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n. 10-2005 - © copyright

 

ALESSANDRA CONCARO

La decretazione d’urgenza nelle materie di competenza regionale nel quadro del rinnovato titolo V della Costituzione: alcune riflessioni alla luce della giurisprudenza costituzionale e della prassi recente*


Sommario: 1. L’impatto del nuovo titolo V della Costituzione sul sistema delle fonti normative. – 2. Competenze regionali e situazioni di urgente necessità: l’ipotesi di inerzia della Regione e l’ammissibilità di una “sostituzione” legislativa da parte dello Stato. – 3. Il decreto-legge come strumento per fronteggiare situazioni di urgente necessità indipendentemente dal riparto delle competenze fissato dall’art. 117 Cost. – 4. Riflessioni conclusive: un problema “trascurato” da Governo e Parlamento?



1. L’impatto del nuovo titolo V della Costituzione sul sistema delle fonti normative.
Lo scenario che si è aperto a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione arricchisce il panorama delle problematiche che si pongono rispetto all’utilizzo del decreto-legge: difatti, è opinione unanimemente condivisa che la riforma costituzionale, nel modificare radicalmente il ruolo delle fonti regionali nell’ordinamento, sia destinata ad incidere profondamente sull’intero sistema delle fonti normative, in particolare a seguito della ridefinizione dell’assetto delle competenze legislative di Stato e Regioni delineata dal nuovo art. 117 Cost.
In tal senso, una riflessione sull’attualità e le prospettive della decretazione d’urgenza non può prescindere da un’analisi sull’impatto che la legge cost. n. 3 del 2001 potrà produrre sul modo di atteggiarsi del decreto-legge. Quello della decretazione d’urgenza nelle materie di competenza regionale è un tema che fino ad ora ha occupato un ruolo marginale nel dibattito dottrinale, ma che, probabilmente, sarà destinato in futuro ad acquisire un sempre crescente rilievo: il nuovo riparto delle competenze legislative definito dalla legge cost. n. 3 del 2001, che fa dello Stato non più l’ente a competenza legislativa generale, ma l’ente dotato di competenza enumerata e circoscritta, pone infatti il problema di stabilire chi è competente ad intervenire qualora, nelle materie di competenza regionale, si verifichino quei “casi straordinari di necessità e d’urgenza” che, in base all’art. 77, giustificano l’adozione di decreti-legge[1].
Si tratta, peraltro, di una questione non meramente teorica[2]: stando ai dati che emergono dalla prassi più recente della decretazione d’urgenza, difatti, almeno 1/3 dei decreti-legge emanati a partire dalla fine del 2001, toccano (anche se, talvolta, solo marginalmente) settori di competenza regionale; e, pur con le dovute cautele che necessariamente si impongono in una fase di transizione come quella attuale, nella quale, nonostante le numerose precisazioni che stanno via via intervenendo da parte della giurisprudenza costituzionale, regna ancora molta incertezza sulla reale portata degli ambiti materiali definiti dal nuovo art. 117 Cost.[3], le indicazioni della prassi ci dicono che il problema si pone. Occorre infatti chiedersi se questi decreti siano da considerare a priori viziati da incompetenza, in quanto intervengono in settori preclusi alla funzione normativa primaria dello Stato, oppure se la questione possa essere analizzata sotto una luce differente.
E se, come è evidente, il problema emerge più marcatamente con riguardo alla potestà cd. “esclusiva”, che l’art. 117/4 riserva alle Regioni nelle materie “residuali”, esso non manca di coinvolgere (sia pure in maniera più velata) anche la potestà ripartita, nella configurazione che risulta dal nuovo testo dell’art. 117/3 Cost.: il verificarsi di circostanze tali da richiedere un intervento legislativo tempestivo, potrebbe infatti imporre (anzi, per definizione, impone) l’adozione, accanto alla normativa di principio, di una normativa di dettaglio che sia immediatamente applicativa. Tuttavia, la nuova formulazione dell’art. 117/3, nel disporre che «nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato», stando a quanto sembra trasparire dalle recenti prese di posizione della Corte costituzionale, non parrebbe compatibile con il vecchio schema della normativa statale di dettaglio “cedevole” [4], ma sembrerebbe semmai presupporre una più marcata distinzione fra competenza statale, rivolta esclusivamente alla definizione dei principi fondamentali della materia, e competenza regionale.


