Giustizia amministrativa

Articoli e note

CONCETTA ANASTASI
(Magistrato del T.A.R. Sicilia)

RELAZIONE AL CONVEGNO DI NAPOLI DEL 3 LUGLIO 1999 SUI SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI.

Cap.1.- ART.2 DEL D.L. N.8/99, CONV. IN LEGGE N.75/99.

Par.1 -Introduzione. Par.2- Esame della disposizione    legislativa. Par.3- Sua natura innovativa e non interpretativa. Par.4- Profili di incostituzionalità della norma sotto vari aspetti.

Cap.2.DISTINZIONE FRA POLITICA E GESTIONE DELL’ENTE LOCALE E CONSEGUENZE IN MATERIA DI RESPONSABILITA’ ERARIALE.

Par.1- Criterio della “separazione” dei poteri di  “programmazione ed indirizzo” da quelli di “gestione”. Par.2- Incongruenza del suo recepimento nell’ipotesi legislativa di che trattasi. Par.3- Diverso regime delle responsabilità per danni erariali cui potrebbero essere assoggettati i segretari comunali rispetto a quella dei pubblici amministratori, soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti. Par.4- Conclusioni.

1.1. Come tanti, anch’io sono rimasta stupita dal  recente intervento del legislatore, che, con il decreto legge 26 gennaio 1999 n.8 ( in G.U.R.I. n. 20, parte I, del 26 gennaio 1999), poi convertito, con modifiche, nella legge 25 marzo 1999, n. 75 (in G.U.R.I. n. 72, parte I, del 27 marzo 1999) ha introdotto, con l’art.2, una norma che riguarda la nomina del Segretario Comunale e Provinciale da parte del Sindaco e del Presidente della Provincia, sia nella fase di prima applicazione del nuovo ordinamento, sia “a regime”, in occasione dell’insediamento dei vertici politici dell’ente locale.

Stupisce, soprattutto, che il legislatore abbia espressamente qualificato la suddetta norma come “di interpretazione autentica” dei commi 70 ed 81 dell’art.17 della legge n.127/97, così attribuendole “efficacia  retroattiva”, e, quindi, diretta applicazione anche con riferimento alla controversie in atto pendenti.

 Più precisamente, con l’art.2, del decreto-legge 26 gennaio 1999 n.8, poi convertito, con modifiche, nella legge 25 marzo 1999, n.75 vengono introdotti:

a) il principio della “automatica cessazione” dell’incarico di segretario comunale alla scadenza del mandato del Sindaco o del Presidente della Provincia (con continuazione dell’esercizio delle funzioni fino alla nomina del titolare), quale momento interpretativo del  comma 70 dell’art.17 della legge n.127/97;

b) il principio secondo cui l’incarico delle funzioni di segretario comunale viene ritenuto essere automaticamente cessato alla data di entrata in vigore del D.P.R. 4.12.1997 n.465 (cioè alla data del 6 gennaio 1998) –formalmente istitutivo dell’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali- quale momento interpretativo del comma 81 dell’art.17 della legge n.127/97.

Suscita perplessità, innanzi tutto, il momento storico-oggettivo in cui la precitata disposizione legislativa si è inserita, che non è quello (logicamente più opportuno) relativo alla fase di prima applicazione della legge Bassanini 2 (del maggio 1997) e del susseguente regolamento attuativo (del dicembre dello stesso anno), ma quello, successivo, caratterizzato dal già avvenuto intervento di molte ordinanze giurisdizionali e di alcune pronunce di primo grado da parte del giudice amministrativo (ad esempio: due sentenze del T.A.R. Friuli 17 dicembre 1998 n. 1540 e 18 gennaio 1999 n. 9, le quali, facendo applicazione dei principi generali, avevano già dato una certa interpretazione della normativa “de qua”).

