1. In tema di rilascio di autorizzazioni amministrative, per la formazione del silenzio assenso, il combinato disposto degli articoli 21 della legge 241/90 e 3 e 4 del DPR 26 aprile 1992 n. 300, affermano come il silenzio si possa formare solo ove nella domanda sia stato dichiarato il possesso di tutti i requisititi soggettivi e la sussistenza di quelli oggettivi, necessari per l’autorizzazione; in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge, ed il dichiarante può essere anche passibile di sanzione
2. Tra i provvedimenti di concessione di suolo pubblico e quello di rilascio di autorizzazione commerciale, vi è uno stretto collegamento in quanto la possibilità di concedere l’area pubblica è presupposto indispensabile per il rilascio dell’autorizzazione commerciale in questione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO Composta dai magistrati: Consigliere PAOLO RESTAINO Presidente f.f. - Consigliere
ANTONIO AMICUZZI Correlatore - Consigliere CARLO TAGLIENTI Relatore Ha pronunciato
la seguente
S E N T E N Z A
Sul ricorso n. 10265 del 1998 proposto da
FALLI SERGIO, rappresentato e difeso dall’avv. Vittorio
Attolino, presso lo studio del quale ha eletto domicilio in Roma, via Angelo
Bargoni n. 78;
contro
il COMUNE di ROMA, in persona del sindaco
pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Cristina Montanaro dell’Avvocatura
comunale, presso la quale risulta domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove
n. 21;
per l’annullamento del provvedimento del direttore dell’VIII
dipartimento – II U.O. del 27 maggio 1998 n 8774, con il quale è
stata negata l’autorizzazione all’esercizio del commercio su aree
pubbliche in via Regina Elena, prossimità civico 336, lato sinistro;
visto il ricorso con i relativi allegati; FATTO
Con ricorso notificato il 15 luglio 1998 e depositato il 31
successivo, il sig. Falli Sergio ha impugnato il provvedimento con il quale
il comune di Roma gli ha negato l’autorizzazione commerciale su area pubblica
in via Regina Elena. 1) violazione di legge (art. 1 comma secondo lett. a) della
legge 112/91) ed eccesso di potere per violazione e vizi del procedimento, mancata
ottemperanza a norme di legge e di regolamento; avvenuta formazione del silenzio
assenso: ai sensi dell’art. 20 della lege n. 241/90 e del DPR n. 407/94,
trascorsi sessanta giorni dall’istanza, deve ritenersi formato il silenzio
assenso sulle domande di autorizzazione della fattispecie in esame; non risulta
nemmeno iniziata la dovuta istruttoria; la norma regolamentare comunale riguarda
le concessioni di suolo pubblico e non le autorizzazioni commerciali;
2) eccesso di potere per carenza di motivazione: la motivazione
è incongrua e contrasta con la mancata istruttoria. DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe viene impugnato un diniego di autorizzazione
commerciale su area pubblica, basato sulla norma del Piano comunale del commercio
su aree pubbliche, approvato con deliberazione n. 7/96, che esclude, per il
primo quadriennio di applicazione, il rilascio di alcuna autorizzazione. 1.Con il primo profilo di gravame il ricorrente assume essersi
nella fattispecie formato il silenzio assenso, avendo il comune risposto negativamente,
trascorsi i sessanta giorni dall’istanza previsti dal DPR n. 407/94; deduce
altresì una carenza istruttoria, avendo il comune archiviato la domanda
senza ulteriore esame. 2-Con il secondo motivo si rileva un difetto di motivazione. P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda ter, respinge
il ricorso in epigrafe; Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 gennaio 2004.