2. Competenze regionali e situazioni di urgente necessità: l’ipotesi di inerzia della Regione e l’ammissibilità di una “sostituzione” legislativa da parte dello Stato
Sulla portata del nuovo art. 117 Cost. non è il caso di soffermarsi: è evidente che il nuovo quadro costituzionale ha operato una restrizione degli ambiti materiali assegnati alla competenza legislativa dello Stato, che vengono ora elencati tassativamente (pur essendo riconosciuto -ora anche dalla Corte costituzionale- il carattere “trasversale” di alcuni settori[5]), lasciando alla Regione la competenza a legiferare in via esclusiva in tutti gli ambiti non espressamente indicati (o rimessi alla potestà concorrente).
Da questa premessa dovrebbe conseguire, necessariamente, la preclusione per lo Stato di intervenire in via legislativa nelle materie regionali, anche attraverso un provvedimento governativo d’urgenza il quale, pur se legittimato da situazioni di urgente necessità, andrebbe inevitabilmente incontro all’ostacolo della incostituzionalità della legge di conversione “incompetente”[6].
A questa stregua, qualora nelle materie di competenza regionale (esclusiva o concorrente) si configurino dei “casi straordinari di necessità e d’urgenza” tali da richiedere un intervento legislativo immediato, la Regione dovrebbe essere l’unico ente competente a predisporre le misure idonee a farvi fronte[7].
Questo approccio, tuttavia, a mio parere non dà una risposta soddisfacente ad alcuni problemi cruciali: anzitutto, cosa fare in caso di inerzia regionale? È pensabile che lo Stato si sostituisca alla Regione quando le circostanze rendano necessaria l’adozione immediata di un atto con forza di legge, e quest’ultima non intervenga?
Il problema è più ampio, e non riguarda soltanto l’individuazione degli strumenti azionabili per fronteggiare situazioni di urgente necessità nelle materie di competenza regionale. Come noto, già all’indomani dell’entrata in vigore della riforma costituzionale, il nuovo assetto delle competenze legislative regionali ha imposto alla dottrina di interrogarsi sui possibili rimedi cui far ricorso nelle ipotesi di inerzia dei legislatori regionali: in particolare, ci si è chiesti se (e, eventualmente, in quali termini) il legislatore statale sia legittimato a “sostituirsi” alla Regione che abbia omesso di intervenire nelle materie di sua esclusiva competenza, o che non abbia provveduto a disporre la normativa di adeguamento alla legislazione statale di principio nelle materie di competenza ripartita.
La questione è assai complessa e una sua analisi specifica esula dalle finalità del presente lavoro. In questa sede mi limiterò soltanto ad osservare che i dubbi sono alimentati dalla infelice formulazione dell’art. 120 Cost., il quale conferisce al Governo il potere di sostituirsi agli organi regionali in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, di pericolo grave per l’incolumità e per la sicurezza pubblica, per la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e «quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica»; ma non chiarisce se tale “sostituzione” debba essere limitata al solo campo dell’amministrazione o possa invece operare anche in ambito legislativo (un punto sul quale, peraltro, la dottrina pare profondamente divisa)[8].