1.2. Invero, l’art.17 della legge n.127/97 (che aveva, a sua volta, già profondamente modificato  il sistema di nomina del segretario comunale, tradizionalmente affidato alle regole concorsuali, in coerente applicazione dei principi direttamente discendenti dall’art.97 Cost.) attribuisce la facoltà di nomina  del segretario comunale all’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali (con ciò ponendo l’iscrizione all’Albo professionale quale requisito indispensabile per la nomina); introduce il principio della “temporaneità” della nomina da parte del Sindaco o del Presidente della Provincia e prevede altresì la possibilità della “riconferma tacita” del Segretario in servizio quando entro il termine previsto dal regolamento non sia richiesta la nomina di un diverso segretario: presentando, cioè la cessazione dell’incarico del segretario come un fatto puramente “virtuale” nei casi di conferma da parte del  nuovo Sindaco o del nuovo Presidente della Provincia.

Al contrario l’art.2, pur avendo formalmente veste di norma di interpretazione autentica, introduce il principio della “cessazione automatica in ogni caso”, non contemplando più la riconferma del segretario comunale.

La sopravvenuta disposizione legislativa pone, quindi, il problema in ordine alla necessità o meno dell’intervento di un ulteriore provvedimento di nomina, anche nel caso della riconferma in sede, da parte dell’Agenzia.

Il comma 81° dell’art.17 della legge n.127/97 prevedeva che “..a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del regolamento (…) il Sindaco o il Presidente della Provincia possono nominare il Segretario scegliendo tra gli iscritti all’albo”.

L’art.2 precitato, invece, stabilisce che il segretario Comunale o Provinciale titolare alla data di entrata in vigore del D.P.R. è cessato automaticamente dall’incarico dalla medesima data, fatte salve le funzioni fino alla nomina del nuovo segretario.

1.3. Appare evidente, perciò che l’art.2 del decreto-legge 26 gennaio 1999 n.8, poi convertito, con modifiche, nella legge 25 marzo 1999, n.75 introduce una profonda innovazione rispetto alla originaria formulazione del comma 81° dell’art.17 della legge n.127/97, in quanto rende automaticamente cessate tutte le titolarità dei segretari comunali dalla data di entrata in vigore del D.P.R. n.465/97, cioè dalla data del 6 gennaio 1998.

Infatti, mentre nei commi modificati  era previsto soltanto un sistema di “prorogatio” e di “conferma tacita” della nomina, con il sopravvenuto intervento legislativo, si è voluto, in realtà, “innovare” profondamente nel sistema delineato dalla disposizione legislativa “interpretata”, profilando, di fatto, la “introduzione”, con norma “retraottiva”, della cessazione automatica delle funzioni dell’intera categoria dei segretari comunali da un incarico a suo tempo conferito in esito ad un pubblico concorso!!.

Sembra, inoltre, che, con l’art.2 precitato, il legislatore abbia voluto –di fatto- attribuire  implicitamente ai Sindaci ed ai Presidenti della Provincia una sorta di “diritto di non motivare” le non-conferme e le nomine dei segretari comunali e provinciali, o “rectius” una sorta di “esenzione” dall’obbligo generalizzato di cui all’art.3 della legge n.241/90.

Tale implicita “deroga” all’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi sembra suscettibile di voler sconfinare -altrettanto implicitamente- nel riconoscimento di una sorta di “presunzione assoluta” e di “intangibilità” degli atti amministrativi inerenti le non-conferme e le nomine dei segretari comunali, in grave contrasto con i principi stabiliti dagli art.97 e 113 della Costituzione.

Si ha, quindi, l’impressione che il legislatore, sotto lo  schema  di  un'interpretazione autentica, abbia voluto introdurre una sostanziale modificazione della disciplina previgente, prevedendo una disciplina legislativa irragionevole ed in violazione dei principi di certezza del diritto, di corretto andamento della p.a., di lealta' e trasparenza dell'azione di questa.

