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Giurisprudenza
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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 15 marzo 2001 n. 1519 - Pres. Iannotta. Est. Marchitello - Ospedali riuniti di Trieste (Avv. Verbari) e S.G. (Avv.ti Pellegrino e Rosati) c. S.G. (Avv. Guarino) - (annulla TAR Friuli Venezia Giulia 10 maggio 1999 n. 601).

Giurisdizione e competenza - Principi generali - Difetto di giurisdizione - Rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado - Possibilità.

Giurisdizione e competenza - Pubblico impiego - Sanitario USL - Conferimento incarico dirigenziale - Controversie - Dopo art. 68 D.L.vo n. 29/1993 e successive modifiche - Giurisdizione A.G.O. - Sussiste.

E' irrilevante che sulla giurisdizione si sia pronunciato il giudice di primo grado con statuizione espressa e che le parti non abbiano appellato la sentenza sul punto, dovendosi escludere che, fin quando il rapporto processuale risulti pendente ("in qualunque stato e grado del processo"), tale statuizione sia suscettibile di passare in giudicato, salvo che sulla giurisdizione non sia intervenuta una decisione della Corte di cassazione a Sezioni unite (1).

L'art. 68 del D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29, come modificato prima con l'art. 23 del D.L.vo 23 dicembre 1993 n. 546, poi con l'art. 29 D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80 e così come integrato con l'art. 18 D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387 - accentrando presso il giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, "tutte" le controversie relative al rapporto di pubblico impiego" - ha operato,come evidenziato dall'avverbio da esso adoperato, una devoluzione "per materia" di tali controversie, istituendo, in definitiva, una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario per il pubblico impiego - la stessa che, prima di tale norma, spettava al giudice amministrativo - sottratta al criterio tradizionale di riparto fra le due giurisdizioni, fondato sulla situazione giuridica oggettiva fatta valere dell'interessato. La disposizione in questione in particolare espressamente include tra le controversie in materia di pubblico impiego, trasferite al giudice ordinario "il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali" (voce aggiunta dall'art. 18 del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387).

Deve pertanto ritenersi che rientri nella giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 68 del D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modifiche ed integrazioni, una controversia relativa al conferimento, da parte dell'Unità sanitaria locale, dell'incarico dirigenziale ad un medico (2).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 28 ottobre 1980, seguita dalla prevalente giurisprudenza: v. IV Sez., 4 febbraio 1999 n. 112; IV Sez., 23 novembre 1999 n. 1922; VI Sez. 25 marzo 1998 n. 390; VI Sez., 20 giugno 1997 n. 945; VI Sez., 20 maggio 1995 n. 479; VI Sez., 30 novembre 1992 n. 990.

(2)  Il riparto della giurisdizione in merito al conferimento degli incarichi dirigenziali: una nuova araba fenice.

di Luigi Oliveri

Come tutelare le posizioni giuridiche soggettive di coloro che partecipino a selezioni non ascrivibili alla classica nozione di "concorso pubblico" per l'assegnazione di un incarico dirigenziale?

E' questo il grave problema che lascia del tutto aperto la sentenza della Sezione V del Consiglio di Stato, 15 marzo 2001, n. 1519. Tanto più grave, in quanto rimane ancora pendente il giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale Genova, con l'ordinanza 753/2000 (pubblicata in questa rivista elettronica), che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18 del D.lgs 387/1998, di modifica dell'articolo 68 del D.lgs 29/1993, oggi confluito nell'articolo 63 del D.lgs 165/2001 [1].

La sentenza del Consiglio di Stato che qui si commenta, anzi, approfondisce ed aggrava i dubbi di legittimità costituzionale di una norma, il citato articolo 63, comma 4, del D.lgs 165/2001, che ha reso oggettivamente difficile se non "kafkiana" la tutela giurisdizionale per coloro che partecipano alle "selezioni" per gli incarichi ai dipendenti.

Anche considerando valide e corrette le argomentazioni poste dalla sentenza dei giudici di Palazzo Spada che, contrariamente al Tribunale di Genova, considera quali atti paritetici di natura negoziale i provvedimenti di assegnazione degli incarichi dirigenziali, ed ammettendo [2] che effettivamente l'incarico dirigenziale sia un atto privatistico, restano da chiosare due passaggi fondamentali della sentenza 1519/2001 della Sez. V, che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto portare alle estreme conseguenze, lasciando, invece, in sospeso il ragionamento.

