T.A.R. LAZIO, ROMA, SEZ.III Ter –
sentenza 6 febbraio 2004 n. 1155
Pres. Corsaro,Est. Russo; Assoc. Polistrafusi Italiani (Avv.
Domenico Porcelluzzi) c. Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia
e delle Finanze
1. In tema di fattispecie transattive con la P.A., si ravvisa in capo ai privati una posizione d’interesse legittimo per tutto lo svolgimento della procedura transattiva, insorgendo quella di diritto soggettivo solo all’atto della definizione della lite.
2. Quando un regolamento si rivolge sì ad una categoria ben definita di soggetti, ma anche all’universo di tutti i suoi componenti, la sua impugnazione non configura posizioni di controinteresse.
3. Lo spontaneo intervento, nel giudizio amministrativo, di chi assume e dimostra d’essere un controinteressato indebitamente non evocatovi, non sana l’inammissibilità del ricorso giurisdizionale, se il ricorrente non abbia adempiuto ab origine all’onere di notificazione di esso ad almeno uno tra i controinteressati.
4. E’inammissibile la domanda attorea rivolta ad ottenere una pronuncia additiva del Giudice Amministrativo e finalizzata a far assumere all’atto impugnato significati o fargli contemplare destinatari che la P.A. espressamente non ha considerato.
REPVBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. III ter,
composto dai signori Francesco CORSARO, Presidente, - Lucia TOSTI, Consigliere, - Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore, ha pronunciato la seguente
SENTENZA SUI RICORSI RIUNITI
A) – n. 388/2004, proposto dall’ASSOCIAZIONE POLITRASFUSI ITALIANI – API, con sede in Volpiano (TO), in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché dai sigg. Emilia CAMPANARO e consorti (come da elenco allegato alla presente) e n. 393/2004, proposto dai sigg. Nicola CHIEPPA, Francesca LOFFREDO, Raffaele BORGIA e Maria DIBENEDETTO, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Domenico PORCELLUZZI ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’avv. PANARITI;
B) – e n. 160/2004, proposto dai sigg. Maria Carmina MASSIMO e consorti (come da elenco allegato alla presente), tutti rappresentati e difesi dall’avv. Cesare FORMATO ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Orazio n. 6, presso lo studio dell’avv. PERRI,
CONTRO
il MINISTERO DELLA SALUTE ed il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi sigg. Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
E NEI CONFRONTI
dei sigg. Massimiliano ACCARDO e consorti (come da elenco allegato alla presente), interventori ad opponendum, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Mario ed Anton Giulio LANA, Salvatore ORESTANO, Umberto ed Andrea RANDI ed Isabella DE ANGELIS ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via E. de’Cavalieri n. 11,
PER L’ANNULLAMENTO
A) – del decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 3 novembre 2003 (in G.U. n. 280 del 2 dicembre 2003), recante la definizione transattiva delle controversie in atto, promosse da soggetti danneggiati da sangue o emoderivati infetti, nella parte in cui limita i suoi effetti ai soli soggetti emofiliaci e assuntori da emoderivati;
B) – della circolare del Ministero della salute prot. n. 9266 del 17 novembre 2003; C) – dell’atto contenente le risultanze del lavoro svolto dal gruppo paritetico istituito con DM 13 marzo 2003, non conosciuto;
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate
e l’atto d' intervento dei sigg. ACCARDO e consorti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza camerale del 29 gennaio 2004 il Cons. dott. Silvestro
Maria RUSSO e uditi, per le parti, gli avvocati PORCELLUZZI, FORMATO, LANA,
ORESTANO, RANDI e DE ANGELIS e l’Avvocato dello Stato SALVATORELLI;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. – L’Associazione politrasfusi
italiani – API, con sede in Volpiano (TO) ed i sigg. Emilia CAMPANARO
e consorti assumono d’essere l’associazione di categoria e, rispettivamente,
soggetti politrasfusi che hanno subito patologie (da HIV, HBV, o HCV) a causa
di trasfusione di sangue infetto. Dal canto loro, anche i sigg. Maria Carmina
MASSIMO e consorti assumono d’esser stati infetti, per trasfusione di
sangue o di emoderivati.
L’API e consorti dichiarano altresì che, in virtù dell’art.
3, c. 1 del DL 23 aprile 2003 n. 89 (convertito, con modificazioni, dalla l.