Come dicevamo prima, il problema di cui ci stiamo occupando è più circoscritto, e si interseca solo in parte con la tematica della configurabilità, nel nuovo ordinamento costituzionale, di un potere surrogatorio di carattere legislativo: difatti, qui non si tratta tanto di individuare gli eventuali strumenti atti a coprire qualunque inerzia regionale, attraverso un intervento del legislatore statale di tipo successivo. Si tratta, semmai, di predisporre misure immediate e tempestive allo scopo di fronteggiare una situazione che, per definizione, non può tollerare ritardi od omissioni da parte delle Regioni: si tratta, in sostanza, di intervenire prima ancora che si concretizzi l’eventuale inerzia regionale, attraverso una valutazione che tenga conto non solo delle esigenze peculiari delle singole Regioni interessate, ma anche degli interessi generali coinvolti.
Vi è poi un secondo ordine di obiezioni che, a nostro avviso, merita di essere valutato. Proviamo a pensare all’ipotesi in cui la situazione di urgente necessità riguardante la materia di competenza regionale sia diffusa uniformemente su tutto il territorio nazionale o, comunque, abbia una portata territoriale che travalichi i confini della singola regione. In tal caso, è evidente che, trattandosi di settori sottratti alla disponibilità del legislatore statale, la predisposizione delle misure necessarie a fronteggiare l’emergenza dovrebbe essere rimessa all’iniziativa di ciascuno degli enti coinvolti, i quali, a loro volta dovrebbero poter decidere in piena autonomia quanto alle modalità e ai tempi dell’intervento: spetterebbe cioè alla singola Regione (e solo ad essa) stabilire se, come e quando intervenire nel proprio territorio. Ma, se è perfettamente ammissibile (anzi, in piena sintonia con la logica del nuovo sistema) che ciascuna Regione, nelle materie di propria competenza, definisca e valuti la misura degli interventi in relazione alle proprie esigenze peculiari, non si possono d’altro canto trascurare i rischi connessi ad una completa “rimessione” del problema nelle mani del singolo ente: il rischio di dare luogo ad una serie di interventi frammentari e non omogenei, se non addirittura incompatibili fra loro; il rischio di ritardi nella definizione di una linea di condotta da perseguire; il rischio, soprattutto, che alcune Regioni intervengano, ed altre no; o, ancora, che i diversi interventi vengano in essere in tempi differenti[9].
Insomma, il rischio è che la sommatoria degli interventi predisposti dai singoli enti, all’atto pratico si riveli complessivamente inadeguata a fronteggiare l’emergenza.


3. Il decreto-legge come strumento per fronteggiare situazioni di urgente necessità indipendentemente dal riparto delle competenze fissato dall’art. 117 Cost.
Di fronte a questa pluralità di obiezioni, a parere di chi scrive, il verificarsi di una situazione di necessità e urgenza in una materia di competenza (esclusiva o concorrente) regionale, che coinvolga interessi tali da richiedere una gestione unitaria, dovrebbe comunque legittimare lo Stato ad intervenire: e l’unico strumento idoneo a soddisfare esigenze di tempestività e immediatezza, è tuttora rappresentato dal decreto-legge[10] .
Difatti, pur nell’ambito di una riforma che ha voluto tracciare in modo più netto la linea di demarcazione fra competenze legislative statali e regionali, e che ha voluto allineare quanto più possibile le Regioni allo Stato, mirando ad una vera e propria parificazione fra i due enti, non si può prescindere dal riconoscere allo Stato un ruolo unificante, che gli consenta di attivarsi anche nei settori rimessi alla competenza delle Regioni, laddove entrino in gioco interessi di carattere generale[11]. E nonostante il nuovo titolo V abbia inciso profondamente sull’intera configurazione delle fonti normative, l’art. 77 Cost. resta pienamente vigente, mantenendo la funzione per la quale era stato originariamente concepito: creare le condizioni per predisporre un intervento rapido, in presenza di situazioni oggettivamente eccezionali che richiedano l’adozione di misure immediate.
