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Articoli e note
n. 4-2002.

LUIGI OLIVERI

La "Costituzione albertina"

Nel corso degli ultimi anni, alcune delle regole e dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico sono stati messi seriamente in discussione.

Tra questi, senza dubbio, il principio della gerarchia delle fonti e della natura rigida della Costituzione. Come è noto, nessuna norma positiva, né costituzionale né di altra natura, ha consentito esplicitamente questa evoluzione, che si è verificata solo di fatto, ma che sta pian piano imponendosi.

L'avvio a questo stato evolutivo (o involutivo, a seconda dei punti di vista) è stato dato dalle leggi Bassanini. Anche se l'ex Ministro per la funzione pubblica lo ha più volte negato, è dato per acquisito in dottrina che grande parte delle riforme contenute nelle leggi 59/1997 e 127/1997, nonchè dei decreti legislativi 80/1998 e 112/1998, hanno introdotto discipline normative che hanno di fatto modificato la Costituzione, pur rimanendo essa invariata.

Altrettanto unanime in dottrina è la constatazione che la legge costituzionale 3/2001 sia intervenuta allo scopo di costituzionalizzare, cioè di portare norme di rango primario a livello costituzionale, le disposizioni delle leggi Bassanini, per armonizzare le fonti primarie al dettato costituzionale.

In tal modo, si è dato vita ad una riforma della Costituzione che è partita seguendo un senso inverso a quello che la natura rigida della nostra legge fondamentale imporrebbe: invece di modificare prima la Costituzione e poi adeguare le norme primarie, si sono prima modificate queste (anche praeter se non addirittura contra Costituzione), per adeguare in un secondo momento la Costituzione alle leggi primarie.

Anche se alcuni autori contestano questi assunti, è un fatto che, comunque, la riforma della Costituzione abbia inseguito modifiche ordinamentali di livello costituzionale, operate mediante norme di legge primaria e non costituzionale (basta guardare le date dei provvedimenti citati).

Ciò finisce per mettere in seria crisi la natura rigida della Costituzione, che imporrebbe (o impone ancora?) di riformarla solo attraverso leggi costituzionali, approvate seguendo la specifica procedura prevista dall'articolo 138.

La crisi della Costituzione rigida ed il conseguente "ritorno" allo Statuto albertino, sembra trovare conferma nelle norme di attuazione della riforma costituzionale, attualmente allo studio del Governo.

Il Governo ha in proposito elaborato un disegno di legge (riportato in calce al presente articolo), recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

In linea teorica, questo disegno di legge dovrebbe risolvere alcuni dei punti di più difficile interpretazione ed attuazione di una riforma che l'attuale maggioranza ha più volte criticato, tra l'altro, proprio perché ha modificato l'assetto costituzionale senza passare attraverso l'articolo 138, se non in sede di "sanatoria".

Eppure, dalla lettura dell'attuale testo del disegno di legge (che, lo si ripete, è ancora in una magmatica fase di elaborazione) sembra che l'impostazione dell'attuale Governo sia la medesima del precedente: ovvero, introdurre, di fatto, varianti all'ordinamento costituzionale mediante fonte primaria, pensando più in là a costituzionalizzarle.

Lo si evince dalla lettura dell'articolo 1, comma 2, del disegno di legge, secondo il quale "le disposizioni normative statali concernenti materie appartenenti alla legislazione regionale si applicano in ciascuna regione sino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia".

All'apparenza, la norma sembra soltanto una scontata affermazione: le leggi statali vigenti, che disciplinano anche le materie passate alla potestà normativa esclusiva delle regioni, continuano a spiegare la propria forza normativa, finchè le regioni non esercitino la propria potestà legislativa.

Ma, a ben guardare, la disposizione del disegno di legge non si limita, così come è scritta, ad acclarare i rapporti tra leggi statali e leggi regionali in senso statico. La formulazione del comma pare autorizzare anche una lettura in senso dinamico, secondo la quale lo Stato potrebbe comunque emanare leggi, anche rientranti nella potestà legislativa esclusiva delle regioni. Dette leggi, tuttavia, sono da ritenere "cedevoli", in quanto restano operanti solo finchè non entrino in vigore nuove e diverse disposizioni regionali in materia.

In sostanza, questa lettura che l'ambiguità del testo autorizza a sviluppare, negherebbe che l'articolo 117, comma 3, della Costituzione abbia attribuito alle regioni una potestà normativa esclusiva. Infatti, lo Stato potrebbe comunque legiferare in materia, in piena alternatività con le regioni stesse, le quali, dunque, condividerebbero con lo Stato una potestà legislativa uguale, informata alla regola secondo la quale la legge regionale successiva deroga comunque la legge statale precedente.