Col primo passaggio, la sentenza che si commenta sostiene che "L'art. 68 del D.L.vo n. 29 del 1993, nella sua attuale formulazione, accentrando presso il giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, "tutte" le controversie relative al rapporto di pubblico impiego", ha operato, come evidenziato dall'avverbio da esso adoperato, una devoluzione "per materia" di tali controversie, istituendo, in definitiva, una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario per il pubblico impiego - la stessa che, prima di tale norma, spettava al giudice amministrativo - sottratta al criterio tradizionale di riparto fra le due giurisdizioni, fondato sulla situazione giuridica oggettiva fatta valere dell'interessato".

L'affermazione della sentenza è estremamente interessante, perché afferma in modo molto chiaro e per via giurisdizionale che l'operazione legislativa svolta dall'articolo 63, comma 4, del D.lgs 165/2001 sarebbe consistita nell'attribuire la piena e completa giurisdizione del rapporto di lavoro dei dipendenti presso le pubbliche amministrazioni al giudice ordinario, avendola sottratta al giudice amministrativo. In effetti, la considerazione appare di pregio e degna di nota, in quanto ricostruisce la fattispecie in termini radicali, dunque privi di equivoci o zone d'ombra.

Ma se così è, allora occorre trarre inevitabilmente la seguente conclusione: il giudice ordinario deve necessariamente conoscere pienamente dell'atto posto in essere dall'amministrazione anche in base ai canoni di valutazione della legittimità del provvedimento amministrativo, quanto meno sotto il profilo dell'eccesso di potere. Infatti, anche se il provvedimento di incarico fosse da considerare negoziale, comunque l'amministrazione deve agire (a differenza di qualsiasi altro soggetto privato) nel rispetto del principio di legalità, imparzialità e buona amministrazione.

Di conseguenza, allora il giudice ordinario non può limitarsi soltanto a disapplicare l'atto eventualmente illegittimo, ma deve necessariamente annullarlo, essendo legittimato a farlo dalla natura esclusiva della giurisdizione e dal potere, previsto dal comma 2 dell'articolo 63, di adottare nei confronti delle amministrazioni pubbliche tutti i provvedimenti costitutivi, tra i quali rientra certamente quello di annullare gli atti anche direttamente influenti sulle situazioni giuridiche soggettive e non solo quelli presupposti. Diversamente ragionando, la giurisdizione del giudice ordinario non potrebbe essere considerata esclusiva.

Il secondo passaggio della sentenza di notevole interesse è il seguente: "Non appartiene, inoltre, ad una procedura concorsuale, l'assegnazione dell'incarico in base ad una scelta fondata sulla prevalenza, in termini di maggiore idoneità all'esercizio delle nuove funzioni, di alcuni candidati su altri concorrenti, scelta che è invece il proprium di una procedura concorsuale di tipo concorsuale. Le due procedure, ad avviso della Sezione, sono completamente diverse e tutt'altro che assimilabili".

Questa considerazione apre il punto più problematico. Se, infatti, una scelta sull'idoneità del soggetto da incaricare (fattispecie applicabile a tutte le ipotesi di assegnazione di incarichi ex. art. 19 del D.lgs 165/2001, nonché anche alle procedure di selezione per le assunzioni con contratti a tempo determinato di dirigenti extra dotazione organica o non di ruolo) non appartiene al genere della procedura concorsuale, occorre chiedersi necessariamente come possa trovare tutela il soggetto che abbia partecipato alla selezione e non sia stato selezionato.

Le ipotesi, infatti, sono necessariamente tre: o ogni partecipante ha la possibilità di tutelarsi di fronte a scelte contrarie ai principi sopra menzionati di legalità, buon andamento ed imparzialità; oppure l'ente ha il diritto, assoluto, di pieno arbitrio di incaricare chi crede, anche al di là di ogni esame sul rispetto dei principi di cui sopra; oppure il soggetto che partecipa alla selezione ha il diritto soggettivo pieno ad essere incaricato.

