), delineando un modello ambiguo fatto di richiami a singoli articoli del codice di procedura civile e di precetti autonomi.
Alla luce del rapporto di “subordinazione” della consulenza tecnica rispetto alla verificazione delineato dal codice, a maggior ragione non convince che la verificazione debba essere affidata «ad un organismo pubblico, estraneo alle parti del giudizio, munito di specifiche competenze tecniche» rispetto al quale, però, non opera l’istituto della ricusazione[34].
f) Rimane da capire, infine, quali altri mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile – secondo la previsione dell'art. 63, comma 5 - possa disporre il giudice amministrativo, esclusi l'interrogatorio formale e il giuramento. A parte la formulazione poco rigorosa (nel codice di procedura sono disciplinati i procedimenti di produzione e di assunzione delle prove nel processo, mentre è nel codice civile che i mezzi di prova sono definiti e catalogati, ad eccezione dell'ispezione) la disposizione potrebbe essere letta nel senso di ammettere nel processo amministrativo, tra l'altro, anche l'interrogatorio libero e la dichiarazione confessoria come prova liberamente valutabile dal giudice.

 

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* Intervento al Seminario su “Il progetto del codice del processo amministrativo”, tenuto su iniziativa dell’Università di Firenze il 24 maggio 2010.
[1] Ciò si spiega probabilmente con il fatto che il legislatore si è limitato a riprodurre testualmente (come si ribadirà anche infra nel testo in relazione ad altro profilo) l'art. 115 c.p.c. come modificato dalla legge n. 69/2009, anche nella parte in cui fa riferimento al principio dispositivo della prova («prove proposte dalle parti») come regola generale dell'istruttoria nel processo civile.
[2] Rimane ammissibile solo su istanza di parte la testimonianza scritta (art. 63, comma 4).
[3] Non sembra significativo, invece, almeno per questo aspetto, il termine «elementi di prova» adoperato nel testo del codice a fronte di mezzi di prova o prove.
[4] Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2435, in Giorn. amm., 2009, 1060 con nota di F. CORTESE, Il danno da provvedimento illegittimo e il “dover essere” del procedimento. Nello stesso senso Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3380, Rep. Foro it., 2009, voce Procedimento civile, n. 27; T.a.r. Lazio, sez. II, 6 maggio 2009, n. 4743, ibidem, voce Giustizia amministrativa, n. 1115.
[5] Cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5768, in Rep. Foro it., 2009, voce Giustizia amministrativa, n. 470.
[6] Peraltro, a sua volta, di matrice giurisprudenziale (cfr. in particolare Cass., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761, in Foro it., 2002, I, 2017 con nota di CEA e ibid., 2003, I, 604 con nota di A. PROTO PISANI, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile.
[7] E.F. RICCI, Ancora novità (non tutte importanti, non tutte pregevoli) sul processo civile, in Riv. dir. proc., 2008, 1361
[8] Si segnala, però, che in diritto processuale civile le opinioni di dottrina e giurisprudenza sono discordanti; sul punto si rimanda a DEL CORE, Il principio di non contestazione è diventato legge: prime riflessioni su alcuni punti ancora controversi, in Giust. civ., 2009, 273 ss. (in particolare § 4).
[9] Cfr., ad esempio, Cass., 20 novembre 2008, n. 27596; 3 luglio 2008, n. 18202 entrambe in Banche dati Foro it.
[10] Cfr. B. SASSANI, L’onere di contestazione, in www.judicium, in particolare 8.
[11] Allo stesso modo dei fatti notori; infatti sulla collocazione sbagliata dell’onere di contestazione nel comma 1, anziché nel comma 2 dell’art. 115 c.p.c., cfr. CONSOLO (a cura di), Codice di procedura civile commentato: la riforma del 2009, Milano, 2009, 71 ss., a cui si rimanda per gli altri profili rilevanti dell’istituto.
[12] Su cui si tornerà tra breve quando si esamineranno i singoli mezzi istruttori.
[13] Già nella rubrica dell’art. 65 che è intitolata «istruttoria presidenziale e collegiale».
[14] Da questo punto di vista il testo non si discosta sostanzialmente dall’art. 44, comma 3, t.u. cons. stato («La decisione sui mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica, è adottata dal presidente della sezione o da un magistrato da lui delegato ovvero dal collegio mediante ordinanza con la quale è contestualmente fissata la data della successiva udienza di trattazione del ricorso»). Quindi, nell’ipotesi di un esame istruttorio che intervenga prima dello spirare del termine biennale dal deposito del ricorso l’istanza di fissazione dell’udienza da parte del ricorrente risulterebbe superflua.