D’altronde, la riforma costituzionale non manca di invocare in più parti il necessario rispetto di esigenze di carattere unitario, che presuppone, inevitabilmente, un intervento dello Stato anche nei settori rimessi alla competenza delle Regioni: si pensi al richiamo, contenuto all’art. 117, alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; si pensi allo stesso art. 120, in virtù del quale l’esercizio del potere sostitutivo deve essere finalizzato alla tutela dell’unità giuridica ed economica «prescindendo dai confini territoriali dei governi locali»; si pensi, soprattutto, al richiamo al principio di sussidiarietà, il quale non comporta soltanto una allocazione delle competenze ai livelli di governo più “bassi”, più vicini agli amministrati, ma presuppone, semmai, che la loro distribuzione avvenga in base ad una valutazione degli interessi coinvolti, ammettendo, dunque, l’eventuale «scorrimento verso l’alto» dell’esercizio di funzioni che coinvolgono interessi non frazionabili localmente.
Peraltro, proprio su quest’ultimo punto sono ora intervenute precise conferme da parte della Corte costituzionale: nella sent. n. 303 del 2003, si fa espresso richiamo ad una vocazione “dinamica” del principio di sussidiarietà, «che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie», rendendo meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative[12].
In questa prospettiva, si può forse ipotizzare che la presenza di casi straordinari di necessità ed urgenza valga a fondare un preciso titolo di legittimazione dello Stato a intervenire[13]: la situazione di emergenza, farebbe cioè scattare in capo allo Stato uno specifico potere/dovere di predisporre i rimedi per farvi fronte, indipendentemente dalla natura e dalla spettanza della materia coinvolta. Del resto, si è sempre detto che i casi straordinari di necessità ed urgenza, per definizione, non possono essere incardinati entro schemi preconcetti, né essere vincolati entro rigidi riparti di competenza.
E allora, si potrebbe forse pensare che il decreto-legge, in quanto fonte abilitata a predisporre le misure atte a fronteggiare una situazione di urgente necessità, rimanga al di fuori della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni definita dall’art. 117 Cost.[14]: in sostanza, il verificarsi di un evento contingente e imprevedibile, che richieda la tempestiva adozione di un provvedimento di rango legislativo, autorizzerebbe il Governo ad intervenire anche al di fuori della competenza statale.
Peraltro, qui non si tratta di giustificare, sulla base del solo art. 77, un generico potere governativo di surrogazione legislativa; si tratta, semmai, di individuare uno strumento in grado di soddisfare interessi di carattere generale, che necessitano di misure tempestive e immediate, rispetto alle quali una gestione “localizzata” nel territorio della singola Regione potrebbe condurre a risultati insoddisfacenti. Proprio su questo punto, merita un richiamo la sent. n. 6 del 2004, che è stata resa con riferimento al decreto-legge n. 7 del 2002 (recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale); dalla decisione sembrerebbe infatti emergere l’implicita ammissione di un ruolo “privilegiato” della decretazione d’urgenza nell’esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato, laddove si esclude l’incostituzionalità del decreto censurato, in quanto, pur incidendo in un ambito certamente regionale (“produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”), ad avviso del Giudice delle leggi risulterebbe giustificato in ragione di una situazione «nella quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici»[15].
Certo, non è che non si vedano i rischi connessi ad un simile approccio: il fatto di ritenere che la presenza di circostanze straordinarie possa tuttora legittimare l’adozione di decreti-legge da parte del Governo, pur in ambiti materiali ormai spettanti alle Regioni, potrebbe giustificare interventi pervasivi dello Stato, consentendogli di riconquistare surrettiziamente spazi di competenza che gli erano stati sottratti con la riforma costituzionale. E il rischio è ancor più evidente se si considera la cattiva prova che ha dato nella prassi lo strumento del decreto negli anni passati[16].
In tal senso diviene indispensabile che l’ordinamento attivi tutti i meccanismi di cui dispone per arginare i rischi di abuso che, inevitabilmente, si pongono: dalla necessità che la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti sia estremamente rigorosa, dovendosi ammettere il ricorso alla decretazione solo in casi oggettivamente eccezionali; alla necessità che i controlli sul decreto (compreso quello esplicabile dalla Corte costituzionale, anche su ricorso della Regione interessata) vengano attuati in modo stringente.