1.4. Sorge, quindi, il ragionevole dubbio che il legislatore abbia voluto fare un uso illegittimo del potere di interpretazione autentica, che viene, così, ad interferire con la "potestas iudicandi" riservata alla    autorità giudiziaria.

Ed è noto che la Corte Costituzionale ha   reiteratamente affermato (ex multis: sent. 4 aprile 1990 n. 155; sent. 10 dicembre 1981 n.187) il principio secondo cui il legislatore non fa buon uso del suo potere quando emana norme allo  scopo di sostituirsi al potere cui e' affidato il compito istituzionale dell'interpretazione della legge, stabilendo lo “autentico”  significato  di una  precedente  legge, e, quindi, attribuendo alla propria intepretazione “valore obbligatorio e  vincolante  per il  giudice”,  se non  ricorra l'esigenza di dirimere  dubbi sorti in sede  di interpretazione della legge  anteriore, che   abbia   rivelato   “gravi  ed   insuperabili anfibologie”.

La Corte Costituzionale (sent. 23 novembre 1994, n.397) ha altresì affermato che il ricorso, da parte del legislatore, a leggi di interpretazione autentica non  puo' essere utilizzato per mascherare norme effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva, in quanto, cosi' facendo, la legge  interpretativa   tradirebbe la sua propria funzione di chiarire il senso di norme preesistenti.

Ciò non significa che si voglia contestare la facolta' del legislatore di emanare leggi  interpretative con la connaturale portata  retroattiva, ma significa, soltanto, che non e' sufficiente la sola “autoqualificazione” da parte della norma sopravvenuta, occorrendo, al contrario, che la previsione legislativa sia effettivamente diretta a chiarire il senso di disposizioni preesistenti, in quanto funzionale ad escludere o ad enucleare uno dei significati tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle statuizioni interpretate, posto che la scelta assunta dal precetto interpretativo deve rientrare tra le varianti di significato compatibili con il tenore letterale del testo interpretato (cfr. Corte Corte Costituzionale,  sentenza del 5 novembre 1996 n.386).

Il legislatore, nel predisporre una disposione di  interpretazione autentica, agisce nell'ambito   naturale della sua   funzione di produzione  normativa e  non   lede  la  sfera propria  del  potere  giurisdizionale, allorquando la disciplina adottata, oltre a non risultare lesiva di giudicati gia'  formatisi, non  sottrae ad un soggetto alcuno strumento  di  tutela  giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione (cfr. Corte costituzionale 26 gennaio 1994, n.6).

Ma, per le motivazioni già esposte, a me sembra che possono sorgere legittimi dubbi in ordine alla coerenza del sistema così delineato con le previsioni costituzionali.

 

2.1. Quanto ai contenuti della recente normativa di cui alla legge n.75/99, potrebbe sorgere il dubbio in ordine ad una sorta di “degenerazione” del criterio -cui sembrano ispirate le leggi n.241 /90 e 142/90 e succ. mod. (es. legge n.81/93)- inerente, nel’ambito dell’ente locale, la “separazione” dei poteri di  “programmazione ed indirizzo” da quelli di “gestione” (ai fini di una migliore responsabilizzazione e professionalità dei pubblici funzionari).

In base al suddetto criterio, a seguito della elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti della Provincia, viene attribuita agli stessi la “responsabilità politica della conduzione dell’ente”, mediante il potere di nominare i dirigenti e di attribuire gli incarichi dirigenziali, sulla base delle norme regolamentari interne.

Tale  criterio supera il tradizionale principio secondo cui gli incarichi dovrebbero essere affidati con metodi concorsuali e criteri di professionalità che premiano il merito dei migliori (fatta sempre salva la possibilità di revoca in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi previo l’utilizzo di neutrali sistemi di valutazione) e appare incentrato sull’idea secondo cui gli incarichi di dirigenza sono affidati dagli organi politici “intuitu personae”, posto che l’organo politico elettivo ha già un programma da rispettare (che lo impegna verso i suoi elettori), la cui maggiore garanzia di realizzazione sarebbe offerta dal preporre agli incarichi di responsabilità persone di fiducia dell’eletto.

