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Articoli e note
n. 11-2002

ALFONSO RICCARDO
(Segretario/Direttore Generale del Comune di Rometta - ME)

Spunti di riflessione in tema di collocazione, funzioni, ruolo del segretario comunale nel nuovo assetto dei poteri locali conseguente alla riforma del Titolo V – parte II – della Costituzione

SOMMARIO: 1. Premesse - 2. La ricognizione del quadro costituzionale tra “unità” ed “autonomia” - 3. I principi costituzionali di rilievo per l’esercizio dell’autonomia e la tutela dell’unità, con particolare riferimento ai profili organizzativi - 4. La collocazione, le funzioni, il ruolo del segretario comunale e provinciale alla luce del nuovo assetto costituzionale - 5. Prospettive de iure condendo.

1. Premesse

La riforma del Titolo V – Parte II – della Costituzione ed il nuovo assetto dei poteri locali che da essa ne discende, hanno innescato un intenso dibatto a vario livello in ordine agli scenari che possono prospettarsi in sede di adattamento della legislazione a tale innovato contesto ordinamentale [1].

Per quanto attiene più propriamente al sistema delle autonomie locali, si è avviato un processo di revisione del Testo Unico degli enti locali, approvato con D.lgs.vo 267/00, nel quale com’è noto è refluita la quasi totalità delle disposizioni di legge introdotte dal legislatore negli anni ’90 a partire dalla L.142/90 per arrivare alla L.265/99.

La rilevazione del dibattito in corso, nonché l’esame di talune proposte operative, evidenziano tuttavia una sostanziale incertezza sul da farsi, cui è correlata la contrapposizione tra posizioni estreme, rispettivamente in favore o contro un’ulteriore estensione dell’autonomia locale rispetto a quanto già previsto nel Tuel.

In tale contesto non può sfuggire la necessità di individuare un approccio “metodico” che funga da criterio guida per la revisione del Tuel assicurandone una equilibrata evoluzione adeguatrice, poiché vi è il rischio di procedere in modo disorganico ed obiettivamente confuso (e quindi per ciò stesso rischioso), all’interno della cennata dicotomia tra spinte, allo stesso modo massimaliste, di conservazione ed innovazione.

Inoltre l’opportunità di un approccio metodico condiviso dai vari soggetti attori nel processo di adeguamento legislativo in argomento, si apprezza in particolare allorquando vi è da risolvere le questioni più spinose e controverse, tra le quali indubbiamente è oramai ricompresa, in tutta la sua deflagrante portata, quella concernente la collocazione, le funzioni, il ruolo del Segretario comunale (e provinciale) e ciò anche in conseguenza di intempestive decisioni assunte da taluni comuni che ne hanno disposto l’unilaterale abrogazione in via statutaria, cui è seguito un primo pronunciamento in senso contrario del giudice amministrativo investito in via cautelare della controversia [2].

Poiché il contesto su cui si muove il legislatore (statale e regionale) è quello di un sistema a costituzione rigida nel quale le leggi sono soggette al potenziale controllo di costituzionalità, deve ritenersi inderogabile l’individuazione dell’approccio metodico sopra sollecitato, nell’ambito di parametri di costituzionalità derivanti da principi ed eventualmente da disposizioni contenute nella costituzione siccome vigente.

Una volta individuati tali parametri le proposte di revisione del Tuel dovranno essere raffrontate con questi ultimi, fermi restando gli spazi per l’esercizio della discrezionalità legislativa in termini di scelta tra opzioni politiche nonché di apprezzamento contingente della cura degli interessi in gioco, purché si badi non confliggenti con l’assetto costituzionale.

In altri termini, le proposte di revisione ed adeguamento del Tuel, potranno rivelarsi rispettivamente:

a)     non compatibili con la costituzione, perché lesive di principi e/o disposizioni costituzionali;

b)     necessarie e/o obbligate, in forza della illegittimità costituzionale sopravvenuta di norme di legge preesistenti alla riforma del Titolo V – Parte II della costituzione;

c)     neutre, in quanto potenzialmente non in contrasto con il nuovo quadro costituzionale, e quindi oggetto di esercizio della richiamata discrezionalità legislativa.

2. La ricognizione del quadro costituzionale tra “unità” ed “autonomia”.

Il punto di partenza per la ricognizione del quadro costituzionale non può che essere il nuovo testo dell’art. 114 Cost., comma 1 e 2, a termini del quale:

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.