20 giugno 2003 n. 141), sono stati stanziati fondi ai fini delle transazioni
con i soggetti emotrasfusi che avevano instaurato azioni di risarcimento di
danni. Il successivo c. 2 dispone che, con decreto del Ministro della salute,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono fissati
i criteri per la definizione di dette transazioni di cui sopra e, comunque,
nell’ àmbito dello stanziamento all’uopo autorizzato. A seguito
di ciò, è stato emanato il decreto interministeriale 3 novembre
2003 (in G.U. n. 280 del 2 dicembre 2003), recante le modalità di definizione
transattiva delle controversie de quibus. Detto decreto, tuttavia, facendo riferimento
ai risultati dell’attività del gruppo tecnico istituito con decreto
del Ministro della salute 13 marzo 2002 ¾con il compito d’individuare
congrui criteri di quantificazione dei danni subiti dai soggetti danneggiati
e, se del caso, addivenire a transazione con costoro¾, ha limitato i
suoi effetti ai soli soggetti emofiliaci a seguito d’assunzione di emoderivati
infetti.
2. – Avverso tale decreto, nella parte
in cui opera siffatta limitazione, insorgono allora l’API ed i sigg. MASSIMO
e consorti innanzi a questo Giudice, con i tre ricorsi in epigrafe, deducendo
vari profili di censura. Resistono in giudizio gli intimati Ministeri, che eccepiscono
il difetto di giurisdizione del Giudice adito, l'inammissibilità dei
ricorsi in epigrafe per assenza di atto impugnabile, l’omessa intimazione
dei controinteressati e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea.
Intervengono ad opponendum nel presente giudizio i sigg. ACCARDO e consorti,
i quali concludono per l’inammissibilità e l’infondatezza
della pretesa attorea.
All’udienza camerale del 29 gennaio 2004, sussistendo i presupposti di
completezza dell’istruttoria e del contraddittorio e su conforme richiesta
di tutte le parti, i ricorsi in epigrafe sono assunti in decisione dal Collegio
ai sensi dell’art. 21, X c., I per. della l. 6 dicembre 1971 n. 1034,
affinché il giudizio previa riunione dei ricorsi stessi sia definito
nelle forme di cui al successivo art. 26, V c.
3. – Non hanno pregio e vanno disattese
le preliminari eccezioni di difetto di giurisdizione di questo Giudice, sollevate
sulla questione controversa da entrambe le parti resistenti.
Pur materialmente vera essendo la circostanza che il decreto impugnato riguardi
fattispecie transattive, non per ciò solo la posizione vantata nella
specie tanto dai ricorrenti, quanto dagli interventori ad opponendum non è
d’interesse legittimo. È utile, a tal riguardo, riportare il testo
dell’art. 3, c. 1, I per. del DL 89/2003 (nel testo modificato dalla l.
141/2003), per cui «… 1. – Per le transazioni da stipulare
con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno
instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata
la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l'anno 2003 e di centonovantotto
milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005…».
Come si vede, la norma non impone, né vincola comunque la P.A. ad una
necessaria transazione con i soggetti danneggiati da sangue o da emoderivati
infetti, limitandosi a fissare i tetti massimi di spesa per le eventuali definizioni
e l'utilizzabilità di queste ai soli casi di controversie risarcitorie
effettivamente instaurate. Tanto a differenza del dato testuale ex art. 1965,
I c., c.c., in virtù del quale la transazione serve alle parti, mediante
le loro reciproche concessioni, anche a prevenire una lite che può insorgere
tra loro, tant’è che dette concessioni possono riguardare anche
liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi,
purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili (arg. ex Cass.,
III, 17 gennaio 2003 n. 615), come accade nella specie, ossia nei casi d’assunzione
di sangue o emoderivati infetti da parte di soggetti non ancora ammalati, ma
la cui patologia, secondo la sua ordinaria eziologia, si verificherà
con alta probabilità. Né basta: nella comune accezione, la lite,
cui fan riferimento gli artt. 1965 e ss. c.c. e sui cui si fonda la stessa validità
della transazione, ben può essere non solo la controversia giudiziaria
o arbitrale, ma anche l’insorgenza d’un mero conflitto tra discordanti
e incompatibili valutazioni di interessi e pretese (arg. ex Cass., III, 29 marzo
1985 n. 2207). Sulla scorta di tali dati normativi, la P.A. non solo non è
tenuta tout court a transigere, ma è libera di valutare se effettuare
definizioni diverse da quelle ex art. 3, c. 1, I per. del DL 89/2003, o anche
quest’ultime, con l’unico vincolo, di carattere finanziario, di
non superare, rebus sic stantibus, il tetto massimo di stanziamento per il triennio
2003/2005. Non v’è, pertanto, alcun “diritto” alla
transazione e, comunque, questa è compiuta, una volta scelta, non nell’esclusivo
interesse del danneggiato destinatario.
