Giustizia amministrativa

Articoli e note

Maurizio Borgo
(Procuratore dello Stato)

Apprensione, sine titulo, di area privata, da parte della P.A.: individuazione del momento acquisitivo della proprietà, in capo alla stessa. Problemi connessi alla formalizzazione dell'acquisto, operato dalla P.A.

Le brevi note, che seguono, sono dedicate ad una particolare problematica, in tema di acquisto della proprietà di un'area privata, operato, non iure, dalla P.A.

Ci riferiamo all’aspetto, connesso alla formalizzazione del superiore acquisto, anche ai fini della trascrizione e della volturazione dello stesso.

Occorre precisare, da subito, che la superiore disamina verrà condotta, distinguendo, nell’ambito del fenomeno dell’apprensione, sine titulo, di area privata, da parte della P.A., due diverse fattispecie: 1) quella, che, ormai comunemente, viene definita con l’espressione "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", che dir si voglia; 2) la fattispecie, costituente, invero, ipotesi più grave di quella, comunemente etichettata con le espressioni, sopra riportate, rappresentata dal caso in cui la P.A., in mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilità di un'opera, vada a realizzare, su di un terreno di proprietà privata, lavori, tali da trasformare, in modo irreversibile, la naturale destinazione dell'area (si vedano, in ordine alla predetta fattispecie, fra le altre, Cass. SS.UU., sent. n. 3963/89 e Cass. SS.UU., sent. n. 4477/92).


1) Con riferimento alla prima delle fattispecie, più sopra evidenziate, ovvero quella della c.d. "occupazione acquisitiva", il problema della formalizzazione dell’acquisto dell’area, da parte della P.A., risulta legato, in modo inscindibile, a quello, avente ad oggetto l’individuazione del momento in cui può dirsi realizzato il suddetto acquisto.

E’ noto, infatti, che in una delle ipotesi, ricondotte, dalla giurisprudenza, nell’ambito di operatività dell’istituto in parola, ovvero quella in cui la P.A. vada a trasformare, in modo irreversibile, il terreno del privato e questa trasformazione si collochi successivamente allo spirare del termine di occupazione legittima, l’individuazione del momento in cui la proprietà dell’area di sedime dell’opera può dirsi passata in capo alla P.A. (momento, coincidente, proprio, con la trasformazione irreversibile del terreno) appare, alquanto, complessa. Complessità, testimoniata dalle variegate decisioni, adottate, in tema, dalla giurisprudenza di legittimità.

Proprio, al fine di dare una concreta soluzione al problema, di cui sopra, si è ipotizzata, da alcuno, la possibilità, da parte dell’Amministrazione espropriante, di emanare un atto unilaterale, con il quale verrebbe attestata l’intervenuta irreversibile trasformazione del fondo del privato; atto, questo ultimo, del quale sarebbe possibile richiedere la trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, nonché la volturazione presso gli Uffici Catastali.

La praticabilità della, sopra sintetizzata, soluzione è stata, per la prima volta, affermata dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino (parere n. 882/89/ST del 28 luglio 1989); quest’ultima, investita, dall’A.N.A.S., della questione, relativa alle modalità di trascrizione e volturazione di un bene, acquisito al demanio stradale, per effetto di "occupazione acquisitiva", si pronunciava nel senso della trascrivibilità di "un apposito decreto del Capo compartimentale, nel quale, fatto richiamo agli atti dei procedimenti di espropriazione e di occupazione d’urgenza concernenti il fondo interessato, si preciserà la ragione per cui questo debba ritenersi acquisito al demanio stradale dello Stato per effetto della sua irreversibile utilizzazione nella costruzione dell’opera pubblica, indicando la data in cui tale acquisizione deve con certezza ritenersi avvenuta, o già avvenuta in precedenza".

Così argomentando, l’Avvocatura Erariale ha affermato l’ammissibilità di un atto ricognitivo unilaterale, con il quale la stessa Amministrazione procedente "accerta" il verificarsi di un fatto, la trasformazione irreversibile del fondo privato a seguito dell’attività realizzativa, posta in essere sullo stesso, che, unitamente agli atti amministrativi, attestanti la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, produce, secondo la costruzione giurisprudenziale dell’occupazione acquisitiva, l’estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale nascita del diritto dominicale della P.A.

Una soluzione, quella descritta, in grado di soddisfare, anche le legittime aspettative del soggetto, proprietario del fondo, oggetto del provvedimento di occupazione.

Ed, invero, la giurisprudenza ha fissato, proprio, nel momento in cui può dirsi avvenuta la trasformazione irreversibile del fondo, il dies a quo del termine prescrizionale, di cinque anni, entro il quale il privato potrà fare valere le proprie ragioni risarcitorie, nei confronti dell’Amministrazione procedente.

Ebbene, l’incertezza giurisprudenziale, più sopra ricordata, esistente in ordine all’individuazione del momento "topico" della trasformazione irreversibile del fondo, non può che mettere in pericolo le ragioni creditorie dei soggetti privati, che potrebbero vedersi dichiarato prescritto il proprio diritto risarcitorio, solo perché il giudice adito ha ritenuto di fissare la predetta trasformazione in un momento anteriore, rispetto a quello individuato dai primi.