Dalla lettura dell’articolo sopra riportato, è possibile estrapolare alcune introduttive considerazioni, che si concretano nella rilevazione di:

a)     una innovata “pari-condizione” dei vari soggetti pubblici esponenziali e primari chiamati a concorrere per costituire la Repubblica, in una prospettiva policentrica e non costituzionalmente predeterminata dell’allocazione dei pubblici poteri tra gli stessi, i quali si relazionano in forma sussidiaria (v. anche art. 118 Cost., comma 1);

b)     una correlata neo-configurazione del grado di autonomia (normativa, amministrativa e finanziaria) riconosciuto a comuni, province, città e regioni, nei detti termini paritari, tale da delineare una “mutazione genetica” degli stessi [3];

c)      un fermo ancoraggio ai principi fissati dalla medesima carta costituzionale, in ordine ai caratteri fisionomici con cui siffatta autonomia è ad un tempo riconosciuta e può essere legittimamente esercitata.

Seguendo spontaneamente le potenzialità innovatrici discendenti dalla riforma costituzionale gli operatori a vario livello impegnati nell’approfondimento e nell’attuazione della stessa, hanno privilegiato il sottolineare i primi due aspetti ora sopra cennati che discendono dal nuovo quadro costituzionale, mentre più in ombra è rimasto il pure essenziale ed imprescindibile riferimento ai principi costituzionali che debbono presiedere al processo di concreta esplicitazione del nuovo sistema dei rapporti tra i c.d. “livelli di governo”.

Esaurita quindi una prima esuberante fase in cui sono state amplificate tutte le potenzialità in senso autonomistico che il nuovo assetto costituzionale potrebbe assentire, e registrato per altro verso un rinnegamento per certi aspetti apodittico della nuova realtà ordinamentale, resta centrale la necessità di procedere con equilibrio alla ricognizione dei principi costituzionali i quali costituiscono l’unico parametro preventivo di discernimento della compatibilità costituzionale delle posizioni in campo, almeno fino a quando su singole fattispecie non si pervenga a pronunce della Corte Costituzionale.

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Il percorso ricognitivo che in questa sede si vuole svolgere, avverte tuttavia il bisogno di essere predeterminato, poiché lo stesso dato testuale dell’art. 114, comma 2, Cost. si presta a due possibili accezioni, una in senso restrittivo e l’altra in senso estensivo.

In particolare allorquando si legge che l’autonomia riconosciuta ai poteri locali segue i principi fissati dalla costituzione, ciò può essere inteso nel senso (restrittivo) che i principi rilevanti sul punto siano esclusivamente quelli riferibili alle modalità in cui l’autonomia stessa è stata costituzionalmente attribuita, ovvero in un senso molto più ampio per cui tutti i principi di rilievo costituzionale che caratterizzano il nostro ordinamento giuridico condizionino ed interagiscano nel momento in cui trova esplicazione l’autonomia locale.

Com’è evidente la differenza è gravida di conseguenze, in quanto nel potenziale conflitto tra principi costituzionali, in linea teorica sempre ammissibile, nel primo caso avrebbe prevalenza la tutela dell’autonomia locale, e nel secondo avverrebbe l’esatto contrario.

Poiché la passione con cui ciascuno può sposare l’una o l’altra delle possibili alternative prospettate indubbiamente non giova alla facile composizione della questione, occorre trovare nella costituzione stessa argomentazioni fondate per accedere in modo persuasivo e condivisibile ad una delle stesse, atteso che come già cennato dalla opzione che si esercita discendono effetti applicativi di grande rilievo pratico.

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Soccorre a tal fine la rilettura di un importantissimo articolo della stessa costituzione, collocato sotto il profilo sistematico tra i principi fondamentali su cui si poggia la Repubblica, che rinveniamo nell’art. 5 Cost., laddove è statuito:

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Indubbiamente una riflessione rigorosa sul tale articolo non può che condurre a riconsiderare le istanze autonomistiche anche alla luce delle esigenze di unità ed indivisibilità della Repubblica, e ciò non solo sotto il profilo territoriale, ma anche e sopratutto in termini di valori e quindi di sistemi di regolazione (ordinamento) degli interessi, nonché di tensione allo sviluppo delle persone e delle formazioni sociali.