Solo nel terzo caso il giudice ordinario potrebbe apprestare una valida tutela. Nel secondo caso il soggetto non riceverebbe alcuna tutela, in quanto l'azione dell'amministrazione risulterebbe inattaccabile; nel primo caso il soggetto non potrebbe comunque ricevere tutela, perché avrebbe una posizione di solo interesse legittimo e non di diritto soggettivo, che impedirebbe al giudice ordinario di apprestare tutela giurisdizionale [3].

Appare, tuttavia, del tutto ovvio che, almeno nel diritto vigente, la seconda ipotesi sia da scartare completamente, così come la terza, in quanto certamente nessuno dei partecipanti ad una selezione per il conferimento di un incarico dirigenziale (o all'assunzione con contratto non di ruolo) può vantare un diritto soggettivo alla nomina.

Resterebbe in piedi, allora, solo la prima. Ma, trattandosi di interesse legittimo, evidentemente la tutela sarebbe da cercare davanti al giudice amministrativo. Tuttavia, il giudice amministrativo ritiene che la giurisdizione sia del giudice ordinario e così si chiude quel circolo vizioso "kafkiano", che dovrebbe portare come conseguenza a sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 63 del D.lgs 165/2001, in quanto se interpretato come ha fatto il Consiglio di Stato con la sentenza che qui si commenta determina una fattispecie di denegata giustizia.

Occorre sottolineare, per altro, che l'indirizzo del Consiglio di Stato sembra sia stato già fatto proprio anche dai giudici di primo grado, come il Tar Veneto, Sez. II, che con sentenza 4.6.2001, n. 1390, ha rigettato il ricorso proposto da un partecipante alla selezione per l'assegnazione di un incarico dirigenziale "a contratto" presso un ente locale ritenendo che la giurisdizione appartenga al giudice ordinario "posto che non si verte in tema di procedure concorsuali in senso proprio, alle quali soltanto è limitata la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo".

I giudici amministrativi, dunque, pare intendano interpretare in maniera rigidamente letterale il passaggio dell'articolo 63, comma 4, del D.lgs 165/2001, quando dispone che "restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni", considerando che "la" procedura concorsuale è solo quella per l'assunzione di un dirigente e non quella per la selezione all'incarico dirigenziale.

Il punto di vista tuttavia appare contraddittorio: infatti, la citata sentenza del Tar Veneto ha denegato la propria giurisdizione in presenza di una selezione pubblica (conta poco se la si chiami "concorso" o "selezione")[4] per l'assunzione di un dirigente dall'esterno, e non per il conferimento dell'incarico. In secondo luogo, la scelta del dirigente cui assegnare un incarico dirigenziale deve necessariamente essere comparativa e porta alla stipulazione del contratto che disciplina l'incarico medesimo: v'è, dunque, sia una procedura selettiva, sia una novazione oggettiva del rapporto di lavoro, che dovrebbero lasciare ritenere la selezione come specie del "genere concorso" e non un genere diverso e a sé stante.

Per altro verso, ancora alcuni giudici ordinari continuano a dubitare, da parte loro, che la giurisdizione per gli incarichi e/o le assunzioni dei dirigenti a contratto sia di loro giurisdizione. Lo conferma l'ordinanza del giudice del lavoro di Verona 9 giugno 2001, che rigettando le doglianze di un dirigente amministrativo di un ente locale, demansionato del proprio incarico a vantaggio di altro dirigente assunto "a contratto" dall'esterno mediante una "procedura selettiva", così afferma: "Il riconoscimento di tale domanda presuppone - da un lato - l'esame di questioni che riguardano una procedura concorsuale «per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni», il cui vaglio ai sensi dell'art. 68 D.lgs 29/93 è sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario in favore di quella del giudice amministrativo" [5].

Insomma, dal labirinto disegnato dall'articolo oggi 63, comma 4, del D.lgs 165/2001 pare possa uscirsi fuori solo a seguito di un intervento che a questo punto si auspica il più celere possibile della Consulta, o del legislatore che mettano definitiva chiarezza su un punto di così delicata importanza.

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[1] Per un commento all'ordinanza, vedasi L. Oliveri, Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali come atti amministrativi, in Giustamm.it.

[2] Contra, L. Oliveri, op. cit.

[3] A meno che non si accetti la tesi della giurisdizione esclusiva: ma allora, si torna al problema già posto dell'esercizio di un pieno potere di annullamento degli atti e non di sola disapplicazione.