2.2. Con riferimento all’ipotesi legislativa sub esame, emerge, però, una certa incongruenza fra la nomina del segretario comunale, effettuata secondo il criterio dello “intuitu personae” e poi la privazione, nei confronti dello stesso, di tutte le attività amministrative – gestionali, salvo il caso della contestuale nomina a direttore generale.

Invero, la nomina secondo il criterio dello “intuitu personae” potrebbe avere senso soltanto nell’ambito di un sistema fondato sulla “piena” e/o “totale” separazione fra il ruolo della “politica” e quello della “gestione”, altrimenti la nomina del dirigente da parte del politico potrebbe rischiare di comportare  l’assurda  conseguenza di porre il dirigente, nominato fiduciariamente, in condizioni di dover essere costretto -di fatto- ad accontentare il suo amministratore politico in tutto e per tutto nelle scelte gestionali: cioè, potrebbe essere costretto ad accettare scelte gestionali non sempre ineccepibili, pur di non essere “licenziato”.

In tal caso, il sistema, nel suo insieme, realizzerebbe una situazione altrettanto incostituzionale, ponendo il segretario comunale non già al servizio della nazione, come richiesto dall’art.97 Cost., ma al servizio diretto del Sindaco (!!!!).

Sorge, quindi, il ragionevole dubbio che il criterio della “separazione” dei poteri possa rischiare di trasformarsi -nella sua concreta applicazione- in una specie di “paravento” che serva ai politici a conservare –di fatto- il controllo del potere  “gestionale”, mediante la facoltà di nomina dei dirigenti, senza, però, avere dirette responsabilità da difendere davanti alle corti di giustizia, realizzando, in tal modo, una sorta di “zona franca”, caratterizzata dal “primato” della politica sull’amministrazione, al riparo da ogni responsabità.

2.3. Infine, non può sottacersi il diverso regime delle responsabilità per danni erariali -cui potrebbero essere ormai assoggettato il segretario comunale- rispetto a quella del pubblico amministratore, soggetto alla giurisdizione della Corte dei Conti.

Invero, il segretario comunale potrebbe essere citato in giudizio per la responsabilità erariale [1] davanti al G.O. anziché davanti alla Corte dei Conti,  in coerente applicazione del principio della cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego, introdotto con il combinato disposto di cui all’art.2, comma 2° ed all’art.4, comma 2° del D.Lsv. n.29/1993, secondo le modifiche rivenienti dal d.lvo n.80/98, che ha attribuito al Giudice Ordinario la giurisdizione sulle controversie attinenti agli atti della pubblica amministrazione in materia di rapporto di lavoro dei dipendenti della stessa.

Invero, dal nuovo criterio di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di impiego del personale della P.A., potrebbe derivare un altro sistema di riparto, in materia di responsabilità erariale, fra giudice ordinario e giudice contabile, latore delle seguenti ulteriori conseguenze:

1)il Sindaco od il Presidente della Provincia potrebbero rispondere per danno erariale soltanto a seguito di citazione in giudizio da parte della Procura dei Conti, che, com’è noto, secondo la legge 14 gennaio 1994 n. 20, e, poi, la legge 20 dicembre 1996 n. 639, può attivarsi soltanto entro il termine prescrizionale di 5 anni, in caso di dolo o colpa grave, mentre la Sezione giudicante della Corte dei conti può applicare il peculiare beneficio della “riduzione dell’addebito” [2] , previsto dall’art.83 della legge di contabilità dello stato;