Ciò determinerebbe il prevalere dell’esigenza dell’unità rispetto a quella dell’autonomia, almeno nel senso implicito in forza del quale laddove lo sviluppo sregolato dell’autonomia dovesse porre in pericolo l’unità, nei termini ampi e sostanziali in cui questa deve essere intesa, certamente l’ordinamento non potrebbe che privilegiare la sua conservazione.

In ogni caso, anche a volere momentaneamente soprassedere sulle possibili conseguenze derivanti dai casi di antinomie tra i due valori (unità ed autonomia), non è possibile desumere dal quadro costituzionale una prevalenza dell’autonomia sull’unità, per cui comunque i due valori vanno promossi in modo direttamente proporzionale, il che significa che essi debbono camminare e svilupparsi insieme [4].

Quanto sopra porta a concludere che vanno ricompresi nella ricognizione dei principi costituzionali tutti i principi che hanno rilievo tale da incidere in modo diretto nella tutela paritaria delle esigenze di autonomia e di unità, accedendo così ad una interpretazione ampia del disposto di cui al cennato art. 114, comma 2, Cost.

3. I principi costituzionali di rilievo per l’esercizio dell’autonomia e la tutela dell’unità, con particolare riferimento ai profili organizzativi.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, è possibile procedere con una certa scioltezza nella individuazione dei principi costituzionali secondo i quali l’autonomia locale si esplicita.

In particolare sembra immediatamente necessario definire il rapporto tra i caratteri “propri” dell’autonomia locale ed i principi costituzionali, nonché per la diretta correlazione, il ruolo che assume la legge sul punto.

Dal testo dell’art. 114, comma 2, si evince chiaramente che il riconoscimento dell’autonomia è intimamente connesso con gli strumenti giuridici idonei a renderla concretamente esercitabile, identificati nel nuovo testo costituzionale in “propri statuti, poteri e funzioni”.

A questo punto tuttavia si riscontra una fondamentale diversificazione tra comuni, province, città metropolitane da un lato e regioni dall’altro, nel senso che mentre per queste ultime la costituzione stessa detta il contenuto essenziale di statuti, poteri e funzioni (v. art.117 Cost. per l’attribuzione della funzione legislativa; art. 121 Cost. per l’individuazione degli organi di governo della regione; 122 Cost. per il sistema elettorale; 123 Cost. per la forma di governo e l’organizzazione amministrativa), per i primi tace relativamente al contenuto degli statuti ed alla descrizione dei poteri, mentre relativamente alle funzioni si limita a stabilire che:

“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.”(art. 118 Cost., comma 1 e 2).

Dal silenzio della costituzione sopra sottolineato, tuttavia non può dedursi in modo acritico ed indiscriminato il conseguenziale rinvio all’autonomia locale sul punto, poiché ciò condurrebbe ad effetti paradossali, nel senso che addirittura l’autonomia di comuni, province e città sarebbe di portata maggiore rispetto a quella riconosciuta alle regioni, atteso che ad es. per queste ultime vi sarebbe l’obbligo di avere un presidente, una giunta ed un consiglio regionale, mentre per i primi l’individuazione degli organi nonché la forma di governo locale, sarebbe completamente affrancata da vincoli legislativi predeterminati.

Evidentemente non è così, né potrebbe esserlo, anche in ragione delle esigenze di unità che in forza dell’art. 5 Cost., come abbiamo avuto modo di evidenziare, camminano insieme a quelle dell’autonomia.

Al contrario ciò comporta l’implicito, ma pacifico, intervento della legge per coprire quegli spazi di normazione che non sono occupati da norme costituzionali, e parimenti secondo ragionevolezza ordinamentale non possono essere ricondotti sul piano dell’autonoma normazione locale.

Infatti, scorrendo l’art. 117 Cost., rinveniamo alla lett. p.) del comma 2, nell’ambito delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, quelle concernenti “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, da esercitarsi nel rispetto della costituzione (cfr. art. 117 Cost., comma 1) ovverossia in conformità ai principi di autonomia ed unità, che debbono informare l’intero sistema dei poteri pubblici nella Repubblica.

