Giustizia amministrativa

Articoli e note

Giacomo Arezzo di Trifiletti

Due interessanti questioni: l’ammissibilità della revoca del Presidente del Consiglio Comunale e il ruolo del Consigliere anziano

Due problemi che non sono stati ancora affrontati dalla dottrina specialistica del settore degli enti locali riguardano, rispettivamente, la verifica della possibilità di revoca del suo Presidente da parte del Consiglio Comunale ed lo status che la legge oggi riconosce al Consigliere anziano.

Con riferimento al primo problema si tratta, in sostanza, di accertare se è possibile procedere alla revoca o alla sfiducia del Presidente del Consiglio Comunale da parte dello stesso Consiglio e, in caso positivo, quali siano la disciplina, le procedure e le modalità da osservarsi, con particolare riferimento alle motivazioni da addurre.

Bisogna preliminarmente osservare che non risulta ancora formatasi giurisprudenza in materia stante, probabilmente, la recente istituzione della figura.

Alla data del presente scritto, risulta che il TAR Umbria ha preferito fissare l’udienza di merito, su ricorso del Presidente del Consiglio Comunale di Assisi, al febbraio 1998 e che il TAR del Lazio si dovrà a breve pronunciare sul ricorso (e, in prima battuta, sull’istanza di sospensiva) presentato dal Presidente del Consiglio Comunale di Viterbo.

La figura del Presidente del Consiglio Comunale, soggetto fisico diverso dal Sindaco nei Comuni con popolazione superiore a quindicimila abitanti, esiste per legge in quanto sia prevista dallo statuto comunale.

L’articolo 1, secondo comma, della legge 25 marzo 1993, n. 81, nel testo vigente, stabilisce infatti che, nei Comuni con popolazione oltre quindicimila abitanti, lo statuto prevede che il Consiglio Comunale, ad eccezione della prima seduta, è convocato e presieduto dal Consigliere anziano o dal Presidente del Consiglio Comunale eletto dall’Assemblea.

La scelta fra le predette figure rileva per gli effetti giuridici rispettivamente connessi, dal momento che con riguardo alla figura del Consigliere anziano, di cui si dirà in modo più articolato in seguito, si ha un mero affidamento delle funzioni di presidenza (che sono circoscritte alla convocazione ed alla presidenza del consiglio), mentre nell’ipotesi di nomina del Presidente si istituisce un nuovo soggetto istituzionale, rappresentativo del consesso consiliare, il cui ufficio è dotato di autonomia funzionale ed organizzativa.

Si deve anche soggiungere che, una volta eletto, il Presidente del Consiglio assume un ruolo istituzionale, va considerato quale "primus inter pares" fra i consiglieri comunali e, in tale veste, deve garantire l’unitarietà di direzione e di coordinamento dell’attività del Consiglio Comunale, il quale, nel nuovo quadro ordinamentale, assume le funzioni di indirizzo politico e di controllo dell’operato del Sindaco e della Giunta da questi nominata.

Delineato il quadro normativo, si tratta ora di vedere se ed in quali casi può operarsi la mozione di sfiducia o la revoca del Presidente del Consiglio Comunale.

Preliminarmente deve escludersi la possibilità di ammettere la mozione di sfiducia del Presidente del Consiglio per assenza di una norma legislativa espressa che la contempli. La mozione di sfiducia, infatti, è prevista soltanto per il Sindaco e per la Giunta ai sensi dell’articolo 37 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nel testo vigente, ed è volutamente circondata dal legislatore da apposite garanzie (votazione effettuata per appello nominale, maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio, presentazione motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati, discussione che deve avvenire non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla presentazione) connesse alle conseguenze cui può portare, e cioè lo scioglimento del Consiglio Comunale.

Del resto, se si guarda all’ordinamento costituzionale, la mozione di sfiducia approvata dalle Camere comporta, per il Governo, l’obbligo giuridico di rassegnare le dimissioni e per il Presidente della Repubblica l’obbligo di accettarle.

