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Articoli e note
n. 10-2002.

GIOVANNI VIRGA

La riforma del Titolo V della Costituzione
e la legislazione preesistente

Con recente sentenza (18 ottobre 2002 n. 422, Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky), la Corte costituzionale, occupandosi della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (istitutivo di un parco nazionale) in rapporto al vecchio testo degli artt. 117 e 118 della Costituzione (trattandosi di questione sollevata prima della recente riforma costituzionale operata con la L. n. 3/2001), ha affermato, sia pure incidentalmente, che "le norme che definiscono le competenze legislative statali e regionali contenute nel nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione potranno, di norma, trovare applicazione nel giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato contro leggi regionali e dalle Regioni contro leggi statali soltanto in riferimento ad atti di esercizio delle rispettive potestà legislative, successivi alla loro nuova definizione costituzionale".

Il principio affermato, quantunque possa apparire scontato, è in realtà gravido di implicazioni.

Con tale principio è stato chiarito infatti che, a seguito delle innovazioni al riparto delle competenze tra Stato e Regioni apportate con la legge cost. n. 3/2002, non sarà possibile sollevare questione di legittimità costituzionale se non con riferimento a norme statali, ritenute lesive delle nuove competenze regionali, che siano state approvate successivamente all'entrata in vigore della l. cost. n. 3/1999; analoga regola si applica ovviamente anche alle disposizioni regionali ritenute lesive delle prerogative statali.

Ciò significa anche, a contrario, che la questione di legittimità costituzionale non potrà essere sollevata, di regola, in relazione a norme approvate dal Parlamento italiano prima del nuovo riparto di competenze operato con la citata l. cost. n. 3/2001.

Il principio affermato sembra evitare un pericolo e cioè quello di vedere la Corte costituzionale sommersa da questioni di legittimità sollevate in relazione a norme statali, emanate prima dell’entrata in vigore della l. cost. n. 3/2001, che risultano incompatibili con il nuovo riparto di competenze.

Posto quindi che le questioni di legittimità costituzionale vanno sollevate - per ciò che concerne la nuova distribuzione di competenze - in relazioni a leggi approvate successivamente all’entrata in vigore della l. cost. n. 3/2001, rimane da vedere quale sorte subiscono le pregresse norme statali che sono incompatibili con il nuovo assetto delle competenze.

E’ da escludere innanzitutto che tali disposizioni possano considerarsi sic et simpliciter abrogate implicitamente.

Il principio dell’abrogazione per implicito, infatti, pur contemplato dalle disposizioni preliminari al codice civile, presuppone che vi sia una incompatibilità chiara e totale. E, molto spesso, per non dire quasi sempre, le previgenti norme statali non sono in toto e chiaramente incompatibili con il nuovo assetto costituzionale.

Va inoltre considerato (e la considerazione sembra prevalente) che non solo il nostro ordinamento ha un horror vacui, ma soprattutto non è possibile disapplicare di fatto norme statali che disciplinano interi settori perché esse, secondo l'opinione dell’interprete di turno, sembrano incompatibili con il nuovo assetto delle competenze. Argomentando diversamente non solo si aprirebbero voragini difficilmente colmabili da parte delle Regioni in breve tempo, ma si darebbe la stura ad una confusione di lingue (per cui secondo alcuni interpreti determinate leggi sarebbero in contrasto con il nuovo assetto, id est abrogate, secondo altri, no), incompatibile con il principio di certezza del diritto che (in tesi) dovrebbe reggere il nostro ordinamento.

In ultimo ma non per ultimo, il base al principio di successione delle leggi nel tempo deve escludersi che, in mancanza di espressa volontà espressa in tal senso dal nostro legislatore costituzionale, le (vecchie) norme statali ritenute incompatibili con il nuovo assetto costituzionale possano ritenersi abrogate automaticamente con effetto dalla data di entrata in vigore della più volte richiamata l. cost. n. 3/2001.

Posto quindi che la richiamata legge costituzionale non ha abrogato per implicito le previgenti statali che si pongano in conflitto con il nuovo assetto di competenze e che, secondo quanto affermato dal Giudice delle leggi (sia pure per incidens e senza particolare approfondimento), "le norme che definiscono le competenze legislative statali e regionali contenute nel nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione potranno, di norma, trovare applicazione nel giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato contro leggi regionali e dalle Regioni contro leggi statali soltanto in riferimento ad atti di esercizio delle rispettive potestà legislative, successivi alla loro nuova definizione costituzionale", non rimane che la soluzione (perfettamente ragionevole e rispettosa delle nuove prerogative riconosciute alle Regioni) secondo cui le norme statali adottate prima dell’entrata in vigore della L. cost. n. 3/2001 continuano a rimanere in vigore fino a quando le Regioni non eserciteranno, mediante apposite leggi di settore, le nuove competenze costituzionali che sono ad esse attribuite.

Ovviamente, nell’ambito delle nuove materie di competenza esclusiva delle Regioni, il legislatore regionale non sarà vincolato dalle preesistenti norme emanate in sede statale (nemmeno sotto il profilo del rispetto dei principi da esse desumibili), ma sarà libero di disciplinare la nuova materia assegnata nel modo ritenuto più opportuno.

Tuttavia, al fine di evitare una ulteriore babele che deriverebbe da un uso indiscriminato delle nuove potestà legislative esclusive da parte delle singole Regioni, che finirebbe peraltro per lasciare disorientato il singolo cittadino (il quale correrebbe il rischio di vedere disciplinati, anche sotto il profilo procedimentale, in modo diverso i propri diritti ed interessi legittimi nelle varie Regioni) sarebbe opportuno che le Regioni stesse utilizzassero le nuove competenze cum grano salis ed in modo coordinato.

Sotto questo profilo gli sforzi di trovare (sia pure a livello regionale, attraverso appositi organismi di coordinamento) una disciplina comune alle varie Regioni, soprattutto in quei settori (come ad es. la disciplina degli appalti pubblici) per i quali non si ravvisano particolari esigenze di carattere regionalistico, sono da approvare incondizionatamente.

Nè varrebbe sostenere che in tal modo la riforma in senso federalista dello Stato, che è iniziata con la l. cost. n. 3/2001, verrebbe sacrificata od elusa.

Il federalismo, come insegnano peraltro esperienze di stati stranieri che hanno da tempo adottato tale assetto, non può essere disgiunto da un minimo di coordinamento tra i vari organismi interessati. Nè comunque va trascurato il fatto che, nell’ambito del nuovo riparto di competenze, mentre esistono delle materie per le quali una apposita disciplina differenziata è non solo opportuna ma anche auspicabile (pensiamo ad es. al turismo ed alla politica turistica che ciascuna regione vorrà operare per valorizzare le risorse del proprio territorio), esistono invece una serie di nuove materie per le quali non si ravvisano esigenze di differenziazioni marcate a livello di singole regioni. Per queste ultime materie, l’esigenza di un coordinamento regionale che dia vita ad una disciplina comune è particolarmente sentita.

Il rischio è, altrimenti, quello di vederci sommersi da una serie di leggi, l’una differente dall’altra, di rango regionale che finirebbero per costituire un fattore di freno piuttosto che di sviluppo per l’economia. E tale risultato, tenuto conto dell’impressionante numero di leggi che già ci affligge in sede nazionale, finirebbe per costituire un ulteriore paradosso tutto italiano e comporterebbe, in definitiva, il fallimento del federalismo, il cui fine ultimo dovrebbe essere quello di promuovere (e non frenare) lo sviluppo del nostro paese.

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A. DE ROBERTO, Il sistema delle fonti dopo la riforma del titolo V della Costituzione

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