A ciò si aggiunga, che nessuno, meglio dell’Amministrazione, è in grado di valutare il momento, in cui la realizzazione dell’opera pubblica determina, sull’area di sedime, effetti, tali da provocare (per usare le parole dell’Avvocatura dello Stato) la "irreversibile utilizzazione" del fondo "nella costruzione dell’opera pubblica".

2) Passiamo, adesso, all’esame della seconda delle ipotesi, più sopra individuate; un’ipotesi più grave, rispetto a quella ricondotta, dalla unanime giurisprudenza e dottrina, nel campo di operatività dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, in quanto, in essa, l'attività realizzativa della P.A. non risulta assistita da quell'atto, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, che costituisce "la guarentigia prima e fondamentale del cittadino e la pietra angolare su cui deve poggiare, per legge, l'espropriazione per pubblico interesse" (vedi, Cass. SS.UU., sent. n. 2435/84).

Ebbene, é stato ribadito, di recente, dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass., SS.UU., sent. 4 marzo 1997, n. 1907), che, nell'ipotesi di che trattasi, la P.A. pone in essere un illecito di tipo permanente e non un illecito istantaneo, con effetti permanenti, come avviene nel caso della c.d. "occupazione acquisitiva".

Il che si spiega col fatto che, mentre nell'occupazione appropriativa, "in presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la successiva costruzione della stessa, pur non assistita da un titolo ablatorio, dà luogo... ad un illecito istantaneo, giacché l'accennato vincolo di scopo (derivante dalla dichiarazione di p.u.) rende giuridicamente irreversibile (al di là dell'irreversibilità insita nella materiale manipolazione) la trasformazione del fondo e nel contempo esclude che vi sia una antigiuridicità da far cessare" (vedi Cass. SS.UU., sent. 1907/97), nell'ipotesi che ci occupa, invece, il comportamento illecito si protrae (rectius: permane), fintantoché esso non venga rimosso, "sostanziandosi, l'illecito permanente, oltreché nella lesione di un diritto, nella trasgressione del dovere giuridico di porre fine alla creata situazione di antigiuridicità" (vedi, sentenza, da ultimo, citata).

Le parole, che precedono, ci hanno avvicinato all’oggetto della nostra indagine, ovvero al problema dell'individuazione del momento in cui può dirsi acquisita, in capo alla P.A., la proprietà di un suolo, sul quale il soggetto pubblico, in mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, abbia posto in essere un'attività realizzativa di un'opera pubblica.

Ci soccorre, in questa ricerca, la Suprema Corte di Cassazione.

Nella recente sentenza, più volte menzionata (Cass. SS.UU., sent. 1907/97), la Corte di Legittimità ha affermato che la proprietà dell'area privata potrà dirsi acquisita, in capo alla P.A., solo nel momento in cui il privato, titolare del terreno, abdicando al proprio diritto alla c.d. restitutio in integrum ovvero alla riconsegna, nelle condizioni originarie, dell'area di sua proprietà, opti per il ristoro, in via equivalente, ovvero per il risarcimento del danno, sofferto a causa dell'illecito, perpetrato ai suoi danni, dalla P.A.

Ed è, proprio, in questa scelta abdicatoria, compiuta dal privato, che i giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto di potere individuare la cessazione dell'illecito permanente, posto in essere dalla P.A.

Tale soluzione, che riecheggia risalenti pronunce giurisprudenziali (si veda la sentenza, rimasta isolata, delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 3940/88, in cui l'illustrato meccanismo abdicatorio veniva applicato alla diversa ipotesi dell'occupazione acquisitiva), lascia, tuttavia, sul tappeto, il problema della formalizzazione dell'acquisto dell'area, da parte della P.A.

Un problema, come si vedrà, la cui soluzione è possibile individuare, abbastanza agevolmente, nel sistema normativo.

Ed, invero, la domanda, con la quale il proprietario dell'area, abusivamente manipolata dall'attività realizzativa della P.A., abdicando al proprio diritto alla "restitutio in integrum" del terreno, chieda, all'autorità giudiziaria, il risarcimento del danno sofferto, si inquadra, perfettamente, fra quegli "atti di rinunzia", per i quali, l'art. 1350, n. 5 del c.c., richiede la forma scritta, ove gli stessi ineriscano a diritti immobiliari.

Ebbene, nulla esclude che la P.A., al fine di formalizzare il proprio acquisto (trascrizione nei registri immobiliari, volturazione catastale, ecc.) possa utilizzare l'atto di rinunzia, posto in essere dal privato, curandone la trascrizione nei registri immobiliari (come previsto dall'articolo 2645 n. 5 del c.c.) ed ottenendo, sulla base di esso, la volturazione, in proprio favore, delle risultanza catastali.

Tirando le somme dell’indagine compiuta, possiamo affermare che le soluzioni, prospettate in ordine alle modalità di formalizzazione dell’acquisto di aree private, operato, non iure, dalla P.A., potranno trovare conferma, della loro bontà, solo nella pratica, ma hanno il merito, a sommesso avviso di chi scrive, di volere sanare quelle molteplici situazioni, in cui un'opera pubblica, compiutamente realizzata e funzionante, risulta "poggiare" su di un'area formalmente, ma non più sostanzialmente, privata.