In secondo luogo, neppure liberi sono la forma, il contenuto concreto e l’ordine
delle transazioni in parola, giacché l’art. 3, c. 2 del DL 89/2003
demanda alla fonte subordinata (il decreto impugnato) i criteri ed i limiti
di spesa per la definizione di tali vicende, nonché il richiamo alle
conclusioni del gruppo tecnico istituito con il citato DM 13 marzo 2002. Siffatta
vincolatezza della P.A. nel quomodo, ben lungi dal fondare nei privati qualsivoglia
pretesa sull’an della transazione, ne conforma addirittura l’autonomia
negoziale e gli stessi tempi di soddisfacimento transattivi. In concreto si
verifica così, in capo ai privati in ordine al bene della vita «risarcimento
del danno da sangue o emoderivati infetti», una posizione d’interesse
legittimo per tutto lo svolgimento della procedura transattiva de qua, insorgendo
quella di diritto soggettivo solo all’atto della definizione della lite.
4. – Ancora da rigettare è l’eccezione
sull’omessa intimazione dei controinteressati nel presente giudizio.
Al riguardo, è vero che lo spontaneo intervento, nel giudizio amministrativo,
di chi assume e dimostra d’essere un controinteressato indebitamente non
evocatovi non sana l’inammissibilità del ricorso giurisdizionale,
se il ricorrente non abbia adempiuto ab origine all’onere di notificazione
di esso, ex art. 21, I c., I per. della l. 1034/ 1971, ad almeno uno tra i controinteressati.
Dubita, nondimeno, il Collegio che tale qualità sia riconoscibile, nella
specie, agli interventori ad opponendum e ciò per tre distinti, ma connessi
ordini di ragioni.
Per un verso, è controinteressato colui che, in relazione all’oggetto
della domanda giudiziale, ne sarebbe direttamente danneggiato dall’eventuale
accoglimento (cfr., da ultimo, Cons. St., V, 30 ottobre 2003 n. 6743), onde
egli è destinatario necessario della notificazione del ricorso. Nel caso
in esame, la domanda attorea è rivolta non già a levare il bene
della vita riconosciuto dal decreto impugnato agli emofiliaci, bensì
ad estenderne gli effetti anche ai ricorrenti, intatte restando le posizioni
altrui. È appena da osservare il pacifico insegnamento della giurisprudenza,
secondo cui non sussistono controinteressati al cospetto della pretesa patrimoniale,
qual è in sostanza quella azionata in questa sede, del soggetto che tende
ad ottenere per sé, senza togliere ad altri (cfr. Cons. St., II, 21 maggio
2003, par. n. 206/2003).
Né varrebbe obiettare la possibile, futura ed eventuale incapienza dello
stanziamento indicato dall’art. 3, c. 1, II per. del DL 89/2003. In disparte
la natura meramente ipotetica di tal evenienza, essa non crea di per sé,
ed in difetto di un’espressa o facilmente evincibile scelta della norma
in tal senso, una procedura di tipo concorsuale, nei confronti dei soggetti
indicati da detta norma, per l’appropriazione di un bene della vita scarso
e non riproducibile, quale sarebbe l’ammontare del finanziamento statale.
In realtà, tale stanziamento indica solo il limite di bilanciamento,
per il triennio considerato, dell’interesse al ristoro per la salute menomata
di tali soggetti ingiustamente danneggiati, con quello alla tutela della salute
dell’intera collettività, secondo un giudizio prognostico, ma ragionevolmente
realistico ¾perché, tra l’altro, indotto dalle risultanze
del gruppo tecnico ex DM 13 marzo 2002¾, circa il numero dei casi che
potrebbero addivenire a transazione. Di ciò, d’altronde, sono ben
consapevoli gli stessi interventori ad opponendum, laddove effettuano, allo
stato degli atti desumibili dalle predette risultanze, un primo computo dei
risarcimenti transattivi spettanti agli emofiliaci, il cui risultato indica
un ammontare ben inferiore allo stanziamento triennale ex art. 3, c. 1, II per.