Sulla possibilità che l'attuale testo dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione non abbia introdotto una potestà legislativa esclusiva, ma concorrente o alternativa si sono pronunciate già diverse voci (1); la dottrina prevalente afferma, tuttavia, che il citato articolo 117, comma 3, assegni alle regioni una potestà legislativa esclusiva, per altro espressamente riconosciuta dal disegno di legge di "riforma della riforma" costituzionale.

Ora, senza entrare nel merito della questione dell'esclusività o meno della potestà legislativa regionale, se l'intento del legislatore è quello di determinare un rapporto di concorrenza e non di esclusività tra leggi statali e regionali, allora appare chiaro che tale tipo di rapporto dovrebbe trovare la sua fonte nella Costituzione e non certo un una legge ordinaria, attuativa della Costituzione stessa.

Altrimenti, la legge ordinaria diverrebbe riforma di "diritto vivente" della Costituzione "albertina", soggetta nuovamente e per l'ennesima volta ad una modifica dei suoi contenuti al di fuori delle procedure dell'articolo 138.

Tuttavia, la citata disposizione normativa, se interpretata alla luce dei riconosciuti principi ordinamentali, dovrebbe essere considerata illegittima costituzionalmente, proprio perché si pone contro la chiara disposizione costituzionale che assegna, sia pure in modo indiretto, alle regioni una potestà legislativa esclusiva.

Per completezza d'esame, la relazione di accompagnamento al disegno di legge, stilata dal Ministro per gli affari regionali, qualifica espressamente la potestà legislativa regionale come concorrente o esclusiva. Ma allora, se l'intento del legislatore è regolamentare i rapporti tra leggi statali e regionali, occorrerebbe riscrivere il testo dell'articolo 1, comma 2, in modo da fugare ogni dubbio e da garantire la piena rispondenza all'attuale dettato costituzionale. Oppure, modificare quest'ultimo.

Problemi analoghi si pongono con riferimento al comma 6 dell'articolo 1 del disegno di legge, a mente del quale "i comuni, le province e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla legge. Fino all'emanazione dei regolamenti suddetti, si applicano le disposizioni statali e regionali vigenti".

Anche questa norma pare possa prestarsi ad una duplex interpretatio. Per un verso, appare la norma può essere letta come descrizione del classico rapporto legge-regolamento, per il quale gli aspetti di disciplina organizzativa di dettaglio sono assegnati alla normativa regolamentare, in armonia con le previsioni legislative, rispetto alle quali si pone come attuazione ed integrazione.

Alcuni autori, tuttavia, suggeriscono una lettura diversa, fondandosi sull'articolo 117, comma 6, della Costituzione che assegna agli enti locali potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Secondo tale orientamento interpretativo, detta disposizione pare assegnare a comuni, province e città metropolitane una potestà regolamentare esclusiva nella materia dell'organizzazione, tale da:

1) far ritenere che i regolamenti di organizzazione siano la fonte principale dell'organizzazione degli enti locali;

2) far ritenere che i regolamenti, in detta materia, possano sempre derogare alla legge;

3)  far ritenere che le leggi, in base a quanto stabilisce il disegno di legge, pur potendo dettare una disciplina organizzativa degli enti locali, sarebbero comunque "cedevoli" rispetto ai regolamenti;

4) far concludere che il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni di comuni, province e città metropolitane non sarebbe regolato, oltre che dal codice civile e dalle altre leggi sul rapporto di lavoro di diritto comune applicabili ai dipendenti pubblici, né dalle leggi dello Stato, né da leggi regionali, ma, appunto, esclusivamente dai regolamenti di organizzazione degli enti locali.

Certo, questa tesi troverebbe un forte supporto in una formula legislativa come quella utilizzata nell'attuale testo del disegno di legge, che prevede l'applicazione delle leggi "fino all'emanazione dei regolamenti", come se, appunto, le fonti secondarie potessero prevalere su quelle primarie.

Se così stessero le cose, allora avremmo una modifica dell'ordine gerarchico delle fonti, non operato dalla Costituzione, ma da una legge ordinaria, che per altro disporrebbe del potere normativo del legislatore (sia statale, sia, quel che è più grave, regionale) rendendolo più debole del potere regolamentare degli enti locali.

Il che contrasta col principio unanimemente riconosciuto dalla dottrina, secondo il quale le fonti di un certo livello gerarchico non possono disciplinare fonti ad esse sovraordinate o pariordinate.