Disciplina di piano e formazione
del silenzio-assenso nelle autorizzazioni commerciali
SEZIONE SECONDA ter
visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria del comune di Roma;
vista la propria ordinanza collegiale n. 2512 del 29 settembre 1998;
visti gli atti tutti di causa;
relatore alla pubblica udienza del 12 gennaio 2004 il consigliere Carlo Taglienti;
uditi alla stessa udienza gli avvocati Attolino per il ricorrente e Brigato
per il comune resistente;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Premesso di essere iscritto alla camera di commercio industria ed artigianato
della provincia di Roma per le tabelle merceologiche IX, X e XIV, prodotti per
la persona, per la casa, per lo sport ed il tempo libero e per l’edilizia,
e di avere inoltrato ai competenti uffici del comune richiesta di autorizzazione
commerciale su area pubblica in data 12 marzo 1998; evidenziato come con nota
del 26 maggio 1998 il comune ha risposto negativamente in quanto “l’art.
3 della deliberazione n. 7/96, Piano del commercio su aree pubbliche non prevede,
per il primo quadriennio di applicazione dello stesso, il rilascio di alcuna
autorizzazione”, il ricorrente deduce, avverso detto atto, le seguenti
censure:
Costituitosi il comune, ha chiesto la reiezione del ricorso.
Con ordinanza collegiale n. 2518 del 29 settembre 1998 è stata respinta
l’istanza cautelare.
Con memoria depositata in data 31 dicembre 2003 il comune ha insistito per la
reiezione del ricorso, rilevando come nella fattispecie non si sia formato il
silenzio assenso per mancanza dei presupposti necessari, e come in ogni caso
sia sempre ammesso un provvedimento in autotutela.
Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2004 i difensori delle parti hanno concordemente
spedito la causa in decisione.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che nella fattispecie non si sia formato il silenzio assenso
per decorso del termine previsto nel DPR n. 407/94, di giorni sessanta dalla
domanda.
E’ nota la consolidata giurisprudenza che afferma il principio che per
la formazione del silenzio è necessaria la sussistenza dei presupposti,
oggettivi e soggettivi, richiesti per l’ottenimento del provvedimento
positivo (cfr. ad es TAR Lazio, sez. II ter, 13 febbraio 2003 n. 970; Cons.
di Stato sez. V 11 febbraio 1999 n. 145).
Tale giurisprudenza si basa sul combinato disposto degli articoli 21 della legge
241/90 e 3 e 4 del DPR 26 aprile 1992 n. 300, che chiaramente affermano come
il silenzio si possa formare solo ove nella domanda sia stato dichiarato il
possesso di tutti i requisititi soggettivi e la sussistenza di quelli oggettivi,
necessari per l’autorizzazione; in caso di dichiarazioni mendaci o false
attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività
e dei suoi effetti a legge, ed il dichiarante può essere anche passibile
di sanzione.
Nel caso in esame, come in precedenza detto, sussiste una specifica disposizione
del Piano di commercio su aree pubbliche, approvato nel 1996, che esclude la
possibilità di rilasciare autorizzazioni o concessioni nel primo quadriennio
di vigenza; norma che non risulta contestata nel merito dal ricorrente.
Deve pertanto ritenersi mancante uno dei presupposti oggettivi essenziali per
la formazione del silenzio assenso.
Circa l’osservazione poi che la norma riguarderebbe le concessioni di
suolo pubblico e non le autorizzazioni commerciali, si richiama quanto già
affermato da questa stessa sezione in ordine allo stretto collegamento tra i
due provvedimenti, esistente nella fattispecie: la possibilità di concedere
l’area pubblica è presupposto indispensabile per il rilascio dell’autorizzazione
commerciale in questione (sentenza n 6763/01).
Si assume anche un difetto d’istruttoria, in quanto l’amministrazione
non ha effettuato gli adempimenti necessari, previsti nella procedura propria
delle autorizzazioni in esame.
Il motivo non ha pregio in quanto, verificata l’impossibilità di
rilasciare l’autorizzazione per il divieto dell’atto programmatorio,
nessun altro adempimento era necessario per fornire al ricorrente la risposta
negativa.
Nemmeno tale censura può essere condivisa.
L’atto impugnato richiama espressamente la disposizione del Piano di commercio
applicabile nella fattispecie, e ne indica anche sinteticamente il contenuto;
non erano necessarie altre parole per comprendere il motivo del diniego.
Il ricorso pertanto non può essere accolto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
spese compensate;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
IL RELATORE IL PRESIDENTE f.f.