Per altro verso, è ben vero che, ai fini dell’identificazione della
figura del controinteressato, occorre, oltre alla presenza d’un qualificato
interesse alla conservazione dell’atto impugnato, anche la necessità
che il titolare di detto interesse vi sia espressamente o nominativamente indicato
o, comunque, da esso facilmente desumibile (giurisprudenza consolidata: cfr.,
per tutti, Cons. St., VI, 2 settembre 2003 n. 4873). Nondimeno, non gli interventori,
bensì tutti i possibili emofiliaci danneggiati da sangue o emoderivati
infetti, i quali abbiano proposto azioni di risarcimento al riguardo, sono i
soggetti ipotizzabili quali controinteressati, essendo tutti astrattamente legittimati
alla transazione cui si riferisce il decreto impugnato. Ciò non vuol
dire altro che quest’ultimo è un atto normativo a contenuto generale,
che si rivolge sì ad una categoria ben definita di soggetti, ma anche
all’universo di tutti i suoi componenti, onde la sua impugnazione non
configura posizioni di controinteresse.
5. – Viceversa, è da accogliere
l’eccezione d’inammissibilità della domanda attorea per assenza
d’atto impugnabile o, per meglio dire, perché rivolta, in sostanza,
ad ottenere una pronuncia additiva di questo Giudice, sì da far assumere
al decreto impugnato significati o da fargli contemplare destinatari che la
P.A. espressamente non ha considerato.
Al riguardo, l’impugnazione attorea è rivolta avverso il decreto
interministeriale citato, che espressamente concerne la regolazione delle transazioni
con i soli soggetti emofiliaci danneggiati da sangue o da emoderivati infetti
¾e non tutti quelli indicati dall’art. 3, c. 2 del DL 89/2003¾,
nella parte in cui, appunto, non dispone anche a favore di costoro. Il significato
della domanda giudiziale così posta è chiaro: la disposizione
regolamentare de qua dev’essere non demolita, ma sostituita o, comunque,
integrata dalla pronuncia di questo Giudice.
Secondo la tesi attorea, ciò deve avvenire mercé un intervento
direttamente manipolativo della scelta discrezionale così operata dalla
P.A. e, quindi, con una nuova scelta di merito, ancorché tanto questa,
quanto quella siano di per sé conformi alla previsione della fonte primaria.
Nondimeno, nella specie, questo Giudice è adito nella sua competenza
generale di legittimità, non versandosi nella specie in alcuno dei casi
ex art. 33 del Dlg 31 marzo 1998 n. 80 (nel testo novellato dall’art.
7, c. 1, lett. a della l. 21 luglio 2000 n. 205), né di quelli ex art.
27 del t.u. Cons. St. In tal caso, non è possibile proporgli domande
inerenti al merito concreto dell’azione amministrativa, indipendentemente
dal fatto che la soluzione prospettata sia parimenti o più opportuna
di quella censurata, oltreché conforme a legge. Alle domande rivolte
a questo Giudice, con cui s'impugnano disposizioni regolamentari, non può
conseguire altro risultato che quello di rimuovere la disposizione riconosciuta
viziata, senz’alcun effetto additivo, inteso come quello proprio delle
sentenze che lasciano in vita la disposizione viziata, limitandosi a modificarla
e ad ampliarne la sfera d’applicazione e d’efficacia (cfr. Cons.
St., IV, 12 marzo 1992 n. 274). È ben noto, infatti, che le decisioni
d'accoglimento di questo Giudice, nella predetta competenza generale, determinano
l'effetto primario di demolire (annullare, in tutto o in parte) il provvedimento
impugnato e l'effetto secondario di porre un vincolo alla P.A. in sede di riemanazione,
precludendole di riprodurre l'atto con lo stesso vizio riconosciuto in sentenza.
Poiché l'annullamento di norme regolamentari implica di per sé
un vuoto normativo che va riempito dalla P.A. competente all'osservanza del
giudicato, allora una domanda che forzi il sistema, per ottenere in sostanza
che questo Giudice si sostituisca direttamente alla P. A., è manifestamente
inammissibile, se non si ricorra nell’àmbito della competenza anche
in merito.
L’ordinamento non resta insensibile al caso, quale quello in esame, della
domanda additiva, che in effetti adombra non un’illegittimità in
sé del decreto impugnato, bensì una vera e propria inerzia provvedimentale.