Affinchè non si determinino effetti profondamente distorsivi dell'ordinamento giuridico, appare opportuno che il legislatore riveda la formulazione del comma 6 dell'articolo 1 del disegno di legge, al fine di eliminare qualunque equivoco e chiarire che i regolamenti di organizzazione non sono equiordinati alle leggi o dotati di forza normativa tale da rendere le leggi cedevoli, come se ad essi fosse riservata in via esclusiva la materia non solo organizzativa, ma anche della disciplina del rapporto di lavoro.

Contro questa interpretazione, infatti, depongono una serie di considerazioni ed, in primo luogo, le stesse norme costituzionali.

La Corte dei conti, Sezione controllo, 24 novembre 1995, n. 149 ha chiarito che "gli articoli 95 e 97 cost. non consentono che l'organizzazione dei pubblici uffici, oggetto di riserva di legge, sia pur relativa, possa venir demandata a norme di rango secondario, attraverso il meccanismo della cosiddetta delegificazione, senza che una norma primaria stabilisca criteri sufficientemente determinati ed individui esattamente l'ambito di operatività dei successivi regolamenti governativi; pertanto, il disposto dell'art. 6 del d.lg. n. 29 del 1993, che consente al Governo di emanare regolamenti, anche in deroga alle disposizioni normative vigenti, per l'individuazione degli uffici di livello dirigenziale nelle varie amministrazioni, deve essere interpretato in modo letterale e restrittivo, con la conseguenza che non è conforme a legge un regolamento governativo, emanato in base a tale disposizione, che, con riferimento al Ministero del lavoro, non si limiti alla mera individuazione dei posti di funzione in relazione all'attuale assetto degli uffici, ma preveda la creazione di nuovi organi centrali, la rideterminazione delle competenze e delle circoscrizioni di quelli periferici, modificando e derogando alle disposizioni legislative vigenti in materia.

La decisione si riferisce in particolare alla potestà regolamentare del Governo, che è ovviamente peculiare e diversa da quella delle autonomie locali. Tuttavia, il riferimento all'articolo 97 della Costituzione deve necessariamente valere anche per quanto riguarda la potestà regolamentare locale.

Non bisogna trascurare il fatto che a mente del comma 1 dell'articolo 97 "i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione". Il comma 2 aggiunge che "nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari".

E', dunque, la Costituzione a prevedere direttamente che l'ordinamento degli uffici sia fissato mediante legge e che per legge siano stabiliti i poteri assegnati i poteri pubblici agli uffici, nonché delimitati i confini dell'esercizio di detti poteri, attraverso la definizione delle sfere di competenza.

L'articolo 97 dà vita ad una riserva di legge considerata, sì, relativa, ma non tale da consentire che l'ordinamento di un'amministrazione pubblica possa essere fissato esclusivamente da fonti secondarie.

La relatività della riserva, permette, nell'attuale ordinamento come nel precedente, alla legge di non disciplinare direttamente l'intera materia ordinamentale e, pertanto, di lasciare spazi normativi alle fonti regolamentari.

L'articolo 117, comma 6, della Costituzione non riserva la materia dell'organizzazione ai regolamenti. Sicchè, detti regolamenti non sono posti in relazione di competenza con le leggi, né è immaginabile che le leggi, previste espressamente come fonti fondamentali dell'ordinamento degli uffici pubblici dalla Costituzione, possano cedere ai regolamenti, se la Costituzione stessa non lo disponga esplicitamente.

D'altra parte, appare per la verità una forzatura desumere dall'articolo 117, comma 6, della Costituzione una potestà normativa locale che vada fino alla disciplina esaustiva dell'ordinamento del personale, quasi che ciascun comune possa, mediante il proprio regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, emanare un "proprio D.lgs 165/2001".

L'autonomia regolamentare, infatti, è limitata, per espressa previsione costituzionale, alla sola organizzazione degli uffici, che è cosa ben diversa dalla potestà di disciplinare lo status giuridico dei dipendenti degli enti locali, da un lato, e la sfera delle attribuzioni, dall'altro.

I regolamenti di organizzazione degli enti locali, pur non essendo espressamente contemplati dall'articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 400/1988, condividono con i regolamenti di organizzazione governativi i tratti e le caratteristiche fondamentali.

La dottrina (2) osserva che la legge 400/1988 (come del resto l'articolo 117, comma 6 della Costituzione o lo stesso disegno di legge di attuazione) non contiene una norma di delegificazione della materia organizzativa. La competenza regolamentare di tipo organizzativa, in altre parole, può essere esercitata solo in quanto la legge lo consenta. Si tratta, quindi, di regolamenti autorizzati, non delegati di delegificazione.

