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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 27 dicembre 2001 n. 6402 - Pres. De Lise, Est. Fera - Trombini (Avv.ti R. Gianolio e E. Sivieri) c. Azienda Ospedaliera Carlo Poma (Avv.ti C. Arria e G. Romanelli) - (conferma TAR Lombardia, sezione di Brescia, sent. 29 dicembre 1993 n. 1123).

1. Giurisdizione e competenza - Pubblico impiego - Sanitari - Attività sanitaria prestata in regime di compartecipazione - Rientra nell'ambito del rapporto di p.i. - Controversie instaurate ante D.L.vo n. 80/1998 - Rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A.

2. Pubblico impiego - Contrattazione collettiva - Principi - Ultrattività provvisoria del nuovo contratto e della retroattività esplicita o implicita del nuovo - Sono tali.

3. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Onere della prova - Spetta al ricorrente.

1. L'attività sanitaria prestata in regime di compartecipazione si configura come modalità del rapporto di impiego pubblico tra la struttura ospedaliera ed il sanitario, per cui le relative controversie rientrano, per il periodo antecedente all'entrata in vigore delle nuove norme sulla giurisdizione contenute nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nella giurisdizione esclusiva degli organi di giustizia amministrativa.

2. Il sistema della contrattazione nazionale poggia sui principi dell'ultrattività provvisoria del nuovo contratto e della retroattività esplicita o implicita del nuovo, in modo da assicurare continuità alla disciplina contrattuale e di garantire contemporaneamente l'adeguamento della realtà economica ai mutati assetti sociali, indipendentemente dal ritardo nella contrattazione e nelle relative procedure di attuazione (principio recepito sul piano normativo dall'art. 13 della legge 29 marzo 1983 n. 93).

3. L'onere di provare l'insussistenza dei presupposti per l'emanazione del provvedimento gravato e, più in generale, di dimostrare l'esistenza di situazioni atte a superare la presunzione di legittimità degli atti amministrativi, ricade su chi propone l'impugnazione. Se la rigidità di tale principio è mitigata dal potere attribuito all'ufficio di acquisire le prove dei fatti introdotti dalle parti, queste hanno pur sempre l'onere di fornire al giudice amministrativo perlomeno il principio di prova delle loro pretese.

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Commento di

ALESSANDRO PAGANO

La decisione si segnala per la enucleazione dei principi propri della contrattazione in tema di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.

Riguardo le regole che governano la prova nel processo amministrativo, la sentenza si attesta sulla massima tradizionale che assegna al ricorrente l'onere di fornire un principio di prova.

Può, però, in argomento, rilevarsi che il temperamento del principio dispositivo (proprio del giudizio civile) con quello acquisitivo (peculiare del processo amministrativo), ritenuto necessario in quanto il ricorrente "non può disporre delle prove, le quali sono in esclusivo possesso dell'autorità amministrativa" è concetto che andrebbe rimeditato alla stregua della diversa posizione enucleata alla pubblica amministrazione dalla normativa di cui alla legge 241/1990 (cui va aggiunto almeno il D.Lgs 29/1993 ora recepita nel Dlgs 30 marzo 2001 n. 165 e la L. 142/1990 ora TUEL).

In particolare, dal principio della generale accessibilità degli atti amministrativi, sembra derivare che, in sede processuale, il ricorrente non possa articolare la sua difesa solo nei termini di diritto, ma debba fornire concrete indicazioni documentali e fattuali la cui conoscenza non è più di esclusivo dominio della p.A.

 

 

FATTO

Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso proposto dal dottor Carlo Trombini per l'annullamento della deliberazione 17 dicembre 1976, n. 195, con la quale il consiglio di amministrazione dell'ente ospedaliero "Ostiglia, Poggio Rusco, Quistello e Sermide" (cui è subentrata prima l'azienda sanitaria USSL 22 e poi quella ospedaliera "Carlo Poma") aveva disposto il recupero di somme erogate, a titolo di compartecipazione per l'attività esercitata nei confronti dei pazienti esterni, liquidate in misura eccedente a quella consentita dall'accordo nazionale unico di lavoro delle 23 giugno 1974.

Il dottor Trombini ribadisce in sede di appello le censure già dedotte nel giudizio di primo grado, ribadendo la tesi secondo la quale l'amministrazione ospedaliera, avendo recepito con un ritardo di quasi tre anni l'accordo nazionale unico di lavoro, non poteva dare decorrenza retroattiva ad una disciplina in danno dei dipendenti, incidendo così su diritti già maturati, senza neppure curarsi di disporre l'annullamento d'ufficio di precedenti atti di natura regolamentare che regolavano la materia. L'appellante afferma poi che il giudice di primo grado avrebbe errato nel respingere, per mancanza di prova, il motivo di ricorso, con il quale egli aveva lamentato l'errato computo nel plus orario della attività prestata gratuitamente a favore dell'Avis. A suo avviso, l'affermazione porterebbe ad una indebita inversione dell'onere della prova, ponendo questo a carico di chi non è nella materiale possibilità di provvedere. Quanto infine alle censure dedotte contro la regolarità dei conteggi, il primo giudice si sarebbe limitato a verificare la regolarità formale senza controllare se i dati di partenza fossero corrispondenti alla realtà.

L'appellante conclude chiedendo, in riforma la sentenza di primo grado, l'annullamento del provvedimento impugnato e la condanna dell'amministrazione resistente a restituire quanto indebitamente trattenuto, con rivalutazione ed interessi.

Resiste l'azienda ospedaliera "Carlo Poma", la quale dopo aver eccepito il difetto giurisdizione degli organi di giustizia amministrativa, controbattere le tesi avversarie e conclude per il rigetto dell'appello.

