CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza, 
  7 novembre 2003 n. 7120
  Pres. Elefante; Est. Farina; Comune di Pordenone (avv.ti Ivone 
  Cacciavillani e Luigi Manzi), s.c.r.l. Gruppo Servizi D’Impresa (avv.ti Milena 
  Gasparotto e Piera Cartoni Moscatelli) c. s.r.l. Gemini (avv.ti Silvia Benacchio 
  e Carmine Casentino) (annulla TAR Friuli Venezia Giulia 26 gennaio 1998 n. 114) 
  
Contratti della p.a. - bando – requisiti - tassativita’ – requisito richiesto indirettamente, attraverso certificato – legittimita’ - esclusione
Contratti della p.a. - bando – requisiti - criterio interpretativo letterale o funzionale – proporzione del risultato interpretativo rispetto al fine da realizzare – necessita’ .
Giustizia amministrativa - termini – per appellare – notifica a mezzo posta – data di spedizione – rilevanza.
In tema di individuazione dei requisiti di gara operano vari principi: a) le clausole di esclusione dalla gara vanno intese nel senso che assicurino la massima partecipazione, per cui, ove si rilevi una loro equivocità, se ne deve ammettere un’interpretazione nel modo più favorevole all’ammissione delle offerenti; b) le speciali prescrizioni sulle formalità da seguire, sono da intendere nel senso sopra enunciato soltanto quando una formalità non sia prescritta a pena di esclusione. Tuttavia il criterio letterale, il primo a guidare l’interprete, deve avere necessari temperamenti: canone comune di interpretazione è, perciò, quello inerente allo scopo dell’atto sottoposto ad esame, rifiutando un risultato interpretativo fuorviante o non proporzionato o non coerente con la ragione che ha ispirato l’autore dell’atto. Con tale principio, nelle gare che mirano all’identificazione del miglior contraente della Pubblica Amministrazione, le formalità prescritte nei bandi, nelle lettere d’invito, nei capitolati, devono sempre essere intese come ispirate al predetto fine: in conseguenza, occorre cautela nell’individuare quelle formalità che sono a sostanziale presidio della scelta del miglior contraente, rispetto a quelle che si possono configurare come ispirate ad un’esasperata o, in ogni caso, non giustificata, imposizione di obblighi inderogabili. (Nel caso in esame, il tenore letterale di una clausola, che chiedeva il certificato del casellario giudiziario per il direttore tecnico, e’ stato temperato escludendo la necessita’ di tale direttore, trattandosi di un appalto di servizi di pulizia in cui le capacità organizzative erano gia’ valutabili attraverso il “possesso di un’organizzazione idonea ed attrezzata per la gestione del servizio con mezzi propri ed a proprio rischio”, mentre i servizi da prestare, secondo un dato di comune esperienza, non apparivano improntati a connotati tecnici di particolare rilievo).
Ai fini dell’individuazione della rilevanza di un requisito richiesto per la partecipazione ad una gara, occorre tenere presente la proporzione del risultato interpretativo della clausola sulla presentazione della documentazione, evitando che surrettiziamente o, in ogni caso, non manifestamente, si imponga, tramite l’esigere un certificato, l’esistenza di una figura particolare (nella specie, si chiedeva una documentazione sul direttore tecnico senza che la presenza di tale direttore fosse richiesta dal bando: il giudice ha escluso la necesstia’ di tale direttore).
Il termine per la notificazione dell’appello e’ rispettato se, usando la notificazione per posta, risulta una tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario.
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Breve nota
   Il Consiglio di Stato scende nella interpretazione del bando desumendo 
  dalle caratteristiche del servizio da prestare la logicita’ dei requisiti richiesti. 
  Accade cosi’ che un requisito desumibile solo indirettamente (dal casellario 
  giudiziario si poteva dedurre la necessita’ di un direttore tecnico) e’ stato 
  declassato a non rilevante, attraverso una analisi (di comune esperienza) sulle 
  caratteristiche dei servizi di pulizia. In altri termini, l’amministrazione 
  e’ tenuta ad un onus clare loqui: quando vuole un requisito, lo deve dire espressamente 
  e non puo’ affidare ad un’operazione ermeneutica la percezione della necessarieta’ 
  del requisito stesso.
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FATTO
1. Il ricorso n. 3623 del 1998 è proposto dal Comune di Pordenone. È stato notificato il 3 aprile 1998 e depositato il 17 aprile successivo.
2. È impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale 
  del Friuli-Venezia Giulia n. 114/98, pubblicata il 26 gennaio 1998 e notificata 
  al Comune in data 13 febbraio 1998, con la quale è stata annullata la deliberazione 
  di giunta n. 452 del 15 aprile 1997, di approvazione degli atti di gara per 
  l’appalto triennale del servizio di pulizia di uffici comunali e giudiziari. 
  