L’interpretazione qui prospettata non mira certamente a riconoscere allo Stato un pretesto per recuperare, a danno delle Regioni, gli spazi di competenza sottrattigli dalla riforma costituzionale, né, tantomeno, ad introdurre un nuovo elemento di conflittualità fra Stato e Regioni. La necessità di un uso accorto dello strumento del decreto permane e, anzi, risulta rafforzata alla luce del nuovo assetto delle fonti normative delineato dalla riforma del titolo V[17]: il decreto deve valere, oggi ancor più che in passato, come extrema ratio, come rimedio da utilizzare soltanto al termine di una attenta ponderazione degli interessi coinvolti.


4. Riflessioni conclusive: un problema “trascurato” da Governo e Parlamento?
Che dire, allora, di quel 30% di decreti che, dalla fine del 2001 ad oggi, sono stati emanati in settori di competenza regionale? È pensabile che rientrino tutti nel modello che si è tentato di delineare nei paragrafi precedenti?
È evidente che simili dati quantitativi (anche se, precisiamo subito, frutto di una stima molto approssimativa) non possano lasciare indifferenti: esimendoci dall’esaminare nei dettagli i singoli decreti intervenuti (e il merito delle scelte operate), e volendo fare soltanto una panoramica molto sommaria dei profili più significativi dell’azione governativa, possiamo osservare che la prassi ha fatto registrare interventi in materie di competenza concorrente quali protezione civile, tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro[18], professioni[19], governo del territorio[20]; oltre che in materie esclusive quali agricoltura e pesca.
Ma più che il dato numerico, ciò che colpisce è la totale indifferenza degli organi istituzionali, e in particolare del Parlamento in sede di conversione, rispetto al problema della possibile invasione di sfere di competenza regionale, che non viene minimamente preso in considerazione: si tratta infatti di un profilo di cui non si trova praticamente traccia nei lavori parlamentari[21].
Di qui la necessità che tra le valutazioni operate, in sede esame dei disegni di legge di conversione, dalle commissioni parlamentari competenti per materia e dal Comitato per la legislazione, inizi ad occupare un ruolo di primo piano anche la valutazione in ordine alla possibile lesione di sfere di competenza regionale.

 

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* Comunicazione presentata al Convegno tenutosi a Macerata il 21 maggio 2004 su “L’emergenza infinita. Attualità e prospettive della decretazione d’urgenza”.
[1] Sul punto, cfr. Zanon, Decreti-legge, Governo e Regioni dopo la revisione del titolo V della Costituzione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
[2] Anche se, come è stato giustamente sottolineato, occorre fin da ora rilevare che, pur nella difficoltà di confinare il decreto-legge in ambiti materiali predefiniti, i settori rimessi alla competenza dello Stato sono quelli nei quali è maggiormente prevedibile un ricorso alla decretazione d’urgenza: cfr. Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, Milano, 2003, 227.
[3] Per un quadro d’insieme sui chiarimenti fino ad ora pervenuti dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al significato delle formule utilizzate dal nuovo art. 117 Cost., cfr. A. Concaro, Rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali, in V. Onida (a cura di), Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell’anno 2002, Milano, 2003 e in Id., Viva vox (2003), in corso di pubblicazione.