[15] L’art. 46, comma 2, recita «L'amministrazione, nel termine di cui al comma 1, deve produrre l'eventuale provvedimento impugnato, nonché gli atti e i documenti in base ai quali l'atto è stato emanato, quelli in esso citati e quelli che l'amministrazione ritiene utili al giudizio». La disposizione citata nel testo non appare precisa nemmeno dal punto di vista del richiamo ai soli atti e non anche ai documenti.
[16] Occorre chiarire che la legge in questi casi non disciplina compiutamente un modello di acquisizione sostitutivo (perché altrimenti si ricadrebbe in un’ipotesi di tipicità di acquisizione della prova) ma lascia al giudice ampia discrezionalità nel determinare modi e tempi della procedura.
[17] Cfr. G.F. Ricci, Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 415.
[18] Cfr., per tutti, L.P. Comoglio, Etica e tecnica del “giusto processo”, Torino, 2004, 55.
[19] Un problema analogo (nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva) era determinato dal generico rinvio operato dall’art. 35, comma 3, d.lgs. 80/1998 all’istruttoria nel processo civile.
[20] E il più delle volte non relativi a procedimenti di cognizione piena, anche se il crescente fenomeno della c.d. cameralizzazione dei diritti pone profili di costituzionalità anche nel processo civile; per tutti v. A. Proto Pisani, Giusto processo e valore della cognizione piena, in Riv. dir. civ., 2002, I, 279; M. Bove, Art. 111 cost. e «giusto processo civile», in Riv. dir. proc., 2002, 499-500.
[21] Si ribadisce, perché relativa ad un’ipotesi generale. V. anche nota n. 19.
[22] Si fa qui riferimento alla ricostruzione della realtà storica del fatto materiale, alla limitatezza dei mezzi istruttori nel processo amministrativo per la ricostruzione del fatto materiale.
[23] A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, VIII ed. riveduta ed aggiornata, Torino, 2010, 272. Tuttavia, mentre nel processo amministrativo è sempre stato scontato che possa essere rivolta anche all’amministrazione che sia parte nel giudizio, nel processo civile le posizioni di dottrina e giurisprudenza sono state oscillanti. Per questo dibattito si rimanda a F. P. Luiso, Richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione, voce in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 487 e nota n. 50 (il quale opta per la soluzione affermativa). Per la giurisprudenza cfr., tra le altre, Cass., 10 gennaio 2005, n. 287; 12 maggio 2004, n. 8983, entrambe in Banche dati Foro it.
[24] Cfr. ex plurimis Cass., 10 gennaio 2005, n. 287 cit.; 7 novembre 2003, n. 16713, in Mass. Foro it., 2003; 27 giugno 2003, n. 10219, ibid., che fa riferimento proprio alle informazioni relative ad atti e documenti della pubblica amministrazione che sia necessario acquisire al processo.
[25] In altri termini, «la richiesta di informazioni non può avere ad oggetto lo svolgimento di indagini da parte della pubblica amministrazione, perché ciò comporterebbe l’inammissibile affidamento all’amministrazione di compiti che debbono essere svolti dal giudice», F. P. Luiso, Richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione, cit., 486.
[26] Sull'efficacia probatoria del documento informatico cfr. l'art. 21 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modifiche.
[27] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2008 n. 1126, in www.giustizia-amministrativa.it.
[28] Sul punto v. G. Trisorio Liuzzi, Ispezione nel processo civile, voce in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. X, Torino, 1993, 188. Da questo punto di vista si condivide la contrapposizione rispetto all’esibizione che è più propriamente un mezzo per acquisire una prova documentale; cfr. L.P. Comoglio, Le prove civili, Torino, 2004, 614.
[29] Cfr. Consolo (a cura di), Codice di procedura civile commentato: la riforma del 2009, cit.,175 ss., in particolare 181 ss. sull’attuale configurazione delle testimonianza scritta come modalità di assunzione tipica.
[30] Come anticipato è l'unica prova che non può essere disposta d'ufficio dal giudice amministrativo.
[31] Cfr. l'art. 35, comma 3, d.leg. n. 80/1998 per la giurisdizione esclusiva; l'art. 44 t.u. Cons. Stato modificato dall’art. 16 l. 205/00 per la giurisdizione di legittimità; l' art. 27 reg. proc., seppur con la diversa dicitura di perizia, per la giurisdizione di merito.
[32] Criticato da una parte della dottrina, secondo la quale consulenza e verificazioni avrebbero la stessa ampiezza di contenuti (cfr. A. Travi, Valutazioni tecniche e istruttoria nel processo amministrativo, in Urb. app., 1997, 1262 ss.).
[33] Concetto già espresso nell’art. 19 rubricato «verificatore e consulente tecnico».
[34] Cfr. artt. 19 e 20.

 

(pubblicato il 31.5.2010)

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