  Il primo giudice ha ritenuto che la lettera d’invito, non osservata dalla commissione 
  di gara, prescriveva la produzione del certificato del casellario giudiziale 
  dei direttori tecnici per tutte le imprese partecipanti, sicché quelle che non 
  avevano ottemperato dovevano essere escluse. 
3.1. Il Comune appellante critica la sentenza, sostenendo che dalla prescrizione presa in esame non può trarsi l’ulteriore prescrizione che impone la presenza necessaria, in ogni impresa concorrente, di un direttore tecnico. Quindi il certificato doveva prodursi nel solo caso in cui vi fosse tale figura.
3.2. Il ricorso introduttivo era da considerare, inoltre, anche tardivo, perché nella seduta della commissione, nella quale era stata sollevata la questione predetta e risolta nel modo contestato, era presente anche una persona, qualificatasi come rappresentante della società. Da quella data (10 gennaio 1997) al momento della proposizione del ricorso (6 giugno 1997) era trascorso il termine per l’impugnazione.
4. Resiste all’appello la soc. Gemini. 
  Osserva che il certificato doveva essere presentato, perché così imponeva la 
  disposizione di gara e che il ricorso non era da considerare tardivo, avuto 
  riguardo all’approvazione degli atti di gara, deliberata il 15 aprile 1997. 
  