[4] Anche se si tratta di un punto non ancora del tutto chiarito, la Corte costituzionale, nella sent. n. 282 del 2002, ha affermato, in un celebre obiter dictum, che la nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma «esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (corsivo nostro); mentre, nella altrettanto celebre sent. n. 303 del 2003, si legge che «l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali nelle materie di legislazione concorrente». Sul problema della perdurante configurabilità, del meccanismo della “cedevolezza” della legislazione statale di dettaglio, come noto la dottrina si è divisa: tra i favorevoli, cfr. Tosi, La legge costituzionale n. 3 del 2001: note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa, in Le Regioni, 6/2001, 1237 ss.; Ruggeri, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione e al piano dei controlli, in Il nuovo Titolo V della parte II della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione, Milano, 2002, 51 ss.; Caravita, Una vicenda piccola, una questione importante; alcune riflessioni in ordine ad un recente rinvio presidenziale, in www.federalismi.it; Antonini, Sono ancora legittime le normative statali cedevoli? Intorno ad una lacuna “trascurata” del nuovo titolo V, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. In senso contrario si sono invece espressi, tra gli altri, Luciani, Le nuove competenze legislative delle Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 1/2002, 7; Falcon, Modello e transizione nel nuovo Titolo V, cit., 1254 ss.; D’Atena, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma del Titolo V, in Le Regioni, 2002, 318.
[5] Cfr. le sentt. nn. 282 del 2002 e 88 del 2003, in tema di “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”; le sentt. nn. 407 e 536 del 2002 e 307 del 2003 in tema di tutela dell’ambiente; le sentt. nn. 14 e 272 del 2004 in tema di tutela della concorrenza.
[6] Sul punto, cfr. Caravita, La Costituzione dopo la riforma del titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002, 54 ss. e Simoncini, Le funzioni, cit., 232.
[7] Il problema si sovrappone a quello dell’ammissibilità del decreto-legge regionale, che già in passato era stato oggetto di un vivace dibattito dottrinale, e che è ora tornato di attualità a seguito della ridefinizione dell’autonomia statutaria attuata dal nuovo art. 123 Cost.: per una disamina più approfondita del tema e per una sintesi del dibattito dottrinale, sia consentito di rinviare a A. Concaro, I casi straordinari di necessità e d’urgenza nelle materie di competenza regionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Giur. cost., 2002, 3127 ss.
[8] E che non viene chiarito neppure dall’art. 8 della legge “La Loggia”, laddove si parla di sostituzione “normativa”. Sul dibattito che è intervenuto in ordine all’ammissibilità della sostituzione legislativa si sono espressi in senso contrario, tra gli altri, Tosi, La legge costituzionale n. 3 del 2001: note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa, in Le Regioni, 2001, 1233 ss.; Mainardis, I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, ivi, 1357 ss.; Corpaci, Revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo, ivi, 1323; Caravita, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, cit., 136; Bilancia, Verso un federalismo cooperativo?, in AA. VV., Problemi del federalismo, Milano, 2001, 81 ss.; Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002, 151; Anzon, I poteri delle regioni dopo la riforma costituzionale. Il nuovo regime e il modello originario a confronto, Torino, 2002, 217. Sono invece favorevoli, pur con alcune diversità di vedute, Pinelli, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in Foro it., 2001, V, 198 ss.; Guzzetta, Problemi ricostruttivi e profili problematici della potestà regolamentare dopo la riforma del Titolo V, in Le Istituzioni del Federalismo, 2001, 1135); Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione:aspetti problematici, in Le Regioni, 2001, 1223 ss.; Salerno, La disciplina legislativa dei poteri sostitutivi tra semplificazione e complessità ordinamentale, in www.federalismi.it.
[9] Sul punto, cfr. Zanon, Decreti-legge, cit. e Concaro, I casi straordinari, cit., 3147.