All’uopo appronta il rimedio della procedimentalizzazione del silenzio
della P.A., mercé l’onere di previa intimazione di quest’ultima
e l’assegnazione del termine per provvedere. E questa s’appalesa
tanto più opportuna nella specie, stante sia l’obbligo dei Ministeri
intimati a provvedere a favore di tutti i destinatari della norma primaria,
sia la non desumibilità dal decreto impugnato di una volontà negativa
a statuire anche sulla vicenda dei ricorrenti. Né i ricorrenti si sarebbero
potuti giammai sottrarre all’onere d’attivazione della procedura
di formazione del silenzio ¾peraltro tuttora possibile¾, mercé
l’eventuale disapplicazione dell’impugnato decreto. In disparte
ogni considerazione sulla necessità d’ una domanda ad hoc, non
è dato a questo Giudice disapplicare, aldilà della sua legittimità,
un regolamento che, perlomeno in ordine ai destinatari, è immediatamente
precettivo e non abbisogna di un’ulteriore statuizione attuativa, sussistendo,
non diversamente da ogn’altro provvedimento autonomamente lesivo, l’onere
d’impugnarlo nel normale termine di decadenza ex art. 21, I c. della l.
1034/1971.
E che tale onere non risulti, in punto di fatto, adempiuto dai ricorrenti non
par dubbio, sol che si pensi che i sigg. CHIEPPA e consorti hanno chiesto la
diretta liquidazione della transazione relativa alle loro personali posizioni,
tralasciando ogni questione sul decreto impugnato; e che i sigg. MASSIMO e consorti
hanno sì intimato, in data 24 novembre 2003, i Ministeri resistenti,
ma per ottenere non già un decreto a loro vantaggio, bensì per
inibire la pubblicazione di quello impugnato.
6. – Ma anche a voler considerare ammissibile
la domanda attorea, non per ciò sola essa sarebbe meritevole d’accoglimento.
Osserva, invero, il Collegio che l’impugnato decreto non viola l’art.
3, c. 1 del DL 89/2003, in quanto, a parte che la genesi della fonte primaria
va ricercata proprio nello stato del contenzioso tra gli emofiliaci e lo Stato,
il regolamento muove a sua volta dall’avanzato stato delle trattative
per la composizione transattiva delle liti con tali soggetti, anche alla luce
dei risultati del gruppo di lavoro ex DM 13 giugno 2002. Pertanto, non irragionevole,
né discriminatoria s’appalesa la regolazione, per ora limitata
ai soli emofiliaci, posta da detto decreto per giungere a siffatte transazioni,
appunto per l’evidente maturazione delle questioni sotto i profili dell’accertamento
del diritto e della quantificazione del risarcimento.
Né il decreto gravato pone seri o evidenti problemi bioetici di giustizia
sanitaria (seppur sub specie risarcitoria e non, o non più terapeutica),
inerenti ad una sorta di gerarchia o graduatoria tra gli emofiliaci (i cui casi
sono già normati) e tutti gli altri soggetti destinatari dell’art.
3, c. 1 del DL 89/2003. Il decreto impugnato, sebbene subito impegni alcune
delle risorse stanziate dalla fonte primaria ai fini delle transazioni, non
le assorbe completamente e, quindi, non dà agli emofiliaci la poziorità
giuridica delle loro pretese transattive per il sol fatto della materiale priorità
temporale di tale evento. Se, invero, è ingiusto quel sistema distributivo
che non garantisce, a tutti coloro che ne hanno diritto, quelle cure o quelle
provvidenze minime necessarie non solo alla sopravvivenza, ma soprattutto per
sviluppare il proprio personale modo di far fiorire la vita, allora la distribuzione
recata sia dalla norma primaria, sia dal decreto impugnato non può dirsi
ingiusta sotto gli aspetti quantitativo ed operativo. Non è ingiusta
la quantità di risorse, giacché essa, allo stato, ben può
soddisfare, nel triennio di riferimento, le esigenze di emofiliaci e degli altri
soggetti; non è ingiusta la precedenza accordata agli emofiliaci, alla
luce sia del pregresso contenzioso, sia dello stato di definizione dello stesso,
non ravvisabile negli stessi termini in capo ai soggetti danneggiati diversi.
7. – In definitiva, la pretesa attorea va sì dichiarata inammissibile allo stato, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
sede di Roma, sez. 3°-ter, riunisce e dichiara inammissibili i ricorsi nn.
160/2004, 388/2004 e 393/2004 in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente
sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di
consiglio del 29 gennaio 2004.