Sicché è sempre nella legge (statale) [5] che debbono rivenirsi i contenuti tipologici primari degli statuti, dei poteri e delle funzioni proprie (o fondamentali) [6] di comuni province e città, fermo restando che essendo stata costituzionalmente potenziata l’autonomia di detti soggetti pubblici, il rispetto della costituzione impone al legislatore vincoli più stringenti, tali da giustificare la contrazione dell’autonomia esclusivamente per tutelare forti esigenze di unità, riconsiderate alla luce dei nuovi principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

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La ricognizione dei principi costituzionali che stiamo operando, sopratutto per quanto attiene all’autonomia ed all’assetto dei poteri e delle funzioni di comuni, province e città, tuttavia deve ricomprendere l’individuazione di un ulteriore e centrale principio costituzionale, fissato nell’art. 97 Cost. [7] laddove è previsto che:

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Ciò comporta la necessità di ampliare il campo di intervento della legge per quanto attiene a qui profili dell’autonomia che si concretizzano nell’organizzazione, poiché la legge è chiamata ad intervenire per fissare le linee “fondamentali” dell’assetto degli apparati e del riparto interno delle funzioni e responsabilità nelle amministrazioni pubbliche.

Con la conseguenza che tra le materie comprese nelle “funzioni fondamentali” attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, deve obbligatoriamente riconnettersi quel modo di esplicitarsi delle “funzioni proprie” che è costituito per l’appunto dall’esercizio del potere di auto-organizzazione.

Inoltre vanno qui ricomprese tutte quelle esigenze di tutela che la legge dello Stato deve garantire, e che sono riconducibili alla necessità di assicurare il buon andamento e l’imparzialità nella generalità delle pubbliche amministrazioni, le quali debbono essere ancora più sentite allorquando la stessa costituzione attribuisce ai comuni la “generalità” delle funzioni amministrative.

4. La collocazione, le funzioni, il ruolo del segretario comunale e provinciale alla luce del nuovo assetto costituzionale

L’approfondimento delle recenti questioni insorte circa la soppressione del Segretario tra le figure necessarie all’interno dell’organizzazione e del funzionamento di comuni e province, indubbiamente assume una prospettiva diversa, alla luce del riconoscimento che sopra abbiamo accertato della persistenza di una competenza legislativa dello Stato (evidentemente per le sole regioni di diritto comune) in materia di funzioni fondamentali (o proprie) nonché in materia di organizzazione degli uffici pubblici, nei limiti del rispetto dei principi di autonomia e di unità stabiliti dalla costituzione.

Seguendo l’approccio metodico che ci siamo dati nel presente lavoro, sottoporremo ora il quadro legislativo vigente siccome definito negli artt. 97 e ss. del Tuel ai parametri di costituzionalità che sopra abbiamo individuato, specificando relativamente alla collocazione, al ruolo ed alle funzioni che la legge attualmente attribuisce a tale figura, la compatibilità delle attuali disposizioni di legge con le esigenze di autonomia ed ad un tempo di unità complessiva che riscontriamo nel quadro costituzionale.

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Per quanto attiene alla sua collocazione il Segretario è un “professionista pubblico”, dipendente da una Agenzia Nazionale ed iscritto in un apposito Albo professionale, il cui rapporto di lavoro è soggetto in generale alle disposizioni sull’ordinamento del lavoro all’interno delle amministrazioni pubbliche di cui al D.lgs.vo 165/01, contrattualmente regolato a livello nazionale secondo un distinto contratto nell’ambito delle previsioni dell’art. 40 del decreto citato, con una propria peculiarità in forza di speciali disposizioni contenute nel Tuel.

Poiché non è in alcun modo condivisibile, seppure da taluni sostenuto [8], che l’autonomia riconosciuta a comuni, province e città, possa spingersi fino a consentire un’organizzazione dei propri uffici ed un ordinamento del lavoro al proprio interno svincolato dalle previsioni di legge assunte in attuazione dell’art. 97 Cost., la posizione formale del Segretario è sostanzialmente identica a quella dei restanti dipendenti degli enti locali (dirigenti, funzionari, od altre restanti categorie).

Le peculiarità sono legate tuttora:

a)     alla previsione di un Albo nazionale articolato in fasce e sezioni regionali, ove si accede per pubblico corso-concorso, sulla base di un programma di formazione mirato a formare una adeguata professionalità del Segretario;

b)     alla previsione di legge, che rende “obbligatoria” tale figura professionale (si badi non la persona concreta del singolo segretario, ma la professionalità che la figura estrinseca);

c)     alla dipendenza “funzionale” con l’ente ove il Segretario svolge servizio, mentre il contratto di lavoro è sottoscritto con l’Agenzia Nazionale dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e sottoposta alla vigilanza del Ministero degli Interni.