DIRITTO

1. Oggetto dell'appello è la sentenza con la quale il TAR della Lombardia ha respinto il ricorso proposto dal dottor Carlo Trombini per l'annullamento della deliberazione 17 dicembre 1976, n. 195, con la quale il consiglio di amministrazione dell'ente ospedaliero "Ostiglia, Poggio Rusco, Quistello e Sermide" aveva disposto il recupero di somme, erogate a titolo di compartecipazione per l'attività esercitata nei confronti dei pazienti esterni, liquidate in misura eccedente a quella consentita dall'accordo nazionale unico di lavoro delle 23 giugno 1974.

In via pregiudiziale va esaminata l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla difesa dell'amministrazione resistente sull'assunto che l'attività cosiddetta "plus orario" esorbita dal rapporto di impiego ed afferisce a posizioni di diritto soggettivo devolute per legge alla cognizione del giudice ordinario.

L'assunto non può essere condiviso. Il collegio infatti non ha motivo per discostarsi dall'indirizzo ha affermato dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (8 novembre 1996, n. 23), secondo il quale " l'attività sanitaria prestata in regime di compartecipazione si configura come modalità del rapporto di impiego pubblico tra la struttura ospedaliera ed il sanitario", per cui le relative controversie rientrano, per il periodo antecedente all'entrata in vigore delle nuove norme sulla giurisdizione contenute nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nella giurisdizione esclusiva degli organi di giustizia amministrativa.

2. Nel merito, l'appello è infondato.

Le questioni riproposte in questa sede dall'appellante sono articolate su tre argomentazioni di fondo.

Con la prima, il dottor Trombini sostiene che l'amministrazione ospedaliera, avendo recepito con un ritardo di quasi tre anni l'accordo nazionale unico di lavoro, non poteva dare decorrenza retroattiva ad una disciplina che introduceva percentuali di compartecipazione ai dipendenti inferiori a quelle in precedenza applicate. Ciò perché, sul piano formale, avrebbe dovuto preventivamente adottare un atto di annullamento d'ufficio delle disposizioni regolamentari che stabilivano le vecchie percentuali, mentre, su quello sostanziale, il provvedimento veniva ad incidere su diritti già maturati.

Quanto al profilo formale, la tesi, pur suggestiva, non può essere condivisa per l'assorbente considerazione che è insito nel concetto di retroattività l'effetto della abrogazione ex tunc degli atti pregressi contenenti una disciplina contrastante con quella che viene introdotta. Sfugge quindi l'esigenza di far precedere gli atti aventi effetti retroattivi da provvedimenti recanti l'annullamento d'ufficio delle norme pregresse. Semmai la questione, venendo così al profilo sostanziale, si sposta sulla possibilità di attribuire effetti retroattivi ai provvedimenti di recepimento degli accordi nazionali di lavoro. Ma in tal senso si muove, oltre ad una prassi consolidata, anche il sistema della contrattazione nazionale, il quale poggia sui principi dell'ultrattività provvisoria del nuovo contratto e della retroattività esplicita o implicita del nuovo, in modo da assicurare continuità alla disciplina contrattuale e di garantire contemporaneamente l'adeguamento della realtà economica ai mutati assetti sociali, indipendentemente dal ritardo nella contrattazione e nelle relative procedure di attuazione ( principio recepito sul piano normativo dall'art.13 della legge 29 marzo 1983 n. 93).

Con la seconda argomentazione, l'appellante sostiene che il primo giudice, nel respingere, perché sprovvisto di prova, il motivo di ricorso con il quale egli aveva lamentato l'errato computo nel plus orario della attività da lui prestata gratuitamente a favore dell'AVIS, avrebbe operato una indebita inversione dell'onere della prova, ponendola a carico di chi non era nella materiale possibilità di fornirla. Anche questa seconda argomentazione non può essere condivisa. Infatti, premesso in fatto che ben due istruttorie ordinate dal giudice di primo grado non avevano prodotto alcun esito perché non è stata rinvenuta al riguardo alcuna documentazione, sta per certo che, nel giudizio amministrativo, l'onere di provare l'insussistenza dei presupposti per l'emanazione del provvedimento gravato e, più in generale, di dimostrare l'esistenza di situazioni atte a superare la presunzione di legittimità degli atti amministrativi, ricade su chi propone l'impugnazione (Consiglio Stato sez. V, 29 settembre 1997, n. 1064). Ora, se è vero che la rigidità di tale principio è mitigata dal potere attribuito all'ufficio di acquisire le prove dei fatti introdotti dalle parti, è altrettanto vero che queste hanno pur sempre l'onere di fornire al giudice amministrativo perlomeno il principio di prova delle loro pretese. Nel caso di specie tale principio di prova non è stato fornito, riducendosi l'esposizione fatta dal ricorrente non nella indicazione di fatti precisi ma in una generica affermazione di principio.

Con la terza argomentazione, l'appellante sostiene che, per quel che concerne i conteggi effettuati dall'amministrazione, il primo giudice si sarebbe limitato a verificarne la regolarità formale senza controllare se i dati di partenza fossero corrispondenti alla realtà. Anche in questo caso valgono le considerazioni svolte nell'esame del motivo che precede. Ed infatti, il ricorrente non a affatto indicato in cosa tali dati divergessero dalla realtà.

Per questi motivi il ricorso in appello deve essere respinto.

Appare tuttavia equo compensare tra le parti le spese giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, respinge l'appello.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 giugno 2001, con l'intervento dei signori:

Pasquale De Lise Presidente

Pier Giorgio Trovato Consigliere

Aldo Fera Consigliere est.

Filoreto D'Agostino Consigliere

Gerardo Mastrandrea Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Aldo Fera F.to Pasquale De Lise

Depositata in cancelleria il il 27.12.2001.

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