Allo stesso modo l’approvazione da parte del Consiglio di una mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco e della Giunta comporta, per esplicita previsione normativa, lo scioglimento del Consiglio e l’indizione di nuove elezioni.

La mozione di sfiducia, quindi, è l’atto più grave e traumatico che un Consiglio Comunale possa approvare e deriva dall’interruzione del rapporto di fiducia che lega il Sindaco (e la Giunta da questi nominata) ed il Consiglio Comunale. Essa si caratterizza dunque quale atto amministrativo ad alto contenuto politico.

Proprio per tale motivo, essa è prevista espressamente dalla legge.

Per ciò che attiene, invece, alla revoca del Presidente del Consiglio Comunale, va evidenziato che nel diritto amministrativo per revoca di un provvedimento si intende il ritiro di un atto amministrativo inopportuno a seguito di una diversa valutazione delle esigenze di interesse pubblico, in relazione alle circostanze di fatto, esistenti al momento in cui l’atto venne emanato.

Quanto più l’atto è discrezionale, poi, tanto più esso deve essere motivato.

Non può sottacersi che la previsione della revoca del Presidente del Consiglio non trova supporto in alcuna norma di legge. L’articolo 4, secondo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142 recita che "lo statuto, nell’ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente ed in particolare determina le attribuzioni degli organi……..". Orbene, laddove la legge n. 142 del 1990 ha voluto individuare casistiche di revoca, lo ha fatto esplicitamente (vedasi, ad es., art. 34, comma 4; art. 36, comma 5; art. 57, comma 3, ecc.).

Va evidenziato, a tal proposito, che la previsione legislativa dell’istituto comporterebbe per il destinatario l’obbligo delle dimissioni, il che non si rinviene, invece, nel vigente ordinamento locale, sicchè, pur ammettendo la legittimità della revoca, mancherebbe poi la garanzia della sua attuazione, che resterebbe ancorata esclusivamente alla libera volontà ed al senso politico del Presidente revocato.

Del resto, tenuto conto che le funzioni di Presidente del Consiglio sono obbligatorie e spettano, come sopra specificato, al consigliere eletto o al consigliere anziano, la previsione della revoca del Presidente equivarrebbe a dire che può essere revocato anche il consigliere anziano e ciò, nell’attuale ordinamento, è impossibile.

Tuttavia, al fine di garantire l’interesse pubblico sotteso ad un regolare funzionamento del Consiglio Comunale e nel rispetto dell’autonomia statutaria garantita al Comune, la dottrina ha ritenuto che lo statuto può, ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 giugno 1990, n.142 e nell’istituire un apposito ufficio di presidenza, prevedere:

1) la definizione delle relative funzioni in ordine all’organizzazione ed alla direzione dell’attività del Consiglio, nonché la previsione delle motivazioni che possono sorreggere una revoca del Presidente.

2) Le motivazioni della revoca della nomina, che devono coinvolgere esclusivamente, stante la natura istituzionale dell’organo, i comportamenti del Presidente del Consiglio per acclararne la grave e reiterata violazione ai propri obblighi statutari.

Mai, ad esempio, potrebbe procedersi a revoca del Presidente del Consiglio per motivi politici o di appartenenza politica mutata nel tempo, poiché una volta nominato, egli assume un ruolo istituzionale (in quanto previsto statutariamente) a garanzia dell’intero Consiglio Comunale e del suo corretto funzionamento e la sua presenza, e la sua permanenza, prescinde dal consenso politico della maggioranza, ma è legata soltanto ed esclusivamente al rispetto degli obblighi statutari connessi alla carica.

E’ appena il caso di rammentare, peraltro, che la revoca per motivi politici dovrebbe essere supportata da esplicita previsione normativa (stante il fatto che nei Comuni le elezioni sono "amministrative" e non "politiche" come avviene a livello parlamentare).