Se questi profili sembrano essere sintomatici di una persistente ingerenza dello Stato nella organizzazione di comuni e province, tale considerazione va correlata con i seguenti contrappesi:

a)     l’Agenzia per la gestione dell’Albo è un organismo composto paritariamente da rappresentanti del sistema delle autonomie locali e degli stessi segretari, e si configura come un organo autonomo pienamente innestato nel sistema delle autonomie;

b)     la nomina del segretario è atto di competenza del capo dell’amministrazione locale, con ampia facoltà di scelta nell’ambito delle professionalità garantite dalla iscrizione e dalla idonietà conseguita attraverso percorsi di accesso, formazione e qualificazione mirati;

c)     il rapporto di servizio del Segretario con l’ente locale è il meno rigido possibile nell’ambito dell’ordinamento del lavoro all’interno della amministrazioni pubbliche, atteso che in ogni caso di cessazione dalla carica del capo dell’amministrazione, viene meno il rapporto del segretario con l’ente locale, salvo conferma.

Quanto sopra evidenzia che indubbiamente sotto il profilo della collocazione, nessuna concreta lesione dell’autonomia locale, l’attuale status del segretario comporta per comuni e province.

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Per quanto attiene alle funzioni che il Segretario svolge all’interno di comuni e province, queste sono dalla legge (art. 97, Tuel) delineate in due gruppi tipologici, che possiamo definire rispettivamente necessari ed eventuali.

Nel primo gruppo di funzioni minime e necessarie, rientrano:

a)     i compiti di collaborazione e le funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti,

b)     la partecipazione con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e la cura della relativa verbalizzazione;

c)     la facoltà di rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente.

Nel secondo gruppo di funzioni eventuali e facoltative da attivarsi a discrezione di comuni e province, rientrano:

a)     la sovrintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti ed il coordinamento della relativa l'attività, nei casi in cui il sindaco e il presidente della provincia non abbiano nominato il direttore generale;

b)     l’espressione dei pareri di regolarità tecnica e/o contabile, di cui all'articolo 49 del Tuel, nel caso in cui l'ente non abbia dirigenti o funzionari responsabili dei servizi;

c)     l’esercizio delle funzioni di direttore generale nell'ipotesi in cui il capo dell’amministrazione locale intenda valersi di tale facoltà;

d)     l’esercizio di ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;

Orbene sottoponendo questi due gruppi di funzioni al quadro dei principi costituzionali che abbiamo sopra descritto ci accorgiamo che queste ad un tempo rispondono alle esigenze di unità (le prime), ed alle esigenze dell’autonomia le seconde, sviluppandolo insieme secondo un percorso equilibrato ed armonico.

In particolare nelle funzioni minime e necessarie il legislatore attraverso la previsione di tale figura professionale, ed a servizio delle funzioni proprie (o fondamentali) degli enti locali, assicura la salvaguardia di un interesse primario costituito dalla garanzia della legalità e della certezza (o della fede) pubblica nello svolgimento delle azioni degli organi di comuni e province.

In altre parole le esigenze dell’unità giustificano e rendono necessaria, secondo l’apprezzamento del legislatore, una linea comune a tutti i governi locali di cura del principio di legalità sostanziale dell’azione amministrativa, nonché la garanzia della certezza della formazione della volontà degli organi locali, cui è funzionale la collocazione di un pubblico ufficiale a tal fine preposto.

In questa prospettiva la previsione di tale figura non lede in alcun modo l’autonomia locale, poiché non attiene nei suoi caratteri inderogabili, alla organizzazione dell’ente in modo diretto, mentre è strumentale al perseguimento di condizioni di garanzia e certezza che non possono considerarsi disponibili alla autonomia locale.

Tutto il restante gruppo di funzioni attribuibili al Segretario si configurano invece come espressione massima dell’autonomia locale, nel senso che gli enti interessati possono nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, nonché organizzativa, attribuire ulteriori compiti e funzioni al segretario ovvero valersi della diverse alternative che la legge acconsente.

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Mettendo insieme la collocazione e le funzioni del Segretario come sopra considerate, viene fuori il ruolo complessivo di tale figura professionale all’interno di comuni e province da sottoporre al vaglio del nuovo assetto dei poteri locali siccome fissato nell’innovato testo costituzionale.