Questa ricostruzione trova puntuale riscontro in giurisprudenza: la Corte dei conti, Sezione controllo, 22 giugno 1999, n. 47 ha deciso che "la possibilità per il Governo di emanare cosiddetti regolamenti delegati, in grado cioè di derogare anche a precedenti norme di carattere primario, deve necessariamente essere prevista in un testo avente valore di legge ordinaria, insieme all'enunciazione di puntuali criteri direttivi; pertanto, non è legittima l'emanazione di un regolamento delegato, relativamente al riassetto degli organi territoriali dell'Inps e dell'Inail, avendo come riferimento l'art. 1 comma 2 d.lg. n. 479 del 1994, che, viceversa, rinvia per la disciplina della materia a un regolamento ordinario di organizzazione, non prevedendo tra l'altro la citata disposizione alcun criterio direttivo in materia". Sulla stessa linea interpretativa, Corte dei conti, Sezione controllo, 17 settembre 1997, n. 124, ha sancito che "è illegittimo un regolamento di organizzazione nella parte in cui prevede la possibilità di affidare ai dirigenti funzioni diverse da

quelle previste nell'art. 19 comma 2 del d.l. n. 29 del 1993 (preposizione ad uffici di adeguato livello, incarichi ispettivi o di consulenza studio e ricerca)".

Insomma, proprio perché l'articolo 97 della Costituzione prevede la riserva di legge, comunque i regolamenti di organizzazione non possono essere contrari a legge, ma svolgono una funzione di attuazione e completamento della disciplina ordinamentale.

Per altro, il comma 2 dell'articolo 97 sembra assegnare alla legge un contenuto indefettibile: la determinazione delle sfere di competenza e di attribuzione dei funzionari.

La legge, dunque, fissa le competenze, impedendo ai regolamenti di modificarle, a meno che non sia la legge stessa a consentirlo, dettando i criteri generali.

La costituzionalizzazione dell'autonomia regolamentare degli enti locali, allora, dispiega il solo effetto di costringere il legislatore regionale (non potendo più intervenire in merito la legge dello Stato, a mente del comma 2 dell'articolo 117 della Costituzione) a relativizzare il più possibile la riserva di legge costituzionale, lasciando ampi spazi di intervento regolamentare, evitando di regolamentare la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti locali in modo esaustivo, fino ad esaurire completamente mediante la legge la materia.

E' necessario, dunque, che il disegno di legge chiarisca meglio i rapporti reciproci tra legge e regolamento. E che metta in luce, comunque, che la materia organizzativa consiste, per lo più, nella determinazione delle modalità di esercizio di competenze, eterodeterminate dalla legge, di individuazione degli uffici di vertice e delle loro articolazione, della distribuzione dei poteri pubblici assegnati dalla legge agli enti tra detti uffici di vertice, nella fissazione dei criteri per l'assegnazione degli incarichi dirigenziali, nella determinazione dei criteri generali di direzione delle strutture sia di vertice, sia di base, nell'individuazione delle procedure non assegnate alla contrattazione privata di gestione del rapporto di lavoro, in particolare di quelle finalizzate alla selezione dei dipendenti.

 

(1) In senso favorevole alla potestà legislativa concorrente pura o alternativa C. A. Manfredi Selvaggi, Effetti del nuovo assetto costituzionale sull'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali., in www.giustamm.it e S. Mielli, E' possibile una lettura del nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni in chiave giuridica e non politica?, in www.giustamm.it; contra: L. Oliveri, L'ammissibilità di leggi dello Stato di "coordinamento e garanzia dell'unità dell'ordinamento" dopo la riforma della Costituzione, in www.giustamm.it; M. Olivetti, in La Repubblica delle autonomie, Torino, 2001; G. Rolla, ibidem; T. Groppi. ibidem.

(2)  V. Italia, G. Landi, G. Potenza, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2002, pag. 41.

 

 

SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE recante «Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3».

Art. 1

(Attuazione dell'articolo 117, primo, terzo e sesto comma,
della Costituzione in materia di legislazione regionale e di potestà regolamentare)

1. Costituiscono vincolo alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni ai sensi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, gli obblighi derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute di cui all'articolo 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione della sovranità di cui all'articolo 11 della Costituzione, dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea e alle Comunità europee e dai trattati internazionali ratificati a seguito di legge di autorizzazione.

2. Le disposizioni normative statali concernenti materie appartenenti alla legislazione regionale si applicano in ciascuna Regione sino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia.

3. Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati con legge statale o quali desumibili dalle leggi vigenti dello Stato.

4. In sede di prima applicazione, il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi diretti alla ricognizione dei principi fondamentali vigenti nell'ordinamento nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, attenendosi ai principi della completezza, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità. Gli schemi dei decreti sono sottoposti, previo parere della Conferenza Stato-Regioni, al parere delle Camere, da rendersi entro 30 giorni dalla data di ricezione degli stessi.

5. Nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 4, il Governo si atterrà ai seguenti criteri direttivi:

a) individuazione quali principi fondamentali delle disposizioni statali rilevanti ai fini di garantire l'unità giuridica ed economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria e la tutela dell'incolumità e della sicurezza pubblica;

b) individuazione dei principi fondamentali per settori organici della materia in base a criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni e di quelle affini, strumentali e complementari, e in modo da richiedere normalmente disposizioni applicative regionali;

c) considerazione degli obiettivi generali assegnati dall'articolo 117, settimo comma, della Costituzione, alla legislazione regionale;

d) considerazione delle disposizioni legislative vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché di quelle che entreranno in vigore prima della sottoposizione degli schemi di decreto al parere delle Camere;

e) coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni di principio e loro eventuale semplificazione;

f) esclusione della disposizioni contenenti deroghe od eccezioni espresse.

6. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla legge. Fino all'emanazione dei regolamenti suddetti, si applicano le disposizioni statali e regionali vigenti.

Art. 2

(Attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lett. p, della Costituzione in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane)

1. Il Governo, su proposta dei Ministri per gli affari regionali e dell'interno, è delegato ad emanare un decreto legislativo diretto a determinare le funzioni amministrative fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge attenendosi ai principi della necessità per il soddisfacimento dei bisogni primari della popolazione locale, della pertinenza alle caratteristiche proprie di tali enti e dell’esercizio storicamente consolidato, nonché dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Lo schema è sottoposto, previo parere della Conferenza Unificata, al parere delle Camere, da rendersi entro 30 giorni dalla data di ricezione dello stesso.

2. Nella predisposizione del decreto legislativo, di cui al comma 1, il Governo si atterrà ai seguenti criteri direttivi:

a) attribuzione ai Comuni di funzioni riguardanti la popolazione, territorio comunale e i servizi alla persona e alla comunità;

b) attribuzione alle Province di funzioni riguardanti l’intero territorio provinciale o vaste zone intercomunali, nelle materie previste dagli articoli 19 e 20 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni;

c) attribuzione alle Città metropolitane di funzioni riguardanti il proprio ambito territoriale nelle materie previste degli articoli 23 e 24 de1 decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni;

d) attribuzione di ulteriori funzioni in applicazione dei principi di cui al comma 1.

3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 3.

4. Il Governo è altresì delegato ad adeguare, con le modalità previste dal comma 1, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante testo unico della legge sull'ordinamento degli enti locali, in applicazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e delle relative disposizioni di attuazione.

ART. 3

(Attuazione dell'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, sulla
partecipazione delle Regioni in materia comunitaria)

1. L'articolo 1-bis della legge 9 marzo 1989, n. 86, è sostituito dal seguente:

"Art. 1-bis (Partecipazione del Parlamento e delle Regioni alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari)

1. I progetti degli atti normativi e di indirizzo degli organi dell'Unione Europea e delle Comunità europee e le loro modificazioni, sono trasmessi contestualmente alla loro ricezione alle Camere per l'assegnazione ai competenti organi parlamentari, nonché, per il tramite della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, alle Regioni e alle Province autonome, indicando la data presunta per la loro discussione o adozione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, assicura alle Camere, alle Regioni e alle Province autonome il tempestivo aggiornamento delle informazioni relative ai tempi di discussione o adozione. Sono altresì trasmessi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni, redatti dalla Commissione delle Comunità europee. Tra i progetti e gli atti da trasmettere alle Camere, sono compresi anche quelli relativi alle misure previste dai Titoli V e VI del Trattato sull'Unione Europea.

2. I competenti organi parlamentari formulano osservazioni e adottano ogni opportuno atto di indirizzo al Governo.

3. Ai fini della formazione della posizione italiana nelle fasi istruttorie preliminari all'adozione degli atti di cui al comma 1, le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza, trasmettono, entro trenta giorni dalla data del relativo ricevimento, le osservazioni al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per le politiche comunitarie, per l'immediata comunicazione ai Ministri competenti per materia. Le Regioni e le Province autonome possono chiedere che le predette osservazioni siano portate all'esame della Conferenza Stato – Regioni.