2) il segretario comunale -il cui rapporto di lavoro secondo la giurisprudenza prevalente (ex multis: T.A.R. Lombardia-Brescia, 1°.6.1999 n.497; T.A.R. Toscana ord. n.170 del 10.3.1999) ai sensi del comb. disposto del D.lvs n.29/93 e n.80/98 dovrebbe essere qualificato come soggetto alla giurisdizione dell’A.G.O. [3] potrebbe essere citato in giudizio -da parte dei rappresentanti legali  dello stesso ente, che si assume essere danneggiato- davanti all’A.G.O., e, quindi, in un regime di responsabilità disciplinato dalle norme del codice civile e cioè, entro il termine prescrizionale di 10 anni di cui all’art.2946 c.c. (se trattasi di responsabilità contrattuale scaturente dall’esecuzione della prestazione lavorativa) e di 5 anni ex art.2947 c.c. (per fatto illecito), anche per colpa lieve (ex artt. 1218 e seg. ed ex art.2043 c.c.), senza la possibilità di poter chiedere l’applicazione del beneficio della riduzione dell’addebito di cui all’art.83 [4] della legge di contabilità di Stato, che, come già accennato, è istituto peculiare del giudizio davanti alla Corte dei Conti.

La maggiore gravità della posizione del segretario comunale rispetto a quella del Sindaco e del Presidente della Provincia è evidente, poiché, se è vero, che, in concreto, il segretario comunale -eventualmente citato in giudizio dalla Procura della Corte dei Conti- non ha alcun interesse ad eccepire il difetto di giurisdizione, è altrettanto vero, che, però, questi potrebbe essere chiamato a rispondere per danni erariali davanti al Giudice Ordinario, da parte dello   “establishment” dell’ente insediato in seguito a nuove elezioni e successivo a quello che l’ha nominato [5] , per responsabilità contrattuale: a) nel termine di 10 anni [6] di cui all’art.2946 c.c.; b)anche per colpa lieve; c) per l’intero ammontare dell’addebito.

2.4.L’empasse potrebbe essere superata in modo chiaro e preciso soltanto mediante l’introduzione di una norma che espressamente preveda la giurisdizione della Corte Conti anche nella materia della responsabilità dei segretari comunali, evitando così di delegare al giudice la soluzione di un problema che non è soltanto intepretativo, ma anche di ripartizione di giurisdizione, e che potrebbe essere, inoltre,  suscettibile di determinare contrasti giurisprudenziali, non certo funzionali alla realizzazione della “certezza del diritto” né all’interesse dei cittadini.

Si potrebbe, inoltre, collegare il momento di incardinamento della responsabilità amministrativa [7] all’insorgenza del cosiddetto “rapporto di servizio” [8] con l’ente locale, dando particolare rilievo, cioè, a quel particolare nesso funzionale che porta il segretario a partecipare all'attività amministrativa dell’ente locale ed a conformare la propria condotta alle prescrizioni che regolano tale attività.

Soccorrerebbe, a tal uopo, il riferimento alla  distinzione [9] fra il rapporto di lavoro che il segretario comunale ha con l’Agenzia (avente personalità giuridica di diritto pubblico) rispetto al “rapporto di ufficio” che il medesimo instaura con l’ente locale in conseguenza dell’accettazione della nomina, effettuata ai sensi dell’art.15 del D.P.R. N.465/97.

Si dovrebbero, cioè, tener presente soltanto i fatti e/o i comportamenti collegati al  “rapporto di ufficio” ai fini dell’incardinamento della giurisdizione della Corte dei Conti, assegnando, in tal modo, prevalenza all’attribuzione di una funzione pubblica, caratterizzata da compiti di supervisione e di controllo, che contribuiscono a realizzare l’espletamento di una carica di vertice dell’ordinamento comunale.

Giova, infine, rilevare che il legislatore, con l’articolo 1, comma 4, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, e, poi, con l’articolo 3 della legge 20 dicembre 1996 n. 639, ha stabilito che la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad enti diversi da quelli d’appartenenza.

In conclusione, l’incongruenza della normativa sopravvenuta con il sistema preesistente rileva sotto molteplici aspetti e necessita di un ulteriore intervento chiarificatore da parte del legislatore.