[4] Come non ricordare, in proposito, che all'indomani dell'entrata in vigore del D.lgs 80/1998, gran parte della dottrina inneggiò alla nuova formulazione dell'articolo 36 del D.lgs 29/1993 (oggi 35 del D.lgs 165/2001) perché non parlava più di concorso, bensì di procedure selettive, tanto che alcuni parlarono addirittura di abrogazione dell'istituto del concorso. Ma, allora, che ne sarebbe dell'articolo 63 del D.lgs 165/2001?

[5] L'ordinanza, per molti altri versi appare poco convincente, rappresentando un passo indietro apodittico rispetto alle decisioni assunte in circostanze simili da altri giudici del lavoro, da ultimo ordinanza n. 125/01 in data 26 marzo 2001 del giudice del lavoro di Parma in www.giustamm.it. Infatti, l'ordinanza considera possibile la modifica "ad libitum" degli incarichi dirigenziali da parte delle amministrazioni, incorrendo nell'evidente svista di considerare condivisibile la difesa dell'amministrazione quando afferma che per previsione espressa del CCNL della dirigenza locale per il quadriennio 1998/2001 la durata dell'incarico dirigenziale può essere inferiore a due anni in caso di "specificità da indicare nell'atto di affidamento", disposizione assolutamente inesistente nel citato contratto e comunque contraria anche al D.lgs 165/2001 che, come il D.lgs 29/1993, ha fissato in due anni la durata minima degli incarichi dirigenziali. Per altro, l'ordinanza da un lato nega che se l'amministrazione assegna ad un dirigente un incarico oggettivamente di minore portata ciò leda qualche diritto del dirigente e determini un mutamento di mansioni, interpretando l'articolo 2103 in modo diametralmente opposto alla giurisprudenza prevalente dei giudici del lavoro, ma dall'altro lato ammette che nella fattispecie il mutamento delle mansioni vi sia stato, sostenendo che la lesione alla professionalità, comunque, ammesso che derivi dal mutamento di mansioni sarebbe "un qualcosa che per sua natura ha bisogno di un certo periodo di tempo per nascere, assumere rilevanza e consolidarsi". Quindi, le amministrazioni, così argomentando, non lederebbero mai le posizioni giuridiche dei dirigenti in modo immediato a seguito dei provvedimenti di revoca dell'incarico, ma solo a seguito di un lasso di tempo che consolidi il danno: si tratterebbe, insomma, di una fattispecie di danno "differito", davvero inusitato nel campo giuslavoristico.

 

 

DIRITTO

I. I due appelli in epigrafe, proposti dall'Azienda ospedaliera "Ospedali riuniti" di Trieste e dal Sott. G.S. avverso la sentenza del T.A.R. del Friuli Venezia Giulia del 10 maggio 1999 n. 601, possono essere trattati e definiti con un'unica decisione.

II. - Il T.A.R. ha annullato la deliberazione del 4 gennaio 1999 n. 6, con la quale l'Azienda ospedaliera "Ospedali riuniti" di Trieste, esperita la procedura di cui all'art. 15 punto 3 del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 502, ha conferito al Dott. G.S. l'incarico quinquennale di dirigente medico di II livello di cardiologia con decorrenza dall'11 gennaio 1999.

La Sezione è dell'avviso che la controversia esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo e che la pronuncia del T.A.R., pervenuta ad opposte conclusioni, non possa essere condivisa.

III. - Deve premettersi che il T.A.R. ha affermato la propria giurisdizione esaminando d'ufficio la questione e che la sentenza appellata, per tale profilo, non è stata fatta oggetto di contestazione dalle parti.

Ciononostante, la Sezione ritiene di poter riesaminare la questione.

L'art. 30 comma 1 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, prevede che il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d'ufficio. Tale disposizione, peraltro, va coordinata con la'rt. 37 Cod. proc. Civ., per il quale il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d'ufficio in qualunque stato e grado del processo.