4. Qualora gli atti di indirizzo parlamentare e le osservazioni di cui ai commi 2 e 3 non siano pervenuti al Governo in tempo utile entro la data presunta indicata o comunque, se diversa, entro il giorno precedente quella di effettiva discussione, il Governo può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti dell'Unione europea e delle Comunità europee.

5. Le Regioni e le Province autonome, su designazione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, individuano propri esperti con riferimento ad ogni procedimento normativo comunitario che concerna materie di loro competenza. L'elenco dei nominativi ed ogni sua successiva variazione sono comunicati tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie.

6. In ogni caso in cui il progetto normativo dell'Unione europea concerna materie di competenza legislativa delle Regioni o delle Province autonome, il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, nell'esercizio delle competenze di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, convoca anche gli esperti di cui al comma 5, ai singoli tavoli di coordinamento nazionali allo scopo di definire la posizione italiana da sostenere, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione Europea.

7. Le Regioni e le Province autonome concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza, alla formazione degli atti comunitari, partecipando nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione, secondo modalità da concordarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni, che devono comunque garantire l'unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo.

8. Le spese relative alla partecipazione degli esperti delle Regioni e delle Province autonome alle riunioni ed alle delegazioni di cui ai commi 6 e 7, fanno carico ai bilanci di dette amministrazioni.

9. Le Regioni, le Province e gli altri enti territoriali sono rappresentati direttamente presso l'Unione Europea dal Comitato delle Regioni di cui agli articoli 263 e seguenti del Trattato della Comunità europea.

2. L'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, è sostituito dal seguente:

Art. 9

(Competenze delle regioni e delle province autonome)

1. “Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie.

2. I provvedimenti regionali e provinciali di cui al comma 1, devono recare, nel titolo, il numero identificativo della direttiva attuata e devono essere immediatamente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie. Alla Presidenza devono essere altresì trasmessi, i disegni di legge regionali e provinciali di attuazione delle direttive.

3. La legge comunitaria o altra legge statale che da attuazione a direttive indica i principi fondamentali nel rispetto dei quali deve essere esercitata la competenza legislativa delle Regioni nella materie di legislazione concorrente.

4. Le disposizioni normative adottate dallo Stato per l'adempimento degli obblighi comunitari, nelle materie di competenza legislativa regionale e provinciale, si applicano, anche ai sensi dell'articolo 117 comma 5, della Costituzione, a, decorrere dalla scadenza del termine fissato per il recepimento dalla direttiva e sino all'entrata in vigore degli atti normativi delle Regioni e delle Province autonome."

ART.4

(Attuazione dell'articolo 117, quinto e ottavo comma della Costituzione
sull'attività internazionale delle Regioni)

1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa provvedono direttamente all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali ratificati, dandone preventiva comunicazione al Ministero degli Affari Esteri e al Dipartimento per gli Affari Regionali, i quali nei successivi 30 giorni dal relativo ricevimento, possono formulare criteri e osservazioni. In caso di inadempienza, ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 5, commi I, 3, 4 e 5.

2. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono concludere con Enti territoriali interni ad altro Stato intese, dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché lo svolgimento di attività di mero rilievo internazionale, dandone comunicazione prima della firma al Dipartimento per gli affari regionali e al Ministero per gli Affari Esteri, ai fini delle eventuali tempestive osservazioni di questi ultimi. Con gli atti relativi alle attività sopra indicate, le Regioni e le Province autonome non possono esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato, né possono assumere impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato.

3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dagli impegni internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché dei principi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato. A tal fine ogni Regione o provincia autonoma dà tempestiva comunicazione delle trattative al Ministero degli Affari Esteri e al Dipartimento per gli affari regionali. Il Ministero, può indicare principi e criteri da seguire, nella conduzione dei negoziati. Qualora questi ultimi si svolgano all'estero, le locali Rappresentanze diplomatiche o uffici consolari italiani potranno, previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma, intervenire e collaborare alla conduzione delle trattative. La Regione o la Provincia autonoma, prima di sottoscrivere l'accordo, comunica il relativo progetto al Ministero degli Affari Esteri, il quale, sentito il Dipartimento per gli affari regionali ed accertata l'opportunità politica e la legittimità e dell'accordo, ai sensi del presente comma, conferisce i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969 di cui è stata autorizzata la ratifica con legge 12 febbraio 1974 n, 112. Gli accordi sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli.