Francesco CORSARO, PRESIDENTE
Silvestro Maria RUSSO, ESTENSORE
Transazioni
dell’amministrazione ed irragionevolezza dei silenzi regolamentari:
il caso delle trasfusioni di sangue infetto
Avv. Stefano Tarullo
(ricercatore di diritto amministrativo – Università Tor
Vergata di Roma)
Con l’art. 3, comma 1, del decreto legge
23 aprile 2003 n. 89 (convertito, con modificazioni, nella legge n.141 del 20
giugno 2003), sono stati stanziati fondi finalizzati alla stipula di transazioni
transazioni con i soggetti emotrasfusi che avevano instaurato nei confronti
dello Stato azioni di risarcimento di danni proprio a causa delle patologie
(nei fatti, principalmente da HIV, HBV o HCV) sviluppatesi in conseguenza della
trasfusione di sangue infetto (recita il testo del comma ora menzionato: “Per
le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o
emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora
pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila
euro per l'anno 2003 e di centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per
ciascuno degli anni 2004 e 2005 (…)”).
A tal fine il comma secondo dell’art. 3 cit. ha affidato al Ministro della
salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il
compito di determinare con apposito decreto i criteri per la definizione delle
menzionate transazioni, entro i limiti dello stanziamento consentito.
Pur tra le molte polemiche (dovute al fatto che né il decreto legge né
la legge di conversione avevano ammesso alle transazioni i soggetti contagiatisi
in seguito alle vaccinazioni e gli infermieri contagiatisi durante il servizio),
con il decreto interministeriale 3 novembre 2003, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2003, sono state individuate le modalità
per la definizione transattiva delle controversie in parola. Gli effetti del
decreto sono stati tuttavia confinati ai soli giudizi instaurati dai soggetti
emofiliaci danneggiati dall’assunzione di sangue o emoderivati infetti.
L’Associazione Politrasfusi Italiani, unitamente ad alcune persone fisiche,
ha convenuto innanzi al TAR del Lazio il Ministero della salute ed il Ministero
dell’economia e delle finanze per conseguire l’annullamento del
decreto del 3 novembre 2003 limitatamente alla parte in cui limita i propri
effetti ai soli soggetti emofiliaci; assieme al decreto è stato altresì
gravato, tra l’altro, l’atto contenente le risultanze del lavoro
svolto dal gruppo paritetico istituito con D.M. 13 marzo 2002 (trattasi di un
gruppo tecnico incaricato di fissare adeguati criteri di quantificazione dei
danni ed eventualmente giungere ad intese transattive con i soggetti portatori
di patologie maturate a seguito di trasfusione).
Con la sentenza n. 1155 del 6 febbraio 2004 il Collegio Laziale ha disatteso
l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata
dai Ministeri resistenti, qualificando la situazione giuridica soggettiva dei
ricorrenti (oltre che degli intervenienti ad opponendum) alla stregua di interesse
legittimo. Ciò in quanto l’art.3, comma 1, del D.L. n. 89/2003
non obbliga l’amministrazione ad addivenire effettivamente a transazione
con i soggetti danneggiati da sangue o da emoderivati infetti, i quali ultimi
non sono pertanto titolari di alcun “diritto” alla transazione.
Una posizione di diritto soggettivo, semmai, è ravvisabile solo all’atto
della definizione transattiva del conflitto. Più precisamente il Collegio,
pur sottolineando come non possano dirsi liberi la forma, il contenuto concreto
e l’ordine delle transazioni in parola (l’art. 3, comma 2 del D.L.
89/2003 assegna alla fonte subordinata la disciplina dei relativi criteri e
limiti di spesa), rileva che le precise indicazioni normative sul quomodo non
possono comunque supportare alcuna pretesa in ordine all’an della transazione.
Nel percorso logico della pronuncia il Collegio rimarca la differenza tra l’art.3
cit., che perimetra la possibilità di definizione transattiva ai soli
casi di controversie risarcitorie già instaurate, e la principale disposizione
codicisica di riferimento (l’art. 1965, comma primo, del codice civile),
in forza della quale le reciproche concessioni che confluiscono nella stipula
del contratto di transazione possono valere a prevenire anche una lite futura
(non ancora instaurata).