E' irrilevante, pertanto, che sulla giurisdizione si sia pronunciato il giudice di primo grado con statuizione espressa e che le parti non abbiano appellato la sentenza sul punto, dovendosi escludere che, fin quando il rapporto processuale risulti pendente ("in qualunque stato e grado del processo"), tale statuizione sia suscettibile di passare in giudicato, salvo che sulla giurisdizione non sia intervenuta una decisione della Corte di cassazione a Sezioni unite (Ad. plen. 28 ottobre 1980, seguita dalla prevalente giurisprudenza di questo Consiglio; IV Sez. 4 febbraio 1999 n. 112; IV Sez. 23 novembre 1999 n. 1922; VI Sez. 25 marzo 1998 n. 390; VI Sez. 20 giugno 1997 n. 945; VI Sez. 20 maggio 1995 n. 479; VI Sez. 30 novembre 1992 n. 990).

IV. - La Sezione ritiene che la controversia in esame, relativa al conferimento di un incarico di II livello dirigenziale di cardiologia, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario a norma dell'art. 68 del D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29, così come modificato prima con l'art. 33 del D.L.vo 23 dicembre 1993 e successivamente dall'art. 29 del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80, e come integrato con l'art. 18 del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387.

L'esame della norma ora richiamata conduce a tale conclusione.

V. - L'art. 68 comma 1 del D.L.vo n. 29 del 1993 ha devoluto al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze di Pubbliche amministrazioni (indicate all'art. 1 comma 1).

La norma è stata adottata in base alla delega contenuta nell'art. 2 lett. c) della L. 22 ottobre 1992 n. 421, per la quale il Legislatore delegato avrebbe dovuto prevedere "l'affidamento delle controversie di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti alla giurisdizione del giudice ordinario secondo le disposizioni che regolano il processo del lavoro" e si ricollega alla nuova disciplina che, nello stesso D.L.vo n. 29 del 1993, ha dato inizio al processo di assimilazione del rapporto di pubblico impiego al rapporto di lavoro privato, dando attuazione ad altra norma di delega contenuta nello stesso art. 2 alla lett. a), intesa a "ricondurre i rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti pubblici sotto la disciplina del diritto civile".

L'art. 68 del D.L.vo n. 29 del 1993, nella sua attuale formulazione, accentrando presso il giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, "tutte" le controversie relative al rapporto di pubblico impiego", ha operato,come evidenziato dall'avverbio da esso adoperato, una devoluzione "per materia" di tali controversie, istituendo, in definitiva, una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario per il pubblico impiego - la stessa che, prima di tale norma, spettava al giudice amministrativo - sottratta al criterio tradizionale di riparto fra le due giurisdizioni, fondato sulla situazione giuridica oggettiva fatta valere dell'interessato.

La disposizione in esame, inoltre, espressamente include tra le controversie in materia di pubblico impiego, trasferite al giudice ordinario "il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali" (voce aggiunta dall'art. 18 del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387).

L'unica eccezione alla generale devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie in materia di pubblico impiego è costituita dalla conservazione al giudice amministrativo, per il comma 4 dell'art. 68 in esame, delle controversie "in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni", che il Legislatore delegato, evidentemente, ha considerato attinenti al profilo pubblicistico dell'organizzazione dell'Amministrazione (posto come limite generale alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego dall'art. 2 lett. a) della legge n. 421 del 1992: "salvi i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione delle Pubbliche amministrazioni sono indirizzate").

La giurisdizione del giudice ordinario sul rapporto di pubblico impiego si instaura, pertanto, successivamente alla procedura concorsuale, a partire dal contratto di lavoro, che rappresenta il momento iniziale di ogni rapporto di lavoro (anche di quelli instaurati al di fuori di una procedura concorsuale), come chiarisce lo stesso art. 68 comma 1 quando indica le controversie relative alle "assunzioni al lavoro" fra quelle demandate al giudice ordinario.

Il quadro del riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa in materia di pubblico impiego, che deriva dalla sola lettura dell'art. 68 del D.L.vo n. 29 del 1993, è chiaro e non richiede particolari approfondimenti interpretativi.

VI. - Ciò stante, deve affermarsi che la controversia in esame è tra quelle devolute al giudice ordinario.

L'art. 68 del D.L.vo n. 29 del 1993, coordinando tale disposizione con l'art. 1 comma 2 dello stesso testo legislativo, riguarda anche i rapporti di lavoro relativi ad "Amministrazioni, aziende ed Enti del Servizio sanitario nazionale".