4. Agli accordi stipulati dalle Regione e dalle Province autonome è data pubblicità in base alla legislazione vigente.

5. II Ministro degli Affari Esteri può in qualsiasi momento rappresentare alla Regione o alla Provincia autonoma interessata questioni di opportunità politica inerenti alle attività di cui ai commi 1, 2 e 3 e, in caso di dissenso, chiedere che la questione sia portata in Consiglio dei Ministri. In questa sede, e con l'intervento del Presidente della Giunta regionale interessato, il Governo delibera sulla questione.

6.1n caso di violazione degli accordi di cui al comma 3, ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato, si applicano le disposizioni dell'articolo 5.

7. I Comuni, le Province e le Città metropolitane continuano a svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie loro attribuite, secondo l'ordinamento vigente.

Art 5

(Attuazione dell'articolo 118 della Costituzione
in materia di esercizio delle funzioni amministrative)

1. Lo Stato nelle materie di propria competenza legislativa esclusiva e le Regioni, nelle materie di propria competenza legislativa, anche concorrente, provvedono a ridistribuire le funzioni amministrative, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unità di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o di programmazione, favorendo altresì lo svolgimento di attività amministrative di interesse generale a associazioni o singoli cittadini. Tutte le altre funzioni non diversamente attribuite spettano ai Comuni, fermo quanto previsto dall'articolo 2.

2. Sino all'entrata in vigore delle leggi statali o regionali di cui al comma 1, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dai decreti legislativi emanati in attuazione della legge 15 marzo 1997. n. 59, e dalle altre disposizioni vigenti, nonché dalle successive leggi regionali.

3. Lo Stato provvede, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo accordo tra Governo, Regioni e autonomie locali da concludersi in sede di Conferenza Unificata, a trasferire i beni e le risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni e Comunità montane. In caso di mancato accordo o di inadempienza si applica, in quanto compatibile, l'articolo 7, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 31 marzo 1998.n. 112.

ART.6

(Attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, sul potere sostitutivo)

 1. Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120 della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei Ministri, adotta il provvedimento ovvero nomina un apposito Commissario che provvede in via sostitutiva. Ove la situazione lo richieda, il Consiglio dei Ministri può approvare un disegno di legge o un decreto-legge per assicurare il conseguimento delle finalità suddette.

2. Qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Città metropolitane, la nomina del Commissario deve tener conto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

3. Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, ovvero della Regione o dell'Ente locale, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e Autonomie locali allargata ai rappresentanti delle Comunità Montane, che possono chiederne il riesame.

4. In tutti i casi suddetti, i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite. Sono fatti salvi i provvedimenti di scioglimento dei Consigli comunali, provinciali e degli altri enti locali, previsti dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

5. Il Governo anche per assicurare la tutela delle esigenze e finalità indicate dall'articolo 120 della Costituzione, può promuovere la stipulazione di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni, e di Conferenza Unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni; in tal caso è esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Sono abrogati l'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e l'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998. n. 112.

ART. 7

(Attuazione degli articoli 123, secondo comma e 127, della Costituzione
in materia di ricorsi alla Corte Costituzionale).

1. Il primo comma dell'articolo 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è sostituito dal seguente: "La questione di legittimità costituzionale di uno statuto regionale può, a norma del secondo comma dell'articolo 123 della Costituzione, essere promossa entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione della promulgazione".

2.Dopo il primo comma dell'articolo 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è inserito il seguente comma: "II Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere, ai sensi dell'articolo 127, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della legge regionale dinanzi alla Corte Costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione".

3. Al secondo comma dell'articolo 31 della legge 11 marzo 1953. n. 87, le parole "il termine previsto dal comma precedente" sono sostituite dalla parole "i termini previsti dai commi precedenti".

4. Nell'articolo 32 della legge 11 marzo 1953, n.87, le parole "trenta giorni" sono sostituite dalle parole: "sessanta giorni".

5. Al primo comma dell'articolo 33 della legge 11 marzo 1953, n. 87, le parole "dell'articolo 2, secondo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1948", sostituite dalle parole "dell'articolo 127, secondo comma, della Costituzione".

6. L'articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n, 87, è sostituito dal seguente: "L'efficacia della legge statale o regionale, nei cui confronti sia stata promossa una questione di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, può essere sospesa, in pendenza del giudizio, per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte".

7. Le Regioni assicurano la pronta reperibilità degli atti recanti la pubblicazione ufficiale degli statuti e delle leggi regionali.

8. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per i ricorsi per conflitto di attribuzione fra Stato e Regione, di cui agli articoli da 39 a 42 della legge 11 marzo 1953, n. 87, proposti anteriormente alla data dell’8 novembre 2001, il ricorrente deve chiedere la trattazione del ricorso, con istanza diretta alla Corte Costituzionale e notificata alle altre parti costituite. In difetto di tale istanza, il ricorso si considera abbandonato ed è dichiarato estinto con ordinanza del Presidente. Le medesime disposizioni si applicano alle questioni di legittimità costituzionale di una legge o atto avente forza di legge dello Stato promosse, ai sensi dell'articolo 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dalla Regione o da una Provincia autonoma anteriormente alla data dell’8 novembre 2001.

Art.8

(Ricollocazione di funzioni già esercitate dal Commissario del Governo
soppresso dall'articolo 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

1. In ogni capoluogo di Regione a statuto ordinario il Prefetto preposto all'Ufficio territoriale del Governo assolve anche alle funzioni di Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie nella Regione.

2. Nell'esercizio di tali funzioni, esso in particolare cura in sede regionale:

a) le attività dirette ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione;

b) la tempestiva informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari regionali, ai Ministeri interessati degli statuti regionali approvati e delle leggi regionali promulgate, acquisendo ogni elemento utile, per le finalità di cui agli articoli 123 e 127 della Costituzione, nonché degli atti amministrativi regionali, agli effetti dell'articolo 134 della Costituzione; invio dei medesimi atti alla competente Avvocatura distrettuale dello Stato;

c) la promozione dell'attuazione delle intese e del coordinamento fra Stato e Regione previsti da leggi statali nelle materie indicate dall'articolo 118, terzo comma, della Costituzione, nonché delle misure di coordinamento tra Stato e autonomie locali, di cui all'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281;

d) l'esecuzione di provvedimenti governativi costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, avvalendosi degli Uffici territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi sede nel territorio regionale;

e) la verifica dell'interscambio di dati e informazioni rilevanti sull'attività statale, regionale e degli enti locali, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;

f) l'indizione delle elezioni regionali e la determinazione dei seggi consiliari e l'assegnazione di essi alle singole circoscrizioni, nonché l'adozione dei provvedimenti connessi o conseguenti, fino all'entrata in vigore di diversa previsione contenuta negli statuti e nelle leggi regionali;

g) la raccolta delle notizie utili allo svolgimento delle funzioni degli organi statali costituendo il tramite per l'esecuzione dell'obbligo di reciproca informazione nei rapporti con le autorità regionali; la fornitura di dati e di elementi per la redazione della Relazione annuale sullo stato della Pubblica Amministrazione; la raccolta e lo scambio dei dati di rilevanza statistica d'intesa con l'Istituto centrale di statistica (ISTAT) e avvalendosi dei suoi Uffici regionali.

3. Nell'esercizio delle funzioni di cui al presente articolo il Prefetto titolare dell'Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di regione si avvale a tal fine delle strutture e del personale dell'Ufficio territoriale del Governo.

4. Il provvedimento di preposizione alla Prefettura - Ufficio territoriale del governo del capoluogo di Regione è adottato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro per gli affari regionali.

5. L'articolo 4 comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, è sostituito dal seguente: “3. Per l'esercizio dei compiti di cui al presente articolo, il Presidente del Consiglio, o il Ministro per gli affari regionali se nominato, si avvale di un apposito Dipartimento per gli affari regionali e delle annesse, in posizione di autonomia, segreterie della Conferenza permanente per il rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e della Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Si avvale, altresì, sul territorio dei Rappresentanti dello Stato nelle regioni, che dipendono funzionalmente dal Presidente del Consiglio o dal Ministro per gli affari regionali se nominato".

6. Sono abrogati; gli articoli 11, limitatamente alle disposizione relative al controllo sulle leggi regionali, 40, 43, 44 della legge 10 febbraio 1953, n. 62; 1’ articolo 4, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977 n. 616, l'articolo 13 della legge 23 agosto 1988, n. 400 tranne il comma 3; l'articolo 3 del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n 40; l'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e ogni altra disposizione incompatibile con il presente articolo.

7. Nelle norme dell'ordinamento vigente compatibili con le disposizioni della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il riferimento al Commissario del Governo è da intendersi al Prefetto titolare dell'Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione quale Rappresentante dello Stato.

ART.9

(Attuazione dell'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001).

1.In attesa delle modifiche statutarie, le Commissioni paritetiche previste dagli Statuti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano individuano le ulteriori materie spettanti alla competenza legislativa di tali Regioni e Province autonome in forza dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. ai fini dell'emanazione delle eventuali norme di attuazione e definiscono i beni e le risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative da trasferire, occorrenti all'esercizio delle ulteriori funzioni amministrative.

ART. 10

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

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