ALFONSO CELOTTO
Il primato del diritto europeo nel Progetto
di Costituzione
1. Mettendo da parte ogni considerazione di tono celebrativo sull’importanza
della firma del Progetto di Trattato che adotta una Costituzione
per l’Europa, voglio limitarmi a spendere qualche considerazione
su uno dei tanti profili di interesse che in questo Trattato-Costituzione
rinveniamo e su cui vale la pena avviare una riflessione: la positivizzazione
del primato del diritto europeo.
Il principio della primauté - pilastro portante dell’integrazione
– è un prodotto giurisprudenziale, sviluppatosi e precisatosi
nel tempo.
La sentenza Costa/ENEL del 15 luglio 1964 ha statuito che la primauté
del diritto comunitario trova conferma nell’art. 189 (ora
249) TCE, rilevando che “questa disposizione, che non è
accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se
uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un
provvedimento nazionale che prevalesse sui testi comunitari”;
e, quindi, precisando che “il diritto nato dal Trattato non
potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare
un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio
carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento
giuridico della stessa Comunità”. Già in tale
decisione emerge limpidamente che nessun tipo di atto nazionale,
nemmeno di rango costituzionale – il “qualsiasi”
del testo italiano è ancora più efficace nel testo
francese dove si rileva “le droit communautaire … ne
pourrait … se voir judiciairement opposer un texte interne
quel qu’il soit” – può resistere al diritto
comunitario.
L’esplicitazione seguirà nella sentenza Internationale
Handelsgesellschaft , ove si osserva che l’invocazione “ai
diritti fondamentali, per come formulati nella Costituzione di uno
Stato membro, oppure ai principi costituzionali nazionali non può
sminuire la validità di un atto comunitario o la sua validità
nel territorio dello Stato”. L’applicazione si avrà
molto più di recente nella sentenza Tanja Krei , in cui si
è ammesso che la direttiva 76/207/CEE, relativa all'attuazione
del principio della parità di trattamento fra gli uomini
e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione
e la promozione professionali e le condizioni di lavoro, osta all'applicazione
di disposizioni nazionali, come quella dell’art. 12 della
Costituzione tedesca, che escludono in generale le donne dagli impieghi
militari comportanti l'uso di armi e che ne autorizzano l'accesso
soltanto ai servizi di sanità e alle formazioni di musica
militare.
2. Sappiamo che l’assolutezza di questa affermazione ha trovato
resistenze a livello nazionale, soprattutto negli Stati che hanno
cercato di elaborare una dottrina dei controlimiti, quali possibilità
di una resistenza di norme e principi nazionali – specie di
rango costituzionale - alla prevalenza del diritto comunitario.
Ora il Progetto di Trattato costituzionale non solo positivizza
quanto consolidato nella giurisprudenza della CGCE , ma amplia la
portata della primauté a tutto il diritto UE, stabilendo,
all’art. I-6 che “La Costituzione e il diritto adottato
dalle istituzioni dell'Unione nell'esercizio delle competenze a
questa attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri”.
Sembra un riconoscimento pieno e senza condizioni della primauté,
invece, tale disposizione, va letta – sistematicamente –
quanto meno con gli art. I-5 e II-113 del Progetto di Trattato costituzionale
L’art. I-5 - addirittura anteposto al riconoscimento della
primauté - prevede che “L'Unione rispetta l'uguaglianza
degli Stati membri davanti alla Costituzione e la loro identità
nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale,
compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta
le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di
salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento
dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale”.
L’art. II-113 - riprendendo testualmente l’art. 53 della
Carta di Nizza – dispone: “Nessuna disposizione della
presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti,
nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione,
dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle
quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare
la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri”.
Ne emerge una visione dinamica della primautè, che ammette
limiti costituzionali nazionali.
Si tratta, in pratica della legittimazione della dottrina dei controlimiti,
sia per quel che riguarda i principi supremi degli ordinamenti costituzionali
sia per i (maggiori livelli di tutela dei) diritti inviolabili.
I controlimiti si avviano, quindi, a divenire non più il
rigido muro di confine fra ordinamenti, ma il punto di snodo, la
cerniera nei rapporti tra UE e Stati membri. Resta sempre più
sullo sfondo la concezione dei controlimiti quale extrema ratio,
che può legittimare anche la secessione di uno o più
Stati dall’Unione(ipotesi oggi prevista positivamente dall’art.
I-60 del Progetto di trattato costituzionale, nella forma del recesso
dall’Unione). I controlimiti modificano, ora, la loro natura
iniziale e divengono elemento di integrazione fra gli ordinamenti,
che può ammettere anche l’applicazione di norme nazionali,
in deroga al diritto UE, ove rechino livelli più elevati
di protezione dei diritti, oppure rappresentino elementi essenziali
della peculiare struttura costituzionale statale. Una Unione europea
che tende alla formazione di un vero Stato unitario di tipo federale,
non può non consentire che i singoli Stati membri, soprattutto
in materia di diritti, non applichino le proprie disposizioni che
riconoscono livelli di protezione più elevati, al pari di
quanto avviene tradizionalmente negli Stati federali. Si ammette,
così, che una norma nazionale possa derogare alla norma comunitaria:
i controlimiti acquistano una propria legittimazione, quale forma
dinamica di prevalenza del diritto nazionale, rispetto al caso concreto;
la primauté assume contenuti nuovi e differenti, ammettendo
deroghe a livello nazionale, come si desume dalla sistematica stessa
del Progetto di Trattato costituzionale.
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