Sennonché, per altro verso, il Collegio amplia la sfera di libertà
dell’amministrazione ammettendo che, ai sensi degli artt. 1965 e ss. c.c.,
la transazione possa avere luogo al cospetto non solo di una lis giudiziaria
o arbitrale, ma anche di un “conflitto tra discordanti e incompatibili
valutazioni di interessi e pretese” (come affermato da Cass., Sez. III,
29 marzo 1985 n. 220; in tale decisione, più precisamente, si è
statuito che, ai fini della validità della transazione, l'accertamento
ex post dell'assoluta infondatezza di una delle due contrapposte pretese non
incide sul presupposto della res dubia quale elemento integratore della transazione
stessa, essendo sufficiente, per l'esistenza di tale presupposto, che per l’appunto
si dia un conflitto tra discordanti e incompatibili valutazioni di interessi
e pretese).
Il TAR reputa quindi possibile per l’amministrazione operare transazioni
al di là degli ambiti delineati dall’art. 3, comma 1, primo periodo,
del D.L. 89/2003.
In questo quadro, le argomentazioni svolte dal TAR risultano di comprensione
non del tutto agevole.
Da un lato il Tribunale sembra voler aderire in modo rigoroso alla littera legis,
ammettendo in subiecta materia le sole transazioni correlate a liti già
instaurate; dall’altro dà invece l’impressione di voler autorizzare
l’amministrazione ad avvalersi di spazi di manovra più ampi, annettendogli
la facoltà di stipulare transazioni anche al di là del campo operativo
dell’art.3 cit. e perciò in relazione a conflitti di valutazione
circa pretese ed interessi non ancora tradottisi in una controversia giurisdizionale
o arbitrale (il riferimento, se non si va errati, sembra essere proprio alle
controversie non ancora insorte).
Nondimeno, deviando ancora una volta dal chiaro disposto normativo, che testualmente
fa riferimento ai soli “soggetti emotrasfusi danneggiati”, il Collegio
ammette la transazione anche in ordine a danni non acclarati, ma solo probabili,
ossia in corso di maturazione.
In realtà delle due l’una: o si annette valenza esclusiva all’art.
3 in questione, ed allora la transazioni sono possibili (data la chiarezza del
dettato normativo) con i soli soggetti che già lamentino patologie acclarate
(danneggiati) e limitatamente alle liti risarcitorie già pendenti (“che
hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti”, recita
la norma), o viceversa si ritiene che detta disposizione non esaurisca gli ambiti
delle scelte amministrative, ed allora si potrà ricorrere al contratto
di transazione sempre e comunque, senza limiti soggettivi (vale a dire, con
chiunque, emofiliaco o meno, danneggiato o presunto tale) né oggettivi
(vale a dire anche per questioni non sub iudice), ferma restando l’esigenza
di un corretto esercizio della discrezionalità amministrativa (nel senso
che la determinazione di addivenire a transazione costituisca espressione di
discrezionalità amministrativa v. TAR Campania Napoli, Sez.V, 17 dicembre
2001 n.5478, nonchè Corte Conti, Sez. II, 26 giugno 2002 n.212/A ed ancora
Corte Conti, Sez.I, 31 maggio 2002 n.173/A; nel senso della non sindacabilità
ad opera del giudice contabile di una singola clausola di un atto di transazione
allorchè la scelta discrezionale di comporre un rapporto conflittuale
tra amministrazione e privato si basi su presupposti di fatto e di diritto e
risulti ispirato a motivi razionali e logici v. Corte Conti, Pens. civ., Sez.III,
20 aprile 1999 n.80/A).
Ma andiamo oltre con l’analisi della sentenza in commento.
Senza voler qui ripercorrere i (pur condivisibili) rilievi svolti dal TAR con
riguardo all’eccezione inerente all’omessa intimazione in giudizio
dei controinteressati (eccezione che viene respinta poiché: a) il ricorso
introduttivo appariva funzionale non già a sottrarre ai soggetti beneficiati
il bene della vita riconosciuto dal decreto, bensì ad estenderne gli
effetti anche ai ricorrenti; b) in contrario non era possibile addurre la futura
ed eventuale incapienza dello stanziamento indicato nel decreto impugnato; c)
dal decreto medesimo, in quanto concepito ed adottato a beneficio di destinatari
indeterminati, non era comunque possibile evincere i nomi dei controinteressati),
pare invece interessante soffermarsi sull’esame dell’eccezione d’inammissibilità
della domanda attorea per assenza d’atto impugnabile.