(Cons. Carlo Taglienti ) (Cons. Paolo Restaino)
dell’Avv. Stefano Tarullo
(ricercatore di diritto amministrativo - Università Tor Vergata di Roma)
Un commerciante (in articoli per la persona, per la casa, per
lo sport ed il tempo libero e per l’edilizia) presentava al Comune di
Roma istanza volta al rilascio di un’autorizzazione commerciale su area
pubblica. L’Amministrazione denegava il richiesto provvedimento ampliativo
invocando una previsione del Piano del commercio su aree pubbliche (delibera
comunale n.7/96) che per il primo quadriennio di applicazione dell’atto
programmatorio aveva proibito il rilascio autorizzazioni.
La controversia sulla legittimità del diniego è stata definita
(nel senso della infondatezza dei motivi di impugnativa) dalla Sezione II Ter
del TAR del Lazio con la sentenza n. 1399 del 12 febbraio 2004, qui annotata.
Il principale motivo di interesse della pronuncia attiene alla reiezione della
doglianza mossa dal ricorrente circa l’avvenuta formazione del silenzio-assenso
(art. 20, comma 1, legge n. 241/1990) quale esito del procedimento autorizzatorio;
doglianza incentrata sull’inutile decorso del termine di sessanta giorni
dalla presentazione dell’istanza prescritto dal DPR n. 407 del 9 maggio
1994 (che come noto ha integrato la tabella C allegata al DPR 26 aprile 1992
n. 300, recante "Regolamento concernente le attività private sottoposte
alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n 241")
entro il quale al richiedente deve essere comunicato il diniego (si badi, comunicato
e non semplicemente adottato: cfr. TAR Puglia Bari, Sez.II, 18 gennaio 2002
n.335).
Il Collegio laziale ripropone, in thema, la usuale lettura dell’art.21
della legge 241 del 7 agosto 1990 in combinato disposto con gli artt. 3 e 4
del menzionato DPR n. 300/1992, traendone l’unitario principio in forza
del quale la formazione del silenzio è subordinata all’avvenuta
dichiarazione, in seno all’istanza che dà avvio al procedimento,
della sussistenza di tutti i requisiti di ordine sia soggettivo che oggettivo
necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione, ferma restando l’inconfigurabilità
dell’atto permissivo tacito qualora vengano rese dichiarazioni mendaci
o false attestazioni (fattispecie colpite, peraltro, da apposite sanzioni: cfr.
art. 21, comma 1, legge n.241/1990).
In effetti in base all’art.4, comma 1 del DPR n. 300/1992 “L'atto
di assenso di cui all'art. 20, comma 1, della legge si considera formato quando
la domanda è conforme alle disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo
precedente”; ed il comma 2 dell’art. 1 prescrive univocamente che
“La denuncia e la domanda devono identificare le generalità del
richiedente e le caratteristiche specifiche dell'attività da svolgere;
inoltre, alla denuncia o alla domanda deve essere allegata una dichiarazione
del richiedente che indichi la sussistenza dei presupposti, ivi compreso il
versamento di eventuali tasse e contributi, e dei requisiti prescritti dalla
legge per lo svolgimento di quell'attività. Quando la legge richieda
particolari requisiti soggettivi, la denuncia e la domanda devono contenere
anche i dati necessari per verificare il possesso o conseguimento dei requisiti
stessi”.
Sul punto si erano conformemente pronunciati tanto il Consiglio di Stato, Sez.
V, con la decisione n.145 dell’11 febbraio 1999, quanto – in tempi
più recenti - lo stesso collegio della Sez. II ter con la sentenza n.
970 del 13 febbraio 2003 n. 970, sulla scorta di un orientamento già
costantemente applicato dai TAR (v. ad es. TAR Sardegna, 22 aprile 1998 n.435,
là dove si è rimarcato che il termine iniziale per la formazione
del silenzio assenso, riferendosi la norma unicamente al provvedimento comunale,
non è estensibile anche ad atti di competenza di altre autorità
coinvolte a livello endoprocedimentale, e che esso può decorrere solamente
da quando la domanda sia completa di tutta la documentazione e di tutti i pareri
necessari).