Concetta Anastasi

 

NOTE:

1) Va precisato che il mancato raggiungimento dei risultati non determina, automaticamente, la responsabilità dei soggetti ai quali la legge attribuisce questo compito.

Va, pertanto, respinta qualsiasi impostazione che voglia porre sullo stesso piano la responsabilità amministrativa e quella dirigenziale, quasi a voler affermare un'automatica responsabilità del dirigente per il mancato raggiungimento dei risultati.

Talvolta può verificarsi che tale circostanza possa  costituire -in certi casi ed a determinate condizioni- un elemento integrativo della fattispecie di danno, da porre a fondamento di un'eventuale responsabilità amministrativa, ma, sempre secondo le regole proprie di questa, le quali pongono a carico del pubblico ministero l’onere di provare non solo il danno, ma anche la colpa grave.

Un'interessante applicazione del concetto di “danno erariale” si ha nell’ipotesi di utilizzazione delle risorse finanziarie per fini diversi da quelli fissati (ad esempio l’acquisto di una diversa attrezzatura). E’ quello che alcuni autori definiscono “danno derivante dal sovvertimento delle scelte di priorità nell’azione pubblica”.

La suddetta applicazione del concetto di “danno erariale” appare altresì in linea con la più recente normativa, che ha accentuato la previsione del raggiungimento dei risultati e, in particolare, sia con l'articolo 1 comma 1 bis della legge 20/94, sia con la cd. “responsabilità dirigenziale”, prevista dal decreto legislativo 3 febbraio 1993 n.29, giacché tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti significa verificare, in concreto, se l'esborso di denaro pubblico ha avuto una qualsiasi utilità.

[2] Cioè una sorta di “potere equitativo” del giudice contabile di riportare a normalità situazioni nelle quali il danno causato risulta eccessivo, in rapporto alle condizioni economiche del responsabile ed alla gravità dell’infrazione contestata.

[3] Non potendosi considerare più come riconducibile nell’alveo del “pubblico impiego” –requisito indispensabile per incardinare la giurisdizione della Corte dei Conti-.

[4] Non va sottaciuto, che la giurisprudenza del giudice contabile evidenzia  un’ampia applicazione del potere riduttivo.

[5] Magari di diverso orientamento politico.

[6] Paradossalmente, cioè, anche per fatti su cui gli amministratori pubblici non possono essere più chiamati a rispondere, per decorrenza del termine prescrizionale molto più breve, di 5 anni! 

[7] Il legislatore ha attribuito la facoltà di compiere le scelte agli organi politici (o programmanti) che devono individuare gli interessi pubblici da soddisfare con carattere di priorità, anche sacrificandone altri egualmente rilevanti.

Da ciò consegue che l’organo deputato alla gestione non può cambiare le decisioni prese, perché si autoattribuirebbe un potere di scelta che non ha, sicché le spese sostenute in difformità dalle scelte degli organi deliberanti, vanno ritenute inutili, proprio perché fatte contro le decisioni, legittimamente e lecitamente adottate dall’organo programmante.

[8] Il “rapporto di servizio” consiste nell’inserimento di un soggetto all’interno dell’organizzazione amministrativa, per lo svolgimento di un’attività secondo le regole proprie della pubblica amministrazione. Tale inserimento comporta l’assunzione di vincoli ed obblighi, diretti ad assicurare il buon andamento dell’attività affidata e la rispondenza di essa alle esigenze generali cui è preordinata.

[9] In qualche modo recepita dal’ordinanza del Tribunale Civile di Firenze dell’11.2.1999, che ha, però, valorizzato i suddetti connotati pubblicistici della funzione, al fine di ritenere le controversie in materia di rapporto di lavoro del segretario comunale con l’amministrazione locale, come rientranti nell’alveo della giurisdizione del giudice amministrativo.