5. Il ricorso n. 4071 del 1998 è proposto dalla s.c.r.l. Gruppo Servizi d’Impresa. È stato notificato alla s.r.l. Gemini, tramite ufficiale giudiziario e per mezzo del servizio postale, con raccomandata spedita il 23 aprile 1998, ed al Comune di Pordenone, nella stessa data. È stato depositato il 30 aprile 1998.
6. È impugnata la medesima sentenza di cui al n. 2, notificata il 23 febbraio 1998 all’appellante. Sono dedotti i seguenti motivi:
6.1. violazione del punto 13 del bando di gara del 12 agosto 1996, che non prescriveva la produzione della certificazione in questione per il direttore tecnico, figura che non deve necessariamente essere istituita ex lege in determinate forme associative. La clausola della lettera d’invito è ambigua e di dubbia interpretazione;
6.2. il Tribunale Amministrativo Regionale ha confuso il contenuto del bando e della lettera d’invito ed ha erroneamente interpretato quest’ultima.
7. Con memoria di costituzione, depositata il 18 maggio 1998, la s.r.l. Gemini ha posto in rilievo:
7.1. l’inammissibilità di un appello, qualificato al contempo “principale ed incidentale”;
7.2. la tardività come appello principale, perché notificato il 29 aprile 1998, mentre la sentenza impugnata era stata notificata il 23 febbraio, sicché il termine per ricorre era scaduto il 24 aprile;
7.3. l’inammissibilità come appello incidentale, in quanto proposto da parte soccombente in primo grado;
7.4. in subordine, l’infondatezza nel merito dell’appello.
8. Altra memoria la resistente ha depositato il 5 luglio 2003, per controbattere alla censura di tardività del ricorso introduttivo, data la presenza di una persona che era priva di procura specifica e di cariche sociali e data la conoscenza del verbale in discussione, avvenuta soltanto con la trasmissione degli atti della gara. Oppone anche argomentazioni alle censure proposte nei due appelli.
9. Nella camera di consiglio del 19 maggio 1998, sono state accolte le domande di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata.
10. All’udienza dell’undici luglio 2003, dopo gli interventi delle opposte difese, i due ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
1. I due ricorsi in appello sono proposti contro la medesima sentenza e vanno perciò riuniti per pronunciare su di essi con unica decisione.
2. Non sono fondate le questioni di inammissibilità ed irricevibilità dell’appello n. 4071 del 1998, proposto dalla società controinteressata in primo grado. Sostiene la società ora resistente: a) che è inammissibile un appello qualificato contemporaneamente come “principale ed incidentale”; b) che, in quanto appello principale, esso sarebbe tardivo, perché notificato il 29 aprile 1998, mentre il relativo termine era scaduto il 24 aprile; c) che, in quanto appello incidentale, esso sarebbe inammissibile, perché proposto da una parte soccombente in primo grado.
2.1. Non sono da condividere la prima e la terza tesi. 
  Innanzi tutto perché la qualificazione dell’impugnazione va fatta in dipendenza 
  dell’effettivo contenuto di questa, non già per l’eventuale definizione che 
  ne ha dato la parte proponente. 
  In secondo luogo, perché l’appello in esame, se va definito come principale 
  sul piano concettuale, perché proposto per la riforma di una sentenza che vede 
  integralmente soccombente la parte ricorrente, va esattamente definito come 
  incidentale, sul piano processuale, ex art. 333 c.p.c. Infatti, è stato avanzato 
  da un soggetto al quale era stata già notificata un’impugnazione avverso il 
  medesimo atto. In questo caso, l’appello non ha carattere di autonomia, in quanto 
  proposto contro un diverso capo della sentenza, ma è connotato come incidentale 
  perché successivo al primo, e dunque in senso soltanto “organizzativo”, per 
  obbedire al principio del simultaneus processus, enunciato dal citato art. 333, 
  vale a dire della concentrazione di tutte le impugnazioni di una medesima sentenza 
  in un unico procedimento. 
2.2. Non è neppure fondata la tesi dell’irricevibilità del ricorso 
  in appello. 
  È, infatti, vero che, rispetto alla notificazione della sentenza, fatta il 23 
  febbraio, il termine per la notificazione dell’appello scadeva il 24 aprile 
  1998. Ma è altresì vero che, in materia di notificazione per posta eseguita 
  dall’ufficiale giudiziario, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità 
  del combinato disposto del comma 3 dell’art. 4 della l. 20 novembre 1982, n. 
  890 – che stabilisce che l’avviso di ricevimento costituisce la prova dell’avvenuta 
  notificazione – e dell’art. 149 c.p.c., nella parte in cui è previsto che la 
  notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto 
  da parte del destinatario, anziché a quella antecedente di consegna all’ufficiale 
  giudiziario. 
  Nella specie è, perciò al momento della consegna all’ufficiale giudiziario che 
  occorre aver riguardo: essa risulta avvenuta il 23 aprile 1998, e perciò prima 
  dello spirare del termine per proporre appello, con conseguente tempestività 
  del ricorso. 2.3. L’appello sopra indicato va, di conseguenza, dichiarato ammissibile. 
  
3. Il comune di Pordenone ha bandito una gara per l’appalto 
  triennale del servizio di pulizia di locali di proprietà comunale e di uffici 
  giudiziari. È stata scelta la procedura della licitazione privata e quindi della 
  partecipazione limitata alle sole imprese invitate dall’amministrazione aggiudicatrice. 
  
  Il criterio di aggiudicazione era quello di cui all’art. 23, comma 1, lett. 
  a), del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, vale a dire quello del prezzo 
  più basso. 
  Partecipavano, dopo la manifestazione d’interesse e la selezione fatta sulla 
  scorta di quanto prescritto dal bando, ventiquattro imprese o raggruppamenti. 
  Escluse le offerte basse in misura anomala, risultava aggiudicataria la società 
  cooperativa che ha ora prodotto il ricorso in appello n. 4071/98, la quale aveva 
  offerto un ribasso del 22,10 %. 
4. La società ricorrente in primo grado aveva prodotto un’offerta 
  del 17,10 % di ribasso. 
  Essa ha poi impugnato il provvedimento di approvazione degli atti di gara e 
  di correlativa aggiudicazione dell’appalto, lamentando la violazione della prescrizione 
  enunciata al n. 3 della lettera d’invito (della quale si vedrà oltre il contenuto). 
  
5. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia ha accolto il ricorso.
6. La clausola della quale si controverte prescriveva che, a pena di esclusione, l’impresa invitata producesse, fra l’altro, il certificato generale del casellario giudiziale relativo:
6.1. “per le ditte individuali al titolare, al direttore tecnico se persona diversa dal titolare, ed agli eventuali procuratori ed institori;
6.2. per le società commerciali, le cooperative ed i loro consorzi: ai componenti del consiglio di amministrazione muniti di potere di rappresentanza, al direttore tecnico ed agli eventuali procuratori ed institori”.
6.3. Altrettanto si stabiliva, quanto al direttore tecnico, 
  per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice. 
  La controversia s’incentra sul se, con la clausola sub 6.2, il Comune abbia 
  inteso imporre l’inderogabile presenza di un direttore tecnico per concorrere 
  all’aggiudicazione. 
7. Col ricorso introduttivo infatti si lamentava: 
  l’illegittima ammissione alla gara di 22 delle 24 partecipanti, che il certificato 
  non avevano presentato; 
  l’illegittimità della motivazione della commissione di gara in merito all’ammissione 
  della prima cooperativa presa in esame e di tutte le altre offerenti, per le 
  quali l’omissione era stata rilevata. 
  L’assunto della commissione era così espresso (verbale 10 gennaio 1997): “la 
  commissione fa presente che nel certificato del registro delle imprese tenuto 
  dalla camera di commercio non è indicata la presenza e che il Comune non ha 
  richiesto espressamente a pena di nullità la presenza per le cooperative di 
  un 
8. La tesi del primo giudice muove da due premesse sulle quali non si può che convenire. Ha richiamato, infatti: a) il noto canone interpretativo, secondo il quale le clausole di esclusione dalla gara vanno intese nel senso che assicurino la massima partecipazione, per cui, ove si rilevi una loro equivocità, se ne deve ammettere un’interpretazione nel modo più favorevole all’ammissione delle offerenti; b) l’altro principio, per il quale le speciali prescrizioni, sulle formalità da seguire, sono da intendere nel senso sopra enunciato soltanto quando una formalità non sia prescritta a pena di esclusione. In quest’ultima ipotesi, l’imperatività del provvedimento esige la prevalenza del criterio formale su quello teleologico.
9. Nella specie, secondo il T.A.R. “il bando di gara non lascia adito ad interpretazioni diverse da quella letterale”. La formula – riferita sopra al n. 6.2 – non lascia “spazio alcuno ad altre interpretazioni”. Perciò “tutte le ditte partecipanti erano tenute, a pena di esclusione, a produrre il certificato del casellario giudiziale anche per i direttori tecnici, a nulla rilevando la loro menzione nel certificato della camera di commercio”.
10 I due appelli, che criticano la conclusione testè riferita, sono fondati.
11. Il criterio letterale è, pacificamente, il primo a guidare 
  l’interprete, ma con i necessari temperamenti. Così è stabilito per l’interpretazione 
  delle leggi (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale: il senso fatto 
  palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse), 
  alla quale viene immediatamente giustapposta “l’intenzione del legislatore”. 
  Ed anche per l’interpretazione del contratto – vale a dire per l’assetto dato 
  da due o più soggetti alla composizione di loro determinati interessi, nell’estrinsecazione 
  della loro autonomia privata – l’art. 1362 cod. civ. prescrive l’indagine sulla 
  comune intenzione delle parti, senza “limitarsi al significato letterale delle 
  parole”.
  Comune canone di interpretazione è, perciò, quello inerente allo scopo dell’atto 
  sottoposto ad esame. Va perciò rifiutato un risultato interpretativo fuorviante 
  o non proporzionato o non coerente con la ragione che ha ispirato l’autore dell’atto. 
  