Sennonchè v’è un ulteriore tassello che il Tribunale di
Via Flaminia, nella pronuncia qui analizzata, aggiunge alla ricostruzione che
si va oramai cristallizzando in giurisprudenza: il TAR individua con chiarezza
anche negli atti programmatori adottati dalla stessa Amministrazione procedente
la scaturigine di possibili conseguenze preclusive, in termini oggettivi, alla
formazione del silenzio-assenso. Segnatamente, nella fattispecie in esame la
carenza di un decisivo elemento oggettivo viene ravvisata nel divieto imposto
dal Piano di commercio comunale su aree pubbliche del 1996 al rilascio di autorizzazioni
o concessioni nel primo quadriennio di operatività del piano medesimo.
La posizione del Giudice laziale è, sul punto, assai netta: la proibizione
contenuta nell’atto programmatorio risulta del tutto assorbente tanto
sul piano istruttorio quanto su quello motivazionale.
In ordine al primo profilo, il Collegio assume che una volta appurata l’impossibilità
(giuridica) di rilasciare l’autorizzazione a cagione del divieto imposto
dall’atto programmatorio il diniego è del tutto legittimo anche
se intervenuto dopo la scadenza del termine di formazione del silenzio-assenso
(la cui operatività, come detto, è esclusa), senza necessità
di compiere ulteriori verifiche circa i restanti requisiti dichiarati dall’istante.
Sotto il secondo profilo, nella sentenza n. 1399/2004 si statuisce che quando
il provvedimento negativo indichi in modo esplicito la disposizione del Piano
di commercio applicata, e ne riporti “anche sinteticamente il contenuto”,
l’obbligo di clare loqui risulta soddisfatto appieno.
Il ricorrente, invero, non aveva nella specie impugnato, deducendo autonome
censure, il Piano de quo, ma si era limitato a sostenere una sua particolare
interpretazione, tesa a confinare gli effetti dell’illustrato divieto
alle sole concessioni di suolo pubblico e ad escludere – correlativamente
– ogni possibile incisione sui procedimenti funzionali al rilascio delle
autorizzazioni commerciali.
Il Collegio non si preoccupa di disattendere tale esegesi; esso, piuttosto,
si cura di porre in luce lo “stretto collegamento tra i due provvedimenti,
esistente nella fattispecie: la possibilità di concedere l’area
pubblica è presupposto indispensabile per il rilascio dell’autorizzazione
commerciale in questione (sentenza n 6763/01)”.
Anche questo ulteriore passaggio motivazionale merita di essere sottolineato,
poiché sembra presentare un tratto di marcata originalità: il
TAR finisce in sostanza per escludere la vigenza del regime del silenzio-assenso
non solamente quanto il rilascio del titolo autorizzatorio trovi un immediato
ed inequivoco ostacolo nel dato testuale offerto dall’atto programmatorio,
ma anche quando il divieto prefissato (in via generale) dalla stessa Amministrazione
si appunti su di un diverso atto che rispetto a tale titolo si ponga in un rapporto
di logica e cronologica presupposizione (e tale sembra essere, per l’appunto,
il rapporto tra la concessione di suolo pubblico e l’autorizzazione di
commercio).
In ultima analisi, per vincere la previsione di piano (art. 3) il ricorrente
avrebbe dovuto indirizzare verso di essa autonome doglianze di legittimità
(ad esempio invocando la violazione di superiori norme di legge, il difetto
di istruttoria o l’irragionevolezza di una prescrizione così penalizzante
nel contesto di un atto programmatorio impeditivo pro futuro di una valutazione
caso per caso; o al limite adducendo l’ingiustificata compressione, per
l’intero arco del quadriennio considerato, della libertà di iniziativa
economica privata e/o la frustrazione degli affidamenti maturati, se esistenti).
Al contrario, come, come incidentalmente ma significativamente rileva il Giudicante,
la previsione stessa non era stata “contestata nel merito dal ricorrente”.