Se guardiamo alle funzioni necessarie che lo stesso è chiamato a svolgere, indubbiamente il Segretario appare oggi come una figura di “Pubblico Ufficiale” di alta ed elevata garanzia e professionalità preposto all’interno degli enti per assicurare condizioni di certezza e fede pubblica alle attività maggiormente rilevanti di comuni e province.

Se guardiamo alla sua collocazione nel sistema dei poteri, esso indubbiamente non può che essere considerato un pubblico ufficiale “locale”, poiché l’Albo in cui è iscritto e l’Agenzia da cui dipende sono parte integrante del sistema delle autonomie, e sopratutto in relazione al fatto che il provvedimento di nomina che instaura il rapporto di servizio con l’ente locale è atto di esclusiva competenza del capo dell’amministrazione locale, da esercitarsi con ampia discrezionalità fiduciaria e con il solo limite sostanziale della idoneità professionale attestata dalla iscrizione all’Albo del Segretario concretamente prescelto.

Spostando infine l’osservazione alle funzioni eventuali, il Segretario è figura di potenziamento dell’autonomia di comuni e province, in quanto professionalmente idoneo a moltiplicare le alternative organizzative e gestionali a disposizione degli organi di governo locale.

5. Prospettive de iure condendo

Le riflessioni sopra svolte conducono a sostenere con fondata e persuadente certezza che la figura del Segretario comunale e provinciale, non solo non è sopprimibile in via statutaria ed unilaterale dai singoli enti (che pur significativa nella attuale fase contingente, si configurerebbe come una prospettazione recessiva della questione), ma al contrario risulta perfettamente innestata nell’innovato assetto dei poteri locali perfezionatosi con la riforma del Titolo V – Parte II della Costituzione.

Ciò che appare in sede di approfondimento della materia concernente la collocazione, le funzioni ed al ruolo dei segretari, è il carattere anticipatorio che la riforma dello status intervenuta con la L.127/97 ha assunto rispetto ad un più complessivo riassetto dei poteri tra centro e periferia nell’unitario ordinamento giuridico, sicché sembra davvero irragionevole sostenere oggi che una figura professionale pubblica locale, perfettamente innestata nel sistema delle autonomie, sia di ostacolo al libero svolgersi dell’autonomia di comuni e province.

Al contrario se dovessimo ricercare qualcosa di più locale all’interno di comuni e province purché allo stesso tempo congiunta alle esigenze di unità che l’ordinamento costituzionale non ha minimamente declinato, difficilmente troveremmo una figura professionale pubblica locale delineata in modo così equilibrato.

Parimenti non è concepibile che comuni e province interpretino sistematicamente la loro autonomia contro qualcosa o qualcuno, non riflettendo che in taluni casi essi rischiano di richiedere autonomia rispetto ad essi stessi, allorquando non colgono le richiamate esigenze di equilibrio tra unità intima dell’ordinamento ed esercizio della propria autonomia locale.

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In prospettiva è quindi opportuno chiarire che lo status attuale del Segretario comunale e provinciale, se da un lato non è in alcun modo posto in condizione di incompatibilità con il nuovo quadro costituzionale, allo stesso modo non appare necessiti di particolari interventi legislativi.

Giova a tal fine osservare che il sistema che presiede all’accesso in carriera ed alla formazione e riqualificazione dei segretari è ancora in fase sperimentale, avendo la riforma del 1997 innescato una ampia e generale fase di rinnovamento e riqualificazione della figura, per cui eventuali interventi legislativi potrebbero irrimediabilmente compromettere l’esperienza in corso.

Peraltro, sotto il profilo della adeguatezza, è da chiedersi: chi dovrebbe sostituire il Segretario nei comuni e nelle province?

Le alternative sono essenzialmente due.

La prima conduce all’ipotesi che il Segretario non sia sostituito da nessuno.

Ciò significherebbe che dal giorno successivo alla soppressione della figura, giunte e consigli si riuniscono in assenza di un pubblico ufficiale che garantisca le certezza di quanto sta avvenendo e ne assicuri eventuali rimedi in caso di violazioni di legge; inoltre gli enti dovrebbero rivolgersi ai notai anche per la stipula di un semplice contratto di appalto; ed ancora allorquando gli organi di governo o i funzionari e dipendenti avessero necessità di assistenza in materia giuiridico-amministrativa.....non avrebbero altro da fare che rivolgersi a se stessi (o a.....consulenti esterni).