3) le procedure per addivenire alla revoca quali, ad esempio, la previsione della sua presentazione da parte di un congruo numero di consiglieri, non inferiore a due quinti dei consiglieri assegnati (al fine di evitare presentazione di proposte meramente strumentali e non corroborate da rilevanti volontà dei gruppi consiliari), la discussione, che deve avvenire non prima di dieci (in modo da consentire un ponderato dibattito sulla proposta) e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione, la votazione per appello nominale (per fare assumere a ciascun consigliere la responsabilità del proprio voto su un atto di rilevante importanza) e, infine, l’approvazione della proposta da parte della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati al Comune.

Il secondo problema da affrontare riguarda lo status del Consigliere anziano.

Il predetto soggetto è competente a disciplinare lo svolgimento dei lavori consiliari finalizzati all’elezione del Presidente del Consiglio Comunale, nella prima seduta dell’Amministrazione eletta.

L’esercizio di tale funzione fa esaurire il ruolo del Consigliere anziano, tant’è che nel caso di vacanza, assenza o impedimento successivo del Presidente del consiglio, le relative funzioni devono essere svolte dal Vice Presidente del Consiglio.

La ratio della norma risiede, evidentemente, nella valutazione del legislatore di garantire che le presidenza del Consiglio comunale sia assunta non già dal rappresentante del partito di maggioranza relativa, ma da un soggetto espresso dal Consiglio Comunale, nell’intento di assicurare effettività alla separazione dei ruoli assegnati, rispettivamente, al Consiglio, organo di indirizzo e controllo politico - amministrativo, ed all’esecutivo (Sindaco e Giunta) che destinatari di detto controllo sono prefigurati dall’ordinamento.

Quid iuris se il Consiglio Comunale non procede alla nomina del suo Presidente e le relative funzioni sono svolte continuativamente dal Consigliere anziano?

L’ipotesi non è infrequente nel territorio nazionale e merita un approfondimento.

Al riguardo si deve distinguere l’ipotesi nella quale il Consigliere anziano abbia assolto esclusivamente la mera funzione di convocazione e di presidenza del Consiglio Comunale, da quella nella quale tale soggetto abbia invece svolto ogni funzione riconducibile allo status del Presidente del Consiglio Comunale.

Nella prima ipotesi, infatti, non v’è dubbio che al Consigliere anziano non possa applicarsi lo status previsto dalla legge per il Presidente del Consiglio; ciò in quanto non vi è stata surrogazione, seppur in via di fatto, del diverso soggetto istituzionale di Presidente del Consiglio, ma di una mera attività di convocazione del Consiglio che si sostanzia nella firma dell’ordine del giorno da altri predisposto e nella presidenza dell’Assemblea, secondo le regole, altrove rinvenibili, che vedono nel membro che abbia ottenuto il maggior numero di suffragi assumere la presidenza dell’Assemblea stessa.

Nella seconda ipotesi, al contrario, allorquando cioè il Consigliere anziano svolge – o abbia svolto – seppur in via di fatto le funzioni globalmente riferibili all’istituto del Presidente del Consiglio Comunale, si ritiene applicabile, per analogia, la figura del funzionario di fatto.

In altri termini, se il Consigliere anziano ha osservato un comportamento ed ha svolto le funzioni di Presidente del Consiglio Comunale – e come tale è stato accettato dall’organo assembleare – di convocazione e presidenza della conferenza dei capigruppo, e via dicendo, allora il suo status va assimilato a quello del Presidente del Consiglio Comunale, le cui funzioni vicarie ha svolto in presenza di un comportamento acquiescente del Consiglio Comunale.

Diversamente opinando, è pacifico ritenere che si verrebbe a consentire una paralisi inopportuna, quanto inaccettabile, dell’organo assembleare derivante dalla mancanza di un soggetto capace di organizzare – in via preventiva – tutti i lavori del Consiglio Comunale, assumendosene la rappresentanza all’esterno ed all’interno del Comune.