12. Nella specie è giustificato affermare che ogni selezione 
  condotta dalla P.A. è volta alla identificazione del soggetto che, alla stregua 
  di criteri, di norma, predefiniti, appare il più idoneo per il conseguimento 
  dello specifico scopo per il quale la scelta si deve operare. Perciò, ed in 
  primo luogo, nelle gare che mirano all’identificazione del miglior contraente 
  della Pubblica Amministrazione, le formalità prescritte nei bandi, nelle lettere 
  d’invito, nei capitolati, devono sempre essere intese come ispirate al predetto 
  fine. 
  Ciò esige, di conseguenza, una prudente cautela nell’individuare quelle formalità 
  che sono a sostanziale presidio della scelta del miglior contraente, rispetto 
  a quelle che si possono configurare come ispirate ad un’esasperata o, in ogni 
  caso, non giustificata, imposizione di obblighi inderogabili. In particolare, 
  allorché questi siano privi di una concreta utilità per l’amministrazione e 
  per la selezione dei privati concorrenti. 
13. Nel caso in esame, il tenore letterale della clausola riportata sub n. 6.2 va temperato alla luce delle considerazioni che si sono anticipate.
14. Si trattava, invero, di un appalto di servizi di pulizia. 
  Per quanto possa esigere adeguate capacità organizzative – prescritte al n. 
  2, lett. c) della lettera d’invito, secondo la quale doveva essere dichiarato 
  il “possesso di un’organizzazione idonea ed attrezzata per la gestione del servizio 
  con mezzi propri ed a proprio rischio” – i servizi da prestare, secondo un dato 
  di comune esperienza, non appaiono improntati a connotati tecnici di particolare 
  rilievo. 
  Ne segue che non si mostra operazione ermeneutica da condividere quella di concludere 
  – come, nella sostanza, hanno concluso il ricorso introduttivo ed il primo giudice 
  – nel senso che, non apertamente, ma attraverso la via indiretta, e poco chiara, 
  della prescrizione di produrre il certificato in discussione, il Comune abbia 
  inteso imporre un’organizzazione delle imprese ammesse alla gara con l’imprescindibile 
  presenza di un “direttore tecnico”. 
15. Questa tesi è smentita, in secondo luogo, dalla lettura 
  degli atti di gara. 
  Invero, come si è detto, il Comune ha emanato un bando per invitare delle imprese 
  a manifestare il loro interesse a partecipare alla licitazione, ed ha prescritto, 
  per la prequalificazione, il possesso di una serie di requisiti, elencati al 
  n. 13 del bando stesso. Alla lettera F) del bando è stata richiesta la “indicazione 
  dell’utilizzo da parte dell’impresa di tecnici od organismi tecnici in grado 
  di controllare la qualità del servizio erogato”; alla lettera G) è stata chiesta 
  la “dichiarazione contenente l’elenco e le caratteristiche delle attrezzature 
  e degli strumenti tecnici di cui l’impresa dispone”. 
  La verifica della soddisfacente organizzazione tecnica è stata dunque anticipatamente 
  fatta ai fini della qualificazione delle imprese che avevano chiesto di partecipare. 
  
  Non era prescritta la presenza di un direttore tecnico. 
  La successiva lettera d’invito va, perciò, interpretata alla luce ed in coerenza 
  col bando e con la previa valutazione fatta dall’amministrazione, delle quali 
  il ricorrente in prime cure e la decisione impugnata non hanno tenuto conto. 
  
16. Insomma, le ragioni che militano per un’impropria formulazione 
  della clausola della quale si discute ed a favore della non necessità della 
  presenza nelle imprese di un direttore tecnico per partecipare alla gara per 
  servizi di pulizia, sono in sintesi: 
  il limitato contenuto tecnico della prestazione, tanto da essere prescritta 
  unicamente un’organizzazione “idonea ed attrezzata per la gestione del servizio”; 
  
  la sproporzione del risultato interpretativo della clausola sulla presentazione 
  della documentazione, che surrettiziamente o, in ogni caso, non manifestamente, 
  imporrebbe, con l’esigere il certificato in questione, l’esistenza di un direttore 
  tecnico, e dunque irragionevolmente al di fuori della sedes materiae di bando 
  e lettera d’invito sulle caratteristiche organizzative dell’impresa. 
17. È conseguenza delle osservazioni fatte che la clausola di esclusione, posta in fine dell’elencazione dei documenti fatta ai punti da 1 a 5 della lettera d’invito, non possa essere intesa nel senso ritenuto dal primo giudice, giacché non può affermarsi che la prescrizione n. 3, sulla presentazione del certificato del casellario giudiziale, esigesse impropriamente l’imprescindibile esistenza nelle imprese concorrenti di un direttore tecnico.
18. Ne deriva che, in riforma della sentenza impugnata e assorbita ogni altra censura degli appelli, va respinto il ricorso introduttivo.
19. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.