La seconda alternativa porta all’ipotesi di sopprimere la figura del Segretario e sostituire la detta figura, con altra figura che svolga le medesime funzioni, ma individuata e selezionata diversamente a livello esclusivamente locale, invocando a tal fine i principi autonomistici.

Tuttavia è proprio in quest’ultima ipotesi che appare in tutta la sua portata l’assoluta irragionevolezza della proposta di soppressione, poiché sono proprio comuni e province in massima parte a dettare le linee di evoluzione della figura ed il suo adeguamento alle esigenze di una moderna amministrazione pubblica locale. Sicché senza che vi sia alcuna ragione di incompatibilità costituzionale (se non di natura pretestuosa), gli enti locali rinunzierebbero a “costruirsi” insieme alla Agenzia ed alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale (SSPAL) il loro “pubblico ufficiale locale”, andando alla ricerca di non si sa cosa, in un mercato del lavoro che per le amministrazioni pubbliche appare sempre di più inadeguato alle reali necessità degli enti.

In altre parole, gli enti chiedendo la soppressione del segretario travolgerebbero insieme con lui la stessa possibilità di assicurare una figura unitaria di pubblico ufficiale locale, regredendo in un sistema interamente localistico di conformazione degli uffici pubblici, sicuramente incompatibile con i principi costituzionali.

Vi è quindi da concludere che davvero l’ultima cosa di cui comuni e province hanno bisogno per meglio esplicitare la propria innovata autonomia, sia quella di sopprimere la figura del Segretario comunale e provinciale.


 

[1] Sul punto il processo legislativo di adeguamento si è concretizzato nel Disegno di legge del Governo n. 1545 in atto all’esame del Senato, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.

[2] Si veda in tal senso il caso del Comune di Castel di Tora.

[3] è necessario tuttavia sottolineare, già in questa sede, che impropriamente si è discusso in termini di “riforma federale” relativamente alla L. Cost. 3/01.

In realtà si tratta di una revisione del sistema amministrativo che investe tutti i livelli di governo, scomponendo le precedenti posizioni e sottraendo funzioni e poteri al centro per conferirli alla periferia, senza tuttavia congegnare in alcun modo una struttura federale dello stato. Per un approfondimento sul punto v., A. PIRAINO, I raccordi istituzionali alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione, intervento al Convegno su “Riforma del titolo V della Costituzione e autonomie locali” svoltosi a Messina il 25/26 Settembre, 2002, pro-manoscritto in atto inedito.

[4] V. sul punto, A. RUGGERI, Riforma del titolo V della Costituzione e autonomie locali (notazioni introduttive), Intervento introduttivo al Convegno dall’omonimo titolo svoltosi a Messina il 25/26 settembre, 2002, pro-manoscritto in atto inedito.

[5] Non sembra che sull’argomento possano prospettarsi in modo convincente spazi per la legislazione regionale, utilizzando il criterio di residualità nel riparto della competenza legislativa rinvenibile all’art. 117 Cost., comma 4.

Invero un siffatto intervento del legislatore regionale parrebbe indubbiamente lesivo dell’autonomia normativa di comuni, province e città, poiché esso determinerebbe una compressione inaccettabile dell’autonomia normativa locale. Sicché gli spazi lasciati liberi dal legislatore statale vanno occupati dalla normazione locale (statuti e regolamenti).

[6] Sulla assimilazione concettuale tra funzioni “proprie” e funzioni “fondamentali” si v. A. D'ATENA, Il nodo delle funzioni amministrative, intervento al Convegno su “Il Sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione”, organizzato dal Centro Vittorio Bachelet, in Roma il 31 gennaio 2002, disponibile nell’indirizzo internet: http://www.assiciazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/riforma/datena.html

[7] Si riporta sul punto quanto sostenuto nella teoria del diritto amministrativo, secondo la quale “...anche l’attività organizzatoria è soggetta al principio di legalità, non solo per antiche tradizioni.......e perché nell’ambito dell’organizzazione viene in rilievo un problema di distribuzione delle competenze fra organi, ma sopratutto a causa della prescrizione dell’art. 97 Cost.......” (vfr. R. GALLI, Corso di Diritto Amministrativo, Padova, 1996, p.163).

[8] V. G. NAIMO, Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle Regioni alla luce della modifica del Titolo V della Costituzione, in www.giustamm.it, Rivista Internet di Diritto Pubblico.

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