Il TAR accoglie l’eccezione in parola, qualificando la domanda come “rivolta,
in sostanza, ad ottenere una pronuncia additiva di questo Giudice, sì
da far assumere al decreto impugnato significati o da fargli contemplare destinatari
che la P.A. espressamente non ha considerato” Il Collegio laziale reputa
perciò che “Il significato della domanda giudiziale così
posta è chiaro: la disposizione regolamentare de qua dev’essere
non demolita, ma sostituita o, comunque, integrata dalla pronuncia di questo
Giudice”. Il che, secondo i magistrati di Via Flaminia, richiederebbe
al giudice “un intervento direttamente manipolativo della scelta discrezionale
(…) operata dalla P.A.” al di fuori del campo proprio della giurisdizione
di merito.
A detta della Sezione giudicante l’ordinamento appresterebbe per il caso
in esame (ricondotto dal TAR ad una situazione di inerzia provvedimentale) la
soluzione “della procedimentalizzazione del silenzio della P.A., mercé
l’onere di previa intimazione di quest’ultima e l’assegnazione
del termine per provvedere. E questa s’appalesa tanto più opportuna
nella specie, stante sia l’obbligo dei Ministeri intimati a provvedere
a favore di tutti i destinatari della norma primaria, sia la non desumibilità
dal decreto impugnato di una volontà negativa a statuire anche sulla
vicenda dei ricorrenti”.
Queste affermazioni paiono del tutto convincenti, in quanto il richiamo normativo
in generale “ai soggetti emotrasfusi dannegiati da sangue o emoderivati
infetti” (pur se privo di indicazioni temporali) integra il presupposto
dell’obbligo di provvedere nei confronti di tutti i danneggiati, rendendo
attivabile da parte di coloro che non beneficiano delle previsioni del decreto
attuativo il “rito del silenzio” di cui all’art.21 bis della
legge n.1034 del 1971.
Invero qui l’interprete si trova di fronte ad una strada obbligata: l’impugnativa
a fini demolitori di un provvedimento nella parte in cui “non dice”
non sembra consentita, non essendo il giudice autorizzato a colmare le lacune
del provvedimento amministrativo (contrariamente a quanto la Corte costituzionale
può fare nei riguardi di leggi incostituzionali “per difetto”)
neppure quando siffatta soluzione sembrerebbe imposta dai canoni di ragionevolezza
parità di trattamento. E’ quindi meritevole di adesione l’osservazione
svolta in sentenza secondo la quale “Alle domande rivolte a questo Giudice,
con cui s'impugnano disposizioni regolamentari, non può conseguire altro
risultato che quello di rimuovere la disposizione riconosciuta viziata, senz’alcun
effetto additivo, inteso come quello proprio delle sentenze che lasciano in
vita la disposizione viziata, limitandosi a modificarla e ad ampliarne la sfera
d’applicazione e d’efficacia” (v. in thema Cons. Stato, Sez.
IV, 12 marzo 1992 n. 274, là dove si è precisato che, proprio
in quanto sentenze di tipo manipolativo-additivo sono precluse al giudice amministrativo,
le espressioni contenute in una sentenza che possano far pensare ad una pronuncia
di tale tipo vanno interpretate come rivolte solamente a meglio indicare e definire
il vizio di legittimità riconosciuto nell'ambito dell'esercizio dei poteri
riconosciuti al giudice amministrativo).
In tutto ciò pare peraltro chiaro (e lo si evidenzia solo per scrupolo
di completezza) che il giudice amministrativo giammai potrebbe annullare la
parte del provvedimento (regolamentare) legittima prendendo a pretesto ciò
che un’amministrazione ragionevole “avrebbe dovuto dire”,
ed allo scopo di ottenere, da parte della competente autorità, il rifacimento
del provvedimento (nella specie regolamentare) nella sua totalità.
Ad abuntantiam il TAR aggiunge che, pure a voler considerare ammissibile la
domanda attorea, essa sarebbe comunque inaccoglibile, atteso che il presupposto
su cui riposa è senza dubbio ragionevole né discriminatorio (il
regolamento trae origine dall’avanzato stato delle trattative per la composizione
transattiva delle liti con gli emofiliaci come descritto dal gruppo di lavoro
di cui al D.M. 13 marzo 2002), fermo restando che lo stanziamento operato potrebbe
soddisfare, nel triennio di riferimento, anche le esigenze di soggetti differenti
dagli emofiliaci; oltretutto considerando che a questi ultimi il TAR non accorda
alcuna preferenza giuridica nella stipula degli atti transattivi rispetto ad
altre categorie di danneggiati.
Al di là del dispositivo della decisione (che, ripetesi, è di
inammissibilità), il monito indirizzato ai competenti Ministeri non è
difficile a decifrarsi.