[10] L’idea che il legislatore nazionale, nonostante il silenzio della Carta costituzionale, abbia in ogni caso il potere di esercitare le competenze legislative delle Regioni inadempienti, e di esercitarlo proprio attraverso lo strumento del decreto-legge, è stata sostenuta da più parti: cfr. Cerri, Alla ricerca dei ragionevoli principi della riforma regionale, in AA.VV., Problemi del federalismo, cit., 211; Caretti, L’assetto dei rapporti, cit., 1229; Luciani, Le nuove competenze legislative delle Regioni a Statuto ordinario, cit.; Guzzetta, op. loc. ult. cit.; Gianfrancesco, Il potere sostitutivo, in AA. VV. La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V (a cura di Groppi e Olivetti), Torino, 2003, 237 ss. Secondo Rescigno, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Dir. pubbl., 2002, 816, il decreto-legge adottato allo scopo di fonteggiare situazioni di urgente necessità in materie di competenza regionale, sarebbe «un atto doppiamente provvisorio: provvisorio in attesa della legge di conversione; provvisorio in attesa dell’esercizio da parte della Regione della competenza legislativa supplita».
[11] In argomento, v. Elia, Introduzione, in AA. VV., La Repubblica delle autonomie, cit., 20; Barbera, Chi è custode dell’interesse nazionale?, in Quad. cost., 2001, 345; Bin, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 6/2001, 1213 ss.
[12] Una posizione sulla quale, come noto, la dottrina ha espresso forti dubbi interpretativi, ma che risulta confermata dalla giurisprudenza successiva: cfr. la sent. n. 6 del 2004.
[13] Cfr. Celotto, L’“abuso” del decreto-legge, Padova, 1997, il quale osserva che «il decreto-legge rinviene la propria competenza per materia proprio nei casi di straordinaria necessità ed urgenza».
[14] Come noto, l’idea che l’interpretazione sistematica dell’art. 77 Cost. autorizzi il Governo ad intervenire oltre il «disponibile con legge ordinaria», consentendogli di derogare al normale ordine delle competenze costituzionalmente attribuite, risale ad Esposito, voce Decreto-legge, in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 835 ss. Sulla possibilità per il Governo, ove ricorrano situazioni di urgente necessità, di sostituirsi al legislatore regionale, cfr. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 2003, 347.
[15] Cfr. il punto n. 3 del Considerato in diritto.
[16] Proprio evocando tali rischi, esprime una totale contrarietà alla decretazione d’urgenza nelle materie di competenza regionale Simoncini, Le funzioni del decreto-legge, cit., 232 ss., il quale individua nel riparto delle competenze fissato dall’art. 117 Cost. «un nuovo e pregnante profilo d’incostituzionalità del decreto-legge».
[17] E questo vale anche per i settori che sono stati mantenuti alla competenza dello Stato, per il carattere trasversale che molti di essi rivestono: sul punto, cfr. le considerazioni di Cassetti, Decreto-legge, fonti statali primarie e potestà legislativa regionale, in www.federalismi.it.
[18] In argomento si segnala il d.l. n. 210 del 2002, conv. in legge n. 266 del 2002, recante “Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale”, contro il quale aveva promosso ricorso dinanzi alla Corte costituzionale la Regione Umbria (poi rinunciandovi): v. ord. n. 382 del 2003
[19] Su cui si segnala il d.l. n. 107 del 2002, conv. in legge n. 173 del 2002, recante “Disposizioni urgenti in materia di accesso alle professioni”, che non si limita a dettare norme di principio, ma contiene anche disposizioni estremamente minute e dettagliate.
[20] Su cui è da segnalare la contestatissima vicenda del condono edilizio, disposto con d.l. n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003, contro il quale vi era stata una netta levata di scudi delle Regioni, che denunciavano anche la lesione delle proprie attribuzioni (esclusive) in materia di edilizia e urbanistica: la Corte ha definito le questioni con le decc. nn. 196, 197 e 198 del 2004.
[21] Salvo un generico richiamo, nella scheda di analisi tecnico-normativa, alla assenza di elementi di incompatibilità con il riparto delle competenze legislative dettato dall’art. 117, che viene però fatto non a seguito di una analisi specifica del contenuto del decreto, ma attraverso l’utilizzo di mere clausole di stile: sul punto cfr. la relazione di Celotto, Decreto-legge e Governo (nella XIV legislatura), p. 5 del paper.

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