La controversia, inoltre, si riferisce al conferimento di un incarico di II livello dirigenziale di cardiologia ed è, tra le controversie relative "al conferimento degli incarichi dirigenziali" espressamente rimessi al giudice ordinario.

L'incarico in questione, infine, costituisce la posizione apicale della dirigenza sanitaria. Ad esso possono aspirare solo i dirigenti del Servizio sanitario nazionale. Si tratta, pertanto, di un incarico che presuppone, la qualifica di "dirigente sanitario" viene conferito e si svolge all'interno del rapporto d'impiego del personale sanitario.

Le liti relative a tale incarico, pertanto, sarebbero risultate di competenza del giudice ordinario, indipendentemente dallo specifico e testuale riferimento aggiunto dall'art. 18 del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387, all'art. 68 comma 1 in quanto avrebbero comunque configurato "controversie relative al rapporto di pubblico impiego. Il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia nella sentenza appellata e parte della giurisprudenza dei giudici di primo grado non condividono tale impostazione e affermano, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo, giacchè il conferimento dell'incarico in questione sarebbe disciplinato da una procedura selettiva assimilabile a quella concorsuale, con conseguente collocazione delle relative controversie nell'ambito di operatività del comma 4 dell'art. 68 del D.P.R. n. 29 del 1993, che, come già rilevato, riserva la materia concorsuale al giudice amministrativo.

Tale tesi, però, ad avviso della Sezione, non regge al confronto con la normativa che disciplina il conferimento degli incarichi di II livello dirigenziale del personale sanitario, contenuta nell'art. 15 comma 3 del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 502, come modificato dall'art. 16 del D.L.vo 7 dicembre 1993 n. 517 e dal "Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l'accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l'accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale" approvato con il D.P.R. 10 dicembre 1997 n. 484.

In base alla normativa ora richiamata,applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis (senza, cioè, le modificazioni e le integrazioni apportatevi dal D.L.vo n. 229 del 1999), l'incarico in parola è conferito dal Direttore generale dell'Azienda, sulla base de "parere" di una commissione di esperti.

La commissione predispone un elenco dei candidati da essa ritenuti idonei alla copertura dell'incarico, previo un colloquio individuale e dopo la valutazione del curriculum presentato da ciascuno di essi.

L'art. 8 comma 6 del citato D.P.R. n. 484 del 1997, infatti, dispone che: "La commissione al termine del colloquio e della valutazione del curriculum, stabilisce, sulla base di una valutazione complessiva, la idoneità del candidato all'incarico".

Non si tratta, quindi, di un concorso (il concorso è invece previsto per l'accesso al ruolo dei dirigenti ed è disciplinato dal "Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale" approvato con il D.P.R. 10 dicembre 1997 n. 483) ma neppure di una procedura ad esso assimilabile.

La commissione non dà punteggi, non opera una valutazione comparativa dei singoli candidati, dei titoli del curriculum professionale o dell'esito del colloquio, non stila, quindi, graduatorie di merito, ma esprime un giudizio complessivo sulla idoneità di ciascun candidato, individualmente considerato, a ricoprire l'incarico dirigenziale apicale.

Non appartiene, inoltre, ad una procedura concorsuale, l'assegnazione dell'incarico in base ad una scelta fondata sulla prevalenza, in termini di maggiore idoneità all'esercizio delle nuove funzioni, di alcuni candidati su altri concorrenti, scelta che è invece il proprium di una procedura concorsuale di tipo concorsuale.

Le due procedure, ad avviso della Sezione, sono completamente diverse e tutt'altro che assimilabili.

Ne consegue che è erronea, su tali basi, anche la sola prospettazione di un'interpretazione estensiva del comma 4 dell'art. 68 per comprendervi anche la procedura per l'affidamento dell'incarico di cui trattasi.

Le controversie relative al conferimento degli incarichi dirigenziali di II livello del personale sanitario (e alle revoche degli stessi) esulano, pertanto, dalla giurisdizione del giudice amministrativo.

VII. - In conclusione, la sentenza appellata deve essere riformata, e la Sezione deve dichiarare la inammissibilità per difetto di giurisdizione dell'originario ricorso proposto dal Dott. S.

Le spese dei due gradi del giudizio, tuttavia, sussistendo giusti motivi, possono compensarsi integralmente tra tutte le le parti.

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